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Il cinema giapponese: il genere jidai - In tema di stilemi
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Tra gli stilemi ricorrenti nelle opere chambara e jidai oltre quelli già ricordati dobbiamo menzionare le sfilate dei rivoltosi o dei miliziani tra gli osanna della folla, la prova di ammissione nella milizia (o, altrove, nel feudo o nel dojo) mediante un combattimento, quasi sempre affrontato orgogliosamente non con gli shinai di bambu ma con i bokken di legno o addirittura con armi vere e proprie, spade o lance; o ancora il precipitare sempre più in fondo del ronin caduto in disgrazia e costretto dopo avere abbandonato il suo signore, fino all'immancabile tragica fine, o al contrario la indomabile dignità del ronin che ha saputo mantenere i suoi principi e la sua disciplina. Ricorre anche il tema del combattente invincibile in quanto impassibile, che non lascia alcun riferimento all'avversario.
Ame Agaru: Il maestro Tsuji Gettan (Tatsuya Nakadai) affronta il giovane Ihei Isawa (Akira Terao) che ha chiesto di essere ammesso al suo dojo. Isawa, nel suo peregrinare di dojo in dojo (musha-shugyo) è solito presentarsi chiedendo un confronto col caposcuola.
Ma invariabilmente dopo pochi preliminari si arrende dichiarandosi soggiogato dalla personalità del maestro.
E' un trucco per carpirne la benevolenza ed avere ospitalità gratuita. Ma questa volta è il grande maestro che si arrende: sconcertato dalla mancanza di aggressività del suo contendente, non trovando un modo per capirne o intuirne le intenzioni, rinuncia al combattimento e si dichiara vinto.
Tsuji Gettan Sukemochi (1648-1728), fondatore del Mugai ryu.
Passò numerosi anni in meditazione sulle montagne, dopo avere evidentemente giudicato insufficiente il percorso del pellegrinaggio marziale musha shugyo.
Si stabilì infine ad Edo ove fondò la sua scuola, ove però sembra non aver voluto allievi interni.
E' evidente che i direttori del cinema giapponese si ispirano nelle loro opere, perlomeno quelle più meditate, ad una iconografia consolidata nei secoli ma fruibile con facilità solo dal pubblico giapponese più colto.
Mibu gishi den: prova di ammissione alla Shinsengumi: un duello nel cortile d'armi, di fronte agli ufficiali che giudicano e a tutti i miliziani.
La milizia Shinsengumi nacque dalla preesistente Roshigumi, fondata dal morente regime Tokugawa nel 1863 per raccogliere sotto le sue bandiere gli irrequieti ronin che erano acccorsi in gran numero a Kyoto desiderosi di prendere parte al conflitto tra shogunato e forze imperiali, non importa da quale parte, e per questo venne chiamata Shinsengumi (nuovo gruppo scelto).
Arrivò ad avere circa 300 samurai tra le sue file, capeggiati da Kondo Isami, Serizawa Kamo e Niimi Nishiki. Divenuta famosa per la cruenta e vittoriosa battaglia notturna conosciuta come Ikedaya Jiken, in cui difese Kyoto dalle bande di shishi (leoni, ronin tradizionalisti legati alla fazione imperiale) che tentavano di incendiarla, la Shinsengumi scomparve nel giro di pochi anni soprattutto per le guerre intestine che ne avevano fatto scomparire i capi storici.
E' curioso notare che i membri della Shinsengumi fossero circa trecento. E' immediato il collegamento con altri famosi eventi della storia, come la disperata resistenza dei trecento spartani di Leonida alle Termopili nel V secolo a.C. o i "trecento giovani e forti", tragico episodio risorgimentale di una fallita rivolta nel Regno delle Due Sicilie, cantato nella Spigolatrice di Sapri da Luigi Mercantini nel 1857
Mibu gishi den: la Shinsengumi sfila nelle strade di Kyoto, acclamata dalla folla.
Al centro l'ufficiale Yoshimura, l'incompreso eroe protagonista del film, interpretato di Kiichi Nakai.
Mibu gishi den: L'uniforme della milizia è celebre in Giappone più o meno come in Italia le camice rosse dei garibaldini.
L'haori della Shinsengumi era di colore asagiiro, che può corrispondere sia al blu che al giallo pallido.
Qui vediamo la versione gialla, indossata durante un attacco notturno.
Le uniformi della Shinsengumi, indossate da due manichini esposti nella stazione di Tokyo (da Wikipedia).
A quanto sembra introdotta da Serizawa, l'uniforme consisteva in una hakama ed una giacca (haori) indossata sopra il kimono. Una corda bianca, il tasuki, teneva raccolto l'haori avvolgendosi a croce dietro la schiena.
Quando non era disponibile il tasuki il samurai si preparava al combattimento o al duello raccogliendo i vestiti con il sageuchi, la fettuccia che assicura il fodero della spada alla cintura.
Gohatto: L'ennesima sfilata della milizia Shinsengumi per le vie di Kyoto.
Questa volta i costumisti hanno scelto per gli haori un colore marrone scuro meno aderente alla realtà storica, ma ha hanno riportato sui baveri il profilo montagnoso stilizzato che realmente contrassegnava le divise della milizia.
Alla sinistra del comandante il giovane Kano (Matsuda Rihei), inquietante protagonista dell'opera.