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Masaki Kobayashi: 1962 - Harakiri - Tsugumo colpisce
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Saito per quanto scosso dalla vicenda del ronin ha deciso che il suo dovere è di salvaguardare soprattutto l'onore della casata.
Chiede se questa era la fine del racconto di Tsugumo. Questi risponde che pensa di sì.
Ma lo ferma ancora, con un cenno imperioso, quando Saito sta per segnalare che si può continuare con la cerimonia.
Ha un'ultima cosa da dire.
Saito ha di fronte a se un avversario non superabile, che sa esporre le sue ragioni e difenderle, e sa renderle micidiali come il tagliente di una spada. Perché di tanti testimoni presenti nessuno ha avuto l'istinto di chiedere a Chijiiwa cosa lo spingeva a quell'estremo gesto? Perché nessuno ha nemmeno tentato di capire?
Saito difendendo le decisioni degli Iyi risponde che Chijiiwa ha ottenuto quanto era venuto a chiedere, non era possibile conoscere quanto celava invece nell'animo.
Ma invece di accettare serenamente una sorte avversa e probabilmente non prevista, invece di morire con onore da samurai, ha chiesto semplicemente un immotivato e inspiegato rinvio di uno o due giorni, allontandosi così dal percorso richiesto ad un uomo d'arme.
Tsugumo ne conviene, ma ricorda che Chijiiwa per quanto samurai era un uomo composto di carne ed ossa, privato dei mezzi elementari di sussistenza, e se lui ha sbagliato, cosa dire del comportamento di chi ha deciso di gettare sul lastrico migliaia di guerrieri fedeli, e chi dei samurai presenti può garantire che al posto di Chijiiwa avrebbe avuto la forza di comportarsi in modo diverso, in modo migliore? A questo punto, sembra che l'onore del samurai sia un vuoto simulacro, solamente una facciata.
I presenti sono visibilmente colpiti, toccati nel vivo da quelle parole.
Saito rivendicava ancora il comportamente coerente della casata: per gli Iyi l'onore del samurai non è una vuota facciata.
A questo punto Tsugumo inizia a scoprire veramente le sue carte, deridendo l'interlocutore. E assieme a lui tutti i presenti.
E' il momento che sappiano che la sua vendetta è già compiuta.
Chiede a Saito se veramente dubita ancora che lui sia veramente venuto per darsi la morte. Non ha nulla che lo trattenga su questa terra, è anzi ansioso di raggiungere al più presto i suoi cari. Ma non vuole presentarsi loro a mani vuote.
Quello che chiede è in pratica di portare loro le scuse della casata. Che riconoscano che ci sono stati errori da una parte e dall'altra, che una questione così grave avrebbe potuto e dovuto essere gestita meglio. Se potesse portare con se una sola parola di questo tenore, sarebbe di conforto per Motome.
Saito è obbligato a raccogliere la sfida, a tentare un attacco alle posizioni di Tsugumo. Se veramente pensa che l'onore samurai - cui si richiama anche lui - sia solo una facciata, come pensa di poter essere convincente? Ignora di essere inesorabilmente in ritardo, qualunque cosa faccia.
Tsugumo ha già mosso tutte le sue pedine, ed in maniera letale.
Riprende la posizione formale, sembra dichiararsi vinto, e dichiara di essere pronto per finirla con tutto questo. Ma ancora una volta arresta il kaishaku che si è alzato per prendere posizione dietro di lui.
Deve prima rendere alla casata di Iyi qualcosa che gli appartiene. E' quella in realtà la sua spietata ma non crudele vendetta, che all'insaputa di tutti ha già preso, che nulla e nessuno gli potrà togliere.
Estrae dalle vesti e getta sprezzantemente a terra qualcosa che sulle prime nessuno riesce ad identificare. E spiega di averli contrassegnati con i nomi, perché non ci siano equivoci. Sono i chommage, le acconciature rituali di due samurai che ha sentito avere la fama di essere i più valorosi della casata di Iyi: Hayato Yazaki e Umenosuke Kawabe. I due uomini che avevano prima crudelmente infierito su Motome Chijiiwa e lo avevano poi deriso dopo morto.
Si rassicurino i presenti: Tsugumo ha preso solo i loro chommage, non la loro vita.
In realtà, recidendo loro il simbolo dell'onore samurai, li ha uccisi spiritualmente lasciandoli materialmente in vita a soffrire.
Qualunque sia l'esito materiale del duello, Saito conosce già in quel momento l'amaro sapore della sconfitta. L'onore degli Iyi è compromesso, e celare la verità non servirà a cambiarla.
La sua sensibilità, che non ha saputo assecondare, che non ha avuto il coraggio di assecondare, ora serve solo ad accrescere la sua sofferenza.
Hayato Yazaki è stato affrontato e vinto 6 giorni prima, Umenosuke Kawabe il giorno seguente.
Entrambi sono stati pedinati avendo l'accortezza di farsi scorgere, dando loro l'opportunità di mettersi in guardia e combattere ma anche di mettere in mostra la paura che si nascondeva dietro i loro modi arroganti.
Entrambi si sono dimostrati pavidi e sono stati vinti, disarmati, ridotti all'impotenza ed umiliati con il taglio del chommage.
Entrambi si sono nascosti da allora, per non rivelare a nessuno la loro vergogna.
Tsugumo riconosce di avere trovato difficoltà a sorprendere Hikokuro Omodaka, forse allertato dalla sorte toccata agli altri due che in qualche modo aveva conosciuto, e quindi perennemente in guardia.
Ma comunque di una statura superiore agli altri.
In realtà è stato Omodaka a recarsi spontaneamente da lui presso la sua casa ormai vuota, piena di scheletri di ombrelli che nessuno avrebbe mai portato a termine.
Tsugumo si lascia sorprendere: la sua spada è poggiata lontano e Omodaka lo avverte che se tenterà di prenderla verrà tagliato inesorabilmente dalla testa ai piedi.
Ma intende combattere lealmente. Giustificandosi col desiderio di non rovinare la sua lama rischiando di urtarla nel soffitto, non essendo quello il posto adatto per un duello, chiede a Tsugumo di seguirlo nella località chiamata Gojin Gawara e di lasciare una nota per spiegare quanto sta avvenendo, per non scomparire senza lasciare alcuna traccia o memoria di se.
I due si incamminano, silenziosi, camminando a lungo per luoghi deserti avvolti dalla nebbia del mattino, attraverso cimiteri fitti di tombe e boschetti di bambu.
La scena del duello rispetta molti degli stilemi classici del cinema giapponese: la brughiera di montagna ai margini di un cimitero abbandonato, le alte erbaglie scosse dal vento, il cielo tempestoso, l'assoluta concentrazione dei protagonisti.
Lo elevano molto al di sopra della media la consulenza di uno sconosciuto, almeno per il momento, maestro d'armi che ha voluto citare diverse posizioni di antiche scuole di spade, lo dimostrano le posizioni hanmi (in linea) dei piedi di entrambi, che nulla hanno a che vedere con la posizione usuale nel kendo moderno.
Ma soprattutto il carisma dei due attori: Tetsuro Tamba e Tatsuya Nakadai.
Tsugumo commenta, rivolto ai suoi attoniti interlocutori. Omodaka si avvalse del vento a favore per metterlo in inferiorità. Era una idea brillante, ma le brillanti strategie non bastano in battaglia.
Ed occorreve prevedere le infinite potenzialità della katana, la spada giapponese.
Con un colpo che Omodaka pensa di poter facilmente arrestare, Tsugumo spezza invece la sua lama. E' un caso più frequente di quanto si possa credere, la martensite del tagliente, ha, può tagliare l'acciaio più tenero del mune, il dorso della spada con cui si effettuano parate e bloccaggi.
Costretto a difendersi col solo wakizashi, la lama corta, Omodaka sarebbe una facile preda. Ma Tsugumo non combatteva dall'assedio di Osaka, 16 anni prima.
Gli sarebbe stato relativamente facile ucciderlo, prendergli il chommage ha richiesto uno sforzo maggiore. Ma eccolo.
E ognuno sa che farsi tagliare il ciuffo equivale a farsi tagliare la testa, è una dimostrazione di inettitudine, un disonore che nemmeno la morte potrebbe redimere.
Ma c'è di più.