Jidai
Akira Kurosawa: 1957 - Il trono di sangue - La fine del sogno. Ma anche dell'incubo
Indice articoli
Kurosawa introduce l'epilogo della tragedia attraverso le discussioni degli uomini al posto di guardia.
Un vento incessante scuote il castello fin dalle fondamenta, che si dice siano marce, condannando il castello stesso a crollare prima o poi di schianto.
Il malumore tra ii soldati cresce: già due ufficiali sono stati costretti al suicidio dal carattere sospettoso e crudele di Washizu.
E l'alleanza tra i figli di Tsuzuki e di Miki, che radunano truppe alle frontiere, rende non più credibile la tesi che sarebbero ognuno responsabile dei lutti dell'altro.
Taketoki Washizu non solo è ancora alle prese con i suoi incubi, ma si deve confrontare con altri ancora, destinati a non lasciargli tregua.
E' in spasmodica attesa nella sua stanza, quando la nutrice viene a chiamarlo.
Il parto del suo erede è stato infelice.
La creatura è nata morta, Washizu ed Akaji sono destinati a rimanere soli.
Soli con il rimorso del loro inutile delitto, soli con un potere che si sta trasformando in una morsa ove verranno schiacciati.
Solo nella sua spoglia stanza, ove appaiono solamente come unica decorazione gli inutili simboli del suo potere materiale, la spada e l'elmo da battaglia, Washizu inveisce contro la follia umana.
In defnitiva, cotnro la sua stessa follia.
Solo i richiami degli attendenti lo riportano a stento alla realtà.
E' annunciato l'arrivo di un messaggero.
Le truppe dei confinanti, gli Inui, cui si sono uniti il generale Noriyasu, sempre al fianco di Kunimaru Tsuzuki, e Yoshiteru Miki, hanno varcato la frontiera ed assallito il castello numero uno.
Washizu probabilmente non ne è contrariato.
Può tornare ad agire sul campo di battaglia, quello che è a lui più coneniale, dimenticando almeno per il momento ogni altra cosa.
Nel momento dell'azione ogni pensiero svanisce.
Ma non sarà come lui pensa: le sue stesse truppe dslocate ai castelli uno e due non tardano a ribellarsi, passando al nemico per attaccare congiunti il castello numero tre.
Armato di nuovo e rivestito della pesante armatura, dopo aver percorso incessantemente con passi sempre più nervosi la sala ove ha riunito il consiglio, senza che nessuno sia stato in grado di proporgli un piano di battaglia, Washizu decide di chiedere di nuovo il responso delle forze ultraterrene.
Si fa sellare il cavallo, spalancare il portale di ingresso, ed esce come furia in mezzo ad una autentica tempesta, che infuria come quel lontanissimo giorno in cui incontrò nel bosco la strega, assieme al fedele Miki, allora suo migliore amico, sua futura vittima.
Anche Washizu sembra ora uno spettro, mentre percorre a caso la fitta foresta, al galoppo sfrenato, e sempre sotto una pioggia incessante.
Infine ritrova la strega.
O forse è la trega a ritrovare lui: non è concesso illudersi di essere padroni del destino.
Washizu, che l'aveva a lungo invocata durante la sua corsa sfrenata, non sa trattenersi e le chiede immediatamente di rivelare quello che più gli preme: riuscirà il nemico ad impadronirsi del Castello del Ragno?
Lo spirito (Chieko Niniwa) non rispnde: si congratula, con voce glaciale e d'oltretomba, col guerriero: ha raggiunto quello che più fortemente voleva.
Ma infine accetta di rivelare quanto sa.
Washizu non può essere sconfitto, a meno che gli alberi di quella stessa foresta non si muovano fino a circondare il castello.
Ma sia determinato fino in fondo: se deve spargere sangue, che ne sparga a fiumi.
Washizu ha ottenuto la risposta che voleva. Forse ogni essere umano - quando si interroga od interroga altri - ottiene solamente la risposta da lui desiderata. Quanto questa sia vera, è un altro tema su cui ora non è il caso di soffermarsi.
Noriyasu comanda le truppe alleate che stanno per cingere di assedio il Castello del Ragno.
I reparti dovranno attraversare la foresta maledetta, e il generale li mette in guardia.
Non seguano i sentieri, che li porterebbero inevitabilmente fuori dai loro obiettivi.
Ignorino ogni falso indizio e procedano semplicemente in avanti, senza mai deviare né a destra né a sinistra, fino ad uscire dalla foresta.
Washizu osserva i movimenti del nemico dalle feritoie del castello. Si sente sicuro della vittoria, ma si rende conto che i suoi uomini sono invece scossi dal timore.
RIvela allora la profezia dello spirito: non potrà mai essere sconfitto finché non si vedranno gli alberi della foresta muoversi e marciare verso il Castello del Ragno.
Questo basta per riportare in alto il morale dei suoi uomini.
Durante la notte tuttavia diversi inquietanti segnali continuano a destare inquietudine negli animi dei difensori del castello.
La sala del consiglio di guerra viene improvvisamente invasa da stormi di corvi che volano per ogni dove all'impazzata.
Washizu non se ne lascia impressionare.
Finché non vedrà gli alberi della foresta stregata in marcia contro di lui, sa di essere invincibile.
Qualunque sia il significato del misterioso volo dei corvi, non può mutare il suo destino vittorioso.
Il destino ha deciso di tenere in serbo fino ad allora qualcosa che scuoterà anche lui.
Recatosi negli appartamenti della moglie, non riesce a trovarla nella camera da letto.
La trova infine: si sta affannosamente e compulsivamente lavando le mani, per lavarle da indelebili macchie di sangue che solo lei riesce a vedere, eppure ci sono.
E nessun intervento umano o divino riuscirà mai a cancellare.
L'apparentemente incrollabile volontà di Akaji ha improvvisamente ceduto.
Ha perduto il senno.
Washizu è definitivamente solo, senza più Akaji che condivida le sue folli ambizioni, dopo averle attizzate e fatte divampare, e senza che sia più capace di sopportare il peso dei rimorsi.
Altri inquietanti fenomeni si verificano un po' dappertutto all'interno del castello.
Dall'interno del posto di guardia si odono incessanti rumori ritmici provenire dalla foresta.
Sembrano centinaia, migliaia di asce intente ad abbattere alberi.