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Incluso dall'Unesco tra i patrimoni dell'umanità il tempio di Ryōhanji è stato ed è citato nonché illustrato pressoché ovunque, dalle riviste di architettura ai siti "new age". Tuttavia è un po' fuori dall'efficientissimo sistema di bus turistici di Kyoto e chi lo vuole visitare deve uscire un poco dagli itinerari di routine, di conseguenza non è affollato come gli innumerevoli altri luoghi d'arte dell'antica capitale. Ma non mancano in ogni caso i visitatori.
Questo articolo viene condiviso anche altrove, per esempio qui e qui. Si spera infatti che sia positivo e contagioso (per quanto siano parole che destano di questi tempi legittime perplessità) e sia solo il primo di una lunga serie di dialoghi tra insegnanti e praticanti di aikido. Ma non la facciamo troppo lunga: andate avanti a leggere.
Tra i vari gruppi Facebook che si occupano di aikido c'è quello dell'antico sodale Simone Chierchini (avrà fatto un salto sulla sedia vedendosi definire antico, all'epoca dei fatti e misfatti seguenti era una specie di mascotte del gruppo di praticanti del Dojo Centrale). Ultimamente ha sollevato un problema e lanciato riprendolo dal suo sito un incitamento: l'aikido può essere un utile strumento di integrazione tra uomini e donne di culture ed etnie diverse?
Michel Random è noto a molti studiosi delle arti marziali per la sua opera di documentazione, sia collaborando con altri ricercatori come Louis Fréderic sia pubblicando in proprio documentari o libri. Può destare un po' di sorpresa scoprire che si è dedicato anche ad analisi della società giapponese, ma come vedremo andando avanti lo fa sempre con una grande attenzione alla tradizione marziale, e inoltre sviluppando tesi che meriterebbero di essere meditate e approfondite.
In questo sito si sono deliberatamente seguiti eventi positivi, che incitassero a seguirne sempre di nuovi e perché no anche a contribuire alla nascita di nuovi eventi sempre più significativi. Dobbiamo segnalare però anche quelli infausti. Tra cui nei giorni passari la immatura scomparsa di Filippo Maria Gambari, direttore del Museo delle Civiltà di Roma. Nell'auspicio che anche le perdite, anche quelle più importanti, più dolorose, siano un monito e uno stimolo per andare avanti. Positivamente.
Kenji Mizoguchi fu a lungo il più noto regista giapponese a livello internazionale. Oltre ad altri riconoscimenti, venne premiato per 5 anni di seguito al Festival di Venezia, dal 1952 al 1956. Scomparve purtroppo prematuramente lo stesso anno, a soli 58 anni, e venne in un certo senso sostituito presso pubblico e critica, come portabandiera del cinema giapponese, da Akira Kurosawa. Tra le sue opere meno conosciute I 47 ronin, del 1941.
Questa foto non ha importanza perché vi appaia il vostro disumile servitore, quanto per una serie di ricordi che suscita, non palesati finora e forse di limitato interesse per il lettore; ma tant'è: si sa fin di tempi del re Mida che mantenere per sempre il riserbo è una delle imprese più ardue che possa affrontare un essere umano.
Seppuku alias Harakiri – Harakiri alias Seppuku
Una pratica samurai d’altri tempi (ma non tanto)
“ ... Dov’è finito lo spirito dei samurai!? ... E’ bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? ... Non c’è nessuno tra voi che desideri morire per sbattere il proprio corpo contro quella Costituzione che ha evirato il Giappone? ... Se c’è, che sorga e muoia con noi! Abbiamo intrapreso questa azione spinti dall’ardente desiderio che voi, che avete uno spirito puro, possiate tornare ad essere veri uomini, veri samurai! ...“
(dalle ultime parole di Yukio Mishima, suicida per seppuku il 25 Novembre 1970)
Scritto da Michelangelo Stillante
Sì, questa foto ha rappresentato per molti una svolta nella vita; vederla, innamorarsi di quest'arte, salire sul tatami, accorgersi fin dal primo minuto che su questa bicicletta si pedala, e tanto!
E continuare a pedalare, pedalare. Smettendo inevitabilmente, prima o poi.
Non di pedalare! Ma di chiedersi dove si arriverà: che importa?
Riflettendo su come cominciare per inviare un messaggio che cerchi di essere positivo, e da dove, mi è evidente che sarebbe opportuno evocare un simbolo forte, una idea importante, al di sopra del tempo e delle vicende umane cui pure guarda benevolmente con attenzione, supportandole se e quando correttamente vi si faccia ricorso.
Lo abbiamo.