Gendai
Akira Kurosawa: 1991 - Rapsodia in agosto - Epilogo
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Kane non sa darsi pace: avrebbe dovuto partire prima, ora non potrà mai più rivedere suo fratello.
La sua mente è scossa, sembra che voglia rifiutare il percorso della sua vita, comincia a vedere dappertutto - o le sembra di vedere - il fratello mai conosciuto o dimenticato.
E tira fuori da dove li aveva riposti, come se volesse rifiutare il percorso della sua vita, annullarlo e ricominciare da dove era stato spezzato, i vestiti del marito.
La notte, già inquieta per tutti, un fortissimo temporale, quasi un uragano, scuote la casa e la riempie della luce dei lampi, che passa agevolmente la insufficiente protezione delle pareti di carta.
Kane arriva come una ossessa nella camera dove dormoni i ragazzi, portando delle grandi lenzuola bianche e coprendoli con essi.
I suoi figli esterefatti tentano di fermarli, ma non c'è nulla da fare.
Gridando che i tessuti bianchi sono l'unico sistema per difendersi dal fuoco nucleare, Kane continua a coprire i nipoti con le lenzuola e con il suo stesso corpo, tentando di fare da scudo.
Non si tratta di una diceria o di una leggenda senza fondamento.
Tra i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki molti erano quelli che indossavano abiti chiari, in grado di respingere anche se solo in parte il mortifero lampo.
Chi indossava abiti trapunti o stampati si è ritrovato - se ancora in vita - con un tragico ricamo sulla pelle, che replicava fedelmente la trama del tessuto: la pelle veniva risparmiata nelle zone chiare, il fuoco atomico passava attraverso quelle scure.
La mattina sembra esserci una tregua nella tempesta.
Ma ben presto riprende, forse meno violenta ma ancora piò intensa.
Ci si rende conto che Kane non è nella casa!
Dove sta?
Armata del suo inseparabile ombrellino Kane è uscita, sfidando la pioggia battente, per andare non si sa dove.
I figli ed i nipoti la rincorrono.
Inutilmente: la vecchia, fragile ma indomabile Kane sembra irragiungibile.
I suoi passettini da uccello rendono vane le corse disperate di chi la rincorre, tanto più giovani ed in forze di lei, ma annaspando ed inciampando lungo la viscida strada.
La pioggia le riduce a brandelli l'ombrello, arriva quasi a strapparglielo di mano.
Kane non si arrende.
Va ancora avanti.
E' difficile per chi non lo ha vissuto rendersi conto di quanta angoscia può causare un incubo.
Le ultime opere di Kurosawa sono tutte in fondo oniriche. Sogni lo indica esplicitamente anche nel titolo, e alterna sensazioni positive ad altre negative, cui assistono apparentemente adeguandosi alle vicende umane anche gli astri, presentandosi a volte con un aspetto maestoso e suggestivo, a volte inquietante.
Praticamente in ogni sua opera Kurosawa mostra una immagine del cielo, delle stelle, del sole o della luna.
In Rapsodia siamo decisamente di fronte ad un incubo, e lo mostreranno al culmine del dramma il cielo, le nuvole e la luna mostrosuamente deformati.
Ma in Madadayo, la sua ultima opera, il suo testamento spirituale, la luna ritorna ad essere magicamente radiosa, e l'addio di Kurosawa ci viene dato dalla scena finale.
Un bambino, che rappresenta simbolicamente la parte più cristallina di ogni essere umano, si incanta osservando la luce del cielo, che torna ad essere magicamente amico dell'uomo.