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Akira Kurosawa: 1949 - Cane randagio
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Cane randagio (Nora Inu)
Aikira Kurosawa, 1949
Toshiro Mifune, Takashi Shimura, Keiko Awaji, Eiko Miyoshi
Nelle immagini di apertura vediamo il primissimo piano di un cane (nora inu, un cane "dei campi", randagio) anelante sotto la calura estiva. Una calura opprimente che sarà la costante di tutta l'azione, che si svolge nella Tokyo dell'immediato dopoguerra dove uomini e donne vivono la loro giornata come altrettanti cani randagi ridotti a soddisfare i bisogni immediati e primordiali, senza potersi permettere il lusso di pensare al domani.
E' una sequenza molto forte e lascia immaginare altrettanta asprezza nel resto della vicenda. Del resto così disse lo stesso Kurosawa:
I miei film cominciano bruscamente con una dissolvenza. L'inizio è drammatico, annuncia un racconto. Ho un soggetto che arricchisco piano piano ma lo sviluppo sotto forma di racconto. Insomma mi piace raccontare. In generale, conosco già lo sviluppo generale della trama ma il più difficile è trovare il punto di partenza.
Il film è verosimilmente debitore di Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, uscito l'anno precedente e di cui è difficile che un uomo di cinema come Kurosawa fosse all'oscuro.
Però Kurosawa non ne ha mai fatto menzione e ha indicato come suoi maestri Renoir o John Ford e come fonte di ispirazione di questa opera piuttosto le atmosfere dei romanzi del belga Georges Simenon.
Effettivamente Simenon scrisse un romanzo giallo imperniato sul furto di una pistola, sottratta all'ispettore Maigret (La rivoltella di Maigret, riedito da Adelphi nel maggio 2013).
Vi si trattava di una Smith Wesson .45 automatica regalata a Maigret - il cui nome era inciso sulla pistola - dalla polizia statunitense e sottratta dalla sua abitazione da un misterioso visitatore che intendeva servirserne per un delitto.
Ma il romanzo venne pubblicato solamente a novembre 1952, tre anni dopo l'uscita del film, e quindi i conti non tornano.
Si potrebbe pensare ad una stesura precedente, in qualche modo diffusa in una cerchia ristretta, ma l'ultima pagina del romanzo riporta la data: Shadow Rock Farm, Lakeville (Connecticut), giugno 1952.
Lo scrivente ama pensare che Kurosawa, il cui sottile umorismo affiora talvolta anche nelle opere più drammatiche, abbia voluto amabilmente prendere in giro i suoi interlocutori, incapaci di cogliere messaggi tanto evidenti.
Nel fotomontaggio a lato Georges, Simenon, a sinistra. Sullo sfondo l'attore Jean Gabin nei panni dell'ispettore Maigret.
E' evidente come l'autore amasse considerare la sua creatura letteraria come una raffigurazione di se stesso, assecondato in questo da quasi tutti i registi che portarono il personaggio sullo schermo.
La trama di Cane Randagio è relativamente semplice: in un affollatissimo autobus viene rubata una pistola. Vittima del furto è il giovane e promettente poliziotto Murakami, interpretato da Toshiro Mifune.
E' sorprendentemente simile nell'aspetto e nei modi al giovane gangster interpretato pochi anni prima in L'angelo ubriaco, eppure altrettanto credibile in un ruolo che è praticamente all'opposto.
Ma apprenderemo più oltre nella vicenda che i due ruoli, quelli dell'asociale, dell'eversore, e quello del difensore della legge e della società, possono essere molto vicini e a volte confondersi e confonderci.
La ricerca della pistola, che potrebbe essere e sarà poi effettivamente utilizzata per compiere dei crimini, diventa una vera ossessione per Murakami, che completamente ignaro delle regole dei bassifondi passa da un errore all'altro.
Solo l'incontro con un poliziotto più anziano, l'ispettore Sato interpretato dall'impareggiabile ed onnipresente Takashi Shimura, potrà fornirgli gli strumenti per discendere negli inferi della società ed uscirne riscattato per quanto più consapevole dei propri limiti e della propria fragilità.
Proprio confidandosi con Sato ammetterà di essere diventato poliziotto quasi per caso, dopo lo sfacelo lasciato in lui dalla guerra, mentre avrebbe potuto diventare facilmente un ladro e trovarsi dall'altra parte della barricata.
Un percorso opposto a quello compiuto da Ricci, il protagonista di Ladri di biciclette, che vittima del furto del suo strumento di lavoro, disperato perché la sua dantesca ricerca lo lascia sconfitto e deriso, tenterà di farsi ladro per riprendere ad altri quello che considera suo.
Troviamo nel film di Kurosawa le stesse squallide periferie surrealmente deserte e gli stessi inimmaginabili affollamenti sui mezzi pubblici, gli stessi acquitrini putridi.
La stessa disperata e vana ricerca di dignità formale per sfuggire alla miseria morale della società.
Fin troppo facile osservare che situazioni simili, Roma e Tokyo che tentano di ritornare alla vita dopo essere passate per una guerra che ha tolto loro la dignità e il senso della vita, debbano avere effetti simili, e che Kurosawa può avere avuto indipendentemente da De Sica una ispirazione simile.
I riferimenti sono però troppi, e troppo precisi anche se a volte sarcasticamente depistanti, per pensare a semplici coincidenze.
Basti pensare al ladro di De Sica vestito in panni militari e con un berretto dell'esercito tedesco: Kurosawa fa indossare al suo poliziotto, per esigenze di travestimento, una tenuta militare altrettanto male in arnese e con un berretto praticamente identico.
Lo sgomento sul volto di Maggiorani quando si accorge del furto della bicicletta o quando insegue vanamente il ladro è lo stesso che leggiamo nel volto ugualmente pulito ed onesto di Mifune che si guarda intorno sconvolto e smarrito dopo avere anche lui perso le tracce del ladro in luoghi desolati quanto ostili.
In Ladri di biciclette vediamo Ricci girovagare per uffici stracolmi di scartoffie tentando di giustificarsi per aver subito un torto che che si trasforma in una sua mancanza di fronte a burocrati tendenzialmente umani eppure impotenti a sottrarsi alle regole del sistema.
In Cane randagio rivediamo Murakami esattamente nelle stesse circostanze e con gli stessi atteggiamenti che aveva Ricci.
E tutti e due li troviamo spesso senza alcun riparo sotto la pioggia dirompente, simbolo della inermità dell'essere umano di fronte al degrado, impegnati in corse affannose quanto vane.
La catarsi finale è nelle due opere apparentemente antitetica: il fattorino italiano delle poste non ritroverà la sua bicicletta e fallirà anche il disperato tentativo di rubare a sua volta. Il poliziotto giapponese riuscirà a rintracciare la sua pistola riprendendola dalle mani di un assassino.
Eeppure, al di là dei differenti finali, che sembrerebbero proporre morali opposte, la tesi è la stessa: il confine tra la legalità e la ribellione è labile, e ci si può trovare indifferentemente da una parte o dall'altra secondo i capricci del destino. Il poliziotto integerrimo ritrova se stesso solo quando ritrova il ladro, col quale ingaggia una selvaggia lotta senza quartiere, in mezzo ad una natura primaverile che sembra volersi riscattare dalle bassezze umane ma ne viene lordata (il sangue di Murakami ferito che cola goccia a goccia sopra delle margherite)
L'onesto lavoratore alla ricerca di un bieco malfattore trova un ragazzo spaurito e dalla faccia pulita che potrebbe essergli fratello ed assieme a lui perde se stesso.
E' per certi versi desolante che solo situazioni di degrado estremo sembrino rendere possibili queste illuminazioni.
Dobbiamo essere grati ai due grandi maestri che hanno saputo darcene due esempi splendidi, per quanto ardui da far accettare a chi dal cinema pretende solo spettacolo.
E' il vecchio poliziotto Sato, che ha il volto sornione e senza età di Takashi Shimura a tirare le fila della trama, citando una vecchia filastrocca:
Passato il torpore
non resta al cane randagio
che una sola strada, dritta.
In quel momento la macchina da presa di Kurosawa sfuma sui binari dove sta correndo il treno, indicando una strada dritta, obbligata ma non per questo facile.