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Akira Kurosawa: 1963 - Anatomia di un rapimento - La resa dei conti

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L'addetto alla fornace ricorda bene chi gli ha portato qualcosa di insolito quella mattina.

Un giovane che lui ha immediatamente classificato come medico apprendista, hanno modi di fare diversi dagli altri, è venuto da lui con due valigette da "buttare nel mucchio".

Ne ricorda molto bene le dimensioni, ma non è in grado di identificare la persona, non ricorda di averla mai vista in precedenza.

 

L'appostamento nell'ospedale non tarda però a fare centro, e nel modo più semplice ed inaspettato.

Davanti agli occhi sbigottiti di un poliziotto un giovane in camice, di spalle, sale le scale.

Si arresta un attimo, forse per leggere un referto, e la sua mano sinistra si appoggia alla balaustra, permettendo di notare che ha una fascia al polso. Il rapitore è ormai nella rete.

Una rete che Tokura decide di non tirare immediatamente. Le prove che collegano Takeuchi al rapimento sono schiaccianti, ma la pena è relativamente modesta - i rapimenti erano un fenomeno relativamente sconosciuto in Giappone - e se la caverebbe con poco.

Non ci sono prove invece del duplice assassinio nei confronti dei suoi complici.

In una affollatissima conferenza stampa chiede quindi ai cronisti di non pubblicare alcuna notizia sullo svolgimento delle indagini.

Intende far credere a Takeuchi che i suoi complici sono ancora vivi, spingendolo a tornare sul luogo del delito per finirli.

Solo allora, cogliendolo sul fatto, lo si potrà inchiodare alle sue responsabilità.

 

 

 

A Takeuchi viene recapitato un falso biglietto dei suoi complici, che gli chiedono ancora della droga.

L'assassino non riesce a spiegarsi l'errore di calcolo, la sua professione gli permetteva di calcolare con assoluta precisione una dose letale. Decide immediatamente di fare un secondo tentativo, assicurandosi questa volta che non ci siano margini di errore.

Tokura ha istruito minuziosamente i suoi uomini: dovranno pedinare strettamente l'uomo, senza mai perderlo di vista ma senza intervenire se non in caso di emergenza.

Takeuchi hai iniziato un lungo peregrinare nei quartieri del divertimento, per assicurarsi di non essere pedinato.

Nonostante le precauzioni del rapitore i poliziotti, un autentico nugolo e nascosti sotto i travestimenti più impensati, riescono inizialmente a seguirlo.

Ne perderanno però le tracce nel quartiere della droga.

 

 

 

Vengono identificati ed aggrediti dalla folla in quanto ogni sconosciuto, o peggio ancora gruppo di sconosciuti, viene automaticamente associato alla polizia.

Quel quartiere è un autentico inferno nell'inferno di cui Kurosawa riesce con poche inquadrature, indugiare su certe scene sarebbe del resto insopportabile per lo spettatore, a rendere l'agghiacciante atmosfera.

 

 

 

La perdita di contatto causerà purtroppo un'altra vittima: una povera donna ridotta agli estremi dall'abuso della droga, viene abbordata da Takeuchi.

Il suo intento è semplice quanto raccapricciante: le inietterà una dose fatale, controllandone di persona la morte: vuole essere sicuro di non sbagliare una seconda volta.

La polizia pur avendolo perso, pur trovandosi di fronte ad un'altra inaspettata vittima, sa dove aspettarlo per porre fine alla storia: la casa dove abitavano i due complici. E' lì infatti che si sta recando Takeuchi.

Prima della scena catartica, Kurosawa preferisce smorzare la tensione, come è spesso sua abitudine.

Indugia sull'irripetibile panorama che si gode dalla veranda della villa, ed il tema musicale è un inaspettato omaggio all'Italia.

Sono le note di O sole mio, canzone ben conosciuta in Giappone, come del resto in tutto il mondo.

E' fin dall'origine un tema internazionale: sembra che la musica sia stata ispirata al compositore Di Capua da un'alba sul mar Nero, ove si trovava in quel momento, oltre che naturalmente dalla nostaglia per la sua Napoli.

 

Ma arriviamo al compimento del dramma.

Al suo arrivo Takeuchi, mentre si aggira intorno al perimetro dell'edificio per capire cosa vi succeda all'interno, trova Tokura ad attenderlo, arma in pugno, per dichiararlo in arresto.

 

 

 

 

 

Takeuchi ha la reazione di una belva ferita e disperata.

Tenta di togliersi la vita con un veleno che evidentemente teneva pronto allo scopo.

Ma le manette scattano ai suoi polsi prima che riesca ad assumerlo.

 

 

 

 

 

 

E' stato condannato a morte. Attende ora il compimento del suo destino, ma gli rimane da fare un'ultima cosa.

Il suo ultimo desiderio è infatti di avere un colloquio con Gondo, che viene accompagnato nel braccio della morte.

 

 

 

 

 

 

Takeuchi gli dichiara il suo disprezzo, motivato dalla arroganza - o presunta tale - con cui il possidente esibiva la sua ricchezza, materializzata in una dimora inaccessibile, di fronte al degrado della povera gente.

In realtà è lui che si sta dimostrando arrogante ed aggressivo, incapace ed incurante di comprendere le motivazioni e le pulsioni del suo prossimo.

Ha negli occhi la luce inganenvole ed accecante del fanatismo.

 

 

Gondo al contrario è turbato, pensieroso.

Nonostante tutto ha agito come gli dettava la sua coscienza, ma sente di dovere ancora scontare i suoi errori passati.

 

 

 

 

 

 

Takeuchi ha ancora qualcosa da rivendicare.

Dichiara, urla, la sua impassibilità di fronte alla morte, che attende senza alcun timore e senza alcun rimpianto.

Parole vane.

Sarà in realtà lui stesso a smentire queste parole, cadendo vittima di una irrefrenabile crisi di nervi.

Le guardie lo riportano via a forza.

 

 

La saracinesca di sicurezza si richiude di fronte a Gondo, che rimane muto a fissarla.

 

 

 

 

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