Jidai
Takashi Koizumi: 1999 - Ame agaru
Indice articoli
Takashi Koizumi: Ame agaru (Il fiume in piena)
1999
Akira Terao, Shiro Mifune, Tatsuya Nakadai, Yoshiko Miyazaki, Mieko Harada
Tadashi Koizumi è stato assistente di Akira Kurosawa nelle sue ultime opere, e si incaricò di portare a termine questo progetto, sulla base di una sceneggiatura che lo stesso Kurosawa aveva scritto per riservarne a se stesso la realizzazione, interrotta dalla sua morte quando ne aveva già portato a termine la pre-produzione.
Probabilmente avrebbe desiderato concludere il suo ciclo tornando a raccontare una storia ambientata in epoca jidai ma priva del pessimismo sparso a piene mani in Kagemusha e Ran e anche meno spettacolare, più intima e più a livello di essere umano: con un protagonista meno in balia dei grandi eventi storici e delle miserie umane e più padrone di sé stesso.
Vi partecipano gli attori più rappresentativi dell'era Kurosawa e vi si aggiunge in una insolita prova come interprete il produttore Shiro Mifune, figlio del grande Toshiro Mifune che fu legato indissolubilmente al regista fino al 1965, giungendo poi ad una irreversibile separazione dopo i contrasti avuti durante le riprese di Barbarossa.
Sono protagonisti di questa opera, dedicata alla memoria di Akira Kurosawa e prodotta dal figlio Hisao (la figlia Kazuko ne cura i costumi), anche Tatsuya Nakadai, che prese idealmente il posto di Mifune nei già citati Kagemusha e Ran dopo esserne stato l'antagonista (Yojimbo e Sanjuro) o il coprotagonista (Anatomia di un rapimento) negli anni 60. Ed infine Akira Terao (Ran, Sogni, Madadayo) che raccolse il testimone.
La trama è tratta da un racconto di Shugoro Yamamoto, cui Kurosawa era solito spesso attingere per la sua ispirazione: citiamo tra le sue opere portate sullo schermo dal maestro Sanjuro, Barbarossa e Dodes'kaden. Un altro suo racconto è alla base del progetto di Il mare e l'amore, che dopo la morte di Kurosawa venne portato a compimento da Kei Kumai nel 2002.
Per quanto ne sappiamo non esiste ancora una versione italiana, la critica è condotta sulla edizione francese che porta il titolo di Après la pluie (Dopo la pioggia). In realtà il titolo originale ha un significato praticamente opposto, potremmo renderlo anche con Durante la piena.
E' infatti la pioggia incessante il motivo conduttore del film e la causa scatenante della vicenda, assieme alle acque del fiume in piena che obbligano il protagonista ad arrestare il suo incessante girovagare.
Trattenuto dalla pioggia ad un traghetto divenuto impraticabile, il ronin ossia samurai randagio e senza padrone Ihei Misawa (Akira Terao) riflette sul corso della sua vita, che non ha avuto gli esiti sperati.
Arrivato dopo una lunga e dura formazione al riconoscimento come maestro di spada da parte del maestro Tsuji Gettan (Tatsuya Nakadai) non ha però trovato impiego stabile presso alcuna casata, spesso rinunciando spontaneamente per la sua inveterata incapacità di adattarsi a convenzioni e formalismi.
Assieme alla sua compagna Tayo (Yoshiko Miyazaki) vaga da qualche tempo di feudo in feudo, senza sapere nemmeno lui cosa stia cercando.
L'inatteso imprevisto lo obbliga ad una sosta forzata presso una umile e sovraffollata locanda, senza alcuna idea del tempo che vi dovrà passare.
Una occasione quindi per fare il punto sul suo percorso di vita, e decidere una volta per tutte su quali obiettivi puntare.
Un incontro fortuito col nobile Shigeaki (Shiro Mifune) sembra aprirgli nuove prospettive. Collerico e disincantato Shigeaki è attratto dalla calma interiore di Misawa, che supera la prova di ammissione battendo i campioni del feudo.
Viene però ricusato dalla corte quando scoperto a violare deliberatamente regole e leggi per seguire piuttosto la sua coscienza.
Shigeaki è costretto a ritirare la sua offerta di prenderlo a servizio come maestro d'armi, ma da allora non è più in pace con se stesso.
Le acque del fiume, che per molti giorni non avevano smesso di salire (agaru) a causa della pioggia (ame) finalmente sono discese, ed il traghetto è stato riaperto.
Misawa riprende il suo cammino assieme a Tayo, verso una meta sconosciuta e con la sensazione di essere incorso nell'ennesimo fallimento.
E' una storia ormai chiusa, o avrà un seguito?
Shugoro Yamamoto e Akira Kurosawa ci portano con la loro immaginazione in un imprecisabile periodo dell'epoca Edo (ma la presenza del personaggio storico Tsuji Gettan indica l'inizio del XVIII secolo), in un territorio non meglio identificabile.
Piove violentemente, e le comunicazioni sono difficoltose lungo le strade, praticamente interrotte lungo i fiumi di maggiore portata, dove la politica degli shogun ostacolava la costruzione di ponti per poter tenere meglio sotto controllo gli spostamenti dei feudatari e delle loro truppe, ma anche dei cittadini.
Riparandosi alla meno peggio sotto un ombrello un samurai, riconoscibile dalle 2 spade portate alla cintura e dalla tenuta formale in hakama ed aori, con lo stemma della casata riportato sul bavero, si avvicina alla barriera invalicabile del fiume in piena.
E' Ihei Misawa, identificabile come ronin, samurai senza padrone, per la mancanza del chommage, la rasatura rituale del capo che contrassegna il samurai a servizio di un feudo.
I traghettatori, o per meglio dire portatori perché non dispongono di barche o pontoni e trasportano i viaggiatori su una pedana che issano sulle spalle mentre guadano il fiume a piedi, sono seminudi, ma indossano le tipiche sopravvesti di paglia che fanno colare l'acqua a terra evitando che raggiunga il corpo.
Il fiume è talmente rigonfio che anche se smettesse immediatamente di piovere non sarebbe praticabile prima di un'altra settimana, forse 10 giorni.
Con questo tempo i loro affari vanno a monte, ma non possono fare a meno di compiangere chi sta ancora peggio di loro e dei contadini. I viaggiatori costretti a una sosta forzata nella prima affollata locanda disponibile se la passeranno brutta se pensavano a un viaggio breve e non avevano portato il denaro per una permanenza così lunga, o se addirittura non ne dispongono affatto.
La locanda dove si è rifugiato Misawa assieme alla moglie è grande, ma l'improvviso afflusso di viaggiatori l'ha riempita oltre il consueto e la convivenza è difficile.
La pioggia incessante impedisce di uscire e non c'è modo di asciugare i vestiti inzuppati, tantevvero che quelli che se la passano meglio sono i bambini, lasciati a razzolare nudi.
Misawa si è già fatta la reputazione di essere uno strano samurai, gentile e sorridente con tutti, anche con le persone della più umile condizione.
La prostituta Okin (Mieko Harada) costituisce un problema a parte. Evidentemente umiliata dal dover esercitare un mestiere considerato infamante oltre che esasperata dalla forzata residenza in un luogo dove presumibilmente non c'è nemmeno spazio per esercitare la sua professione e guadagnarsi di che vivere, ha i nervi a fior di pelle.
Accusa in continuazione gli altri ospiti della locanda di rubarle il cibo o degli oggetti, e le sue scenate ininterrotte stanno riducendo all'esasperazione tutti quanti, essendo alloggiati in stretti cubicoli separati da fragili pareti di carta che nulla trattengono dei rumori circostanti e delle voci dei vicini.
Nonostante Tayo cerchi di dissuaderlo dall'intervenire, Misawa si sente in dovere di fare qualcosa.
L'intervento di un samurai nei confronti della gente del popolo era temuto da tutti.
Le rigide convenzioni della società feudale assegnavano le parti in anticipo senza possibilità di sfumature. Il samurai era tenuto a dare ordini in tono brusco ed ultimativo, il popolo ad adeguarsi non solo senza indugi od obiezioni ma anche prosternandosi umilmente.
Cosa che alla ragazza, evidentemente fuori di se, potrebbe non venire in mente, obbligando il samurai a reagire con la forza per riaffermare la sua autorità e non permettere che venga pubblicamente messa in dubbio.
In realtà qui le parti si invertono. Misawa dopo averla fermamente ma senza rudezza obbligata a smettere con i suoi improperi, le si rivolge con gentilezza chiedendo cosa può fare per lei.
Sconcertata Okin ribatte maleducatamente che non sono cose di cui dovrebbe occuparsi un samurai.
In casi del genere ci si aspetta generalmente che il samurai impartisca di forza una lezione, quando addirittura non estragga la spada. Gli avventori della locanda sono pietrificati, non osano fiatare.
Misawa impassibile continua nel suo tentativo di rabbonire la ragazza.
Lei non è preparata ad essere trattata da essere umano. Confusa, lo pianta in asso e torna nel suo alloggio al piano superiore
Misawa, pensieroso, mentre gli altri continuano a fingere di non avere notato nulla, dichiara che ha intenzione di uscire di nuovo. E così fa.
Torna solamente a notte fonda, ma in buona compagnia: un gruppo di servitori deposita all'interno della locanda grandi recipienti colmi di cibo e di sake.
Misawa minimizza: dice che bisogna contentarsi del poco che ha trovato, ma l'importante è essere dello spirito giusto per passare una piacevole serata, perché ha deciso di fare qualcosa per ingannare il tempo che passa.
Lo stupore generale cede subito ai preparativi per la festa, mentre Tayo, dalla porta della sua stanza, guarda in silenzio e scuote la testa perplessa.
La festa sta andando a meraviglia.
Il regista Takashi Koizumi ne approfitta per ammanire allo spettatore un campionario di antiche canzoni e pantomine popolari giapponesi.
Accompagnandosi allo shamisen un avventore canta la buffa storia di un uomo innamorato di un pupazzo di neve.
Un popolano mima l'incursione di un ladro in un campo di cocomeri, fingendo che le teste dei commensali siano altrettanti cocomeri e percuotendoli col pugno per saggiarne il grado di maturazione.
Purtroppo un imprevisto incidente rischia di mandarla a rotoli.
Quando rientra Okin dalla sua dura giornata di lavoro per le strade, con i suoi vistosi quanto logori vestiti e il suo trucco volgare, viene affrontata rudemente dall'anziana persona che aveva in precedenza accusato di averle rubato il riso.
Costui non ha toccato nulla della cena offerta da Misawa, ma ha messo da parte una ciotola di riso per renderla ad Okin, pur continuando a dichiararsi completamente innocente dell'accusa.
Misawa interviene ancora una volta per portare pace.
Se asssolve il vecchio dall'accusa di furto assolve anche Okin dalla colpa di averlo accusato a torto: può capitare a tutti di sbagliare.
E la convince a restare alla festa, ma non solo: garbatamente, con un sorriso, le porge anche il suo cibo.
Più tardi, coinvolta e trascinata suo malgrado dalla allegra e contagiosa follia che aleggia nella locanda, anche Okin si lascerà sfuggire un sorriso.
Ihei Misawa in quel momento ha già lasciato la festa.
E' tornato nella stanza dove la moglie è rimasta in attesa, portandole un vassoio con la cena.
Lei lo guarda in silenzio, mentre Misawa sembra estremamente imbarazzato.
Quando gli fa una domanda lei va a colpo sicuro: si è battuto a duello per denaro, per guadagnare il denaro necessario ad offrire la festa?
L'imbarazzo di Misawa cresce ancora: è evidente che non è abituato a mentire e nemmeno a cambiare discorso quando preso in difetto.
Non gli rimane che chiedere perdono promettendo, e tutto lascia immaginare che non sia la prima volta che lo promette, di non farlo più.
InvanoTayo tenta di mantenere il suo fiero cipiglio. E' una lotta persa in partenza.
Lentamente un grande sorriso si fa largo, illuminandole il volto. E' evidente che suo marito, quello strano guerriero preoccupato dei deboli e incapace di arroganza, nonostante tutto le sta bene così come è.
Il giorno seguente la pioggia ha finalmente lasciato tregua.
Ne approfittano tutti per uscire di nuovo all'aperto il mattino, mentre la nebbia sale dal bosco.
Misawa, cordialmente ma rispettosamente salutato da tutti, si dirige in solitudine verso la foresta.
Vuole rimanere solo con i suoi pensieri.
Non è soddisfatto della sua vita, nonostante i sorrisi che dispensa a piene mani con chiunque abbia a che fare con lui.
Si rende conto di essere un perdente, di non essere riuscito a realizzare il suo percorso di vita e, quello che è peggio, di avere coinvolto Tayo nel suo fallimento.
S rende conto soprattutto di essere arrivato ad un punto morto: è necessario prendere al più presto una decisione.
Un uomo d'arme, e specialmente un samurai, non è mai completamente solo. Ha sempre con se le sue armi, la sua arte, il suo percorso interno.
Se quello esterno attraverso il mondo può essere incerto ed insicuro, il cammino interno dell'arte non tradisce mai.
Misawa approfitta spesso delle solitarie passeggiate nel bosco per esercitarsi con la spada.
Koizumi ce lo mostra appunto intento ad esercizi di iaido, estrazione della spada. In un bosco non sono pensabili i classici esercizi nelle posizioni a terra seiza e tateihiza, quindi attinge al bagaglio delle tecniche in tachiwaza (in piedi).
Normalmente fanno parte delle serie okuden (avanzate o nascoste) ma è difficile pensare che un attore, per quanto eclettico, possa eseguirle in maniera assolutamente credibile.
Fa eccezione il kata (forma) koranto, che nella scuola Muso Shinden ryu fa parte delle tecniche di base (omori ryu). Il maestro d'armi dell'opera ha scelto questa forma, assieme ad altre di scuole differenti. Appare sostanzialmente differente dalla norma usuale la fase detta chiburi, qui mostrata.
Terminato il suo allenamento Misawa riprende pensieroso a passeggiare nel bosco, e viene attirato da un vociare confuso verso una radura.
Là un gruppo di giovani samurai sta discutendo animatamente, e sembra che la discussione debba degenerare da un momento all'altro.
Infatti ben presto escono fuori dai foderi le lame delle spade.
Misawa pur non avendo compreso bene per quale ragione si stiano azzuffando interviene per tentare di riportare la calma: rimbrotta i giovani ricordando loro che la spada non deve servire per azzuffarsi col prossimo, ma per forgiare se stessi.
Il gruppetto è troppo agitato per ascoltarlo, anzi la loro aggressività si rivolge contro di lui.
Lo invitano a farsi gli affari suoi e visto che non desiste coloro che assistevano all'alterco non esitano ad estrarre anche loro le spade, ma per rivolgergliele contro.
Il ronin reagisce fulmineo, colpendo con il kashira (pomolo) della propria spada il primo aggressore, mettendolo fuori combattimento ma senza estrarre a sua volta la lama.
Si scusa della sua irruenza, ma non per questo gli altri si calmano. Misawa li disarmerà senza particolari problemi, avendo cura di non far loro del male.
Potrebbe non finire lì, i samurai sono molti ed è difficile che rinuncino ad assalire il ronin solitario, per quanto si siano dovuti rendere conto che si tratta di un cliente difficile.
Ma un gruppo di cavalieri irrompe dal fitto della boscaglia.
Sono comandati da un uomo montato su uno splendido destriero, dalle importanti vesti di seta e con un jingasa (cappello corazzato) su cui brilla uno stemma d'oro. E' Shigeaki, signore di quel feudo, accompagnato dalla sua scorta.
Dall'alto di una collinetta ha potuto osservare non visto l'intervento di Misawa.
Rimbrotta aspramente il gruppetto di samurai, che avrebbero ben dovuto sapere che i duelli privati sono proibiti, ed ordina immediatamente di portarli al castello per esaminare la loro posizione.
Gli è piaciuta la calma e la determinazione dello sconosciuto ronin, che ha saputo agire senza spargimenti inutili di sangue pur essendo visibilmente di levatura tale che un combattimento non lo avrebbe impensierito.
Ed avrebbe piacere di approfondire la sua conoscenza presso il castello.
Ciò detto, volge la cavalcatura e scompare di nuovo al galoppo nel bosco.
Qualche giorno dopo fa la sua ricomparsa anche il sole. E' presto per pensare di poter ripartire, le acque del fiume sono gonfie e ci vorranno ancora parecchi giorni.
Al ritorno da una partita di pesca Misawa trova fuori della locanda Matsuba tre cavalli bardati.
L'inquieto Shigeaki, che appariva già a prima vista come una persona impaziente ed impetuosa, non ha perso tempo. Ha inviato alla locanda il giovane Gonnojo (Hidetaka Yoshioka), capo delle guardie, e la guardia Masahiro. Invitano Misawa al maniero
Le preoccupazioni del ronin sono principalmente due: cosa fare delle carpe che ha pescato, ma provvederà a suggerire ad uno degli avventori come cucinarle, e cosa mettersi per rispondere all'nvito del signore Shigeaki, cui sarebbe impossibile opporre un rifiuto.
Fortunatamente Tayo aveva da tempo messo da parte un kimono da serbare per le grandi occasioni, e non se ne era mai separata.
Il terzo cavallo era ovviamente per Misawa, ed i tre samurai si dirigono verso il castello.
Sono ormai alle porte.
Nascosto dietro un albero un uomo armato li osserva.
Koizumi cura in modo esemplare l'ambientazione di Ame Agaru.
Vi abbiamo già fatto ricorso più volte, utilizzandone le immagini su questo sito.
La scena del duello, che incontreremo più avanti, è stata utilizzata per illustrare le origini del dojo tradizionale, il luogo ove si praticano le arti marziali, e le ragioni della disposizione dei vari componenti, degli insegnanti, dei discepoli e delle persone ammesse ad assistere, mentre quella che esporremo a breve in cui Shigeaki valuta il carattere di Misawa la ritrovate nell'articolo intitolato Il nihonto nel costume giapponese (nihonto significa appunto, come sanno i cultori, spada giapponese).
Nagai Izumi no kami Shigeaki sottopone Misawa ad una serie di domande preliminari, ricevendolo formalmente all'interno della casa. Accanto a lui e lo seguirà sempre come un'ombra, l'attendente che porta il suo tachi, antica spada da cavaliere e simbolo del potere oltre che del valore. Ancora oggi ai sumotori vincitori dei grandi tornei viene consegnato in premio un tachi e non una katana, utilizzata ed indossata dai samurai di rango inferiore.
Il titolo Izumi no kami - signore o divinità di Izumi - è probabilmente onorifico, non corrisponde necessariamente ad una signoria di Shigeaki sulla provincia di Izumi, che attualmente fa parte della città di Osaka, e nemmeno ad un suo legame di qualunque tipo con quel feudo.
Shigeaki propone di continuare la conversazione in modo meno formale, dopo aver goduto del sole finalmente tornato a splendere con una breve passeggiata nel magnifico giardino.
Ha una proposta da fare: recentemente è scomparso il maestro d'armi del feudo, e non è stato ancora designato il suo successore, né tra le candidature propostegli ne ha trovata alcuna che lo soddisfacesse in pieno.
Da quello che ha potuto vedere nel provvidenziale intervento di Misawa, di cui lo ringrazia ancora in quanto ha evitato che dei giovani senza cervello disonorassero se stessi ed il feudo, lui potrebbe essere la persona più indicata.
Continueranno a discutere all'ombra della veranda rialzata. Una corrente di reciproca simpatia corre visibilmente tra i due uomini.
Shigeaki chiede a Misawa di esporgli il suo curriculum. Inquieto e desideroso di nuove esperienze aveva presto abbandonato il suo piccolo feudo del nord ovest, dove da giovane lavorava come contabile, per fare nuove esperienze, vagando per qua e là.
Viveva praticamente di espedienti, presentandosi a tutti i dojo di spada che incontrava sul cammino e chiedendo al maestro titolare di mostrargli gentilmente la sua tecnica. Richiesta che in pratica conduceva ad un duello cortese.
Non appena incrociati i bokken, le spade da allenamento di legno (solo in quell'epoca, per limitare il rischio di incidenti, si iniziavano ad adottare i meno micidiali shinai di bambu e le protezioni del corpo) Misawa si dichiarava vinto, soggiogato dalla potenza del suo antagonistra prima ancora che fosse avvenuto il primo scambio.
Questo immancabilmente metteva di buon umore il maestro, che colmava di gentilezza il giovane samurai randagio, lo ospitava per qualche tempo e lo forniva al congedo di una somma bastante per qualche tempo. Anche gli ascoltatori di Misawa sono molto divertiti dalla storia.
Ma certamente non è in questo modo che Misawa ha completato la sua formazione marziale, obietta Shigeaki.
L'interessato non ha alcun problema a narrare il seguito: è discepolo di Tsuji Gettan.
Questa volta Shigeaki e gli altri trasecolano: Tsuji Gettan? Il grande maestro del Mugai ryu? E Misawa l'ha sfidato?
Misawa risponde semplicemente: Hai (sì).
Arrivato finalmente ad Edo, la capitale, si era concesso il gusto di percorrerne le strade per conoscerla meglio ed aveva incontrato sul suo cammino un grande dojo, decidendovi di mettere in atto - possibilmente per l'ultima volta - il suo stratagemma.
All'interno della vasta sala campeggiava appesa nel tokonoma una grande calligrafia: La verità ed il suo oggetto sono la stessa cosa.
Il maestro aveva acconsentito ad incrociare con lui le armi.
I discepoli, ordinatamente schierati, immobili e silenziosi, in posizione formale, osservavano.
I due contendenti, in apparente assoluta concentrazione, sembravano studiarsi l'un altro.
Misawa invece cominciava solamente a chiedersi se non fosse arrivato il momento di dichiararsi vinto.
Con sua immensa sorpresa, tanto da scoprirsi in ritardo nel riprendere la posizione per lo zarei, il saluto in posizione seiza, fu invece Tsuji Gettan a precederlo di un attimo.
Mentre abbandonava la posizione di guardia e riportava il bokken sul lato destro, esclamava maitta! (sono vinto).
Gettan sensei si dimostra persona superiore.
Nonostante la sconfitta, che potrebbe sembrare umiliante in quanto è avvenuta senza che ci sia stato alcuno scambio di colpi, non ha alcun rancore nei confronti di Misawa e lo invita a trattenersi per discutere.
E' ancora sorpreso. Confida di non avere ricevuto una grande impressione dal suo avversario, che aveva l'aria di essere poco preparato.
Eppure, quando se lo è trovato di fronte non è riuscito a percepire alcuna aggressività, alcun desiderio di vittoria, nulla che gli potesse consentire di avere una 'presa' su un contendente che non offriva alcun punto di riferimento.
Constatata la sua incapacità di relazionarsi con il duellante, aveva deciso di abbandonare una tenzone che gli sembrava già persa in partenza.
Misawa sa dimostrarsi se non alla pari del maestro, almeno onesto e sincero.
Non gli costerebbe nulla atteggiarsi a grande combattente e continuare ad approfittare dell'equivoco.
Confessa invece la sua inettitudine e rivela a Gettan sensei il suo metodo per sbarcare il lunario, ingenuo ma pressochè infallibile fino a quel momento.
Gettan è uomo di spirito: dapprima rimasto a bocca aperta, come era rimasto Misawa al momento della sua rinuncia, non tarda a rendersi conto del lato comico della faccenda.
Fu così che Ihei Misawa venne ammesso alla scuola Mugai ryu e divenne diretto discepolo di Tsuji Gettan sensei, che lo sottopose ad un durissimo tirocinio prima di rilasciargli l'attestato che provava la sua raggiunta perfetta maestria dell'arte.
In questa immagine vediamo correttamente utilizzati dal regista nella ricostruzione di un momento di pratica, i fukuro bokuto, rivestiti di un fodero (fukuro) di cuoio per limitare il rischio di incidenti, anche mortali.
Lo tsuki vibrato in controtempo da Gettan alla gola di Misawa può rendere l'idea della pericolosità di un allenamento con la spada di legno (bokuto o bokken), che va considerata un'arma a tutti gli effetti.
Nonostante le favorevoli premesse le aspettative di Misawa non si sono realizzate. Ha trovato facilmente impiego presso un feudo, ma non è riuscito a trovare stabilità a causa di un vago malessere esistenziale che nemmeno lui riesce ad identificare.
Passato di feudo in feudo senza mai mettere radici si è infine ritrovato ad essere un ronin senza alcun legame, e senza alcun obiettivo verso cui indirizzare i suoi passi.
La fredda ma obiettiva autoanalisi di Misawa pone fine al suo racconto.
Shigeaki decide di esaminare finalmente le sue credenziali, in un modo che potrebbe sorprendere un occidentale ma nella cultura samurai è usuale.
Chiede cortesemente di esaminare la spada di Misawa.
Ad un cenno di suo assenso Gonnojo si reca nel vestibolo per prendere in consegna l'arma, maneggiandola ritualmente.
Pone il tagliente verso di se, l'impugnatura a sinistra, mantenendo la spada con le due mani all'altezza del mento.
Ricevuta conferma da Misawa la porge a Shigeaki, che prima di iniziare l'ispezione ringrazia di nuovo Misawa.
La valutazione della spada gli permetterà di apprezzare anche le qualità, le attitudini e le scelte di vita del guerriero che ha voluto farne la sua compagna.
Nel commento di Shigeaki, tralasciando la parte tecnica, la lama è altera, ma fresca come un vento di primavera.
Misawa interviene per far notare che è mumei, senza firma. Shigeaki non potrebbe rendersene conto se non esaminandone il nakago (codolo) dopo aver disassemblato l'arma. E' materia di un minuto, la montatura è prevista per queste operazioni, ma questo esame approfondito richiederebbe anche un secondo assenso da parte del proprietario.
La mancanza di firma ovviaamente rende incerto il valore della lama, ma avere identificato caratteristiche di pregio in una lama che si è voluta lasciare anonima depone a favore della persona che la detiene.
Come ne è venuto in possesso Misawa? E' il dono di Tsuji Gettan sensei.
Il reciproco esame continua con una passeggiata nel giardino. Shigeaki mette in guardia Misawa: la vita di un signore feudale e dei suoi intimi non è entusiasmante: chi detiene il potere materiale è la corte, composta di persone ottuse e noiose.
Cosa che Misawa non dovrebbe del resto ignorare, visto che ad ambienti e situazioni del genere si è sempre sottratto.
Sorprendentemente interviene il giovane attendente, fino ad allora muto, e con una confidenzialità che sorprende vista l'incolmabile distanza gerarchica che intercorre tra lui ed il feudatario. Che è nelle parole dell'attendente al contrario delle apparenze una persona scherzosa, che ama essere sarcastico e attribuire soprannomi irriverenti. Va da se che nessuno potrebbe saperlo meglio di chi, in silenzio ed impassibile, segue come un'ombra quello che definisce l'augusto didietro del signore Shigeaki.
L'immediato rimbrotto di Shigeaki per la mancanza di rispetto non convince: è evidente che preferisce questo genere di rapporti a quelli falsamente rispettosi di chi si attiene rigidamente all'etichetta.
La parte seguente è omessa da alcune edizioni, senza alcuna ragione: la lunghezza del film non è eccessiva, ed il ritmo calmo ma non flemmatico. Evidentemente si pensava che privilegiando le scene di azione (si passa direttamente al duello di Misawa con i campioni del feudo) il successo di pubblico sarebbe stato maggiore. Si è solo così mutilata un'opera che ha riscosso unanimi consensi, premiata in una decina di concorsi internazionali, e se ne è ostacolata la comprensione. E stiamo parlando dei distributori francesi, che rispetto a quelli italiani mostrano maggiori doti di professionalità, rispetto per le opere, lungimiranza commerciale.
La sera Misawa è invitato ad una cena informale cui partecipano i consiglieri del feudo: Kihei Ishiyama (Hisahi Igawa, che Kurosawa utilizzò già in Ran, Sogni e Madadayo) e Akashi Butayu. Shigeaki ironizza sulla scarsa elasticità mentale dei suoi consiglieri e sulla opprimente invadenza della etichetta e delle procedure di sicurezza sulla sua vita privata.
Comunica loro di avere scelto il nuovo maestro d'arme del feudo, nella persona di Ihei Misawa.
I consiglieri dissentono, e ricordano che la scelta del maestro d'armi richiede il loro parere consultivo. E' usanza che la scelta venga confermata o respinta solo dopo una dimostrazione del candidato a confronto con i rappresentanti del feudo. Un tentativo di Shigeaki di imporre la sua volontà si rivelerebbe fuori luogo, palesando sfiducia nelle capacità del candidato da lui stesso prescelto.
Nel frattempo si stanno riunendo anche i tre dojo di spada attivi nel feudo. La notizia della proposta di incarico a Misawa ha raggiunto anche loro ed accresce il loro disappunto: deve essere un maestro locale a avere la responsabilità dell'addestramento dei samurai al servizio della casata.
Veniamo così ad apprendere che è proprio contro i campioni dei dojo locali che Misawa ha combattuto per denaro, scatenando il loro risentimento per la sconfitta.
Era un loro uomo quello che spiava le mosse di Misawa mentre entrava nel castello di Shigeaki.
Ad accrescere ancor più l'ira degli sconfitti arriva la notizia che Misawa sta tornando alla locanda in palanchino, concessogli dal signore Shigeaki, e con un inserviente che reca dei doni per lui e la sua signora.
Effettivamente il ritorno di Misawa alla locanda Matsuba non è in tono dimesso e non passa inosservato.
Tanto per non smentirsi assicura che se il dono di Shigeaki si rivelasse commestibile lo condividerà al più presto con tutti.
Tutti sono felici dell'insperata fortuna capitata al sorridente e gentile ronin, che ha sempre una parola gentile o un segno di attenzione per tutti .
Misawa è soprattutto ansioso di ritrovarsi a tu per tu con Tayo e farla partecipe dellla svolta positiva che improvvisamente ed inaspettatamente si è presentata loro.
Formalmente la decisione non è ancora ufficiale, e subordinata alla dimostrazione contro i campioni del feudo, ma la decisione di Shigeaki sembra irrevocabile, e l'apprezzamento delle doti della spada di Misawa lo conferma.
Tayo tace, fissando a lungo i doni di Shigeaki.
Sembra non condividere l'entusiasmo del marito. Se sia solo il timore di una disillusione o anche un presentimento, è impossibile dirlo.
Il sole ha continuato a fare la sua apparizione ogni giorno, le acque del fiume si abbassano e sono tornati gli aironi per cercarvi cibo.
Il cortile d'armi del maniero è pronto per il confronto tra Misawa e i campioni del feudo.
Nel tokonoma, ove ovviamente Shigeaki occupa il posto d'onore, sono schierati i dignitari, mentre i vassalli di rango intermedio e gli altri posti siedono al livello del dojo ai lati ovest ed est.
Tutto è pronto, ma i campioni dei dojo della città non arrivano ancora.
Shigeaki, ancora più impaziente del solito, sospetta una loro defezione ed ordina di cominciare senzaltro con i due samurai prescelti a rappresentare la casata.
Il primo campione, Tahei Nabeyama, si presenta al suo avversario.
Misawa risponde gentilmente presentandosi a sua volta.
Ma la sua bonomia scompare di colpo non appena la parola passa alle armi.
Rimane impassibile di fronte alla guardia jodan di Nabeyama, che intenderebbe assalirlo e non dargli tregua ma non trova alcuna breccia nel muro invalicabile quanto insondabile della mente di Misawa.
Nabeyama si rende conto di avere l'obbligo morale di vincere questa prima sfida, ed attacca nonostante tutto.
Misawa non risponde ad alcun colpo, si limita ad evitarli mandandoli a vuoto, con calma glaciale.
Il primo colpo di Misawa, dopo una lunga serie di colpi a vuoto di Nabeyama evitati con la massima flemma, è anche l'ultimo.
Con un colpo rovescio colpisce il mune (dorso) del bokuto di Nabeyama facendogli saltare la lama dalle mani.
Al suo avversario non rimane che esclamare maitta! e ritirarsi, dopo aver reso il saluto a Shigeaki e rassicurato il premuroso Misawa che non si è fatto male.
Il secondo avversario, dall'aspetto molto marziale, si presenta come Handayu Inuyama.
Di fronte a lui Misawa è - come sempre durante questi preliminari - sorridente e cordiale.
Nemmeno Inuyama potrebbe penetrare nella invisibile barriera difensiva di Misawa.
Non appena carica il bokuto per l'attacco, l'arma di Misawa, tenuta in posizione gedan puntata verso il suolo, in modo che sembrerebbe provocatorio se non fosse per la usuale flemma di Misawa, si sposta impercettibilmente diventando di colpo minacciosa ed inavvicinabile.
Tuttavia Misawa sa che deve concedere una possibiltà di attacco al suo avversario e allo stesso tempo una possibilità al feudatario e ai dignitari di apprezzare la sua tecnica.
Si apre quindi agli attacchi di Inuyama.
Il risultato non cambia rispetto al primo incontro: nessuno dei colpi di Inuyama va a segno, e per quanto abbiano mancato il bersaglio di pochissimo l'impressione è che non abbiano alcuna possibilità di coglierlo mai.
Al termine di una serie di irruenti attacchi, cui Misawa si sottrae non più solamente con rotazioni sul tronco ma anche con spostamenti imprevedibili, l'epilogo: per due volte Misawa entra sul tempo nel tentativo di attacco di Inuyama, puntandogli alla gola il manico del suo bokuto, che in quella zona è micidiale quanto la lama.
Inuyama tenta di sottrarsi indietreggiando ma la sensibilità di Misawa è tale da seguirlo automaticamente, non lasciando che si allenti la minaccia
Quando propone tacitamente la conclusione, indietreggiando, Inuyama al contrario attacca di nuovo.
Trova solo il vuoto, in quanto Misawa già ha invertito le posizioni e si trova alle sue spalle.
Inuyama si gira solamente per ricevere un colpo che lo disarma e trovarsi di nuovo sotto la minaccia di un jodantsuki alla gola, ma questa volta con il kissaki (punta) del bokuto e non più con la tsuka (manico).
Risuona anche il suo maitta!
Per continuare bisognerebbe attendere i tre campioni dei dojo della città, che ancora non sono arrivati né hanno dato loro notizie.
Shigeaki aveva perso la pazienza già all'inizio, figuriamoci adesso.
Chiede che qualcun altro si offra volontario, ma nessuno si fa avanti, ordina a Gonnojo di scendere lui in campo, ma il ragazzo confessa di non essere all'altezza di un simile avversario.
Tanto peggio: Shigeaki stesso affronterà Misawa.
La costernazione dei presenti non servirà a nulla, la sua decisione è presa.
Shigeaki è ben conosciuto come temibile combattente con lo yari, la lancia.
Ne fa prendere una dalla rastrelliera all'interno della veranda.
Ma esige che sia una lancia da combattimento, munita di una micidiale lama di acciaio.
Ha forse Misawa qualcosa in contrario?
Misawa non solo non ha alcuna obiezione, ma sembra felice della proposta, come un bambino cui viene proposto il suo gioco preferito.
Del resto anche Shigeaki ha lanciato l'idea con tono divertito, senza ombra di aggressività.
Questo non vuol dire che sia un cliente facile.
Quando combatte Shigeaki lo fa sul serio, ed è il primo a creare qualche problema a Misawa, anche perché la sproporzione tra la lunghezza delle due armi lo avvantaggia.
Misawa è costretto a non limitarsi alle schivate, deve più volte parare i colpi o deviarli, e recuperare la distanza per portarsi fuori portata della affilatissima lama.
Infine accetta l'entrata di Shigeaki, si porta alla corta distanza e col braccio sinistro blocca la lancia contro il suo fianco, mentre sollleva minaccioso la spada col destro.
Ora le parti si sono invertite, è Shigeaki a dover accettare il confronto ad una distanza in cui la sua arma è inutile, e retrocede preciipitosamente sotto l'incalzare di Misawa che non gli da tregua per non permettergli di ritrovare il suo maai (giusta distanza).
Ma nella foga i due non si rendono conto che stanno oltrepassando i limiti del terreno, sfondano la siepe e Shigeaki cade rovinosamente nello stagno sottostante.
Per fortuna non succede nulla di grave, Shigeaki risale immediatamente con le sue gambe e non ha riportato nella caduta alcun danno.
Obiettivamente però le condizioni in cui risale, inzuppato fradicio, imbrattato di alghe e furente, ne compromettono non poco la dignità.
Il solito premuroso Misawa gli chiede se sia tutto a posto, ma la risposta che riceve è tuttaltro che diplomatica.
Se l'umore di Shigeaki era già tempestoso, sentirsi compatito da chi lo ha appena sconfitto non lo ha certamente migliorato.
Gonnojo scorta Misawa fuori della porta del maniero. Sta prendendo congedo senza che gli sia stata comunicato alcuna decisione a suo riguardo.
Il giovane consigliere cerca di portargli sollievo: il signore Shigeaki è facile a prendere fuoco, ma altrettanto facilmente torna la calma. Ed ha sempre mostrato di saper valutare correttamente le persone.
Lo sfortunato episodio sembra però ad entrambi troppo importante per poter passare senza lasciare conseguenze.
Aldilà delle formalità di circostanza Gonnojo sembra dispiaciuto quanto Misawa. Anche lui ha apprezzato le qualità interiori del sorridente umile ronin, forse ancor più di quelle marziali, pur indiscutibili.
Ma il bel sogno sembra svanito, il momento magico passato senza essere afferrato.
Solo con i suoi pensieri Misawa torna lentamente, attraversando la foresta, verso la locanda Mitsuba. Ha rifiutato cortesemente l'offerta di un palanchino fattagli da Gonnojo.
Nemmeno la maestosa bellezza della foresta sembra in grado di distoglierlo dalla sua cupa concentrazione.
Forse è per per questo viene colto di sorpresa dall'incontro con un minaccioso gruppo di uomini armati.
Sono alcuni maestri d'arme dei dojo del feudo, che hanno intenzione di vendicarsi, assalendolo in numero preponderante, dell'uomo che li ha doppiamente umiliati, prima sconfiggendoli in un torneo clandestino legato alle scommesse e poi sottraendo loro l'incarico presso il signore Shigeaki.
Misawa cerca in qualche modo di rabbonirli, ma si trova di fronte ad uomini che hanno un solo obiettivo: ucciderlo.
Si sottrae ai primi attacchi senza reagire, limitandosi a schivare i colpi, disarmare gli avversari, proiettarli al suolo.
E tenta un'ultima volta di farli desistere: quella non è la giornata adatta per mettere alla prova la sua pazienza.
Chi gli sta di fronte non possiede la sensibilità necessaria a comprendere cosa sta rischiando.
E' necessario lasciare la parola alle spade.
Misawa, glaciale, porta a termine nel minor tempo possibile il suo spietato compito.
In men che non si dica tutti gli avversari giacciono al suolo, esanimi o gravemente feriti.
Quella sera Shigeaki parla con la concubina Okugata (Fumi Dan).
E' un altro episodio soppresso scioccamente nelle copie mutili. Non sarà forse essenziale per la comprensione dell'opera, ma proprio questa censura dalle opinabili motivazioni commerciali ci obbliga a parlarne.
Shigeaki cerca conforto spiegandole quanto gli è successo in giornata, e chiedendosi per quale motivo ci si debba sentire umiliati e divenire arroganti quando la persona che ti ha vinto si preoccupa per te e si mostra gentile.
Okugata non sa dargli una risposta freddamente filosofica, si limita a sorridergli dicendo che questo strano ronin descritto da Shigeaki gli sembra una persona interessante.
Da diversi giorni il sole è tornato a splendere, le acque del fiume sono calate.
I traghettatori hanno ripreso il loro lavoro, tutte le persone che erano rimaste bloccate dalla piena ripartono per le loro destinazioni.
Le scene di traghetto sono ricorrenti nell'arte giapponese, come abbiamo detto solamente sulle strade principali, e non sempre, venivano costruiti dei ponti.
Nella stampa di Utagawa Hiroshige, dalla celeberrima serie Le 53 Stazioni del Tokaido, vediamo la Stazione numero 31, Shimada: si trovava vicino al guado di Suruga sul fiume Oi, attraverso il quale si raggiungeva con l'ausilio dei traghettatori la Stazione successiva di Kanaya.
Scrisse Matsuo Bashō (松尾 芭蕉, 1644-1694):
Non so quando il cielo,
coperto dalle nuvole di maggio, si schiarirà
Nemmeno so quando potrò attraverrsare il turbolento Oi.
Vento, perchè non porti le nuvole via?
Mentre il guado torna ad essere gremito di persone e brulicante di attività l'affollata locanda Matsuba è ora praticamente deserta, vi sono rimasti in pochi.
Tra questi Misawa e Tayo. Lui in qualche modo spera ancora che la situazione si possa raddrizzare, che l'incarico presso Shigeaki gli venga assegnato.
Ogni volta che avverte lo scalpiccio di cavalli si precipita alla porta pensando che siano i messi di Shigeaki, ma si rivelano sempre viaggiatori che se ne vanno per i fatti loro e torna indietro deluso.
Ritroviamo l'omino che cantava la buffa filastrocca mimata sul ladro di cocomeri, che è rimasto incantato dalla personalità di Misawa e vuole in qualche modo esprimergli questo suo sentimento.
Attenzione, è una vecchia conoscenza: è il caratterista che in Madadayo recitava la parte dell'entusiasta declamatore dell'orario ferroviario giapponese!
Evidentemente è uno specialista in ruoli di strampalato frequentatore di feste: è un mestiere anche quello... Prendiamone atto.
Questa è la volta buona.
Ma l'aspetto sconsolato di Gonnojo, che accompagna il consigliere anziano Ishiyama, fa capire immediatamente che il responso non sarà positivo.
E' trapelata la notizia che Misawa ha partecipato a dei combattimenti accettando un compenso in denaro.
Una grave violazione dell'etica samurai, ed il feudo non può avere alcun rapporto con il responsabile. E' chiaro che per Ishiyama è una provvidenziale motivazione per un rifiuto deciso fin dal primo momento e motivato dal non conformismo di Misawa.
Gonnojo tuttavia intende consegnargli da parte del signore Shigeaki un dono di addio: una somma che gli consenta di proseguire confortevolmente il suo viaggio, ancora una volta senza meta.
Misawa si scusa, ma preferisce non accettare.
Violando clamorosamente l'etichetta, che proibirebbe alla donna di interferire in faccende 'da uomini', Tayo si fa avanti.
Accetta l'offerta, in tutta semplicità. Vuole però aggiungere qualcosa: anche lei è sempre stata contraria a quei combattimenti, e ha più volte scongiurato il marito di abbandonarli.
Ora si rende conto però che lo ha sempre fatto per aiutare i deboli. E bisognerebbe giudicare gli uomini e le loro azioni più sulla base delle motivazioni che non su quella delle regole astratte scritte a tavolino. Altrimenti si è delle marionette, come quelle che abbondano nel feudo del signore Shigeaki.
Misawa si scusa ancora, e prega la moglie di non essere scortese. Ma anche qui, come ha appena detto Tayo, se la forma è stata violata, una ragione sostanziale e cogente c'era.
Anche Ihei e Tayo stanno per abbandonare la locanda Mitsuba.
Dal piano superiore dove rimane quasi sempre, scende la prostituta Okin.
Timidamente, scontrosamente, consegna a Tayo un modesto regalo che potrebbe esserle utile durante il viaggio: della polvere di tabacco da utilizzare in caso di irritazione ai piedi dopo una lunga giornata di cammino.
Si attarda un po' nella spiegazione, è evidente che vorrebbe dire qualcosa di più, motivare quel suo gesto. Ma non sa.
Va notato che non ha mai scambiato nemmeno una parola con Tayo, i suoi burrascosi rapporti sono sempre stati con Ihei Misawa, ma adesso sente che solo un'altra donna può capire quello ha provato e che sta provando.
I due sposi hanno finalmente attraversato il fiume sui palanchini portati a spalle dai traghettatori.
Anche loro sono misteriosamente al corrente di tutto quanto è successo: durante l'attraversamento del fiume i loro commenti coloriti fanno capire quanto rincresca loro che il signore Shigeaki abbia perso l'occasione di avere al suo servizio una persona di tanto valiore.
Valicato l'ostacolo del fiume Ihei e Tayo debbono ora affrontare quello dei monti.
Per quanto il percorso sia duro la natura è splendida, e li aiuta a riacquistare la loro serenità.
Misawa come di consueto si apparta ogni tanto per rimanere solo con la sua spada.
Immerso nella penombra del bosco, ascoltando il tumore delle mille cascatelle d'acqua, compie il suo dovere quotidiano esercitando l'arte.
Nell'attesa Tayo gioca con i fiori ed i soffioni, come una bambina.
Nel maniero Shigeaki sta ascoltando il rapporto dei suoi uomini, paseggiando inquietamente avanti ed indietro.
E' evidente che è in arrivo una delle sue classiche sfuriate.
Si fa ripetere per l'ennesima volta parola per parola la conversazione tra i due consiglieri, Misawa e Tayo
Cosa ha detto la signora?
Come? Che al feudo ci si comporta come delle marionette?
Finalmente esplode.
Le espressioni dei due interlocutori sono eloquenti.
Ishiyama si è sentito appena chiedere che cosa ha risposto, rimanendo esterefatto.
Ed è ancora nulla rispetto allo shock di cui rimane vittima quando Shigeaki gli rinfaccia di essere una marionetta!
Gonnojo si è invece sentito ordinare tuttaltra cosa, è mai ordine è stato così gradito e risposta così pronta ed entusiata.
"Presto! Il cavallo!"
Shigeaki cavalca a briglia sciolta, lasciando indietro nella sua furia gli uomini della scorta, per raggiungere Misawa.
Ignari di quanto sta succedendo alle loro spalle Ihei Misawa e Tayo hanno passato il valico e sono giunti in vista del mare.
Si arrestano, sereni, ad ammirare il panorama che si è aperto davanti a loro.
Rinunciando a mostrarci il lieto fine, lasciando che lo creassimo nelle nostre menti, questa è l'immagine con cui probabilmente Aikira Kurosawa avrebbe voluto congedarsi dal mondo e dai suoi spettatori.
Ci è stata trasmessa grazie a Takashi Koizumi e a quanti hanno sentito il dovere di collaborare con lui.
Nonostante le decine di riconoscimenti internazionali, tra cui quelli a tutti i principali protagonisti, Akira Terao, Yoshiko Miyazaki, Shiro Mifune e Mieko Harada, come sapete questa opera non è mai stata distribuita in Italia.