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Takashi Miike: 2007 - Sukiyaki Western Django - La maledizione dell'oro

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Il personaggio di Ruriko è ricalcato come abbiamo detto su quello di Gonji, il locandiere di Yojimbo che si confida col samurai errante capitato per caso nel villaggio e gli fornisce le informazioni necessarie per comprendere quanto sta accadendo intorno a lui.

Il ritrovamento dell'oro nei paraggi ha attirato prima centinaia di cercatori, e con loro la cupidigia e l'aggressività legate indissolubilmente alla speranza di cambiare con un colpo di fortuna la propria vita, sottraendo agli altri quello che solo il più forte ha il diritto di avere.

E ben presto sono arrivate, attirate anchesse dall'oro, le due bande rivali degli Heike e dei Genji, che insanguinano quotidianamente le strade con la loro lotta senza quartiere. Tutto là.

E' però un elemento che permette di ricollegarsi al Django originale, dove il movente di ogni personaggio era la conquista di un cassa piena d'oro, che il protagonista (Franco Nero) per trafugarlo ripone  - con una equivalenza simbolica ma eloquente -  nella bara che si trascina sempre appresso, dove in precendenza nascondeva un'altra sua arma segreta: una mitragliatrice a canna rotante.

L'equivalente della pistola di Unosuke in Yojimbo o del fucile di Ramon Rojo in Per un pugno di dollari: uno strumento che travalica ogni rapporto di forza e rende materialmente invincibile chi lo possiede, rendendolo in realtà vulnerabile proprio per questa sua sensazione di onnipotenza che gli fa perdere il contatto con la realtà.

Ma non sarebbe nemmeno necessario l'oro per scatenare cupidigia e violenza. Nel modello da cui sono partite tutte le variazioni sul tema, Yojimbo, erano ben più misera la  posta in palio. Mentre in Pronti a morire addirittura non esiste: è solo il desiderio di essere il più veloce con la pistola (o con la spada, poco cambia.)

Certamente, l'oro od il denaro sono un di più.

Un altro tratto caratteristico di questo genere di racconti, sempre diversi ma sempre uguali, è che l'autorità, misero vaso di coccio a confronto con i vasi di ferro dei grandi interessi privati, scende subito a patti con coloro su cui dovrebbe vigilare.

Non si tratta in realtà di veri e propri patti, ma di assoluto ed incondizionato allineamento alle posizioni dei prevaricatori, che sia ottenuto con il terrore, con la corruzione o con un ben dosato miscuglio di entrambi.

Lo sceriffo del villaggio (Teruyuki Kagawa) è pronto a trovare un accordo immediato con Taira no Kiyomori: sarà il loro uomo, e solamente perché loro sono arrivati per primi: si sarebbe venduto ai Minamoto, se non addirittura offerto, con la stessa prontezza.

Anche questo personaggio ha il suo equivalente in molte altre storie a noi raccontate.

La serietà di fondo del soggetto non impedisce a Miike di abbandonarsi al consueto gioco di citazioni ove la gara è fondamentalmente a chi la spara (in tutti i sensi) più grossa, togliendo drammaticità alle scene cruenti che ci verranno proposte, talmente truculente da diventare divertenti.

Ecco infatti come viene ridotto, e ha ben donde a sembrarne non soddisfatto, il Protesilao ° della situazione, la prima vittima Heike della guerra tra le armate rivali: malamente sforacchiato dal primo colpo esploso dai Genji.

  • Ricordiamo a chi si fosse messo in onda solo adesso che un vaticinio aveva predetto alla flotta Achea, che stava per riversare i suoi guerrieri nella pianura di Troia, che il primo uomo a mettere piede a terra sarebbe stato anche il primo a morire. Fu appunto Protesilao il solo che ebbe il coraggio di accettare la morte, scavalcando la sponda della nave per balzare sul bagnasciuga. Dove lo avrebbe immediatamente abbattuto la spada di Ettore. Il tutto, nel 1200 circa avanti Cristo.

 

Non che Takashi Miike voglia farsi bello con le penne altrui.

Il riferimento a Pronti a morire è talmente evidente da diventare un esplicito omaggio a chi ha avuto per primo la graziosa idea.

Nello specifico, nel fotogramma tratto da questo film, attraverso il clamoroso buco aperto nella scatola cranica del pistolero nero suo avversario, scorgiamo in lontananza Herod (un nome a caso?), il cattivo dei cattivi interpretato da Gene Hackman.

E' lui che ha appena esploso il micidiale colpo.

 

 

 

Mentre Taira no Kiyomori viene dipinto da Miike come un bulletto da quartiere che al momento che volano le pallottole (e frecce, verrettoni, accette, colpi di spada...) si ripara dietro al primo suo accolito che si presti a fargli da scudo, o vi venga obbligato, Minamoto no Yoshitsune ci viene rappresentato come una persona dai gusti decadenti ed esagerati ma con un certo carisma.

La realtà era ben diversa, Kiyomori fu un fine stratega e fu anche il primo condottiero a rivestire una carica che gli desse un potere effettivo sopra l'intero Giappone, venendo nominato nel 1167 dajō daijin (Ministro degli Affari Supremi) alla corte del Tennō. L'unico suo errore fu probabilmente quello di risparmaire Minamoto no Yoritomo e il fratello minore Yoshitsune, gli unici Minamoto rimasti in vita dopo che Kiyomori  ne aveva annullato le forze combattenti.

E furono invece proprio Yoritomo, innanzitutto uomo politico, e Yoshitsune, innanzitutto e forse solamente guerriero, a rovesciare la situazione ed annientare nel giro di pochi anni i Taira. Ma Kiyomori era come abbiamo detto già scomparso, vittima di una febbre tanto alta da incenerire - secondo la leggenda - chiunque gli si accostasse sul letto di morte.

Yoshitsune si ritiene uno degli ultimi mononofu, termine arcaico che designava i guerrieri poi designati come samurai, che lui considera persone vacue che danno troppa importanza all'apparenza.

Per questo impone ai suoi uomini ferrea disciplina e li sottopone a dure prove. Come arrestare con le mani, ad occhi chiusi o bendati, la lama di una spada vibrata contro di loro per tagliarli in due.

Invano: per quanto le sue motivazioni e le sue ambizioni siano elevate, è circondato da una massa di cialtroni che nella migliore delle ipotesi falliranno la prova trovando una morte grottesca.

Miike sembra volerci dire che anche per seguire la via della mano sinistra, la via del male, il percorso è lungo e difficile, e se molti saranno i chiamati, perfino lì pochi saranno gli eletti.

Sono ugualmente grottesche le pretese intellettuali del grezzo Kiyomori. Dopo avere declamato ai suoi uomini i versi inizialli dell'Heike monogatari, che noi già conosciamo, annuncia orgoglioso di avere trovato un nuovo testo sacro di riferimento, e lo mostra.

Si tratta dell'Enrico VI di Shakespeare, che canta la vittoria dei rossi - e rosso è il colore degli Heike. D'ora in poi vuole di conseguenza essere chiamato non più Kiyomori ma Enrico.

La gaffe di Kiyomori può non sembrare evidente, sarà bene quindi tentare di renderla esplicita. L'Enrico VI, una delle prime opere di Shakespeare, divisa in tre parti, narra appunto della Guerra delle due rose tra i Rossi (Lancaster) e i Bianchi (York). Ma si conclude con la morte di Enrico VI e la definitiva sconfitta dei Rossi!

Ipotizziamo che Miike abbia giocato uno scherzo allo spettatore regalandogli un senso di superiorità sull'ignorante Kiyomori, mentre con un pizzico di perfidia prende invece in giro proprio noi, spettatori, che non ne sappiamo di più. Ma come si spiega allora l'abbaglio di Kiyomori? Non era arrivato a leggere la fine... I Lancaster infatti ad un certo punto sembravano avere la vittoria in mano proprio come gli Heike in Giappone esattamente 300 anni prima: la guerra Gempei si concluse nel 1185 con la vittoria dei Bianchi (Genji), quella delle Due Rose nel 1485 ugualmente con la vittoria dei Bianchi (York).

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