Chambara
Kihachi Okamoto: 1966 - La spada maledetta - La seconda vita di Tsukue
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Come d'abitudine per i giapponesi una nuova vita richiede un nuovo nome. Ryunosuke Tsukue è divenuto ora Ryutaro Yoshida, e dalle conversazioni con i suoi accoliti comprendiamo che è divenuto un assassino a pagamento, notando allo stesso tempo che tenta di dimenticare le sue inquietudini abbandonandosi all'alcol.
Hama lo ha seguito ed hanno ora un figlio, ma il loro rapporto continua ad essere conflittuale, dominato dalla presenza di quella spada che è per alcuni strumento di vita ma è diventata nelle mani di Ryutaro Yoshida solo strumento di morte. Morti nemmeno giustificate da una ideologia ma solamente dal compenso in denaro.
Non è in realtà una seconda vita ma la continuazione logica di quella - sbagliata - vissuta in precedenza.
Attirato dal cozzare degli shinai dentro un dojo di scherma Ryutaro arresta il suo vagabondare, chiede di entrare e si presenta al soke Toranosuke Shimada (Toshiro Mifune). Secondo l'etichetta asserisce di essere solo un rude samurai, che gradirebbe ricevere l'insegnamento di un maestro.
Shimada, sempre seguendo l'appropriata etichetta, lo informa che dovrà prima misurarsi con uno dei suoi discepoli.
La risposta di Ryutaro sorprende tutti: desidera misurarsi con il discepolo che ha vinto il precedente combattimento con un perfetto nuki-do, una tecnica che manda a vuoto l'attacco avversario (nuki) per portare un colpo di risposta all'addome (do).
Che Ryutaro abbia compreso dal suono dello shinai quale tecnica veniva eseguita e con quale grado di maestria, suona come la più autorevole delle presentazioni. Shimada acconsente all'incontro mentre la persona designata, che sedeva impassibile alla destra del sensei, non nasconde ora il suo stupore.
Ryutaro ricusa l'uso delle protezioni, cui rinuncia di conseguenza anche il suo avversario.
Come di consueto assume una posizione di guardia inconsueta, apertamente rinunciataria, che sembra invitare all'attacco.
Il campione della scuola si rende conto tuttavia dell'insidia ed esita a lungo, visibilmente teso. Infine avanzerà fino a spingere Ryutaro contro una colonna che gli impedisce di arretrare ancora.
Allora vibra il suo attacco, ma va a vuoto mentre Ryutaro in controtempo colpisce kote (al polso). L'incontro è terminato, nonostante le proteste del perdente Shimada ritiene inutile una rivincita: la superiorità di Ryutaro è schiacciante. Ma ritiene anche inutile un suo confronto con lo sfidante, che se ne va visibilmente irritato.
In questo genere artistico non mancano mai coincidenze ai limiti del miracolo od agnizioni che imprimono al racconto una svolta drammatica. Il pubblico le vuole, le attende. Apprendiamo così che il discepolo di Shimada sensei è Utsugi Hyoma (Yuzô Kayama), fratello minore dell'uomo ucciso in combattimento da Ryutaro nella sua vita precedente.
E la ragazza incontrata sotto il porticato di una casa da te in cui si ripara dalla pioggia battente, e con cui scambia alcuni sguardi rivelatori dell'inizio di una storia, è O Matsu (Yoko Naitô), la nipote dell'uomo assassinato nella scena iniziale.
Questa digressione in realtà nulla aggiungerà in pathos alla vicenda, ma la cultura che richiedeva questo genere di opere la riteneva evidentemente un ingrediente non rinunciabile,
La 'carriera' di esecutore di Ryutaro conosce intanto progressi.
Incaricato di assecondare l'assassinio di un personaggio sopravvissuto all'agguato del ponte di Sakashita di cui abbiamo parlato in precedenza, affronta ed uccide in un combattimento notturno sotto la pioggia - elemento che non manca mai in un film chambara - la guardia del corpo Kyosuke Kojima.
Questi era rinomato per la sua padronanza nella tecnica del nuki do, ma Ryutaro lo vince utilizzando proprio la tecnica preferita dal suo avversario.
Il regista nella scena seguente indugia a lungo sullo sguardo allucinato di Ryutaro, che solo quando ha modo di affondare con successo la sua lama trova un apparente effimero appagamento.
La straordinaria padronanza dei propri mezzi espressivi ha paradossalmente condizionato la carriera di Nakadai, che venne utilizzato indifferentemente dai sommi maestri e da modesti artigiani ma quasi sempre come villain, figura nevroticamente negativa.
Tuttavia le sue prestazioni rimangono sempre assolutamente rimarcabili, e valgono da sole la visione di qualunque film ove appaia.