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Akira Kurosawa: 1970 - Dodes'ka-den - La morale?
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Il film ricorda molto nella assenza di una trama vera e propria una precedente opera di Kurosawa, I bassifondi, che era uscita nel 1957 e che non destò particolare interesse né presso il pubblico né presso la critica, pur essendo in quel momento il regista all'apice del suo successo: non si era ancora spenta l'eco mondiale suscitata da Il trono di sangue e anche la sua prova successiva, La fortezza nascosta, riscosse un lusinghiero successo. Diede poi lo spunto a George Lucas circa venti anni dopo per la saga di Guerre Stellari, uno dei più grandi successi della storia del cinema.
Questa insistenza di Kurosawa, condivisa evidentemente dagli altri artisti con cui condivideva il tentativo di affrancarsi da una logica commerciale, lascia pensare che ci fosse in lui la sensazione di non essere riuscito a trasmettere il messaggio, ed avere quindi il dovere di riproporlo.
Il tentativo fu fallimentare. Probabilmente perché il messaggio era troppo duro, diretto: un pugno allo stomaco, come si suol dire, indirizzato volutamente contro lo spettatore.
La mancanza di un filo conduttore che pure disorienta passa infatti in secondo luogo di fronte ad una seconda mancanza, sicuramente voluta e probabilmente necessaria ma che il pubblico non riuscì ad accettare: la mancanza assoluta di una morale nella vicenda, positiva o negativa che sia.
Alcuni dei protagonisti sono di una malvagità senza limiti, alcuni semplicemente sciocchi ma le loro azioni non hanno motivazioni.
Il personaggio di un bambino (Hiroyuki Kawase) che mantiene il padre chiedendo l'elemosina rappresenta evidentemente l'innocenza, ma una innocenza che non varrà a salvarlo anzi lo lega alla perdizione e lo condurrà alla morte.
Perfino l'unico personaggio decisamente positivo, il signor Tamba (Atsushi Watanabe), capace di annullare con la sua imperturbabilità gli istinti aggressivi di un uomo armato di spada in preda ad una crisi di nervi, agisce seguendo linee di condotta che non ci è dato di comprendere e pertanto nemmeno di condividere.
Il messaggio incessantemente ripetuto da Kurosawa in tutte le sue opere è comunque sempre lo stesso, che sia esplicitamente, didascalicamente, lucidamente esposto o che rimanga tra le righe: l'essere umano si deve continuamente interrogare sulle ragioni della sua esistenza e sui fini delle sue azioni, rinunciando al superfluo per badare all'essenziale. Quando dimentica di porsi queste domande, o non ha il coraggio di porsele, non è più un essere umano.
Eppure in Dodes'ka-den Kurosawa ci rappresenta persone che non hanno nulla, pertanto teroricamente libere di pensare ed agire senza alcun vincolo. Evidentemente sono stati liberati dal superfluo ma senza un preciso intervento della loro volontà, e subiscono la loro situazione come una ingiustizia ed una tragedia, incapaci di coglierla come un'opportunità.
O al massimo si limitano a crogiolarvisi, accettando l'abbandono di ogni inibizione e di ogni vincolo come merce di scambio, sufficiente a ripagare la perdita del benessere materiale o perlomeno ad anestetizzarla, e a dare la licenza di offendere il prossimo per ripagarsi delle offese subite dalla vita. Come la megera vistosamente truccata che getta deliberatamente gli avanzi della cucina nella spazzatura piuttosto che darli al bambino che li chiede in elemosina (Michiko Araki).
Certamente è necessario accettare questa denuncia di Kurosawa: è evidente che si tratta di una denuncia doverosa e cui riteneva indispensabile insistere. Rimane la sensazione che l'artista stesso sia rimasto travolto dal suo fondamentale pessimismo verso la natura umana, ed abbia infine calcato troppo la mano dando la sensazione di annunciare un destino inevitabile più che mettere in guardia da un rischio reale e grave ma a cui ci si può e ci si deve comunque sottrarre.
Accettiamo questo momento del percorso artistico di Kurosawa, ma sicuramente il lascito che dobbiamo cogliere è quello dell'opera con cui prende purtroppo congedo da noi, Madadayo. Il professore Uchida, costretto a vivere in una stamberga e privo di tutto, come i personaggi di Dodes'ka-den, riesce al contrario a trovare, nonostante i disagi materiali anzi forse proprio grazie allo stato di privazione in cui si trova, la serenità dello spirito.