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2018: La “via” del bonsai

01 BonsaiUna mostra-laboratorio ospitata dal Museo delle Civiltà a Roma sull’arte degli alberi in vaso: un vero e proprio do, un aspetto della cultura orientale improntato al rapporto con la natura e all’estetica zen.

La bellezza del bonsai è qualità pura, ma bisogna desiderarla, cercarla e infine scoprirla…Questa frase ha concluso l’intervento introduttivo di Bruno Proietti Tocca, componente del Collegio nazionale istruttori di bonsai (IBS), fondatore della scuola Shizen e presidente dell’Associazione Bonsai Tevere, alla due giorni (sabato 17 e domenica 18 novembre u.s.) tutta dedicata all’arte del bonsai con lezioni, dimostrazioni ed applicazioni pratiche ed ospitata a Roma nella bella sede del Museo delle Civiltà (EUR).

 

02 ProiettiNella sua concisa esposizione, presente tra gli altri la dottoressa Loretta Paderni, funzionario Mibac e responsabile della Sezione Asia del MUCIV - Museo preistorico.etnografico Luigi Pigorini, il relatore ha messo in rilievo come il bonsai si sia sviluppato partendo dall’osservazione della natura e dell’ambiente paesaggistico quale fonte d’ispirazione e quale finalità didattica ed estetica (intesa quest’ultima come dottrina della conoscenza sensibile, del bello, del naturale). Connaturate al bonsai sono le “emozioni”, alla base di ogni sistema estetico e nel nostro caso veri e propri stimoli produttivi: intuizione, libertà inventiva, ideazione si fondono ed in un incredibile dinamismo - nel quale è insita l’idea stessa del “bello”, che simboleggia il premio finale, qualcosa che si conquista dopo una lunga ricerca - si correlano parte razionale, immaginazione, attività creativa.

03 MyrthusEcco il concetto di do, inteso come “via”, “cammino” ben noto a tutti i praticanti di arti marziali che sottende un percorso di ricerca che, attraverso la perfezione nell’esecuzione di gesti fisici e rituali, attraverso la tranquillità mentale, l’obbedienza, il rispetto e la relazione maestro-allievo, l’apprendimento attraverso la ripetizione, la meditazione, aiuti a raggiungere una sorta di perfezionamento spirituale.

Mushin, lo stato di non pensiero o, meglio, lo stato in cui azione e pensiero diventano un tutt’uno indivisibile, impronta di se non solo il bushido ma tutte le arti tradizionali giapponesi. Ed il bonsai tra queste, alla stessa stregua del kado, o ikebana , arte di disporre i fiori e dello shodo, l’arte della calligrafia.

 

 

04Sono l’intuizione-illuminazione (satori), il gusto (shuni), il cuore (kokoro) a caratterizzare una dimensione che per il suo essere “piccola” è immediatamente più familiare, facilmente fruibile e di immediata lettura. Il piccolo – ha sottolineato l’esperto -, si presenta sì come miniatura del grande, ma con l’impreziosimento e l’ esaltazione dei particolari, in un processo artistico in cui l’uomo ritrova il suo individualismo estetico, il piacere della manualità, un controllo sulla natura… in un mondo moderno caratterizzato, per non dire ossessionato, dalle leggi dei mercati e dal consumo impulsivo, il bonsai regala un attimo di riflessione che porta a conoscere meglio noi stessi ed il mondo che ci circonda.

Nacque infatti come pratica per la ricerca dell’armonia tra l’uomo e la natura. Per alcuni filosofi l’albero rappresenta la vita dell’uomo, l’attorcigliarsi del tronco dei rami rappresenta i problemi ed il dolore, le foglie ed i fiori a loro volta la sconfitta della morte.

La storia del bonsai inizia in Cina con una prima documentazione rinvenuta nel 1972 presso Xian, nella tomba del principe Zhang Huai della dinastia Tang (618-907 d. C.) i cui dipinti murali ritraggono schiavi che portano piante in tutto somiglianti ad un bonsai.

 

 

 

 

 

05Entra solo dopo nella cultura giapponese, durante il periodo Kamakura (1185-1333 d.C.), grazie al buddhismo zen, caratterizzandosi come arte di pensiero, meditazione ed evoluzione: dai monasteri prese ad affermarsi nelle case dell’aristocrazia giapponese come simbolo di prestigio e di onore, tanto che è giunta ai nostri giorni l’opera teatrale ambientata nel XIII secolo Hachi no ki (“ La storia degli alberi nei vasi”).

Nel periodo Edo (1614-1868 d.C.) caratterizzato da un maggior sviluppo della ceramica e dell’importazione di manufatti cinesi, il bonsai conobbe una diffusione molto rapida.

 

 

 

09Quando una legge (sankin kôtai, inserita da Tokugawa Iemitsu nel codice dei samurai - Buke shohatto - del 1635) obbligò poi i signori feudali a trasferire le loro residenze a Tokyo periodicamente per raggiungere la corte dello shogun , iniziarono ad essere portati in dono i primi bonsai di specie rare.

La tecnica si caratterizzò per la “rimozione” di parti anche importanti della pianta per indirizzarne la crescita verso simbolismo e stili desiderati. Un filosofia che può considerarsi essenziale, minimalista, intimista e ben rappresentata dai giardini giapponesi del famoso tempio di Roan-ji.

Il successivo isolamento del Giappone dal resto del mondo comportò, tra le altre conseguenze, anche un temporaneo ristagno della cultura bonsai, che riprese interesse dopo la rivoluzione del periodo Meji (1868-1912) favorendo la codificazione dello stile e lo svolgimento della Prima esibizione internazionale Kokufo-Ten a Tokyo, nel 1929, evento ripropostosi ogni anno sino ad oggi. In Europa

i primi conosciuti bonsai vennero importati dall' inglese Robert Fortune, rappresentante della Società di ortocultura reale di Londra, con cui si diede origine alle prime mostre a Londra , Vienna, Parigi la cui esposizione universale del 1900 favorì l’ulteriore conoscenza dell’arte del bonsai.

In occasione dell’ Expo di Osaka (1970) fu allestita una mostra di carattere eccezionale che, con il suo successo, favorì la penetrazione del bonsai nell’ America del nord, nei paesi anglosassoni ed a seguire in tutto il mondo.

08Sin qui l’excursus espositivo di Bruno Proietti Tocca, creatore di alcuni esemplari di bonsai, catturanti opere d’arte, sistemate per l’evento nel salone espositivo della mostra Geisha, l’arte, la persona (di cui abbiamo parlato nel numero di Samurai di ottobre 2018).

In una sorta di “dialogo” con i kimono, i ventagli, le fotografie, i libri, gli strumenti musicali, altri oggetti di uso comune o professionale da parte delle geisha: “un accostamento voluto – ha detto la stessa dottoressa Paderni – e felice, per la sottile affinità tra i diversi materiali ed opere esposte, essendo quella del rapporto con la natura una costante della cultura giapponese.”

 


L'articolo è apparso nella rivista Samurai, gennaio 2019, pp. 68-69.

 

 

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