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Akira Kurosawa: 1958 - La fortezza nascosta

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Akira Kurosawa: La fortezza nascosta

1958

Toshiro Mifune, Minoru Chiaki, Kamatari Fujiwara, Susumu Fujita, Takashi Shimura, Misa Uehara, Toshiko Higuchi

 

 

Considerato dalla critica un'opera minore di Kurosawa, quasi un intervallo di divertimento tra le opere maggiori, quelle più impegnate e più ambiziose che comunque vennero spesso ugualmente stroncate, questo film narra le avventure di una principessa costretta a travestirsi da popolana e vivere tra il popolo per sfuggire ai suoi nemici.

Ha tuttavia vinto l'Orso d'argento al festival di Berlino nel 1958 e attirato le attenzioni degli addetti ai lavori: la sceneggiatura, certo largamente rimaneggiata, è alla base di Guerre Stellari, la fortunatissima opera di George Lucas ripresa poi in altri episodi di una vera e propria saga.

L'ammirazione di Lucas e altri per Kurosawa fu all'origine negli anni 80 del suo intervento per salvare dal fallimento la produzione di Kagemusha, forse il più importante film di Kurosawa, certamente quello di maggiore impatto, anche visivo, sullo spettatore. Come è noto la cooperazione tra Kurosawa e i suoi "allievi" americani Lucas, Spielberg e Scorsese  continuò, e permise la realizzazione delle ultime opere del maestro.

Il generale Makabe Rokurota, lo scontroso eroe impersonato in questo film da Toshiro Mifune, diviene in guerre stellari il comandante Jan Solo, nell'interpretazione di Harrison Ford. La spigolosa principessa Yuki (Misa Uehara) diventa la principessa Leia interpretata da Carrie Fisher mentre i due buffi briganti di Kurosawa, Matashichi (Kamatari Fujiwara) e Tahei (Minoru Chiaki), sono i due robot D3-BO e C1P8. Il cattivo della situazione, Darth Vader, non ha un omologo nell'opera originale ma il suo elmo secondo le dichiarazioni di Lucas è ispirato a quello portato dal capo dei briganti dei Sette Samurai.

Le intenzioni di Kurosawa emergono ben chiare fin dai titoli di testa, prima ancora di vedere la prima immagine. Del resto egli ha sempre insistito sulla necessità di avere un impatto immediato sullo spettatore, di avvincerlo fin dall' inizio. Sono le note marziali e trascinanti della musica composta da Masaru Sato: annunciano un'avventura esaltante destinata a lasciare nello spettatore un ricordo bello e positivo.

E forse non si tratta di un obiettivo così scontato, così facile da raggiungere ed alla portata di qualiunque mestierante.

La trama: due paesani, Tahei e Matashichi, pusillanimi ed imbroglioni vogliono tuttavia far fortuna con le armi.

Arrivano però troppo tardi, a guerra finita, e vengono scambiati per sbandati dell'armata sconfitta e messi a scavare fosse comuni per le vittime della battaglia.

Si danno alla fuga appena possono, appena riacciuffati vengono messi in campo di concentramento a scavare per ritrovare il tesoro del feudo sconfitto, quello di Akizuki.

Fuggono di nuovo, ma la frontiera di Akizuki (il cui emblema è la luna) è strettamente vigilata dai guerrieri del feudo vittorioso di Yamana  e di lì non si passa. Decidono quindi di fare un lungo giro passando per il feudo di Hayakawa (indicato dalle tre linee, che si leggono kawa, e indicano la corrente di un fiume).

Questo quindi il loro obiettivo, che pianificano tacciando una mappa sulla sabbia: passare la frontiera portando con sé le verghe d'oro, sulle cui tracce sono casualmente arrivati: ne hanno già alcune e contano di trovare il resto.

Il lingotto d'oro che indica simbolicamente la strada ha forma semicilindrica: all'epoca venivano ricavati versando l'oro fuso dentro delle canne di bambu spaccate a metà. Questo particolare è essenziale per comprendere il seguito della trama.

Li raggiunge per strada un enigmatico personaggio, vestito come un viandante ma dai modi guerreschi. Dichiara infatti di essere il generale Makabe Rokurota, del feudo di Akizuki.

Decide di unirsi a loro, l'idea di aggirare la frontiera è buona. E porteranno con loro il tesoro, di cui Rokurota conosce il nascondiglio: una quantità enorme di verghe d'oro, che da solo non riuscirebbe mai a trasportare.

 

 

Ed una donna altrettanto enigmatica, incontrata per strada, per quanto voglia mantenere l'incognito si rivelerà presto essere la principessa Yuki di Akizuki, che i samurai di Yamana stanno cercando per ogni dove.

L'obiettivo quindi è ora di portare in salvo l'oro, ma soprattutto la principessa.

 

 

 

 

Il cinefilo attento qui avrà forse drizzato le orecchie. Non gli ricorda nulla la storia? Un tesoro perduto durante una guerra.... tre personaggi alla ricerca del tesoro, in lotta e allo stesso tempo in connubio tra di loro... un campo di concentramento, una fuga... una guerra civile, brutale ed assurda... una resa dei conti finale. Viene il sospetto che non sia stato il solo George Lucas ad essere rimasto attratto da questa storia e ad averne trovato fonte di ispirazione.

Per facilitare la ricerca è doveroso aggiungere almeno che si tratta dell'opera di un regista occidentale divenuto famoso proprio dopo aver fedelmente ripreso - in chiave western - un film di Kurosawa uscito poco prima. Ma stavolta la copia non è sfacciata, potremmo anzi dire che si tratti di un omaggio e non di un plagio.

Chii è interessato a controllare di persona se questa ipotesi può essere accettata, non ha ora che da cercare: gli indizi forniti dovrebbero essere sufficienti. Buona fortuna!

Mancano all'appello solamente altri due personaggi principali. Il fondale dell'opera è rappresentato come già detto dal grandioso affresco della lunga guerra.

Ma nemmeno ne conosceremo le cause. Ne sono attori i guerrieri, protagonisti principali, ma anche il popolo che nonostante tutto continua la sua vita di tutti i giorni.

 

 

 

 

Il generale Hyoe Tadokoro (Susuma Fujita, spesso utilizzato da Kurosawa per oltre un ventennio e protagonista dell'opera prima del maestro: Sugata Sanshiro).

E' a capo delle truppe di Yamana che hanno l'incarico di rintracciare ed uccidere la principessa.

Ha un rapporto di rude ma leale rivalità con Rokurota.

 

 

 

Si aggiunge nel corso della fuga all'avventuroso ed eterogeneo quartetto una donna sconosciuta del feudo di Akizuki, ridotta in schiavitù dagli invasori (Toshiko Higuchi).

La principessa Yuki chiede a Rokurota di riscattarla e lasciarla libera.

Ma  lei deciderà di seguirli, e farà la sua brava parte nel corso dell'avventura.


L'avventura non si presta ad essere raccontata: non sono i fatti in se ad avere importanza, ma il modo in cui vengono affrontati: qualunque descrizione del duello dei tre moschettieri contro d'Artagnan o della lotta dei sette samurai contro i predoni, lascia un po' il tempo che trova.

Non ci divulgheremo troppo di conseguenza sui particolari, lasceremo solo una esile traccia: delle briciole qua e là, da seguire per non perdere il sentiero nel bosco dell'avventura.

Matashichi e Tahei vorrebbero tornare al loro villaggio, prematuramente saturi di tutto quello che hanno visto e subito. Non sarà facile: i guerrieri di Yamana pattugliano intensamente il territorio, alla caccia dei pochi superstiti samurai di Akizuki, che vengono falciati senza pietà.

Per loro fortuna i due vagabondi non hanno l'aspetto del guerriero di rango, vengono quindi giudicati come materiale umano a buon mercato e catturati vivi.

 

 

Verranno avviati assieme a migliaia di altri sbandati ad un enorme campo di concentramento.

Lì dovranno, sotto stretto controllo, scavare tra le macerie del torrione degli Akizuki per rintracciarne il tesoro: una quantità incredibile di lingotti d'oro.

 

 

 

 

 

 

Allo stesso tempo un cartello avvisa gli abitanti: una cospicua taglia, sempre in oro, è destinata a chi fornirà informazioni utili alla cattura della principessa Yuki, unica superstite del clan sconfitto.

Per tutto il resto della loro involontaria avventura Matashichi e Tahei oscilleranno tra il grande miraggio del tesoro e quello più a portata di mano del tradimento per ottenere la taglia.

 

 

 

Le condizioni di vita nel campo di lavoro sono disumane, ed alla prima occasione che si presenta i prigionieri si ribellano, preferendo la morte a quel genere di vita.

Una fiumana di uomini disperati sommerge la guarnigione: i due ne approfittano per fuggire ancora una volta.

 

 

 

 

Mentre cercano di mettere assieme una grama cena, Matashichi getta lontano con stizza un pezzo di legna che non vuole saperne di bruciare a dovere sul fuoco.

Quando atterra sul greto del torrente manda un suono metallico, cristallino: i due accorrono immediatamente, incuriositi, e si rendono conto che all'interno del ramo, scavato appositamente, si cela una verga d'oro.

Era in fondo logico, essendo ricavate le verghe dalla cavità di un ramo, nasconderle dentro dei rami.

Se ne trovano altre qua e là, lungo il greto di un torrente. Sanno di essere sulle tracce del tesoro degli Akizuki.

Non sanno ancora, mentre come al solito si accapigliano per dividersi il tesoro, prima ancora di averlo trovato, di essere osservati: dall'alto di una gola un uomo li sta osservando.

E' impassibile, a bracce conserte. Anche da lontano il suo aspetto è inquietante. Chi sarà? Che vorrà?


Di Makabe Rokurota non viene detto molto, come ogni maestro della rappresentazione Kurosawa sa che va fatto così: è molto più suggestivo un rapido accenno che lasci galoppare a briglia sciolta la fantasia del lettore.

L'aspetto fiero e marziale, senza alcun cedimento, senza un un attimo di rilassamento, e soprattutto lo stupore, il timore,  dei due cialtroni ad udire il suo nome fanno capire allo spettatore che si tratta di un personaggio fuori dal comune.

 

Sarà senza alcun dubbio lui l'eroe della vicenda.

Sapremo in concreto di lui solamente che si tratta di un generale dell'armata sconfitta di Akizuki e se gli abiti dimessi e rustici potrebbero far pensare ad un montanaro intento alle sue incombenze quotidiane, bastano il suo aspetto ed il suo sguardo a  lasciar capire che si trova in guerra.

Con chi? E perché?

 

 

E' evidente che si nasconde, ma non cerca un rifugio in cui attendere la sua sorte, è piuttosto in cammino verso un obiettivo preciso.

Prende immediatamente con disinvoltura il comando  della piccola spedizione, approvando il piano dei due scalcinati ma non sprovveduti vagabondi

Dopo averci riflettuto a lungo, per la prima volta sorride. Ed un sorriso sul volto di Rokurota, lo spettatore anche qui non può avere alcun dubbio, significherà sicuramente guai per qualcun altro.

 

Rokurota conduce Tahei e Matashichi attraverso un impervio paesaggio montuoso, in direzione di una misteriosa Fortezza Nascosta.

Sono arrivati: indica ai due la cresta rocciosa oltre la quale si trovano la Fortezza e, naturalmente, l'oro.

Si precipitano a risalire lungo la ripida e franosa pietraia, ma solo a prezzo di sforzi disumani riusciranno a varcarla: la Fortezza oltre che celata è anche ben difesa dalla natura.

 

 

Giunti in cima trasecolano: al di sotto di loro c'è la Fortezza, certo, ma c'è anche Rokurota, che non li ha seguiti eppure sta molto avanti a loro.

Per accedere alla Fortezza esiste un passaggio segreto.

 

 

 

 

 

 

In realtà esiste anche un altro passaggio, al di sotto di una rombante cascata, in cui vediamo avventurarsi Rokurota,  ma i due fannulloni non verranno mai a saperlo.

Dentro una caverna ben presidiata troveremo diverse sorprese, tra cui una vecchia conoscenza.

 

 

 

 

 

Si tratta dell'immancabile Takashi Shimura, sapientemente invecchiato dal trucco.

Aveva solo 53 anni e da quando aveva impersonato l'energico Benkei 4 anni prima si era dimostrato ancora molto arzillo: aveva partecipato nel frattempo ad oltre 40 film!

Qui impersona l'aziano generale Izumi Nagakura, con cui Rokurota tiene consiglio.

 

 

E' nella caverna occultata presso la Fortezza nascosta, assieme agli ultimi irriducibili seguaci, che si nasconde la principessa Yuki.

Si è salvata solo a mezzo di un tragico espediente architettato da Rokurota, la cui sorella si è spacciata per la principessa venendo catturata dalle truppe nemiche ed immediatamente giustiziata.

Questo concederà loro una tregua momentanea per portare in salvo la vera principessa ed il tesoro.

 

Sarà difficile convincerla, non ha accettato il sacrificio di una innocente, e questo ha creato una frattura che sembra insanabile tra lei ed il rude Rokurota, taciturno e poco adatto a giustificare la necessità del sacrificio.

Yuki non è un personaggio facile da gestire: ha solo 16 anni, ed il padre non avendo avuto il figlio maschio che sognava, l'ha allevata alternando una educazione marziale alle classiche indulgenze paterne verso l'unica figlia, facendone una persona testarda e viziata.

Non ci sono però alternative, ha già preso i panni di una donna di campagna e dovrà seguire Rokurota, di cui sembra costituire un alter ego: due personalità ugualmente forti, destinate inevitabilmente a scontrarsi.

Kurosawa lo lascia capire immediatamente, facendo replicare a Yuki gli atteggiamenti e le pose che hanno fino ad allora contrassegnato Rokurota.

Coi due straccioni e chiunque altro dovrà fingere di essere muta, per non essere riconosciuta da tutti per il suo inconfondibile aristocratico modo di parlare, e dovrà sobbarcarsi come gli altri il carico delle fascine ove è celato l'oro, immedesimandosi nella vita quotidiana di una donna di umile condizione.


Un'avventura come questa non si presta ad essere raccontata, va semplicemente vista.

Basti al lettore sapere che gli ingredienti ci sono tutti, in dosi generose eppure equilibrate.

I truccchi più astuti si rivelano controproducenti, le peggiori catastrofi si rivelano provvidenzial.

 

 

 

 

Lo sparuto gruppetto, cui si è aggiunta per strada la donna riscattata da Yuki, non ha davvero tempo di annoiarsi, e nelle stesse condizioni Kurosawa mette lo spettatore.

Un episodio almeno però dobbiamo citarlo.

Incappati in un drappello di soldati a cavallo, i fuggitivi stanno per essere sottoposti ad una perquisizione, e sarebbe la fine: non possono fuggire abbandonando il tesoro, ammucchiato su un carretto che stanno faticosamente tirando a mano.

Rokurota non ha più nulla da perdere: strappa il lungo tachi al comandante dei soldati e lo trafigge, poi si getta addosso agli altri ma non riesce a fermarne due, che fuggono a galoppo sfrenato per andare a dare l'allarme.

Le scene che seguono sono tra le più avvincenti del cinema epico. Mifune (complimenti, a lui o nel caso alla sua controfigura) si lancia all'inseguimento a briglia sciolta, impegnando lo spadone in posizione hasso no kamae, pronto a colpire: è una furia vendicatrice.

 

Raggiunge i due malcapitati e li falcia ma lo slancio lo porta ad irrompere suo malgrado nelle porte di quello che scopre con comprensibile disappunto essere l'accampamento nemico.

I lancieri lo attorniano, minacciosi eppure allo stesso tempo inspiegabilmente timorosi. Sentono qualcosa in quell'uomo.

Un comando imperioso li ferma.

 

 

 

E' il generale Hyoe, che comanda l'armata: Makabe Rokurota è un suo caro vecchio nemico: il suo miglior nemico. Se la vedrà lui.

E parte immediata la proposta: ci battiamo? Rokurota accetta immediatamente, con la gioia di un bambino invitato al suo gioco preferito.

 

 

 

 

 

L'arma prescelta è la lancia: Rokurota ne prende in prestito una selezionandola con estrema cura e disgustati commenti tra quelle degli ashigaru che assistono sbigottiti.

E qui apriamo una benevola parentesi per venire incontro ai lettori curiosi che hanno accettato la nostra sfida.

Ecco un altro indizio: l'emulo occidentale di Kurosawa cui abbiamo accennato, fa anche lui finire i suoi eroi - per errore - in bocca ad un reparto nemico.

 

E in un'altra memorabile scena uno dei protagonisti seleziona le sue armi con la stessa meticolosità di Rokurota, anche se tutta la sequenza viene tenuta su un registro più ironico che drammatico.

E torniamo a noi: anche se nella versione che abbiamo esaminato non viene dichiarato nei titoli di testa, sappiamo che da alcuni anni il maestro d'armi di Kurosawa era Yoshio Sugino (1904-1998)

 

 

Fu un grande insegnante di aikido e  figura di riferimento del katori shinto ryu, scuola ove si fa un intenso studio della naginata, arma in asta molto simile nelle modalità di maneggio alla lancia.

E' grazie alla sua accorta ed impareggiabile guida, oltre che naturalmente alla professionalità e senso artistico di Mifune, Fujita e soprattutto Kurosawa, che assistiamo al miglior duello di lancia mai visto sugli schermi.

 

Che finisce dopo un tempo che sembra al momento interminabile, ma che immediatamente dopo l'epilogo sembra allo spettatore sia stato troppo breve.

La vittoria è di Rokurota che spezza la lancia di Hyoe dopo essere penetrato alla corta distanza.

 

 

 

 

 

Dopo di che balza a cavallo, sorride soddisfatto, e si allontana in una nuvola di polvere.

I lancieri sono rimasti di sasso, nessuno accenna a fermarlo.

E Hyoei si è ben guardato dall'ordinarlo.

 

 

 

 

 

 

Al termine delle innumerevoli vicissitudini che abbiamo scelto di non raccontare (andate piuttosto a vedere quest'opera quando potete o procuratevene subito una copia),  le sorti dei fuggitivi, caduti in trappola, saranno proprio nelle mani di Hyoe,

Come finirà?

 

 

 

 

 

Lo avrete capito fin dai trionfali squilli di tromba che vi hanno accolto allo spegnersi delle luci in sala o appena premuto il tasto play nel vostro soggiorno: finirà nel migliore dei modi.

Una Yuki irriconoscibile negli abiti di corte, ritornata principessa dopo una salutare viaggio nella umile vita quotidiana del suo popolo, abbandonati gli infantili capricci, riceve i suoi compagni di viaggio.

 

 

 

Accanto a lei  Hyoe elegantemente abbigliato da cortigiano e Rokurota rivestito di una inquietante armatura.

E' lui a consegnare una congrua ricompensa ai Tahei e Matashichi, eroi involontari e recalcitranti.

 

 

 

 

 

 

Che scendendo la scalinata del palazzo ancora si guardano indietro, increduli di quanto loro hanno immaginariamente vissuto e noi realisticamente immaginato.

 

 

 

 

 

 

 

Ci allontaniamo anche noi, ringraziando di cuore il maestro Kurosawa.

Ha voluto questa volta donarci una favola bella ed affascinante, che supera ogni barriera di tempo e di luogo.

Che ha qualcosa da dirci, qualcosa da lasciarci, comunque:  che venga ambientata nel Giappone in epoca samurai, nel futuro remoto delle Guerre Stellari, oppure nell'epopea western rivista con gli occhi di un europeo

E se ancora non avete capito a chi alludiamo, pazienza: potete pensarci ancora.

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