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Hayao Miyazaki: 1997 - La principessa Mononoke - Ancora uomini, bestie e dei

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Quando rinviene Mononoke si trova ai margini della foresta.

Accanto a se vede il corpo di Ashitaka, che ha perso nel frattempo conoscenza per il sangue perduto e ha l'aria di trovarsi tra la vita e la morte.

Estrae istintivamente la spada che ancora pende dal fianco di Ashitaka.

Sta per ucciderlo.

Ma non riesce.

 

 

 

 

Intorno a lei gli shojo, gli inquietanti spiriti scimmia, osservano spalancando i loro occhi rossi.

Perché risparmiare un nemico, che sta dalla parte di coloro che distruggono la foresta?

Quella foresta che di notte loro tentano disperatamente di ripiantare, mentre gli uomini la distruggono di giorno.

Gli spiriti lupo vadano via lasciando là l'uomo. Gli shojo lo divoreranno per prendere la sua forza e combattere gli altri umani.

Infine sarannno i lupi a cacciare via a forza gli shojo, per essere poi congedati da Mononoke.

 


Gli shojo, gli spiriti scimmia,  sono presenti da secoli nella tradizione popolare giapponese ma sembra che derivino da leggende cinesi preesistenti in cui venivano chiamati sheng sheng. Vengono identificati normalmente con le scimmie della famiglia degli oranghi e sono considerati spiriti residenti sia nelle profondità marine che nelle foreste e nelle montagne, irresistibilmente attratti dall'alcol.


 

San, in questo momento è in fondo solo una ragazza alle prese con i suoi sentimenti e non più la principessa Mononoke, tranquillizza Yakkuru, che si teneva timoroso a distanza, e vi carica sopra il corpo di Ashitaka.

Mentre le lucciole illuminano il suo cammino, si addentra all'interno della foresta dove i kodama sempre più numerosi fanno ala, incuriositi, al passaggio di San e di Yakkuru, e dell'inanimato Yashitaka.

 

 

 

 

San ha portato Ashitaka a lungo, si ferma infine in una zona paludosa e si allontana a cercare del cibo, lasciando il ferito su una malferma isola semigalleggiante, con un ramo ad indicare il punto esatto.

Si sta avvicinando l'alba e una insolita agitazione corre tra gli innumerevoli kodama, che si accalcano nelle chiome degli alberi scuotendo incessantemente le loro teste e scrutando il cielo. Attendono qualcosa.

 

 

 

 

Nel cielo stellato, ben al disopra della foresta illuminata dalla luna, appare un essere fantastico: il daidarabochi.

E' destinato a tramutarsi alle prime luci dell'alba nel dio cervo, sta quindi ritornando verso la sua dimora dopo non immaginabili peregrinazioni notturne, per attendere la trasformazione.

 

 

 

 

 

 

 


Il daidarabochi (gigante), altra figura dell'immaginario giapponese,  ha dimensioni talmente colossali da sfiorare il cielo con la testa, da cui emanano filamenti luminosi, e da far scaturire laghi là dove poggia il piede a terra.

Varie leggende si intrecciano intorno allo shika kami, il dio cervo. Identificato come un kirin o anche shishi gami, ma chiamato da Miyazaki shishi shin, è il dio protettore della foresta e delle montagne, che vengono create dal daidarabochi.

Ha corpo di cervo e viso di babbuino. Sulle sue orme nascono istantaneamente fiori e piante, destinate però a perire quasi istantaneamente.

Ha il potere di dare la vita ma anche quello di dare la morte.


Il dio cervo si dirige verso Ashitaka, ancora privo di sensi al limite dell'acqua, e lo esamina con attenzione.

Lo guarirà dalla mortale ferita.

Ma non lo guarirà dalla sua maledizione.

 

 

 

 

 

 

 

Al suo risveglio Ashitaka, ancora debolissimo, si rende conto di essere però miracolosamente guarito dalle ferite riportate nel combattimento notturno. La piaga continua invece a peggiorare ed estendersi.

E' troppo debole anche per mangiare e viene nutrito da San, che mastica il cibo per poi passarglielo direttamente nella bocca, come sicuramente ha visto fare tante volte agli animali della foresta con i loro piccoli.

 

 

 

 

 

Prima che possano riprendere il cammino vengono raggiunti da un numerosissimo branco di spiriti cinghiale: provengono da un'altra foresta e sono lì per combattere a favore della foresta, rimasta senza il suo difensore dopo la morte di Nago, che intendono vendicare. 

 

 

 

 

 

 

 


L'inoshishi, cinghiale, è uno spirito molto frequente nella mitologia giapponese, come del resto in quella arcaica occidentale: sono infatti numerosi i miti greci ove ricorre la metafora del dio cinghiale folle di rabbia che devasta i boschi. La più nota è quella del cinghiale Calidone reso folle da Artemide, ucciso dall'eroe predestinato Meleagro.

Nella mitologia giapponese la già citata Enciclopedia dei mostri giapponesi menziona, nella scheda dedicata alla leggenda di Ipponashi, il dio dei cinghiali del bambu Inosasao.

Le rappresentazioni dell'inoshishi nell'arte giapponese sono numerose: qui vediamo un manico di kozuka, il coltellino di servizio che sovente accompagna la spada del samurai, inserito in un alloggiamento nella parte ura del fodero.

E' di epoca imprecisata probabilmente a cavallo tra Meiji e Showa ossia intorno al 1900. E'  firmato Mototsuna forse in onore di Goto Mototsuna, capostipite di una nota dinastia di artefici di mitokoromono, questo genere di fornimenti per lame.


 

Il capo degli spiriti cinghiale è il saggio e vecchio Okkoto nushi, anche lui perseguitato da una maledizione, che gli farà perdere presto la vista. Del resto, come ricorda Moro, che sente gli effetti nel suo corpo della velenosa pallottola esplosagli contro da Eboshi durante l'assalto alla carovana, le loro razze sono destinate a scomparire. E' inutile cercare di identificare colpe e cercare vendette, i cinghiali tornino alle loro lotte e lascino che in quella foresta lottino i lupi.

Ashitaka, per quanto debole, si è reso conto di quanto sta succedendo e avverte il bisogno di dichiarare la propria responsabilità: è lui che si è trovato costretto ad uccidere Nago, ma sta già pagando con la maledizione che ne piaga il corpo.

Okkoto nushi apprezza il coraggio del giovane, ma pur riconoscendo che anche per un umano si possa avere rispetto, non rinuncia ai suoi propositi: anche se il suo popolo è destinato alla sconfitta, non l'attenderà inerme. Ciò detto, si allontana.

E' nel frattempo ricomparso Jiko, il misterioso monaco, e apprendiamo finalmente che viaggia sotto mentite spoglie.

E' in realtà un agente segreto dell'imperatore, mostra con orgoglio ai suoi seguaci la lettera di accredito. Per incarico del Mikado si trova nella foresta, a capo di un gruppo di cacciatori ed esploratori che si cela sotto le pelli di animali selvaggi, per osservare quanto vi accade.

Ha assistito alla apparizione del daidarabochi, ed è al corrente della sua quotidiana trasformazione nel dio cervo.

 

 

 

L'esercito di Asano aveva intanto tentato per l'ennesima volta di prendere d'assalto Tatara ba.

Come sempre Eboshi combatte di persona a capo delle sue truppe raccogliticce, che però sono forti della posizione, delle armi da fuoco e di una indomabile volontà di resistenza.

E questa volta di una arma in più: la partecipazione delle donne alla battaglia, resa possibile dalla introduzione dei nuovi ishibiya.

 

 

 

 

 

Ritornato a Tatara ba, Jiko mette al corrente Eboshi delle sue vere intenzioni: ha ordine di uccidere il dio cervo e portare la sua testa, che dona l'immortalità, all'imperatore.

Eboshi ride amaramente: non aveva dubbi che gli aiuti ed i consigii datigli da Jiko avessero un secondo fine. Ma si rende conto di non avere scelta: per la sopravvivenza del suo popolo deve lottare a fianco degli inviati dell'imperatore. Del resto i loro piani coincidono: distruggere gli dei. Che sia per carpirne i segreti o per far sopravvivere gli umani, poco importa.

Dopo aver debellato la resistenza degli spiriti della foresta darà la caccia al dio cervo per ucciderlo.

 

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