Jidai
Akira Kurosawa: 1980 - Kagemusha
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Akira Kurosawa: Kagemusha (L'ombra del guerriero)
1980
Tatsuya Nakadai, Tsutomu Yamazaki, Kenichi Hagiwara, Daisuke Ryu, Masayuki Yui, Kota Yui, Takashi Shimura
Nel preambolo dell'opera appaiono 3 uomini, identici nell'aspetto e nei vestiti, di cui uno in posizione preminente accanto alla sua spada, evidentemente il signore del luogo. Uno al suo fianco e l'ultimo, in atteggiamento scontroso e dimesso, ai suoi piedi. Sono il grande generale Takeda Shingen (1521-1573 circa) conosciuto come la tigre del Kai - il suo feudo - suo fratello Nobukado che spesso confonde amici e nemici assumendo le vesti e l'identità di Shingen, ed un ladro di cui non conosceremo mai il nome, strappato da Nobukado all'esecuzione per la straordinaria somiglianza col fratello, che solo lui ha notato: sarà un nuovo e perfetto kagemusha, ombra del guerriero. Si sostituirà al signore ogni volta che verrà ritenuto opportuno, dopo aver ricevuto un lungo e meticoloso addestramento che lo prepari ad ogni evenienza.
Solo al termine di questa sequenza, che ci fornisce la chiave di lettura di una vicenda complessa che occuperà la nostra visione e le nostre menti per diverse ore, appaiono i titoli di testa: Kagemusha (L'ombra del guerriero).
Per kagemusha si intende ovviamente quello che in occidente viene comunemente definito un sosia. Un ricordo da una rappresentazione scenica anche questo: nella commedia Anfitrione di Plauto, scritta nel secondo secolo a.C., Sosia è il servo di Anfitrione, generale tebano che parte per la guerra lasciando sola la sposa Alcmena. La commedia, che ha anche risvolti politici (nei discorsi di Anfitrione molti leggono una parodia della campagna di guerra di Marco Fulvio Nobiliore contro l'Etolia), è uno dei prototipi di quella che venne poi definita "commedia degli equivoci".
Il dio Zeus, invaghitosi di Alcmena, assume le sembianze di Anfitrione per sedurla, accompagnato da Mercurio che ha assunto quelle di Sosia, si reca a Tebe e ottiene sotto mentite spoglie i favori di Alcmena. Senonché il vero Anfitrione (a sua volta nome assunto - comprensibilmente - a simbolo di ospite molto "generoso") torna accompagnato dal vero Sosia, e la presenza contemporanea delle due coppie, che si incrociano senza mai incontrarsi, genera una serie di divertenti equivoci. Inequivocabile comunque la conclusione dell'affare: dall'unione di Zeus con Alcmena nacque l'eroe Eracle.
Ma, pregando di scusarci la digressione, abbandoniamo i due Sosia e torniamo al nostro sosia: il kagemusha. Trattato dai due nobili come un oggetto da utilizzare a loro piacimento, l'uomo si ribella e rinfaccia a Takeda la sua crudeltà: Takeda non si scompone, rivendica anzi orgogliosamente il suo operato e lo giustifica con la necessità di affidare le sorti del Giappone ad un uomo forte, che sappia schiacciare ogni nemico versando sì del sangue, ma sangue necessario, che consenta di porre finalmente termine alla guerra civile che funesta da troppo tempo il Giappone. E l'orgoglio del ladro, la sua brutale franchezza, non lo indispongono: chi ha il coraggio di dire la verità ad ogni costo, rappresenta una risorsa da non disperdere. L'uomo diverrà il suo kagemusha.
E finalmente entriamo nel vivo dell'azione, con l'arrivo di uno dei tanti messaggeri ricorrenti in ogni opera di Kurosawa che tratti di eventi bellici dell'era feudale. Ma anche stavolta, il maestro sorprende ogni volta, con qualcosa di diverso: non arriva a cavallo a briglia sciolta, non si abbatte esausto appena arrivato a destinazione, ma appare come una figura surreale attraversando di corsa come se fosse impalpabile fitte schiere di armati che sembravano impenetrabili.
Kurosawa accenna un tema che tornerà prepotentemente più avanti e verrà sviluppato ancora in Ran: l'orrore della guerra. Qui è rappresentato da cumuli di cadaveri in mezzo ai quali si aggirano indifferenti i guerrieri vincitori, e che calpesta indifferente il messaggero. Ma l'occhio dello spettatore è attratto soprattutto dalla sua furiosa corsa, al macabro sfondo è facile non far nemmeno caso.
Samurai e ashigaru (guerrieri di rango minore che formano il nerbo della fanteria) portano sui sashimono, stendardi individuali, il simbolo dei Takeda, lo yotsume (quattro occhi). Per quanto si tratti piuttosto di quattro quadrati o rombi, che nel nostro immaginario non richiamano facilmente la rotondità della pupilla umana.
Le truppe sono chiaramente impegnate in un assedio, e si stanno riposando ai piedi della fortezza assediata, dopo un cruento scontro.