Testi tecnici
Random M.: Giappone - La strategia dell'invisibile
Michel Random è noto a molti studiosi delle arti marziali per la sua opera di documentazione, sia collaborando con altri ricercatori come Louis Fréderic sia pubblicando in proprio documentari o libri. Può destare un po' di sorpresa scoprire che si è dedicato anche ad analisi della società giapponese, ma come vedremo andando avanti lo fa sempre con una grande attenzione alla tradizione marziale, e inoltre sviluppando tesi che meriterebbero di essere meditate e approfondite.
Il testo è del 1985, la pubblicazione in Italia del 1988 e alcune delle sue previsioni non hanno retto alla prova dei fatti mentre altre invece si sono dimostrate più centrate e tuttora attuali. Soprattutto rimane interessante e valida, e se possibile ancora più attendibile, la tesi di fondo del libro: gli indubbi progressi e successi del Giappone, a livello mondiale, sono dovuti alla costante applicazione, in ogni campo, della eredità delle arti marziali ancestrali. Sia dal punto di vista meramente filosofico che da quello metodologico.
Tesi che forse sorprenderà chi si sta ancora chiedendo se l'aikido possa tornare mai di una qualche utilità nella gabbia dei combattimenti ad oltranza o se serva addirittura a qualcosa in qualunque altro campo, per non parlare di quanti denunciano allarmati una irreversibile crisi delle vocazioni. Random sostiene, e sfacciatamente lo dimostra, che non solo l'essenza delle arti marziali si è diffusa fino a permeare di sé una nazione di oltre 100 milioni di abitanti, ma l'ha condotta sulla via del progresso e, non ultimo, del successo materiale.
Ed ecco perché, ad avviso dello scrivente, questo testo trova la sua collocazione naturale tra i testi tecnici di aikido e non nel "reparto" sociologia.
Le chiavi di volta della tesi di Random sono difficilmente contestabili: l'approccio giapponese al mondo occidentale è stato ed è tuttora quello di chi si confronta con un avversario: raccolta inesausta di informazioni sul fronte opposto, estrema riservatezza sul fronte interno.
Esempi (ovviamente risalenti agli anni 80 del XX secolo, ma se oggi andassero rivalutati sarebbe al rialzo). Borsisti giapponesi in Francia: 300; francesi in Giappone: 30. Residenti giapponesi in Francia: circa 30.000 di cui un migliaio lavora a raccogliere informazioni; francesi in Giappone: 2400. Pubblicazioni tecnico scientifiche censite nell'arco di 5 anni dalla Biblioteca Nazionale di Tokyo: 600.000. Tradotte in occidente: il 2%.
Il rapporto si inverte sul fronte interno: il 56% dei giapponesi si ritiene ben informato nei confronti della propria azienda. In Germania? Il 7%.
Questa politica e questi programmi, che dichiaratamente intendevano sfociare nel "vendere l'occidente agli occidentali", obiettivo ampiamente raggiunto, si basa su due cardini ereditati anchessi dalla tradizione marziale. La mancanza di distinzione tra difesa e attacco, che devono tendere a coincidere ed essere richiamabili istantaneamente oltrepassando ogni pensiero. Come nello iaido...
La presenza nelle aziende, accanto a una rigida scala gerarchica, di persone carismatiche (sensei...) in grado di influenzare il comportamento di impiegati e operai solo con l'esempio da una parte e l'emulazione dall'altra, genera un forte senso di appartenenza.
La comunità aziendale si sente parte di un progetto condiviso, e tendenzialmente accetta anche quello che non arriva a comprendere, nella fiduciosa aspettativa di arrivare un giorno alla comprensione, o di rendersi conto infine che in quel campo la comprensione non è richiesta e non è utile.
Il giapponese medio di conseguenza agisce non perché costretto ma perché convinto, e non deflette dalla sua azione perché lo spirito guerriero non appartiene alla classe samurai, che ne è solo il portabandiera, ma alla nazione tutta.
Va detto che questa filosofia di vita tesa alla accettazione e alla collaborazione con l'autorità costituita porta talvolta a conseguenze e comportamenti che appaiono all'occidentale paradossali e perfino ridicoli.
Tuttavia il testo di Random insinua nel lettore che la pensi così il dubbio di essere emulo dei giganteschi guerrieri galli sbeffeggianti quei nanerottoli romani che pretendevano, agitandosi come formiche intorno a macchine di incomprensibile utilità, di espugnare le loro invincibili mura (com'è andata a finire? cfr. Cesare, De bello gallico, II-30).
Ci potrebbe essere ancora molto da dire...
Ma la tradizione marziale giapponese non ama dire troppo, Rifugge dal dettagliare.
Il praticante se ricerca una sua crescita - e quella del gruppo umano di cui ha deciso di fare parte - deve camminare con le sue gambe, riflettere con la sua mente, agire con il suo istinto.
Il sensei di turno non è apparso per imbandirgli la tavola: lo porta ad acquistare la necessaria preparazione fisica e mentale, gli indica quali sono gli strumenti necessari. E lo invita poi, ma forse nemmeno quello, a procurarsi, da solo, il pane quotidiano.
Ci permettiamo solamente altre poche righe; non manca ovviamente una citazione di Ueshiba Morihei, creatore di quella che sembra incontestabilmente la più indecifrabile delle moderne discipline di derivazione marziale.
Tutti coloro che lo hanno conosciuto concordano nel ritenere spesso incomprensibile il suo insegnamento. E' probabile, se accettiamo la tesi di Random, che questo non derivi da insufficienti competenze didattiche.
E' verosimile che sia piuttosto una sfida deliberata alle nostre capacità di comprendonio. E soprattutto di impegno.
Michel Random
Giappone - La strategia dell'invisibile
Edizioni Culturali Internazionali Genova, 1988
ISBN 88-7545-210-5
Pp. 266 (testo 221, più appendici e bibliografia)
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