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Akira Kurosawa: 1945 - Sugata Sanshiro II - Epilogo

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Naturalmente Osho non è affatto d'accordo.

Non si abbandona la via per un puro formalismo o a proprio arbitrio e le regole hanno lo scopo di facilitare il percorso, ma non sono il percorso.

Che sia tra un giorno o tra venti anni Sanshiro sentirà prima o poi il dovere di rimettere al suo posto quella tavoletta, riprendendo il percorso che gli è destinato, che si è scelto e che gli è stato prescritto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sanshiro non ha il coraggio di cedere ai suoi consigli.

Chiede il permesso di restare ancora una notte nel dojo per meditare prima del suo prossimo combattimento con gli Higaki.

Si è allenato coscienziosamente, ma ha anche pulito il dojo, portato l'acqua, lavato i corridoi. Nulla è servito a dargli la serenità.

Osho acconsente: e resterà a meditare con lui. Il suo intervento è deciso: Sanshiro sta probabilmente tentando di dimenticare i suoi tormenti ed il suo avversario, Osho gli impone al contrario di concentrarsi su di essi.

Sanshiro tenta. Ma fallisce.

 

 

 

 

 

In maniera imprevista Osho gli viene ancora una volta in soccorso. Dopo averlo messo in guardia dal pericolo di addormentarsi, ed essere statp al suo fianco per evitarlo, il venerando Osho è piombato di colpo nel sonno!

Il divertente episodio libera la mente di Sanshiro.

Finalmente è sereno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il giorno dopo prende commiato da Sayo. Non sa quanto durerà la separazione, che la ragazza vorrebbe immediatamente quantificare. Parte per un combattimento senza pietà e dall'esito incerto. Non è incerto per Sayo: lui vincerà, ne è certa.

Il legame che si sta riannodando tra i due viene reso da Kurosawa con una serie di formali e rispettosi saluti, ripetuti più volte, a distanze sempre maggiori perché nessuno dei due vorrebbe separarsi dall'altro e continuano a volgersi indietro.

La loro sorte ci rimarrà sconosciuta: il film si chiude senza che i due si rivedano.

Sono probabilmente queste ripetute indecisioni nella trama che fanno concludere a Kurosawa che Zoku Sugata Sanshiro è un'opera non completamente riuscita.

Viene però da chiedersi se questi dubbi non siano piuttosto una certificazione del momento particolare in cui si trovavano Kurosawa ed il Giappone stesso.

Tuttora alla ricerca di una sua via, personale e professionale, in una nazione traumatizzata e sconvolta dalle tragiche conseguenze della guerra, non poteva essere Kurosawa a sciogliere sullo schermo grandi nodi esistenziali. Non ancora.

Sanshiro si trova infine di fronte a Tesshin: è solo. Genzaburo, in preda ad una delle sue crisi, non verrà.

Ad accrescere la drammaticità delle scene Kurosawa ha scelto per le riprese un desolato altopiano ricoperto di neve, presso la località termale di Hoppo.

Nelle sue memorie ricorda che Tsutsumu Fujita, che avrebbe potuto anche essere più comprensivo visto che grazie alla sua interpretazione di Sanshiro era arrivato alla fama , gli rinfacciò per molti anni il freddo che aveva patito girando quelle scene a piedi nudi sulla neve, indossando solo il keikogi.

 

 

 

 

 

Il combattimento viene scandito dai selvaggi kiai di Higaki, cui rispondono empaticamente le grida belluine del folle Genzaburo che attende impotente fuori della sua capanna.

Sanshiro preferisce invece trattenere la sua energia per la liberarla nel momento di eseguire un'azione.

La lotta è logicamente incentrata ancora una volta sulla ricerca del colpo risolutore da parte dell'assalitore, il karateka.

Il judoka si limita ad evitare i colpi attendendo l'occasione per una presa, o perlomeno per arrivare a distanza di corpo a corpo.

 

 

 

 

 

 

Finalmente, nel tentativo di vibrare un colpo Higaki si avvicina troppo.

Sanshiro si abbassa e con una tecnica che sembra essere, ma è inquadrata molto da lontano, una replica di quella già vista nelle scene di apertura, abbassandosi di colpo lo fa ruotare sopra le proprie spalle e lo proietta nella scarpata sottostante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con la scena successiva Kurosawa ha deciso di sorprendere lo spettatore.

Nella capanna dove si erano preparati al combattimento gli Higaki, Sanshiro ha acceso il fuoco e cerca di far riprendere le forze allo sconfitto Tesshin.

Genzaburo assiste muto.

Rifiuta di accettare il cibo offertogli da Sanshiro, e continua a fissarlo senza mai distogliere lo sguardo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Esausto dal combattimento, e dalle continue cure che deve prestare a Tesshin, Sanshiro cede al sonno. Solo allora Genzaburo, con estrema cautela, si muove.

Afferra un coltellaccio celato sotto la paglia del pavimento, e si avvicina al dormiente Sanshiro. Ha già alzato la mano per uccidere, ma è lui ad essere colpito sul tempo, e in modo imprevisto.

Nel sonno Sanshiro sorride, un sorriso ingenuo come quello di un bambino.

Vinto da quel sorriso Genzaburo lascia cadere l'arma dalla mano, si ritira nel suo angolo e piange.

 

 

 

 

 

 

All'alba Sanhsiro si risveglia.

Genzaburo sta mangiando il cibo che lui gli aveva preparato, Tesshin si sta riprendendo dalla forte febbre che lo aveva assalito.

Mentre Genzaburo, scusandosi che il cibo sia ormai freddo, riaccende il fuoco, Sanshiro va a prendere dell'acqua per Tesshin.

Rimasti soli, i due fratelli accettano con un sorriso la sconfitta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al di fuori, anche Sanshiro sorride.

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