Gendai
Akira Kurosawa: 1991 - Rapsodia in agosto
Indice articoli
Rapsodia in agosto, Akira Kurosawa, 1991
Sachiko Murase, Mitsunori Isaki, Hidetaka Yoshioka, Tomoko Otakara. Mieko Suzuki, Higashi Igawa, Richard Gere
Nell'agosto 1945 una bomba atomica veniva sganciata dall'aviazione degli Stati Uniti contro le città di Hiroshima e Nagasaki, causando immediatamente centinaia di migliaia di vittime, negli anni successivi molte altre migliaia per l'effetto delle radiazioni.
L'impatto psicologico fu altrettanto devastante, nel mondo intero.
Sono numerosi gli artisti giapponesi che hanno dedicato le loro opere alla condanna dell'olocausto nucleare.
Lo stesso Kurosawa ne fa il tema centrale in Vivere nella paura e ne tratta anche nella opera precedente la Rapsodia d'agosto: Sogni.
La sceneggiatura proviene da una novella della scrittrice Kiyoko Murata, Nabe no naka (Nella pentola) che ottenne il premio Akutagawa nel 1987. E' stata pubblicata in inglese nella antologia Japanese Women Writers: Twentieth Century Short Fiction, Armony, New York, 1991. Murata, nata nel 1945 ossia l'anno del bombardamento di Nagasaki, ama scrivere storie di vecchie donne, che associa ai concetti di acqua e terra, ed ispirarsi ad oggetti che hanno colpito la sua immaginazione, come una pentola, per costruirvi intorno la storia.
La trama è lineare, ma interrotta da numerosi diversioni che Kurosawa introduce per permettere a chiunque, anche e soprattutto alle nuove generazioni, di rendersi conto delle motivazioni profonde che si nascondono dietro atteggiamenti a volte non immediatamente decifrabili della sua generazione. Del resto, lo vedremo dopo, la trama è solo un pretesto.
La protagonista, Kane (Sachiko Murase), è una donna ormai anziana, che ha perduto 46 anni prima il marito e gran parte della famiglia sotto il fuoco nucleare di Nagasaki.
Non si può fare a a meno di osservare che Kane ha grossomodo la stessa età di Kurosawa (81 anni al momento dell'uscita del film) e che la coincidenza non può essere considerata casuale.
Kane è Kurosawa. anche se un Kurosawa più istintivo - ma tutti lo diveniamo quando veniamo toccati nel profondo, meno intellettuale, meno "costruito" e forse più vero.
Nella prima parte dell'opera gli estremi si toccano: i nipoti di Kane, da sinistra Minako, Tateo, Shinjiro e Tami, stanno passando le vacanze nella casa tradizionale di campagna ove Kane vive sola, lontana dal frastuono della città di Nagasaki.
Tadao, il padre di Shinjiro e Tami, si trova alle Hawai dove è andato per conoscere un fratello di Kane, Suzujiro, che è si è rifatto vivo dopo molti anni da quando se ne era perduta ogni traccia e perfino la memoria. Era emigrato nel 1920, quando Kane era ancora una bambina, e la famiglia era numerosa come si usava a quei tempo: 11 figli, la stessa Kane ha difficoltà a ricordarsi tutti i suoi fratelli ed in particolare di quello.
Il gruppetto è riunito intorno ad un pacco di lettere: le prime notizie daille Hawai.
Suzujiro non ha più molto da vivere, e vorrebbe rivedere la sorella. Sono i figli di Kane, Tadao (Isashi Igawa) e la figlia (Toshie Negishi) a raccontare l'incontro.
E' subito chiaro che Kane non vuole andare. Non può. Non è solo per l'età: è legata indissolubilmente a Nagasaki da ricordi terribilmente dolorosi, impossibili da spezzare.
Non solo la morte del marito, che i figli non hanno potuto conoscere, ma anche quella quella di centinaia di migliaia di altri esseri umani, bruciati in un attimo dal fuoco atomico o scomparsi negli anni successivi dopo atroci sofferenze.
O ancora vivi, come lei. Ma con i segni della tragedia nel corpo e nell'anima, in qualche modo morti anche essi.
Kurosawa in questa opera cura più la trasmissione delle emozioni che non lo sviluppo di una trama avvincente, come in diversi altri esempi dei suoi film di ambientazione gendai. La sua rapsodia alcuni preferirebberp chiamarla sonata, rendendo meglio il significato della parola kyoshikyokyu. Il regista non tenta infatti una delle sue grandi opere "sinfoniche", ora sta trattando di episodi apparentemente normali, di temi per pochi intimi e per pochi esecutori, ha voluto cimentarsi nella "musica da camera".
Non a caso il susseguirsi degli avvenimenti è scandito dalle note di una canzone di Schubert, molto popolare in Giappone, ripetutamente suonata sul decrepito harmonium di nonna Kane da Tateo, quando non cantata in coro dallo sparuto gruppetto di protagonisti.
Le parole di Schiller, che vanno tenute a mente per comprendere un episodio successivo, in italiano suonano grossomodo così:
Il ragazzo vide una rosa fullgida e solitaria, e ne restò affascinato.
la relativa importanza della trama si era già avvertita in Vivere nella paura (1955) e Sogni (1990) dove Kurosawa aveva già tentato di parlare del terrore forse irrazionale eppure comprensibile del popolo giapponese e suo personale verso un attacco nucleare, e in Dodes'ka-den (1970) dove sia pure rappresentando apparentemente un universo di diseredati avulso dalla società getta in realtà un guanto di sfida alle ipocrisie e alle miserie della società "civile", che presenta gli stessi sintomi di un male mortale inutlmente mascherandoli dietro un fittizio benessere materiale.
Ma anche - tentativo isolato nel genere jidai dove più spesso ha trattato invece temi epici od avventurosi - in I bassifondi (1957). Poiché anche in Rapsodia in agosto la trama conta fino ad un certo punto non si può parlare di questa opera descrivendo semplicemente la sequenza di avvenimenti, attraverso i quali le nuove generazioni cercano - ma alla cieca - di comprendere o perlomeno conoscere il dolore incessante provato dai loro anziani fin da quelle torride giornate dell'agosto 1945, che li ha segnati per sempre e che hanno rinunciato a comunicare.
Alcuni critici hanno osservato che Kurosawa ha rappresentato la distanza incolmabile tra chi ha vissuto gli anni della guerra prima e della dura ricostruzione poi e la generazione successiva vissuta nella pace e nel benessere, mentre solo la terza generazione, ossia i nipoti della vecchia Kane riesce a traversare l'abisso.
Sembra difficile concordare con questa tesi: anche i quattro nipoti hanno problemi di comunicabilità con Kane, ed anche problemi di adattamento alla sua mentalità, alle sue abitudini, al suo semplice modo di vivere.
Lo dimostrano confessandole con grande imbarazzo che il cibo da lei preparato non è adatto a loro e lo trovano disgustoso, essendo "roba da vecchi".
Non sembra accettabile l'ipotesi che questa scena sia stata inserita da Kurosawa senza alcun significato particolare, semplicemente per lasciar scorrere un po' di pellicola.
Del resto, quando i nipoti cercano di capire le dimensioni della immane tragedia non è da Kane che vanno, ma si aggirano nella città di Nagasaki tra i fantasmi del passato. Non solo nei luoghi maggiormente emblematici per l'intera comunità, ma anzhe quelli più personali. Si recano infatti alla scuola dove insegnava il nonno, il marito di Kane, e dove è rimasto incinerito dalla folgore atomica assieme ai suoi alunni.
Tra l'altro i problemi di comprensione con Kane, anche dei giovani e non solo della generazione di mezzo, si aggravano fino a diventare drammatici proprio quando la vecchia inizia faticosamente a frugare nei propri ricordi tentando di farne partecipi gli altri.
ll solo che riesce a manifestare a Kane una umana comprensione che si intuisce sincera e benefica, che non ha bisogno di fare domande dolorose e di riaprire ferite in quel modo non più curabili, è un estraneo: Clark, il nisen (giapponese nato e vissuto all'estero) che quando tornerà per la prima volta in quella che è teoricamente la sua patria scoprirà, con altrettanto dolore, di sentirsi parte del nemico, cittadino di quella nazione che assieme alla famiglia di Kane ne ha annientate o sconvolte tante altre.
Ma - emblematicamente - Clark è chiamato dal destino a rimanere solamente un episodio: viene richiamato alle Hawai dalla notizia della morte di Suzujiro, e la camera di Kurosawa indulge sull'aereo che lo riporta lontano, come aveva indugiato su quello che lo aveva portato in Giappone. Simbolo di una tecnologia che nel giro di pochi anni ha accorciato le distanze - fisiche ma anche culturali, psicologiche - tra gli esseri umani originando nuove opportunità di conoscenza ma anche forse aggravando i problemi della convivenza, perfino quelli della coesistenza.
Non cercheremo quindi in questa analisi di seguire pedissequamente il corso degli avvenimenti, e quando ce ne discosteremo sarà perché così ha voluto Kurosawa.
Le ragioni dell'immenso dolore che Kane continua a provare, dopo 45 anni dalla tragedia, rimangono non spiegate: non è possibile spiegarle. Ogni guerra causa le sue vittime, e uno dei più significativi sintomi del "progresso" sembra essere stato quello di coinvolgere nelle guerre un numero sempre crescente di civili innocenti.
Eppure il dolore di chi è stato colpito, direttamente o meno, dal fuoco atomico, rimane per sempre insanabile, non paragonabile a quello di chi pure ha perso i propri cari in combattimento o sotto bombardamenti convenzionali. La casa di campagna di Kane è stata protetta dalle colline, mentre Nagasaki si trova in una vallata circondata appunto dalle alture, che hanno amplificato gli effetti dell'esplosione evitando che si disperdesse.
Sembra infatti che la sventurata città sia stata cinicamente inserita tra i possibili bersagli anche per questa ragione, venendo considerata come un astratto fenomeno da analizzare.
Tre dei ragazzi hanno deciso di esplorare Nagasaki, alla ricerca di un perché. Come spesso succede a chi indaga nel passato, si renderanno conto ben presto che la condizione prima per poter conoscere le ragioni di un avvenimento è conoscere e comprendere innanzitutto l'avvenimento stesso.
Cosa è successo a Nagasaki il 9 agosto del 1945?
Esaminando la città dall'alto non è facile rendersene conto. Sembra una citttà come tante altre, che stranamente, anche quando moderne, danno l'impressione di essere sempre state lì. Che nulla possa mai essere successo nel passato a cambiarle.
I tre decidono di recarsi alla scuola dove insegnava il nonno.
Nemmeno qui sembra esserci alcun segno visibile di quanto è sucesso in quella terribile giornata di tanti anni prima.
Si guardano attorno, perplessi.
Finalmente avvistano qualcosa.
Era difficile farci caso.
E' una targa in marmo nero, appoggiata semplicemente sul terreno, seminascosta in mezzo ad una piccola aiola fiorita.
La scritta, in bianco, reca semplicemente una data: il 9 agosto del 1945 e un'ora: le 11,02 del mattino.
E' il giorno, è il momento, dell'olocausto.
Perché però quella targa sta proprio lì, isolata in mezzo al grande cortile?
Basta alzare gli occhi per avere una muta e tragica risposta.
La struttura annerita e contorta accanto alla lapide è quello che rimane di una di quelle strutture metalliche che hanno lo scopo di far giocare i bambini negli intervalli tra una lezione e l'altra.
L'esplosione nucleare ha forse colto la scolaresca proprio durante l'intervallo, mentre era riunita nel cortile.
L'effetto sulle povere vittime può essere immaginato rendendosi conto delle condizioni in cui è stata ridotta la struttura.
Esiste comunque un luogo a Nagasaki dove dimenticare è impossibile, ove non è consentito.
Artisti di ogni parte del mondo hanno donato le loro opere, per gridare la loro angoscia.
L'assordante grido delle statue è ancora più forte come effetto proprio perché muto ed attonito.
Ma c'è anche chi va oltre, chi decide di gridare la sua protesta per l'oltraggio all'umanità rifiutando provocatoriamente di esprimerla.
Il punto ove è avvenuta l'annichilente esplosione è indicato da un monolite nero.
Nonostante tutto la gente sembra volere allo stesso tempo ricordare e dimenticare.
Il memoriale è affollato, ma le numerose persone che vi si aggirano sembrano comitive venute per una scampagnata senza pensieri piuttosto che gruppi convenuti per un mesto pellegrinaggio.
Minako, Shinjiro e Tami sono turbati.
Sia da quello che hanno visto che da quello che non sono riusciti a vedere.
Rincasando sono racchiusi ognuno nel bozzolo dei suoi pensieri, senza riuscire ad esprimerli.
Arrivano già le prime ombre della sera quando i tre attraversano le risaie per tornare alla casa di Kane.
Attorno si accendono le prime luci, che sembrano altrettante lucciole.
Hanno le braccia cariche di buste.
Inaspettatamente, scorgono una sagoma in lontananza: è Kane, e non riescono a trattenersi dal correrle incontro affannosamente.
La traumatica immersione nei ricordi della tragedia ha colmato la barriera che esisteva.
Non saranno mai in grado di comprendere cosa abbia passato Kane, cosa abbiano passato tutte le persone della sua generazione, ma sono ora in grado di portare il loro affetto, la loro solidarietà.
La fragile ma indomabile figura di Kane si avvicina.
Incongruamente porta con se un ombrellino, del tutto inadeguato per proteggersi dal sole dal momento che è già sera, inutile per la pioggia di cui in giornata non si è visto alcun segno premonitore.
Da cosa tenta di proteggersi in realtà Kane?
Ancora una volta i ragazzi si radunano per mangiare assieme alla nonna.
Erano piene di cibo le buste che hanno riportato con se da Nagasaki.
L'atmosfera è completamente diversa da quella un po' tesa del primo convivio.
I volti, le menti, soprattutto lo spirito, sono rilassati e sereni.
Una nuova armonia è nata tra Kane e i nipoti, che hanno se non condiviso il suo dolore almeno compreso da dove viene e quanto possa essere stato iintenso.
La nuova atmosfera permette di ritornare ad esplorare quel passato che per tanto tempo è rimasto in un angolo della mente di Kane, quasi avesse avuto timore di ritornarvi.
Kane aveva 11 fratelli, oltre a 2 o 3 di cui proprio non riesce a ricordarsi.
Davanti ad una grande lavagna, con l'aiuto dei nipoti, tenta di ricostruire la composizione della famiglia.
E' comunque difficile collocare Suzujiro in questo schema: esendo probabilmente il secondogenito è partito, abbandonando per sempre il Giappone, quando Kane, tra gli ultimi arrivati, non era ancora in età da poter avere di lui un ricordo permanente.
E' uno degli ultimi però, Natakichi, che ha lasciato su Kane una impressione molto profonda.
Era andato a vivere a Nagasaki per imparare un mestiere, ma si era innamorato della moglie del suo padrone ed era fuggito con lei, tornando al villaggio.
Il capofamiglia si era però rifiutato di accogliere nella casa la donna, ed erano andati a vivere nel bosco.
Nel più fitto della macchia lei aveva notato due cedri affiancati, schiantati assieme dal fulmine, che le avevano dato l'mpressione di due amanti suicidi.
Lì decisero di costruire la loro capanna, per vivere assieme.
Il tema dell'amore impossibile che si conclude con la tragica morte della coppia condannata dal fato ricorre spesso nell'immaginario giapponese.
I due cedri colpiti dalla folgore ancora stanno là.
Kane l'aveva detto. il fuoco mentre le carbonizza rende le cose eterne.
Quei due scheletri calcinati rimarranno assieme per sempre, mentre attorno a loro la foresta vive, muore, rinasce.
Altri ricordi del passato affiorano nella vecchia casa di campagna.
Anche qui il fuoco atomico ha lasciato i suoi segni.
Kane si incontra a volte con una signora della stessa sua età.
Cosa fanno? Apparentemente nulla: stanno l'una di fronta all'altra, senza scambiare una sola parola.
Eppure Kane dice che in qualche modo comunicano: quando due persone si intendono non è necessarie parlare.
Anche la sconosciuta visitatrice, come Kane, ha perso il suo compagno nell'esplosione.
I ricordi di Kane man mano si fanno più netti.
Il più giovane dei fratelli si chiamava Suzukichi, e aveva fama di non essere molto intelligente.
Dopo l'esplosione nucleare divenne completamente calvo, e si chiudeva sempre più spesso nella sua stanza a disegnare.
Disegnava sempre ossessivamente, la stessa cosa: dei grandi, immensi, occhi.
Shinjiro prova a disegnarne uno, e Kane trova che assomigli in modo impressionante a quelli opera di Suzukichi.
Anzi, guardandolo meglio nota solo ora che Shinjiro assomiglia in modo impressionante a Suzuchiki.
Suzuchiki si recava spesso ad una cascata nei dintorni.
E' bella, Kane suggerisce ai nipoti di andarci.
Lo faranno.
Il pacifico picnic improvvisato sul bordo della cascata non dura a lungo.
Un serpente sta nuopando nell'acqua, dirigendosi verso di loro.
Forse una innocua biscia d'acqua, ma i suoi inquietanti occhi incutono ai ragazzi un timore che va molto al dil di quello materiale.
Al ritorno trovano Kane, assieme alle altre donne anziane, all'interno di una rustica cappella.
Intonano all'unisono il mantra dei morti.
Per quanto lontana sembri Nagasaki da quelle versi colline, la morte ha mietuto ovunque, e non solo nel momento dell'esplosione.
Tutti i sopravvissuti ne portano ancora i segni, sul corpo e nell'animo.
Kane sa che i nipoti si sbagliano. L'occhio del serpente - le hanno imediatamente raccontato dell'inquietante incontro - è in realtà l'occhio del lampo.
Si trovava proprio lì, in quel punto, assieme a Suzukichi, nel momento dell'esplosione.
Di fronte aveva la vallata ove sorgeva Nagasaki.
Il fratello non ha retto.
Non ricordava più nulla di quanto aveva visto anche se continuava ossessionatamente a dipingere quei grandi occhi
Kane ricorda.
Il cielo d'improvviso divenne brillante, poi apparvero un lampo, la nuvola atomica, ed infine degli immensi occhi malvagi, che riempivano tutto il cielo.
Una volta ripreso il filo dei suoi ricordi, Kane sembra non volerlo più abbandonare.
Contemplando la splendida luna piena, ricorda del giorno in cui Suzukichi, bagnato fradicio perché caduto nel torrente, venne riportato a casa da uno strano personaggio.
Era piccolo, magrolino... con un grande naso... e con la pelle verde.
Lo stupore dei ragazzi le sembra immotivato: si trattava semplicemente di un kappa!
Si tratta probabilmente dello yokai (mostro o demone) di cui maggiormente si parla nella cultura popolare giapponese, che ama le favole e le parabole. Troverete maggiori informazioni in un articolo della rivista Aikido - XXXVII p. 53, pubblicata dall'Aikikai d'Italia.
Vive di norma vicino all'acqua, e per quanto il suo aspetto sia bizzarro ha perso nel corso dei secoli il suo carattere maligno e viene considerata una simpaptica e servizevole creatura del mondo agricolo.
I ragazzi probabilmente non possiedono il retroterra necessario a comprenderlo, vengono semplicemente inquietati dallo strano racconto e pregano la nonna di non continuare a spaventarli.
Solo Shinjiro sembra averne intuito le intenzioni, ed è visibilmente divertito.
Kane ha nel frattempo preso la sua decisione: accettato l'invito del fratello sconosciuto, o dimenticato, recandosi alle Hawai per incontrarlo.
Gli scrive: verrà, ma solo dopo la commemorazione del 9 agosto per i 40 anni dalla morte del marito e delle altre vittime della bomba.
Ma non sarà così semplice.
Ritornano intanto i genitori dei ragazzi: prima Tadao e la moglie, che erano andati in avanscoperta alle Hawai.
Portano con loro grandi casse di ananas, provenienti dalla grande piantagione dei parenti hawaiani.
Arrivano poi gli altri due.
Ben lungi dall'esserne contenti, sono molto preoccupati dalla decisione di Kane, e soprattutto della lettera che ha scritto.
Avevano voluto nascondere sia a Suzujiro che al suo figlio ormai americanizzato, Clark, che il marito di Kane era rimasto ucciso dalle bombe americane.
Secondo la mentalità giapponese si tratterebbe di una vergogna troppo grande da sopportare.
E temono, soprattutto, che questo imprevisto turbi i loro piani: la piantagione delle Hawai è enorme.
E non solo i parenti vivono in quello che è sembrato loro un castello, ci sono anche allettanti prospettive economiche in una collaborazione con loro e la lor ditta, che produce ed esporta ovunque i famosi ananas.
A inquinare ancora di più i loro sogni di grandezza arrivano altri due imprevisti.
Kane è assolutamente scandalizzata dal materialismo ed arrivismo dei suoi stessi figli.
Se lei è interessata al fratello è solo per la gioia di poterlo rivedere e conoscere la sua famiglia, non perchè pensa di poterne o volerne ricavare alcun vantaggio materiale.
E si ritira di nuovo, con i diletti nipoti, che condividono la sua disapprovazione del materialismo della generazione di mezzo, a contemplare la luna.
La luna che splende alta su quella stessa vallata dove nell'agosto del 1945 si era innalzata la nuvola atomica, e dove campeggiava il maligno occhio del lampo.
L'ultimo imprevisto si materializza in un telegramma: Suzujiro ha ricevuto il messaggio di Kane, e annuncia che suo figlio Clark sta arrivando in Giappone.
Gli adulti sono convinti che il disastro sia ormai compiiuto, Clark verrà sicuramente per chiedere di porre fine a questo tentativo di riannodare i legami familiari, dimenticando tutto.
Kane si ribella: ha solamente detto la verità, come è sempre stata abituata a fare in vita sua.
E le sembra bizzarro che dopo aver lanciato la bomba i responsabili non amino sentirselo dire.
Quella bomba avrebbe dovuto porre fine alla guerra, ma in realtà nei 45 anni che sono passati non ha mai cessato di uccidere.
Clark è arrivato. I ragazzi non hanno resistito al disagio di dover affrontare una situazione talmente spiacevole, la rottura per ragioni troppo più grandi di loro di una relazione umana che riprendeva dopo tanto tempo.
La bomba continua ancora ad uccidere, e non solamente i corpi ma perfino le emozioni, i sentimenti, le relazioni.
Clark non ha nulla del giapponese nel fisico, ma parla ancora la lingua con sufficiente padronanza, anche se cercando le parole con una certa lentezza.
In una cosa non è più, assolutamente, giapponese. Tralascia ogni preambolo ed ogni forma di cerimonia per arrivare direttamente al nocciolo della questione.
E' dispiaciuto di non avere saputo prima della morte dello zio. Quando ne sono stati informati tutti ne hanno pianto.
Non è venuto per rifiutare la colpa ed il rimorso, ma per accettarli. E' venuto per scusarsi.
I ragazzi, vagando per la città senza meta dopo aver abbandonato l'aeroporto per non vedere Clark, hanno ritrovato la stessa sensazione che avevano avuto nella loro prima esplorazione.
Nagasaki sembra aver voluto dimenticare dimenticato la sua tragedia, sembra o vuole sembrare una città ove nulla sia successo.
Sentono il bisogno di tornare ancora una volta nella scuola dove insegnava il nonno.
La loro sorpresa è grande quando proprio lì vengono raggiunti da Clark.
Mentre veniva accompagnato dai figli di Kane, ha rifiutato di andare in albergo, chiedendo di essere ospitato dalla zia Kane.
Quando gli è stato chiesto cosa volesse vedere di Nagasaki, è stato categorico: voleva recarsi prima di ogni altra cosa nel luogo dove si era spenta la vita dello zio, assieme a quella di tanti bambini e dei loro insegnanti.
Il gruppetto riunito ha appena il tempo di scambiarsi pochi convenevoli, mentre Clark conferma la sua volontà di averli tutti alle Hawai.
Un altro gruppo, più numeroso e composto di persone anziane, mute e raccolte in quella che sembra una cappa di dolore, si sta avvicinando alla lapide e alla contorta struttura metallica.
Sono tutti segnati nel corpo e portano i segni di altre ferite ancora più profonde nell'animo.
Diversi portano grandi occhiali neri e sono verosimilmente privi della vista.
Si raccolgono silenziosi intorno alla lapide, che lucidano con cura, rinnovando amorevolmente le aiuole ed i fiori attorno al luogo.
Tadao ha il coraggio di chiedere loro chi sono: sono i bambini sopravvissuti alla tragedia, che vengono a commemorare i loro compagni scomparsi.
Kane e Clark legano imediatamente, tra la sorpresa generale.
seduti assieme ad ammirare la luna, intanto aprlano.
Lui si scusa di non avere compreso subito, pur sapendo che la famiglia era originaria di Nagasaki.
Lei riesce solo a ripetere "Va bene.. va tutto bene...".
Clark partecipa alle preghiere per i morti nella piccola rustica cappella, affollata di persone, perlopiù anziane, che ripetono incessantemente i mantra dei morti nel 45. anniversario della catastrofe.
Shinjiro, come tutti i bambini, può essere distratto dalla minima cosa anche nei momenti più solenni.
In questo caso una lunga colonna di formiche intente al loro lavoro nello spiazzo davanti alla cappella.
Ma stavolta, come avviene spesso, ha ragione il bambino: ha visto qualcosa di più importante.
l'interminabile colonna di formiche risale lungo lo stelo di una pianta, fino a mostrare una splendida rosa nel pieno di una maestosa fioritura.
Anche Clark, come la vecchia Kane, sembra trovarsi più a suo agio con i ragazzi che con le persone della sua età.
Una gita presso la cascata, dove si spruzzeranno spensieratamente d'acqua, è d'obbligo.
Ma proprio qui li raggiunge una notizia che prima o poi sarebbe comunque arrivata, e che sarebbe stata comunque dura da accettare, ma che in quel momento tronca anche, di colpo, l'inizio di una bella storia.
Suzujiro, il padre di Clark, ha ceduto alla malattia. E' scomparso.
L'aereo che riporta Clark alle Hawai, o almeno un aereo che si illudono sia quello, sorvola la vecchia casa di Kane.
Come per un ultimo saluto.
Kane non sa darsi pace: avrebbe dovuto partire prima, ora non potrà mai più rivedere suo fratello.
La sua mente è scossa, sembra che voglia rifiutare il percorso della sua vita, comincia a vedere dappertutto - o le sembra di vedere - il fratello mai conosciuto o dimenticato.
E tira fuori da dove li aveva riposti, come se volesse rifiutare il percorso della sua vita, annullarlo e ricominciare da dove era stato spezzato, i vestiti del marito.
La notte, già inquieta per tutti, un fortissimo temporale, quasi un uragano, scuote la casa e la riempie della luce dei lampi, che passa agevolmente la insufficiente protezione delle pareti di carta.
Kane arriva come una ossessa nella camera dove dormoni i ragazzi, portando delle grandi lenzuola bianche e coprendoli con essi.
I suoi figli esterefatti tentano di fermarli, ma non c'è nulla da fare.
Gridando che i tessuti bianchi sono l'unico sistema per difendersi dal fuoco nucleare, Kane continua a coprire i nipoti con le lenzuola e con il suo stesso corpo, tentando di fare da scudo.
Non si tratta di una diceria o di una leggenda senza fondamento.
Tra i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki molti erano quelli che indossavano abiti chiari, in grado di respingere anche se solo in parte il mortifero lampo.
Chi indossava abiti trapunti o stampati si è ritrovato - se ancora in vita - con un tragico ricamo sulla pelle, che replicava fedelmente la trama del tessuto: la pelle veniva risparmiata nelle zone chiare, il fuoco atomico passava attraverso quelle scure.
La mattina sembra esserci una tregua nella tempesta.
Ma ben presto riprende, forse meno violenta ma ancora piò intensa.
Ci si rende conto che Kane non è nella casa!
Dove sta?
Armata del suo inseparabile ombrellino Kane è uscita, sfidando la pioggia battente, per andare non si sa dove.
I figli ed i nipoti la rincorrono.
Inutilmente: la vecchia, fragile ma indomabile Kane sembra irragiungibile.
I suoi passettini da uccello rendono vane le corse disperate di chi la rincorre, tanto più giovani ed in forze di lei, ma annaspando ed inciampando lungo la viscida strada.
La pioggia le riduce a brandelli l'ombrello, arriva quasi a strapparglielo di mano.
Kane non si arrende.
Va ancora avanti.
E' difficile per chi non lo ha vissuto rendersi conto di quanta angoscia può causare un incubo.
Le ultime opere di Kurosawa sono tutte in fondo oniriche. Sogni lo indica esplicitamente anche nel titolo, e alterna sensazioni positive ad altre negative, cui assistono apparentemente adeguandosi alle vicende umane anche gli astri, presentandosi a volte con un aspetto maestoso e suggestivo, a volte inquietante.
Praticamente in ogni sua opera Kurosawa mostra una immagine del cielo, delle stelle, del sole o della luna.
In Rapsodia siamo decisamente di fronte ad un incubo, e lo mostreranno al culmine del dramma il cielo, le nuvole e la luna mostrosuamente deformati.
Ma in Madadayo, la sua ultima opera, il suo testamento spirituale, la luna ritorna ad essere magicamente radiosa, e l'addio di Kurosawa ci viene dato dalla scena finale.
Un bambino, che rappresenta simbolicamente la parte più cristallina di ogni essere umano, si incanta osservando la luce del cielo, che torna ad essere magicamente amico dell'uomo.