Randori
Il momento dell'esame - L'esame nell'Aikikai d'Italia
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Come ho detto, il caso mi ha portato ad occuparmi professionalmente di esami ed esaminatori, e voglio fare partecipi i lettori di alcune delle mie esperienze, nella speranza che siano di qualche interesse generale.
Il maestro Hiroshi Tada al suo arrivo in Italia seguiva in materia di esami il metodo giapponese: tempi molto elastici, e generalmente brevi, tra un esame e l'altro, bocciature rare se non eccezionali. Ma si accorse presto che troppo spesso l'allievo promosso riduceva il suo impegno, quando non si metteva addirittura a vivere sugli allori, per quanto si trovasse ancora ai livelli iniziali: parliamo di quarti o terzi kyu. Di conseguenza divenne molto più esigente, e sono a conoscenza di diversi esempi di praticanti, divenuti poi validi insegnanti, che dovettero attendere anni prima di poter sostenere l'esame di 6. kyu; i maestri Hosokawa e Fujimoto ereditarono più tardi la tendenza al risparmio del maestro Tada, probabimente dietro precise istruzioni o raccomandazioni da parte sua.
Una simile rigidità in fatto di esami era del tutto estranea ai costumi giapponesi, e vennero cos¡ introdotti dei "correttivi" per mitigare almeno nella forma la severità dei giudizi: comparvero cos¡ i gradi "provvisori" o "prima parte" ed apparvero anche in Italia i gradi suisen (su raccomandazione) da sempre usati in Giappone per segnalare gli allievi migliori ed usati invece in Italia per dare una spinta agli allievi di tecnica non adamantina ma di buona volontà e sufficiente impegno o frenare quelli che avevano eccessiva tendenza a presentarsi all'esame allo scadere esatto del tempo minimo richiesto. Il grado suisen implica infatti un'attesa più lunga prima dell'esame successivo. Sui libretti di esame apparvero le sigle A, B e C a segnalare la riuscita più o meno buona dell'esame. Un grado di tipo B o C segnalava la necessità di una approfondita riflessione prima di sostenere l'esame successivo
Sul finire degli anni 70 furono nominati i primi esaminatori italiani, che all'inizio infierirono quanto e più dei giapponesi: preparai, sottoposi al visto della Direzione Didattica che me l'aveva richiesta ed infine inviai una circolare in cui si ricordava o si faceva presente che non erano previsti i gradi kyu D o E, che l'allievo perlomeno all'inizio andava incoraggiato sia pure con cautela, che un pochino di tolleranza non avrebbe guastato purché non andasse a discapito della obiettività, e via su questo tono.
Poi lentamente le cose cambiarono, poiché non erano pochi i problemi cui andava incontro un esaminatore rigoroso: alcuni allievi ricusati all'esame abbandonavano i corsi, altri si trasformavano in contestatori accaniti dell'insegnante, qualcuno si presentava la settimana dopo da un esaminatore più tenero facendosi beffe del Catone che lo aveva bocciato, o si iscriveva direttamente presso un altro dojo ove la promozione fosse più facile e gli esami più frequenti. Era anche difficile riconciliare i responsabili di dojo con alcuni severi esaminatori che pensando di fare il loro dovere gli bocciavano magari un intero corso all'esame di fine anno.
In breve tempo gli esaminatori italiani divennero molto più "elastici" ma a questo punto succedeva inevitabilmente che gli allievi abituati alla promozione relativamente facile all'interno del loro dojo andassero inevitabilmente a scontrarsi con la dura realtà appena cominciavano a sostenere esami durante i raduni, davanti ad insegnanti sconosciuti e dovendo sostenere un esame impegnativo senza avere mai praticato in precedenza con i colleghi di sventura.
La pubblicazione del primo Regolamento Didattico, nel 1986, fu un tentativo di armonizzare e coordinare l'operato del corpo Insegnanti con gli Esaminatori e la Direzione Didattica. Da allora è passata molta acqua sotto i ponti, sono apparse nuove versioni del Regolamento Didattico, è cambiato anche il Programma di Esami. Lo scopo è sempre stato di assicurare una maggiore coordinazione tra i vari organi didattici dell'Aikikai d'Italia, i cui componenti erano nel frattempo grandemente cresciuti di numero ed avevano acquistato crescente professionalità. Non spetta a me dire se gli strumenti tecnici siano adeguati al compito. Certamente nemmeno i migliori strumenti possono essere adeguati ad alcuno scopo senza un consapevole impegno da parte di chi li ha nelle mani.
Quindi, riconosciuti senza false modestie gli enormi progressi compiuti da tutti- insegnanti, esaminatori ed allievi - rispetto a quei tempi che io ironicamente definii "eroici", rimane l'obbligo di mantenere alta la guardia. Mentalità, tra l'altro, che non dovrebbe essere estranea a chi studia un'arte marziale.