Tecnica/Cultura
Il tantô da allenamento: questo misconosciuto - Dal dire al fare
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Non ci sono ragioni impellenti per volersi costruire un tantô: sia pure dozzinali e poco aderenti ai modelli storici quelli che si trovano in vendita nei maggiori negozi, reali o virtuali, fanno decentemente il loro lavoro e non costano molto. Ma impegnarsi per costruire un oggetto che risponda a quanto si è immaginato (dal punto di vista creativo) e ai requisiti tecnici necessari (dal punto di vista tecnico) è comunque un esercizio che permette di passare momenti piacevoli, appaganti e che aiutano a comprendere meglio i limiti e le potenzialità del proprio essere.
La costruzione di un jô o di un bokken, le altre armi utilizzate nella pratica dell'aikido, richiede l'uso di essenze lignee non solo di pregio, ma anche con determinate caratteristiche (peso specifico, durezza, regolarità e disposizione delle fibre) non facili da soddisfare. Superato questo primo ostacolo ci si trova comunque impegnati nella costruzione di un oggetto impegnativo, per quanto la forma relativamente semplice possa trarre in inganno e lasciar cullare qualche illusione.
Un tantô non è invece sottoposto ai traumi delle armi lunghe, e la sua compattezza fa sì che non sia praticamente soggetto a rotture quindi la scelta del legno è meno vincolante anche perché è molto più facile trovare legno esente da difetti quando la lunghezza richiesta è poco più di 30 cm invece di 110 o 140. Si può addirittura pensare di reperire il legname andandolo a cercare nelle campagne, ed iniziare la lavorazione direttamente da un tronchetto. Che va però normalmente segato a mano: le segherie ormai sono attrezzate solamente per il taglio di tavole e pannelli modulari perfettamente squadrati, i soli inseribili nei complessi macchinari computerizzati.
E' ugualmente preferibile che si tratti di legno compatto, robusto ed abbastanza pesante: per lasciare una sensazione realistica nell'impugnarlo, per non essere soggetto alla perdita di schegge che ferirebbero chi lo utilizza, ed infine per permettere una finitura abbastanza accurata che ne faccia se possibile anche un bell'oggetto. Non avrebbe senso un impegno lavorativo non lieve disperso su materiale di scarto.
Ogni considerazione di carattere economico va rigorosamente abbandonata: una essenza di pregio può arrivare a costare decine di migliaia di €/mc, mediamente stiamo sui 4/5.000€, ed i tempi di lavorazione del tantô sono difficilmente inferiori alla mezza giornata anche per una persona esperta e dotata di tutta l'attrezzatura richiesta.
I tempi possono naturalmente essere ridotti di molto mediante l'uso di macchinari, ma questo aumenta ulteriormente la spesa e priva il processo di fabbricazione di quasi tutta la sua poesia. E' accettabile la sgrossatura del materiale con seghe o levigatrici meccanici, ma come vedremo dopo lo strumento principe per la fabbricazione del tantô rimane la mano dell'uomo.
Ogni essenza ha comunque le sue caratteristiche di base, ed ogni singola tavola di legno ha le sue particolarità quindi ci si ritrova spesso a dover affrontare situazioni impreviste. Nella foto a destra appaiono in alto i trucioli di lavorazione del palissandro indiano, essenza considerata tra le più dure e difficili da lavorare.
Il tantô in lavorazione, ricavato da uno scarto di leccio calabrese stagionato per oltre 30 anni, si dimostra visibilmente più restio alla piallatura, nonostante la mano sia sempre la stessa: il legno è durissimo e i trucioli che si accumulano sulla destra sono talmente minuti da sembrare quasi segatura.
Quindi non sempre è necessario mettersi alla ricerca di legni esotici, che oltretutto sono ormai sempre più spesso protetti dalla convenzione CITES e non commerciabili.
La lunghezza preferibile di un tantô per allenamento è intorno ai 30 cm, circa il 10% maggiore dei tantô commerciali. Il jusen (giusta misura) di un tantô antico è di 9 sun (27 cm) per la lama, cui vanno aggiunti grossomodo 10 cm per il manico.
La montatura cui si rifanno le armi di allenamento è quella definita aikuchi: non è presente la tsuba (guardia) ed il manico non ha tsukamaki (nastratura) ma presenta il rivestimento di samegawa (pelle di razza) ed il menuki (borchia) a vista.
Si tenga presente, per le proporzioni, che talvolta il fodero del tantô era di lunghezza superiore al necessario, per dargli maggiore importanza; è raro invece che la lunghezza di una lama si estenda oltre il punto ove è avvolto il sageo (fettuccia) .
La lavorazione del "nostro" tantô inizia dalla selezione del legno: va rispettata la venatura, che deve essere se possibile ortogonale ai piani di taglio.
Dall'alto: due pezzi in ulivo, uno in boubinga (o palissandro africano, originario del Congo), due in palissandro indiano.
Questa ultima essenza è ora protetta e non più in commercio, giacenze di magazzino a parte.
Eventuali nodi complicano la lavorazione ma possono arricchire l'estetica dell'oggetto. Non rendono il pezzo assolutamente inutilizzabile, come sarebbe il caso se il legno fosse destinato ad un bokken.
Nella foto un esemplare in legno di tasso, terminato nel novembre 2013. Presenta anche "una linea di tempera" (di tipo suguha, ossia diritta); ovviamente non ha alcuna funzione pratica e si tratta soprattutto di un capriccio ma si sa che chi ha pretese artistiche qualche capriccio ritiene di poterselo permettere.
Dovrà però tenere presente che in fatto di capricci anche il legno la sa lunga; molto lunga.
I nodi in particolare, che nascono solitamente nel punto di inserzione di un nuovo ramo, sono maggiormente ricchi di linfa e vasi conduttori e di conseguenza maggiormente soggetti a restringersi con l'essiccatura: é facile che al termine della lavorazione (sarebbe più pietoso se accadesse prima) l'intero nodo dopo qualche giorno si sfili semplicemente e venga via in blocco. Il pezzo grezzo che presenti tali tipi di nodo richiede quindi di essere preventivamente stabilizzato con stucco, mastice o colla, a seconda dei casi. La lavorazione in corrispondenza dei nodi rimarrà comunque un brutto cliente.
Non riesco a tacere che questo tantô costituisce una proposta che ritengo molto giapponese: un artigiano europeo avrebbe con ogni probabilità scartato il legno, troppo problematico e denso di "difetti". Un certo tipo di cultura giapponese accetta invece i "difetti" della natura - compresi quelli della mano dell'uomo -, non li nasconde ed anzi a volte gli vuole conferire risalto.