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Akira Kurosawa: 1957 - I bassifondi - Il coro
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Come ben sanno tutti coloro che hanno seguito il filone "sociale" delle opere di Kurosawa, spesso mancano protagonisti assoluti sulla scena ed in compenso sono numerosi i componenti del coro.
Talmente numerosi a volta che ogni tentativo di elencarli risulta vano, riuscirebbe solo a causare un gran mal di testa al lettore. Talmente variegati nelle loro piccole - grandi vicissitudini che talora è difficile renderne conto anche quando sono relativamente pochi.
E' questo il caso degli abitanti dei bassifondi evocati da Gorkij e poi portati sullo schermo da Kurosawa.
I padroni della stamberga sono due coniugi di cui è difficile dire qualcosa di buono. Sono attaccati solamente al denaro, in cambio del quale però sono fermamente decisi a dare il meno possibile, senza in alcun modo dare il minimo cenno di umanità e di comprensione per i loro miserabili affittanti.
Questi ultimi compongono un campionario di varia umanità in cui è veramente arduo trovare un personaggio completamente positivo, mentre anche in quelli maggiormente negativi, ad eccezione della coppia di sfruttatori, Kurosawa lascia intravedere se non i sintomi perlomeno il desiderio del riscatto, forse tanto più apprezzabile quanto più irrealistico.
L'approccio più ragionevole non è quello di attenersi alla trama, talmente si aggrovigliano le varie vicende personali, ma di fare un breve resoconto del campionario di piccola umanità che popola la stamberga e l'opera, e un riassunto anchesso succinto della trama.
Il resto ognuno dovrà trovarlo dall'esame diretto dell'opera, che rende alla perfezione sia l'universalità del messaggio di Gorkij, che permette senza difficoltà di trasporre la storia in altro ambiente ed altra cultura, e la specificità di ogni humus culturale e sociale, anzi alla resa dei conti di ogni singolo individuo che compone l'umanità.
Kurosawa disse:
Una buona struttura per una sceneggiatura è quella di una sinfonia, con i suoi tre o quattro movimenti e i suoi tempi contrastati. Oppure, si può usare il dramma noh, con le sue tre parti: jo (introduzione), ha (distruzione) e kyu (catastrofe). Se vi dedicate al noh e ne tirate fuori l'essenza, tutto questo emergerà con naturalezza nei vostri film. II noh è una forma d'arte autentica, unica al mondo. Secondo me il kabuki, che lo imita, è un fiore sterile. Ma in una sceneggiatura credo che la struttura sinfonica sia la più facile da capire, per la gente d'oggi.
Rimane un margine di dubbio: in questo film, che rinuncia agli accorgimenti tecnici e alle innovazioni sparsi a piene mani in quelli precedenti per ricorrere ad una sola tecnica, quella del piano sequenza ossia della macchina da presa fissa che si limita a riprendere quanto accade in un unico ambiente, come avviene in una rappresentazione teatrale, a quale struttura ha inteso fare ricorso Kurosawa?
Ci sembra di poter dire che sia più quella del teatro noh che quella dell'opera sinfonica.
Non possiamo andare oltre senza fare menzione dell'uso intenso che Kurosawa volle fare di ogni singolo attore, rinunciando ad avere un protagonista assoluto.
Ognuno dei dodici attori impegnati nell'opera - oltre a una manciata di comprimari e non contando Mifune - è chiamato a dare il meglio di sé, rimanendo sia pure per uno spazio di tempo limitato, protagonista unico ed assoluto.