Jidai

Akira Kurosawa: 1980 - Kagemusha - Sulla coda della tigre

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Ormai non si tornerà più indietro: per confondere le idee alle spie, il misterioso episodio della deposizione dell'orcio nel lago viene spiegato ufficialmente come una offerta alle divinità locali per placare una involontaria offesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Kagemusha inizia la sua nuova vita passando in rassegna le truppe. Ancora non si rende conto di trovarsi, per riprendere un noto modo di dire giapponese, che ispira anche il tiitolo della prima opera jidai di Kurosawa, a camminare sulla coda di una tigre.

Travolto dall'esaltazione del momento, sprona il cavallo al pieno galoppo, rispondendo col bastone di comando al saluto dei "suoi "cavalieri".

 

 

 

 

 

Kagemusha ha chiesto troppo alla fortuna: il cavallo gli prende inesorabilmente la mano e cade rovinosamente, fortunatamente quando ormai si è allontanato dall'esercito schierato e nessuno lo può vedere.

Nobukado e gli altri lo rimproverano aspramente. Ma le prove che dovrà affrontare Kagemusha saranno ancora molte, e le cadute inevitabili.

Questo sarà solo il primo di una serie di passi falsi, che riusciranno tuttavia a renderlo pienamente consapevole della gravità del suo compito e della necessità di mantenere sempre lo stesso livello di concentrazione, in ogni momento della giornata, per il resto della sua vita come ombra del guerriero.

 

Anche la prova successiva è destinata a mettere a dura prova le capacità di concentrazione e di estraniamento di Kagemusha.

Il ritorno in pompa magna al castello dei Takeda, ove sarà al centro dell'attenzione in ogni momento della giornata e dove lo attendono le truppe schierate, i dignitari e tutto l'apparato di corte, le concubine.

 

 

 

 

 

 

Kurosawa ama interrompere i momenti di tensione con parentesi umoristiche, e ama prendersi gioco delle vanità umane.

Il cavallo del messaggero che è arrivato al galoppo per annunciare l'imminente arrivo del corteo di Shingen ha lasciato irriverenti tracce del suo passaggio sul percorso ove deve passare il corteo.

Mentre già si susseguono i comandi degli ufficiali che ordinano il saluto alle truppe schierate fuori dalla porta, mentre già si ode lo scalpiccio della testa del corteo, si provvede a ripulire febbrilmente dalle tracce di letame.

Non contento dell'opera dei suoi sottoposti lo stesso capo del cerimoniale toglie di mano la scopa ad un addetto e provvede al rimuovere le ultime tracce. Appena in tempo!  L'onore è salvo.

 

Kagemusha è ora dentro al castello: signore e padrone di un luogo sconosciuto e di pesone sconosciute, che si suppone lui conosca meglio di se stesso e con cui dovrà trattare senza la minima esitazione e senza potersi permettere alcun passo falso. E' evidente il suo sgomento.

 

 

 

 

 

 

 

 

La prova successiva metterà Kagemusha a dura prova. Il nipote ed erede Takemaru, con la spontaneità del bambino, non tenendo conto dell'apparato e delle apparenze esteriori, indifferente al cerimoniale di corte sente istintivamente che quell'uomo non è il suo adorato nonno e lo grida al mondo.

 

 

 

 

 

 

 

Condizionato ad assumere costantemente atteggiamenti rigorosamente controllati, Kagemusha ha per una volta una reazione istintiva, che si dimostrerà la più appropriata: con gesto affettuoso riveste il capo del bambino col suo elmo, come fosse un giocattolo.

E confessa a Takemaru di essere effettivamente cambiato, di non essere più lo stesso Shingen che era partito da quel castello; la guerra e le vicende umane cambiano inesorabilmente gli uomini.

Ma ora è tornato a casa, e saprà anche tornare ad essere il nonno di Takemaru.

 

 

L'ennesimo momento di crisi sembra superato, tra il sollievo generale. Ma l'espressione di Katsuyori lascia comprendere che non è in grado di accettare la situazione.

Già costretto ad accettare l'ingombrante presenza del padre, che ne frenava l'irruenza e ne smorzava le ambizioni, potrà assistere passivamente alla presa di possesso di tutto quanto lui ritiene suo da parte di un impostore?

Potrà acconsentire ad essere comandato, e da un'ombra, quando è arrivato finalmente il suo momento e tocca a lui decidere del destino dei Takeda?

 

 

Nobukado, l'unico che possa comprendere il dramma di Kagemusha, avendo rivestito anche lui lo scomodo ruolo di ombra del guerriero, lo segue costantemente, e gli ricorda che anche in sua assenza sarà sempre seguito in ogni momento della sua giornata.

Celati da paratie all'interno della sua stanza, tre attendenti e due valletti, che sono al corrente della sua vera identità, lo controlleranno giorno e notte.

 

 

 

 

 

Legati da un vincolo indissolubile alla memoria di Shingen, attendenti e valletti non nascondono il loro disprezzo nei confronti dell'ombra, così visibibilmente e tangibilmente inadeguata a rappresentare la grandezza del signore.

Però l'insulto ha l'effetto provvidenziale di un richiamo all'ordine.

Kagemusha si rende conto che nessun momento gli è concesso in cui poter abbassare la guardia. Istantaneamente riprende ad essere Shingen.

Gli astanti si rendono conto a loro volta della grandezza del momento: davanti a loro non è più in quell'istante Kagemusha, ma Shingen. D'istinto riprendono la posizione formale dovuta davanti al signore, Anche loro debbono incarnarsi nella loro parte, solo così renderanno possibile il compito dell'ombra.

Ovviamente le concubine conoscono Shingen meglio di chiunque altro, e nessuno potrebbe ingannare l'indomabile cavallo da battaglia di Shingen, che solo da lui si lasciava cavalcare. Viene quindi per precauzione prescritto che il signore, in conseguenza delle recenti ferite di guerra, si astenga dal cavalcare e non onori della sua presenza il letto delle concubine. Ingannarle sarà comunque arduo, e anche qui Kagemusha vacilla e sembra sul punto di cadere. Ma resisterà.

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