Jidai

Akira Kurosawa: 1965 - Barbarossa (Akahige)

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Akira Kurosawa: Akahige

1965

Toshiro Mifune, Yuzo Kayama

Dal romanzo Akahige shinryotan, di Shugoro Yamamoto

 

Il ritratto di Akahige è di Mauro Cerri

Altre opere sono visibili sul suo sito.

Poco prima dell'epoca Meiji, nella prima metà dell’800, un giovane di casta samurai, Noboru Yasumoto, ha terminato gli studi di medicina. Il suo curriculum è brillante e gode di buoni appoggi, e il suo scopo è di diventare medico di corte.

Ma dopo essersi brillantemente diplomato viene con sua sorpresa assegnato per il periodo di pratica ad un oscuro ospedale in un quartiere malfamato, burberamente diretto dal dottor Niide soprannominato Barbarossa (Akahige). Lì scoprirà suo malgrado che la missione del medico è di curarsi dei più deboli e non di salire la scala sociale.

Dopo un lungo e durissimo praticantato rifiuterà la “promozione” guadagnatasi proprio col servizio degli umili, e chiederà di rimanere con l’imbarazzato Akahige, che non sapendo come esprimergli la propria gratitudine se la caverà con una burbera alzata di spalle, allontanandosi senza dir nulla.

Protagonista assoluto dell'opera, nella parte di Akahige, è Toshiro Mifune. Contro la volontà dello stesso Kurosawa, che per questa ragione ruppe definitivamente i rapporti con lui. D'altra parte lo stesso Kurosawa, nella sua autobiografia, spiega che l'unico modo per impedire a quello straordinario attore di impadronirsi del centro della scena era di non farlo apparire del tutto.

Barbarossa avrebbe dovuto essere una figura con molte sfaccettature, non priva di lati negativi, e l'opera avrebbe dovuto essere corale, senza alcuna figura che spiccasse troppo pù delle altre.

Mifune fece al contrario di Akahige, e non è facile comprendere come sia riuscito ad imporsi nonostante tutto, un eroe. L'opera racchiude ugualmente le vicende di numerosi personaggi, ma è soprattutto la storia di Akahige e Yasumoto.

Normalmente poter identificare una precisa figura di protagonista è proprio quello che chiede il pubblico, il film tuttavia fu un fiasco e segnò l'inizio di una lunga fase di inattività di Kurosawa, che dal 1942 al 1965 aveva già girato tredici delle sue trentuno opere ma dopo Akahige dovette attendere ben dieci anni prima di poter riprendere, e dovette accettare di lavorare all'estero - in Unione Sovietica - essendo completamente discreditato agli occhi dei produttori giapponesi.

Non è facile comprendere i motivi di questo fallimento. Per la prima volta - e rimase l'ultima - Kurosawa tentava di mescolare le sue tematiche preferite: l'epicità, la grandiosità e la meticolosità che traspare dalle opere jidai incentrate su grandi figure di uomini straordinari - nel bene, nel male o sospesi tra l'uno e l'altro - ed il crudo realismo, la denuncia sociale che furono la costante delle sue opere gendai, quasi sempre rigorose ed impietose analisi di microcosmi popolati di piccoli personaggi e derelitti che hanno rifiuutato la società o ne sono stati rifiutati.

E' possibile che questo tentativo di mescolare i due generi abbia disorientato pubblico e critica, che hanno accolto quasi sempre con entusiasmo le opere jidai ma si sono dimostrati più tiepidi nei confronti di quelle gendai, fatta eccezione per Ikiru (Vivere) considerata da molti il suo capolavoro.

Certamente Akahige non è completamente all'altezza delle ambizioni dei suoi realizzatori. Kurosawa probabilmente si è dilungato troppo anche ove sarebbe bastato accennare, lasciando allo spettatore il compito non difficile di ricostruire quanto che non veniva esplicitamente dichiarato, eppure non si può assolutamente dire che sia un fallimento. Affascina ed inchioda alla sedia, se si ha il coraggio - che indubbiamente è necessario - di accettare la visione di immagini e di situazioni sgradevoli e la pazienza di adattarsi ad una certa lentezza dell'azione scenica.


La vicenda è tratta da Akahige shinryotan, raccolta di racconti di Shugoro Yamamoto (1903-1967). Noboru Yasumoto ha appena terminato tre anni di studio a Nagasaki, nel corso dei quali ha appreso i segreti della medicina occidentale seguendo l'insegnamento dei medici al servizio della delegazione commerciale olandese di stanza nell'isola artificiaile di Dejima, con assoluta proibizione di uscirne.

Era quello l'unico luogo in tutto il Giappone in cui era possibile durante l' epoca Edo - 1600-1868 - venire a contatto con degli stranieri, apprendere le loro conoscenze ed il loro linguaggio ed esaminarne i testi.

Yasumoto (interpretato da Yuzo Kayama) crede che la visita all'ospedale si un semplice atto di cortesia richiestogli dal padre per deferenza verso un vecchio amico. Sarà invece una esperienza che per quanto dura e inizalmente perfino traumatizzante cambierà il corso della sua vita facendone un vero uomo ed un vero medico.

Yasumoto è destinato in realtà a rimanere diversi anni nel lazzaretto di periferia, chiamarlo ospedale sarebbe troppo, di cui varca le porte un giorno. Ad introdurlo - introducendo allo stesso tempo lo spettatore - è il medico a cui darà il cambio, Genzo Tsugawa.

Cinico e ribelle, non è mai riuscito ad andare d'accordo con Barbarossa, a suo parere un idealista privo di senso della realtà.

 

 

 

Si è fatto carico dell'impossibile compito di tutelare la salute di un campionario di derelitti senza speranza, sporchi e malnutriti, maleodoranti di un disgustoso odore di frutta marcia: l'odore della povertà.

Nemmeno Yasumoto riesce a comprendere le ragioni del comportamento di Barbarossa, che pure sembrano evidenti ad una mentalità "moderna".

Contrariamente alle tradizioni i malati vengono alloggiati nell'ala sud, ove possono godere un po' di sole, mentre gli alloggiamenti dei medici - che si considerano classe privilegiata - sono al nord, esposti all'umido e al buio. Gli scarsi fondi vanno utilizzati con oculatezza, quindi i medici consumano i loro pasti in comune e le loro stanze non sono riscaldate.

Ed è durante uno di questi pasti che il primario burberamente si presenta: il suo soprannome è giustificato, oltre che dalla barba rossiccia che gli adorna il volto e dietro cui tenta invano di nascondere le sue trasparenti emozioni, dalla difficoltà di pronunciare un nome "che fa inceppare la lingua": Kiojo Niide.

Entra subito nel vivo della questione. Yasumoto non è venuto solamente a portargli i saluti del padre: prenderà servizio da subito, i suoi bagagli arriveranno tra poco in quanto tutto è stato accuratamente preordinato a sua insaputa per fargli immediatamente iniziare l'apprendistato nel lazzaretto.

I suoi preziosi appunti, ove sono racchiusi i metodi terapeutici dei medici olandesi, dovranno essere messi a disposizione di Akahige. Yasumoto ribatte che gli appunti sono suoi, nessuno può appropriarsene, ma è un dialogo tra sordi: secondo Akahige la medicina non può essere proprietà esclusiva di nessuno, deve essere al servizio di ogni malato, indistintamente.

La prima reazione di Yasumoto è quella di chiudersi in un ostinato mutismo. Poi di fuggire; ma qualcosa che nemmeno lui riesce a comprendere lo costringe ad arrestarsi, a restare.

Infine decide di boicottare apertamente Barbarossa, rifiutando di seguire le sue direttive ed anzi mostrandosi apertamente provocatorio nella sua disobbedienza.

Non immagina che non sarà Barbarossa a ridurlo alla ragione: sarà l'impietosa realtà della vita del dottore impegnato nel suo naturale campo di battaglia: in mezzo alla gente che soffre. Non sarà mai l'elegante medico di corte di annoiati aristocratici.

 


 

Yasumoto ha bisogno di annientare le sue convinzioni e le sue aspettative prima di poter accettare quanto gli viene imposto. Non è assolutamente in grado di rendersi conto della necessità di questo trauma salutare. Una serie di umilanti sconfitte lo porterà a comprendere la debolezza che si cela dietro il suo orgoglio professionale, ma proprio questo orgoglio, finalmente asservito ad una giusta causa, gli darà la forza di risorgere.

Una delle pazienti dell'ospedale viene tenuta in isolamento dentro un edificio isolato, ove solamente una infermiera può avere accesso. Si dice di lei che sia bellissima, e che abbia già ucciso tre uomini attirandoli tra le sue braccia per poi trafiggerli col kogai, lo spillone che le donne giapponesi portavano tra i capelli.

Nei momenti di ozio dovuti al suo ostinato "sciopero" Yasumoto ottiene altre informazioni dall'infermiera. La ragazza ha avuto una infanzia travagliata, ed è stata vittima degli uomini.

L'interesse di Yasumoto travalica probabilmente quello professionale. La storia indubbiamente lo intriga, e la bellezza della ragazza, per quanto solo intravista da lontano mentre si dibatteva in preda ai suoi tormenti, lo attrae.

Un giorno viene dato l'allarme: approfittando in un attimo di disattenzione dell'infermiera la ragazza è fuggita.

Non poteva andare lontano, e d in cerca di un rifugio è arrivata proprio nella stanza di Yasumoto (è interpretata da Kyoko Kagawa, una delle attrici più utilizzate da Kurosawa).

 

 

 

 

 

 

Lui ascolta affascinato il torrente di parole della donna, che gli narra di una vita di sofferenze.

E' stata vittima di tutti gli uomini che ha conosciuto, che l'hanno presa con la violenza e le minacce, fin da quando era solamente una bambina.

 

 

 

 

 

 

Quando lei gli si getta tra le braccia Yasumoto non tenta nemmeno di fermarla.

Ma si si ritrova in un attimo legato, senza che si renda conto di come sia successo, e la ragazza, estratto lo spillone, vince con una forza sovrumana ogni sua resistenza e lo trafigge sul collo.

Solo l'intervento provvidenziale ed in extremis di Akahige, che alla ricerca della donna capita per caso nella stanza, salva Yasumoto dalla morte.

 

 

Ferito nel corpo ed umiliato nell'orgoglio, Yasumoto ha iniziato solo a scalfire la superficie della verità. Dovrà essere ancora umiliato ripetutamente, non da uomini o circostanze esterne, ma da se stesso e dalla sua assoluta immaturità, prima di poter iniziare la risalita.

Akahige chiede - non appena è guarito dalla ferita - il suo parere professionale su un malato, il morente Kokusuke: un valente artigiano da tutti rispettato.

E' secondo Yasumoto un evidente caso di tumore intestinale, giunto all'ultimo stadio. Akahige dissente: quella è l'origine della malattia, non la causa: le malattie degli uomini sono dovute spesso a cause di sofferenza morale e materiale di cui la malatta è solo un sintomo.

E se ne va, richiamato altrove da un'urgenza, chiedendogli di vegliare gli ultimi istanti del moribondo: la morte è il momento più solenne nella vita di un essere umano, Yasumoto deve assisterlo in questo momento supremo.

L'agonia di Kokusuke è terribile: Yasumoto sente che non potrà resistere.

L'intervento d'emergenza cui è stato chiamato il primario richiede altrove anche lui, con suo grande - ma temporaneo - sollievo.

Akahige sta operando d'urgenza una operaia ferita in un incidente sul lavoro.

Ha una grave ferita all'inguine che va ripulita e suturata, e l'operazione ovviamente, non esistevano veri e propri anestetici all'epoca, va eseguita mentre è pienamente cosciente, causandolei insopportabile sofferenza.

 

 

L'incarico di Yasumoto è semplicemente di tenerla ferma per permettere ad Akahige a all'assistente Mori, figura positiva che lo ammira incondizionatamente e vorrebbe emularlo, di portare a termine l'operazione.

Yasumoto non regge: sviene.

Ha toccato oramai il fondo. Sta a lui se desistere, e restarvi, o se affrontare la risalita.


Non è ben chiaro per quale ragione Yasumoto decida improvvisamente di avere fatto abbastanza sciocchezze e che è arrivato il momento di dimostrarsi all'altezza degli eventi.

Come spesso succede, il momento cruciale coincide con un cambiamento radicale dell'approccio mentale. Fino ad allora Yasumoto è stato un elemento passivo, sballottato qua e là dalla volontà di altre persone, in balia di eventi non controllabili, nemmeno prevedibili. Ora è lui a riappropriarsi del proprio destino. E' finalmente lui a decidere cosa deve o non deve fare.

Il suo stesso passo, quando arriva alle spalle del collega Mori, è più deciso del solito. Il suo tono è perentorio: "Ci vado io!".

 

Il suo primo intervento è al capezzale di Sahachi, il personaggio più popolare dell'ospedale.

Nonostante la malattia che lo sta portando verso una morte inesorabile, non cessa di lavorare per poter guadagnare qualcosa.

Allevia così, comprando cibo e medicine, la sorte dei suoi compagni di sventura, che si affollano ora davanti alla sua stanza implorando Yasumoto di fare qualunque cosa pur di salvarlo.

Il giovane dottore è anche testimone dei fantasiosi ed anticonvenzionali metodi escogitati da Akahige per procurarsi fondi, quando le autorità decidono di restringere ancora di più i già limitati finanziamenti.

I prezzi delle sue visite private - riservate a personaggi altolocati e benestanti che si fidano solo di lui, vanno alle stelle. Il ricavato va invariabilmente a soccorrere questo o quel disgraziato, o direttamente nelle casse dell'ospedale.

Tre le vittime di Akahige ci sono persone tutto sommato comprensive, che protestano timidamente, qualche volta anche con ironia, ma si rendono ben conto delle ragioni superiori che spingono Akahige a spennarli senza complimenti.

Nella parte di uno di loro ritroviamo brevemente l'attore che ha accompagnato Kurosawa praticamente in ogni sua opera, dalla prima Sugata Sanshiro a quelle dell'immediato dopoguerra con Tora no ofumu otokotachi (1945) fino a Kagemusha (1980): Takashi Shimura.

Un'altro cliente di Akahige è l'obeso principe Matsudaira, cui viene con un pizzico abbondante di sadismo prescritta una rigorosissima dieta: al corpo, che ne ha urgente necessità, ma anche e soprattutto al portafoglio.

Ne ha molto più bisogno di lui il dottore, per soccorrere chiunque capiti sotto la sua ala burbera e protettrice.

 

 

 

 

 

Ma la vicenda che veramente illumina il cuore di Yasumoto, la mente si era già aperta, è quella di Otoyo.

Nel suo periodico giro di visite Akahige incontra la tenutaria di un bordello (Akemi Negishi, già apparsa in Vivere nella paura come giovane amante del protagonista, e che ritroveremo in Dodes'ka-den).

Attrice apprezzata per la sua avvenenza, qui riesce ad apparire come una autentica megera, che Akahige tratta senza complimenti.

Trattiene praticamente prigioniera, con la scusa di averla salvata dalla miseria, una orfanella di 12 anni, Otoyo appunto (Terumi Niki), in attesa di sfruttarla nel bordello.

Akahige mostra qui la sua stretta parentela con altri personaggi di Kurosawa, in particolare col misterioso samurai protagonista sia di Yojimbo che di Sanjuro.

Minacciato da una numerosa banda di malviventi, prezzolati dalla tenutaria per intimorirlo, dopo averli ammoniti a guardarsi dai cattivi dottori - di cui lui è il classico esempio - li riduce tutti a mal partito in un batter d'occhio, affrontandoli a mano nuda e lasciando dietro di sé un'autentica strage.

Ma non solo: provvede anche a prestare loro le cure del caso, rammaricandosi con un sospetto di ipocrisia: "Questo l'ho ridotto proprio male...".

Ed infine se ne va. Yasumoto, che porta sulle spalle la piccola Otoyo malata è allibito quanto ammirato: le risorse di Akahige sembrano sconfinate.

Dopo avere con infinita delicatezza tentato assieme ad Akahige di superare l'animalesca diffidenza di Otoyo, troppo ferita dagli esseri umani per avere ancora fiducia in loro, Yasumoto si ammala a sua volta.

Sarà la volta di Otoyo a vegliarlo, cadendo addormentata sui testi di medicina: ha deciso, vuole anche lei diventare dottore, e curare gli infelici.

Questo episodio è ispirato alla figura di Nelly che appare nel romanzo Umiliati ed offesi di Fyodor Dostoevsky.


L'intrico di vicende umane recitate dal coro di questa tragedia giapponese non può essere integralmente riportato senza confondere il lettore. Accenniamo brevemente solo agli episodi principali.

Sahachi, lo stakanovista che ignora il suo male per aiutare il prossimo, ha un segreto: innamorato perdutamente di una giovane di umili condizioni, arriva finalmente a sposarla dopo avere vinto una sua inspiegabile resistenza.

Ma dopo un devastante terremoto, non riesce a trovarla tra le macerie: è scomparsa.

In questo episodio Kurosawa ricostruisce la terribile esperienza avuta quando fu condotto dal fratello Heigo tra le rovine del terribile terremoto del Kanto nel 1923, come riporta nella sua autobiografia.

La ritroverà per caso anni dopo, con un piccolo assicurato sulla schiena: un figlio avuto da un altro. Era infatti promessa sposa con un giovane che aveva sempre aiutato la sua famiglia a sorpavvivere.

L'amore era stato temporaneamente più forte di ogni cosa, ed era fuggita per vivere con Sahachi.

Ma la voce del dovere aveva era tornata a prendere il sopravvento, ed era volontariamente scomparsa per mantenere la sua promessa, sprando che Sahachi la credesse morta e trovasse pace.

 

Rivedere Sahachi è stato troppo: non può vivere senza di lui.

Chiede ed ottiene di essere uccisa. Il suo scheletro verrà alla luce poco prima della morte di Sahachi, da uno smottamento del terreno.

Verranno seppelliti assieme.

 

 

 

 

 

L'artigiano Kokusuke, che abbiamo visto vittima di un tumore intestinale, era solo, nessuno lo veniva a trovare e sembrava non avere parenti.

Si presenta ora la figlia a rivederlo per l'ultma volta, accompagnata da tre bambini affamati ed impauriti.

Ha anche lei una terribile storia da raccontare: la moglie di Kokusuke aveva un'amante, che per avere occasione di starle vicino a suo piacimento riuscì ad ottenere di sposare lei. Rovinato dall'uomo che gli aveva distrutto e portato via la famiglia, Kokusuke era rimasto solo.

 

Morta la madre, la donna si era da poco finalmente ribellata, ed aveva aggredito il marito, violento ed ubriacone, tentando di ucciderlo.

Per salvare la donna ed i tre innocenti bambini Akahige non esiterà a mostrare il "peggio" di sé. Addomesticherà il questore di polizia, in modo da ridurre al minimo le conseguenze del ferimento, e buona parte dei proventi delle sue esosissime visite private servirà ad assicurare una dignitosa rendita alla famigliola, che verrà sistemata presso due vecchi coniugi di buon cuore.

 

Chobo è un ladruncolo che si aggira nell'ospedale per rubacchiare del cibo in cucina.

 

Sveltissimo ed inafferrabile, è l'incubo delle inservienti, che non riescono mai ad acciuffarlo.

Tentando di prenderlo in trappola, Yasumoto ed una inserviente ascoltano inosservati un colloquio tra Chobo ed Otoyo.

 

 

 

Il piccolo, che ha solo sette anni e che con le sue ruberie mantiene l'intera famiglia, ha rubato dei lecca lecca per farne dono ad Otoyo, che non vuole prenderli.

Infine, commossa dell'affetto del bimbo, li accetta, ma solo per renderglieli immediatamente.

Chobo non ha mai avuto il piacere in vita sua di godersi un piccolo piacere, è bene che li divida con i fratellini.

 

 

 

Chobo (Yoshitama Zushi, che sarà pochi anni dopo protagonista di Dodes'kaden) viene poco tempo dopo ricoverato nell'ospedale con tutta la famiglia.

I genitori hanno preso la terribile decisione di morire tutti quanti assieme per porre fine ad una vita di sofferenze, hanno avvelenato se stessi ed i figli.

Sono destinati a perire tutti, rimane solo un'esile speranza per Chobo: Akahige spiega alle inservienti che potrà sopravvivere se passerà la notte.

 

 

Le inservienti, ed Otoyo in prima fila, passeranno il resto della notte ad invocare il nome di Chobo nel pozzo dell'ospedale.

E' credenza giapponese che i pozzi arrivino fino al centro della terra, e che da lì si possano richiamare indietro le anime destinate all'oltretomba.

Infine Chobo passerà la nottata: vivrà.

 

 

 

 

 

Un'ultima piccola tempesta in un bicchiere d'acqua viene a turbare la ormai tranquilla quotidiana esistenza dell'ospedale, avvezzo a tanti piccoli o grandi drammi.

Si ripresenta la tenutaria, chiedendo indietro Otoyo, che il dottor Akahige non ha alcun diritto di tenere con sé.

Per una volta in difficoltà, ha bisogno di infuriarsi per rendere la pariglia e quel giorno non è in vena, Akahige viene tolto d'impaccio dalle infermiere, che vanno per le spicce.

 

 

Afferrati alcuni daikon, i ravanelli giganti onnipresenti in ogni cucina giapponese, non esitano ad utilizzarli per bastonare sonoramente la tenutaria, che batte in ritirata pesta ed ammaccata: si può essere ragionevolmente sicuri che non si farà più vedere da quelle parti.

E Akahige? Scrolla le spalle, altra caratteristica che sembra avre ripreso da Sanjuro, si liscia i baffi. E se ne va.


Yasumoto è ormai perfettamente integrato nell'ospedale. Già da molto, dopo lunga resistenza, aveva deposto l'abito del samurai per indossare il camice del dottore, accolto festosamente dalle inservienti.

Si era reso conto che quello che gli diceva il collega Mori era vero. Essere riconosciuto dappertutto come dottore dell'ospedale pubblico, anche dall'abito, senza doversi presentare, gli avrebbe permesso di venire a conoscenza di casi che altrimenti nessuno avrebbe avuto il coraggio di esporgli non essendo in grado di pagare alcuna parcella.

 

Ora è stato convocato in famiglia: i suoi genitori hanno deciso, come d'era d'uso a quel tempo e nelle famiglie tradizionali si usa ancora adesso, che è giunto il momento per il loro figlio di "sistemarsi".

Gli hanno quindi scelto una moglie, e predisposto tutto per il matrimonio. Yasumoto non è del tutto contrario, la prescelta nonostante tutto gli andava a genio, ma è la sorella della protagonista di una precedente esperienza sfortunata. Però le sue proteste ora sono più di circostanza che convinte.

 

Prima di procedere con la cerimonia c'è ancora qualcosa - e molto importante - da regolare. Yasumoto è stato chiamato a prendere servizio a corte, di lì a poco, su raccomandazione del futuro suocero.

Ebbene, intende rinunciare: vuole rimanere all'ospedale al fianco di Akahige. La sua futura sposa senza rispondere nulla si inchina: acconsente alla volontà del compagno della sua vita, ha già iniziato ad apprezzarlo.

 

 

 

Una sorpresa attende Yasumoto: la dama d'onore, che presenta il sake rituale, è proprio la sua vecchia fiamma. Quella che l'abbandonò per un altro, originando in lui un lungo periodo di avversione e timore verso le donne.

Al di là degli schermi scorrevoli piove nel giardino. I ciliegi sono già in fiore, ma la neve ne imbianca ancora i rami...

Ad attenuare la pesantezza delle molte vicende narrate nella trama Kurosawa ha deciso che ora deve arrivare un lieto fine a 360 gradi. Yasumoto è contento di vederla, e lieto che questo incontro ufficiale le permetta anche di riconciliarsi con i genitori, che avevano rotto i rapporti con lei dopo che aveva mancato alla parola data.

Ma Akahige, è d'accordo sul lieto fine? Non si direbbe: sbuffa e rimbrotta Yasumoto. Lo rimprovera di avere gettato al vento una occasione unica.

Per la prima volta da quando si sono incontrati, invece di un brusco rifiuto o una pronta accettazione, tra Yasumoto ed Akahige corre un rapporto dialettico.

Yasumoto fa presente che sta semplicemente applicando i principi trasmessigli dal dottore.

 

 

"Ma cosa le fa credere che ci sia bisogno di lei?", ribatte un urticante Akahige.

"Questo me l'ha fatto capire proprio lei. Altrimenti perché mi avrebbe insegnato ad essere un vero dottore?", risponde Yasumoto.

 

 

 

 

 

 

Cosa fa allora Akahige? E cosa vi aspettate che faccia? Scrolla le spalle, si liscia i baffi, e se ne va senza dire nulla.

Il coinvolgente tema musicale (Masaru Sato vi ha inserito tra l'altro splendide musiche di Haydn e Beethoven) accompagna le sequenze finali.

Il lieto fine non servirà: pubblico e critica respingeranno unanimi Akahige.

Ci auguriamo di avere convinto il lettore che hanno avuto torto.

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