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Akira Kurosawa: 1951 - L'idiota - Seconda parte

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Non concordiamo con la sovraimpressione che sposta più avanti l'inizio della seconda parte. Ammettendo che quello fosse il punto in cui Kurosawa intendeva concludere la prima, lo squilbrio dell'opera dovuta ai pesanti tagli della produzione suggerisce di farla iniziare qui, quando appare sullo schermo la scritta Nigatsu (Febbraio), in quanto conclude una fase della vicenda e se ne aprirà poi una nuova di segno differente

Va detto però che la storia di Kameda e delle persone che gravitano intorno a lui conosce una cesura temporale legata ad un lungo viaggio del protagonista a Tokyo che lo allontana dalla vicenda, e questo giustificherebbe l'identificazione della seconda parte nel punto indicato dalle scritte. Ma i tagli hanno fatto sì che non risulti affatto significativo nello svolgimento delle vicende.

Come già detto il film fu un fallimento e probabilmente fu decisiva nel giudizio negativo questa seconda parte che è estremamente dura, e non facile.

Pur concedendo quanto appena detto, dobbiamo quindi pensare che la rappresentazione della tragedia umana abbia così pochi estimatori, ed ogni tentativo di Kurosawa sia stato destinato a fallire miseramente fin dall'inizio? Sarebbe probabilmente un errore di valutazione: Rashomon, Il trono di sangue, ed anche le grandi opere tarde Kagemusha e Ran: cosa rappresentano se non immani tragedie causate dai sentimenti umani? Eppure riscossero successo su scala mondiale e vengono ancora oggi incessantemente proiettate ed ammirate, ogni giorno.

Sembrerebbe che l'essere umano sia capace di accettare la rappresentazione dei propri vizi solo quando viene ambientata in una epoca lontana, attribuendo ambizione, falsità e ogni altra qualità negativa ad esseri quasi mitologici con i quali non è possibile identificarsi, e si rifiuti invece non solo di approvare l'opera ma perfino di prenderne visione quando l'ambiente e le situazioni sono troppo vicine a lui e corre il sospetto che quei vizi e quelle miserie possano albergare anche dentro chi guarda.

Questa parte del film non si presta ad essere raccontata e nemmeno riassunta, va semplicemente vista. E' un grande affresco sul problema della incomunicabilità umana, un tema che ha attirato le attenzioni di altri grandi artisti e che Kurosawa affronta senza concessioni alla retorica e con minime concessioni allo spettacolo.

Cercheremo di ridurre al minimo la nostra esposizione, al solo scopo di consentire di conoscere l'opera per sommi capi anche a chi non l'ha visto e forse non ha modo di vederla: in italiano esiste una versione del 2006 pubblicata da Minerva Video in cofanetto assieme a Scandalo, ma è difficile reperirla. Ogni tentativo di far conoscere o addirittura comprendere qualcosa di più con la nostra povera prosa sarebbe presuntuoso.

La prima sequenza mostra la famiglia Ono che discute dei difficili rapporti con Kameda, criticato pesantemente dalla signora Satoko che si chiede - anche lei - se non sia veramente idiota.

Ayako, offesa, rivela che ha ricevuto da lui una lettera e inizia a leggerla, ma l'ingenua prosa di Kameda suscita solo ilarità. Non però in Ayako: quella che per altri sembra bizzarria è per lei semplicemente onestà e trasparenza.

 

 

Taeko infine non ha scelto Kameda né Akama, ed entrambi la cercano ancora. Si incontrano un giorno: Akama conduce l'amico e rivale per un interminabile ed inquietante percorso all'interno di un grande edificio semidiroccato ed invaso da ghiaccio e neve. Vive là, in un singolare miscuglio di lusso e trascuratezza.

Dopo un lungo silenzio i due finalmente si parlano: Kadema chiede all'altro se ha ancora intenzione di sposare Taeko. Sente che sarebbe la rovina per entrambi, e non lo dice per il proprio interesse: l'ha sempre detto.

Akama lo trattiene quando fa per andarsene. Sente che appena sarà andato via ricomincerà a detestarlo. Eppure gli è legato come prima, per quanto siano diversi ed anzi agli opposti.

 

 

 

 

Il loro amore per Taeko è differente: Kameda la ama perché la vede sofferente, lui la ama semplicemente, ma la odia allo stesso tempo. E il fato vuole che Taeko, innamorata di Kameda, non possa accettare l'idea di stargli vicino portandolo alla rovina. Preferisce rovinare assieme ad Akama.

Kameda è turbato, e senza rendersene conto rigira per le mani un coltello poggiato sul tavolo: Akama ne è turbato a sua volta. E' un presagio infausto, ma Kameda continua ad essere sinistramente attratto dalla lama. Tenta ancora di prendere congedo, quando sulla soglia si ode un campanello: è la madre di Akama che prega per gli antenati.

Crede Kameda nella religione? Non particolarmente, ma ha un suo o-mamori (portafortuna che si porta appeso al collo dentro un sacchetto, abitudine che hanno molti giapponesi). E' una pietra raccolta convulsamente da terra quando gli venne risparmiata la condanna a morte. I due si scambiano i rispettivi portafortuna e Akama propone di prendere un te assieme a sua madre.

La donna è affetta da una forma benigna di follia: è rinchiusa in un suo mondo impermeabile dall'esterno, e tuttavia sorride incessantemente. I suoi gesti sono esatti e meticolosi, nonostamte la sua mente sia assente. I due escono infine rinfrancati da quel momento sereno ma le loro inquietudini riprendono subito il sopravvento. Akama non accetta la mano tesa di Kameda, scusandosi col dire che non ce n'è bisogno dopo lo scambio di portafortuna. E' nervoso per quello che sta per dire e lo dice quasi con violenza: Taeko appartiene a Kameda, lui deve farsi da parte. Serbino solamente il suo ricordo.

Da quel momento in molte scene si acolta il suono di campanelli - sonagliere dei cavalli od altro - che ricordano con i loro incessanti rintocchi quelli dell'altare degli antenati in casa Akama. Risuonano in continuazione nelle orecchie di Kameda, turbandone il già fragile equilibrio e portandolo ad aggirarsi inquieto e solitario per la città affollata, brulicante di  persone chiuse come lui nei propri problemi.

Si sente spiato e guarda tutti come potenziali nemici, ogni incontro casuale gli fa temere un agguato. Viene affascinato, e allo stesso tempo terrorizzato, dai coltelli da cucina visti in una vetrina. Fugge, senza sapere da cosa, senza sapere dove. Alla fine di una corsa disperata e all'impazzata, si ritrova davanti ad Akama, armato di quel coltello da cui tutto è partito, che gli si avventa contro.

L'urlo inarestabie di bestia ferita che esce dalla gola di Kameda annienta la volontà di Akama prima che riesca a vibrare il colpo: dapprima esita, poi arretra, infine fugge all'impazzata.

E' a questo punto che compare a schermo la scritta FINE DELLA PRIMA PARTE. Ma non sembra coerente con la trama e siamo già a due terzi del film. La scritta successiva è PARTE DUE: AMORE E REPULSIONE.

 

 

 

Veniamo a sapere nella scena seguente che Kameda, appena uscito dall'ospedale, è ospite dei Kayama. E' infatti in pigiama e ha appena mandato Karube, il buffo accompagnatore di Akama, a chiedere alla famiglia Ono un anticipo sulle rendite della fattoria per pagare le cure.

Questo ha scatenato l'ira della signora Ono che è venuta per protestare.

In realtà, ma ne parlerà solo a tu per tu con Kameda, vuole conoscere le sue intenzioni nei riguardi di Ayako. Probabilmente nemmeno lui le conosce realmente, il suo imbarazzo è evidente.

Kurosawa rende evidente allo spettatore che la donna fingendo di essere contrariata sta in realtà astutamente incoraggiando Kameda tantevvero che lo rassicura: se Ayako gli ha vietato di visitarla sicuramente vuole invece vederlo...

 

 

 

Siamo nel pieno del Carnevale, e i protagonisti si incontrano ad una sfilata in costume sulla pista di pattinaggio. Costumi fantasmagorici ed inquietanti appaiono e scompaiono alla luce delle fiaccole, accompagnati dalla musica della Notte sul monte Calvo. Kurosawa ricorrerà spesso ad accompagnamenti musicali di origine russa, più avanti sentiremo Ayako accennare al pianoforte I quadri di una esposizione. Anche la costante presenza della neve, ricercata da Kurosawa fin in Hokkaido contribuisce a ricostruire l'atmosfera immaginata da Dostoevskij, e le frequenti scene notturne ne accentuano la cupezza.

Ayako si lascia accompagnare da Kayama, Kameda pur contrariato non riesce a dire nulla. Chi parla è invece una dama mascherata (Taeko) che con poche battute getta lo scompiglio nel gruppo. Tutti incontrano tutti, ma nessuno si muove dalle sue posizioni. Tuttavia Ayako, che chiaramente voleva solo ingelosire Kameda, gli chiede un appuntamento per il giorno dopo nello stesso posto.

Kameda vi arriva stanco, ha dormito poco e nulla durante la notte: Kayama ha tentato il suicidio, o forse l'ha solamente inscenato. I discorsi di Ayako sono incoerenti: inizia dichiarando grande stima per le qualità di Kameda, ma subito dopo di detestarlo e di amare il povero Kayama.

Invano  Kameda le fa notare le sue incongruenze, è lei piuttosto a chiedere a lui di dire la verità: ama ancora Taeko? Per la verità Kameda non lo ha mai negato. Quello che non sa fare è spiegarne le ragioni, e anche se potesse dubita che Ayako potrebbe capirle. I suoi sentimenti sono quelli di chi vede una persona chiusa in gabbia e maltrattata e vorrebbe accettare su di se quella sofferenza per liberarla, pur cosciente che è un gesto non apprezzabile da una persona ormai turbata.

Ayako rivela di avere ricevuto da Taeko alcune lettere in cui le consigliava di sposarsi con Kameda: le ritene una offensiva intromissione, che ha lo scopo di dividerli e non unirli.

 

Autorizzato dalla madre a frequentare Ayako in vista di un matrimonio, Kameda si renderà conto ben presto che la ragazza gli darà filo da torcere. Esige la sua presenza per poi rinfacciargli che è troppo invadente, dichiara di detestarlo per poi immediatamente proporgli di fuggire assieme, e così via.

Kurosawa commenta a suo modo chiedendo all'autore delle musiche (Fumyo Hayasaku, che scomparve pochi anni dopo durante le riprese di Vivere nella paura) di accompagnare queste scene, su cui si compiace di indugiare, con un beffardo sottofondo musicale.

 

 

 

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