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2019-20: Io e il Giappone: Visita al MUDEC di Milano
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Io e il Giappone: Visita al MUDEC di Milano
di Michelangelo Stillante
Per chi si trovasse a passare da Milano, alle spalle di Porta Genova in Via Tortona e più precisamente al numero 56, si può trovare la sede del MUDEC - museo della cultura.
Sia che ci si trovi a passare davanti al MUDEC per caso, sia che ci si voglia andare appositamente come ha fatto il sottoscritto, fino al 2 Febbraio 2020 può visitare non una ma ben due mostre sul Giappone.
L'influenza nipponica (e cinese) nelle arti decorative franco-italiche e un resoconto dei rapporti tra Giappone e Italia a partire dalle prime ambascerie fino al 1890.
“QUANDO IL GIAPPONE SCOPRÌ L’ITALIA. Storie di incontri (1585 – 1890)“
Articolata su due sezioni e diversi ambienti per ognuna, la mostra si propone di far conoscere al visitatore i vari passi fatti delle prime ambascerie nipponiche in Italia e l’interesse artistico (e ciò che ne risultò) suscitato dal misterioso e lontano paese nell’immaginario altolocato italico della seconda metà del XIX° secolo.
La prima sezione prende il via e spunto dalla prima ambasceria nipponica che si verificò tra il 1582 e il 1590, via Macao e Indie orientali, toccando diverse tappe prima di arrivare in Italia e che non fu riservata esclusivamente a quest’ultima ma anche Portogallo e Spagna.
L’Ambasciata Tensho, così chiamata perché avvenuta nell’era Tensho, fu pensata, voluta e organizzata dal gesuita Alessandro Valignano.
Venne sostenuta da alcuni daimyo convertiti al cristianesimo, partecipata da alcuni notabili convertiti al cristianesimo, Chijiwa Seizaemon “Michele, Jingoro Nakaura “Giuliano”, Hara “Martino”, l’interprete Diego de Mesquita, “comandata” e guidata dal giapponese Itō Sukemasu che fu in precedenza battezzato Mancio quando divenne gesuita.
Lungo il percorso della mostra si può ammirare un ritratto di Ito Mancio attribuito a Domenico Tintoretto e datato 1585
Pochi sanno però che fu il gesuita Francesco Saverio il primo ad inviare in Italia un giapponese, Bernardo di Kagoshima nel 1553 e che incontro Ignazio Di Loyola (fondatore della Compagnia di Gesù) a Roma nel 1555.
In questa foto di uno dei dipinti esposti vediamo il Papa Gregorio XIII mentre incontra la delegazione nipponica
Naturalmente all’Italia fu riservata la parte più corposa della visita.
I componenti della delegazione si trattennero nel nostro paese per ben sei mesi, visitando numerose località situate al nord e al centro della penisola.
La seconda ambasceria avvenne tra il 1613 e il 1620, questa volta seguendo la rotta pacifica, passando per il Messico, invece delle Indie Orientali.
Capo della spedizione fu Tsunenaga Hasekura Rokuemon, un samurai al servizio di Date Masamune, e che divenne il primo ambasciatore in America, e con lui prese parte alla spedizione anche Luis Sotelo, frate francescano che come molti faceva opera di proselitismo cristiano in Giappone.
Scopo della missione era aprire nuove rotte commerciali con la Spagna.
Attribuito a Archita Ricci (1560-1635), Ritratto di Hasekura Tsunenaga, 1615 ca. olio su tela.
Proprietà privata della famiglia Cavazza Isolani, Bologna.
NB: La seconda ambasceria è stata menzionata e per sommi capi riassunta allorquando si scrisse la recensione del libro Il samurai di Shusaku Endo.
Nella recensione viene anche pubblicato il medesimo ritratto, ma facente parte della collezione Borghese di Roma.
Viene però attribuito a Claude Deruet (1588–1660), pittore francese discepolo di Antonio Tempesta, che l'avrebbe dipinto dal vivo durante l'ambasceria.
I buoni propositi commerciali della seconda ambasceria però si scontrarono - e ne perirono, almeno temporaneamente - con i risvolti politici che intanto si susseguivano in Giappone, allorquando si decise di chiudere il paese agli stranieri (lasciando aperto solo il porto di Nagasaki) e feroci persecuzioni si abbatterono sui cristiani.
Tanti sono gli elementi che attraggono l’attenzionedel visitatore della mostra, vuoi per curiosità vuoi per interesse storico o per la bellezza emanata.
Ad esempio, dato il periodo storico e il luogo in cui alcuni avvenimenti accaddero, si possono vedere libri che ritraggono le torture a cui furono sottoposti i cristiani e i giapponesi sospettati di aver aderito al cristianesimo.
Lacche, cappelli da samurai (jingasa), ceramiche, armature da guerra, spade, oggettistica varia, dipinti, una copertura da battaglia per cavalli, maschere, kimono e statuette fanno presenza durante il percorso.
Tantissimi oggetti namban (barbari del sud, ossia di gusto europeo) provenienti dal Giappone ma anche dalla Cina, con particolari che non possono far altro che attirare la nostra attenzione.
Accanto, una portantina in legno, laccata in nero e decorata con particolari in oro.
Scatola per Calligrafia
Borsellino (inro) a cinque scomparti, talvolta utilizzato come portamedicine.
Legno intarsiato e dorato, madreperla.
Potete trovare qui alcune informazioni supplementari sugli inro.
Particolare di elmo jingasa del periodo Edo (1603-1868).
In realtà piuttosto che un elmo è un largo copricapo in legno laccato, riservato alla classe samurai, indossato prevalentemente con gli abiti civili.
Buddha, Confucio e Lao Tze riuniti a testimoniare le fondamenta religiose del Giappone
Fuori dalle sale e interposta tra le due esposizioni anche una serie di Kimono.
Sono stat creati da Hanae Mori per l’opera teatrale Madama Butterfly.
Hanae Mori (1926) è una celebre stilista giapponese, che ha curato nel corso della sua lunga carriera le uniformi della compagnia aerea di bandiera (JAL), delle delegazioni giapponesi ad importanti eventi, l'abito nuziale della principessa Masako in occasione delle sue nozze con l'attuale imperatore del Giappone, Naruhito.
Erano esposti anche disegni di studio dei vari personaggi, risalenti a varie rappresentazioni del passato, e bozzetti delle relative acconciature.
Impressioni d'Oriente: Arte e collezionismo tra Europa e Giappone
La seconda esposizione ha una impronta decisamente più pittorica, con numerosissimi esempi anche di notevole spessore (Lautrec, De Nittis, Gauguin, Monet)
Ma anche diversi autori di stampe giapponesi qui presenti, quali Utamaro, Hiroshige, Hokusai.
Furono raccolti a partire dal 1853 quando lo shogun era l’ultimo della famiglia Tokugawa, Yoshinobu e gli Stati Uniti imponsero al Giappone, con la spedizione Perry, la riapertura del paese al mondo e agli scambi commerciali.
In seguito, nel 1868, divenne imperatore il giovanissimo Meiji (Mutsuhito) che diede il suo nome a quella lunga era, che vide il tramonto del Giappone tradizionale, la nascita di quello moderno e l'inizio di una fitta rete di scambi commerciali ma anche culturali.
La mostra espone diversi “cimeli” raccolti da Giovanni Battista Lucini Passalacqua a partire dal 1871 quando sbarca a Yokohama.
L’esposizione fa riferimento anche a come si arrivò a imbastire la figura dell'oriente misterioso e fantastico intorno alle storie di Cina e Giappone, creando in seguito la corrente artistica che fu definita Giapponismo, fortemente influenzata, se non addirittura ispirata, dalla scoperta di questo nuovo e inaspettato mondo.
Accanto vediamo un dipinto che raffigura Marco Polo al cospetto di Gengis Khan.
E' opera di Tranquillo Cremona (1837-1878).
Passando ai capolavori della stampa ukiyo-e giapponese:
Hiroshige non rappresentò solo il Monte Fuji come vediamo in queste esposte ma anche in molte altre sue pubblicazioni.
E il Monte Fuji, onnipresente in tutte la manifestazioni in quanto simbolo del Paese del Sol Levante, fa sfoggia di se anche nelle raccolte su libro.
Come sa infatti chi segue la materia i libri di stampe giapponese hanno una particolare rilegatura ripiegata "a fisarmonica" che permette di ammirare le opere anche quando pubblicate in volume, ebbero quindi vasta popolarità e grande diffusione.
Qui il Fuji san in una rappresentazione di Katsushika Hokusai.
Fa parte della serie “Cento Vedute del Monte Fuji”.
Quello che forse non tutti sanno (direi anzi pochissimi se non del settore) è che De Nittis riprodusse, sulla falsa riga delle rappresentazioni del Fuji san di Hiroshige e Hokusai, una serie di 12 rappresentazioni del Vesuvio, qui interamente offerta agli occhi del pubblico.
Il Giapponismo termine, sotto il quale si possono collocare tutte le attività artistiche che guardando a oriente ne furono influenzate - soprattutto quelle francesi e italiane d’ispirazione francofona - fruttò naturalmente dipinti e opere d’arte ispirate a usi e costumi nipponici.
La collezione italiana di Passalacqua qui proposta è solo una piccola parte delle opere importate durante la massima presenza italiana (1869-1874).
Insomma a conti fatti, dopo circa due ore di girovagare per le sale del MUDEC posso affermare che per quanto mi riguarda, il prezzo del biglietto viene ripagato dalla quantità di opere proposte.
E sicuramente va anche considerato che una delle due esposizioni (la prima) è gratuita.