Randori
Il compito dell'insegnante
Constatiamo che al giorno d'oggi, forse inavvertitamente, alcuni di noi insegnanti cercano, curano la soddisfazione del praticante. Giusto, necessario: ma il praticante deve essere sereno con sé stesso quando è consapevole di avere utilizzato al meglio, per il bene, le sue energie. Non solo quando ha conseguito un vantaggio materiale, confermato con attestati da mostrare orgogliosamente a sé stesso prima ancora che ad altri.
Il compito dell'insegnante è di proporre al praticante sempre nuovi problemi, di porlo di fronte ai suoi limiti e accompagnarlo nel difficile compito di superarli o, serenamente, accettarli. Di evitare l'appagamento: chi è appagato non ha alcuna ragione di crescere ancora.
Altro suo compito è di creare in chi abbia deciso di seguirlo non dipendenza, ma indipendenza. Non verrà per questo spezzato il vincolo che lega indissolubilmente l'insegnante al discepolo. Diverrà anzi più profondo, in quanto non motivato dal bisogno. Bisogno di avere una guida, di appartenere a qualcosa che lo trascenda.
Il rapporto tra insegnante e discepolo verrà poi governato piuttosto dal piacere di condividere una strada che può portare molto lontano, ma che si percorre comunque con gioia, ovunque porti.
Creando dipendenza l'insegnante distrugge con le proprie mani il suo stesso lavoro. Diverrà vano e verrà dimenticato quando lui sarà passato, come passano tutte le cose di questo mondo. I successori che abbiano ricevuto solamente un patrimonio tecnico solo quello potranno trasmettere, non avendo assimilato facendolo proprio l'insegnamento profondo. Se ne saranno nutriti, e già questo è bene, ma non è detto che abbiano sviluppato le capacità di rigenerarlo quotidianamente.
L'insegnante rinunci alla creazione di altrettanti emuli di sé stesso. Impresa impossibile prima ancora che inutile, e perdente: una copia non potrà mai per definizione attingere ai livelli dell'originale, mancando l'atto creativo.
I principi di base devono essere trasmessi immutati e immutabili, ma saranno strumenti di creazione, non risultati materiale da acquisire al patrimonio. E' logico che pur adattato alla persona del successore si trasmetta anche il patrimonio tecnico. Ma si tratta ancora una volta di un bene materiale: senza non possiamo vivere ma non viviamo per esso. L'insegnante trasmetta al discepolo soprattutto aspettative più alte, interiori. Da mettere al servizio di sé stesso e del prossimo.
I successorì manterranno così vivo, sfidando gli anni, i lustri e i secoli, lo spirito e il messaggio loro trasmessi da chi aveva percorso in precedenza il cammino. I principi di base non sono solamente importanti: sono essenziali, irrinunciabili, eterni. Mutevoli sono i metodi per aspirare a farli propri e di questo possiamo e dobbiamo discutere.
Si è già detto che l'aikido è un'arte relazionale, forse la prima disciplina marziale in assoluto ad esserlo e non deve turbarci questo pensiero, questa diversità. Dobbiamo farcene forti e rivendicarla. L'aikido contribuisce attraverso il confronto con l'altro a contrastare l'aggressività innata nell'essere umano, che non si manifesta solamente nell'aggressione fisica.
Lo dimostra quotidianamente l'aggressività interiore che emerge e diventa ondata di piena nei mezzi di comunicazione di massa, i cosidetti social, dove molti si sentono liberi di esternare la negatività nel proprio animo senza nemmeno tentare di socializzare.
L'aikido contrasta l'aggressività – dobbiamo ripeterlo - non combattendo materialmente aggressori esterni, ma creando un ambiente in cui l'aggressività del singolo viene annullata. Ponendolo sistematicamente e alternativamente nella veste di'aggressore e difensore, facendo vivere al praticante, sulla propria pelle, la sostanziale inutilità della mentalità aggressiva, il disagio interno che causa nell'aggressore prima ancora che nell'aggredito. A contrasto con la serenità che pervade l'essere umano che accetta anche il contrasto, anche l'aggressione, ma la rende di fatto inutile.
Il praticante di aikido combatte e previene l'aggressività anche e soprattutto dentro sé stesso. E' per questo che l'aikido può essere superiore, ma è necessario saperlo e volerlo, ad ogni altro metodo che si affidi alla mera repressione.