Jidai
Masaki Kobayashi: 1962 - Harakiri - Epilogo
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Nessuno degli Iyi sarebbe disposto ad ammetterlo, ma Tsugumo li incalza con le sue parole.
Quegli uomini non hanno affrontato il disonore: si sono nascosti, sottraendosi ai loro doveri, sperando che i loro capelli ricrescessero senza che nessuno si accorgesse della loro vergogna.
Ecco la prova che anche nella casata degli Iyi l'onore samurai è solo una facciata. Tsugumo ha vinto, ed è ora il suo turno di irridere il nemico vinto.
Vinto. E disonorato.
Saito cede alla debolezza di cercare una inutile vendetta, che non cambierà nulla. Ordina di uccidere all'istante Tsugumo.
Sarebbe stato saggio seguirne il consiglio e lasciarlo morire di sua propria mano.
L'eco della sanguinosa battaglia, Tsugumo ha lasciato da parte anche i suoi ultimi scrupoli e deciso che non morirà da solo, penetrano nella dimora dove il sovrintendente Saito è in preda dei suoi dubbi e probabilmente dei suoi rimorsi.
Per quanto ripetutamente ferito ed esausto con la forza della disperazione Tsugumo si fa largo tra gli avversarsi, che si ostacolano tra di loro, e penetra nella casa.
Mietendo avversari, senza che nessuno riesca a fermarlo, sebbene le forze lo abbandonino assieme al sangue che esce dalle numerose ferite, arriverà infine fino al sacrario ove è custodito l'emblema della casata, la rossa armatura di cui abbiamo già parlato.
Sono intanto accorsi degli uomini armati di teppo (fucile) che si schierano a debita distanza davanti a lui - nessuno osa più avvicinarsi - e preparano le armi.
Lo abbatteranno senza che lui possa fare nulla.
In un ultimo disperato gesto di sfida Tsugumo getta al suolo l'armatura degli Iyi, e si trafigge con la sua spada negando al nemico la possibilità di ucciderlo.
Inutili i colpi di arma da fuoco che infieriscono oltretutto sul corpo di un uomo già morto mesi prima assieme ai suoi cari.
Dei messaggeri si recano da Saito per un resoconto: Tsugumo è stato ucciso.
Le perdite sono gravi: 4 samurai sono rimasti uccisi, altri 8 gravemente feriti.
Saito ordina di comunicare che 'il samurai di Fukushima' ha commesso seppuku dietro sua richiesta, mentre gli uomini al servizio degli Iyi sono morti di malattia. Nulla deve trapelare.
Un dignitario arriva trafelato per portare notizie di Omodaka: anche egli si è ucciso, la notte prima.
Come costume giapponese non osa nominare l'atto, lo mima con le mani, inequivocabilmente.
In quanto agli altri due, effettivamente non sono malati e si nascondono per la vergogna.
Saito non ha esitazioni: torni immediatamente da loro ed ordini di togliersi la vita, facendosi accompagnare da un drappello di uomini armati che uccidano immediatamente i due se danno mostra di esitare. Ufficialmente anche queste ultime vittime della collera di Tsugumo saranno morti per malattia.
In un modo o nell'altro tutti i protagonisti della vicenda hanno pagato con la morte i loro debiti.
Saito è invece condannato a pagare con la vita, tenendosi dentro i suoi ricordi ed i suoi rimorsi.
Vivrà per sempre col peso di una terribile verità che non potrà condividere con alcuno.
Dalla dimora vengono rimosse tutte le tracce dell'accaduto.
Il tatami riservato al seppukusha viene rimosso, l'armatura degli Iyi ricomposta nel sacrario.
Mentre viene ripulito il cortile uno degli inservienti raccoglie da terra uno dei chommage, simbolo del'onore samurai.
Lo getta con noncuranza nel secchio pieno d'acqua che avrebbe dovuto essere utilizzato prima per lubrificare la spada del kaishaku e poi per raccogliere la testa mozzata di Tsugumo.
Il giornale della casata riporta una storia completamente differente.
Vi si dice solamente che un samurai già appartenuto al feudo di Fukushima, apparso a volte confuso nelle sue affermazioni e nei suoi atteggiamenti, ha ricevuto assistenza nel compiere seppuku.
Si apprezza che la notizia del fermo atteggiamento tenuto dalla casata in questo e altri casi simili si sia già diffusa nella città, tra l'apprezzamento generale.
Si chiude così la pagina del registro, alla data del 16 maggio 1630.