Gendai
Akira Kurosawa: 1949 - Cane randagio - Le - apparenti - differenze
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La catarsi finale è nelle due opere apparentemente antitetica: il fattorino italiano delle poste non ritroverà la sua bicicletta e fallirà anche il disperato tentativo di rubare a sua volta. Il poliziotto giapponese riuscirà a rintracciare la sua pistola riprendendola dalle mani di un assassino.
Eeppure, al di là dei differenti finali, che sembrerebbero proporre morali opposte, la tesi è la stessa: il confine tra la legalità e la ribellione è labile, e ci si può trovare indifferentemente da una parte o dall'altra secondo i capricci del destino. Il poliziotto integerrimo ritrova se stesso solo quando ritrova il ladro, col quale ingaggia una selvaggia lotta senza quartiere, in mezzo ad una natura primaverile che sembra volersi riscattare dalle bassezze umane ma ne viene lordata (il sangue di Murakami ferito che cola goccia a goccia sopra delle margherite)
L'onesto lavoratore alla ricerca di un bieco malfattore trova un ragazzo spaurito e dalla faccia pulita che potrebbe essergli fratello ed assieme a lui perde se stesso.
E' per certi versi desolante che solo situazioni di degrado estremo sembrino rendere possibili queste illuminazioni.
Dobbiamo essere grati ai due grandi maestri che hanno saputo darcene due esempi splendidi, per quanto ardui da far accettare a chi dal cinema pretende solo spettacolo.
E' il vecchio poliziotto Sato, che ha il volto sornione e senza età di Takashi Shimura a tirare le fila della trama, citando una vecchia filastrocca:
Passato il torpore
non resta al cane randagio
che una sola strada, dritta.
In quel momento la macchina da presa di Kurosawa sfuma sui binari dove sta correndo il treno, indicando una strada dritta, obbligata ma non per questo facile.