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Tada Hiroshi sensei: dal 1964 diffonde l'aikido in Italia - Il metodo di allenamento

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Nel 1942 il maestro Tada si trovava a Shinkyo (al giorno d’oggi Chang Chun, in Manciuria), dove, anche se per poco, perse la famosa dimostrazione del maestro Ueshiba alla dimostrazione di arti marziali per il decimo anniversario dell’università Kenkoku. Il cugino, che era di un anno più grande di lui, gli disse che fu una dimostrazione fantasti­ca. A quanto pare i vari avversari potet­tero a stento difendersi dal maestro con le cadute. Essi non furono sol­tanto proiettati via, fu come se fossero stati storditi da una scarica ad alta tensione.

 

Il maestro Tada iniziò a studiare aikidō nel marzo del 1950. Studiava all'epoca anche karate ma iniziò ben presto a dedicarsi sempre più all’aikidō e in breve gli divenne impossibile praticare ambedue le arti. Ciò non dipese dal giudicare un’arte migliore dell’altra, ma dalla gran­de ammirazione per il maestro Ueshiba di cui aveva appreso già da ragazzo, anche grazie al padre.

Quando si iscrisse dunque al dōjō del maestro Ueshiba, aveva 20 anni ed il maestro ne aveva 67, una differen­za di 47 anni, tutta­via lo proiettava con tale facilità, indi­pendentemente dalla forza dell'attacco, che non sembrava esserci alcu­na differenza di età. Ma  in seguito, riguardando indietro a questi fatti, tutto gli sembrava perfettamente comprensibile.

All''epoca la maggior parte dei praticanti era anche membro del Tenpukai del maestro Tenpu Nakamura o del Nishikai del maestro Nishi Katsuzō. Solo  sei o sette persone frequentavano assiduamente il dōjō fra cui Keizo Yokoyama ed il suo fratello più giovane Yosaku, studenti all’università Hitotsubashi. Yosaku trascorse gli ultimi anni della guerra nell’Accademia Navale e si iscrisse all’università dopo la fine del conflitto.

Fu lui che introdusse il maestro Tada al Tenpukai e all’Ichikukai. Successivamente altre persona gli diedero insegnamenti sugli esercizi di digiuno. Tutte queste pra­tiche, insieme agli insegnamenti del maestro Morihei Ueshiba, divennero la base per il suo allenamento. Fu presentato al Tenpukai nel giugno 1950 e il maestro Tenpu Nakamura stava tenendo in quel periodo sessioni mensili di studio al Gekkoden del tempio Gokokuji.

Come l’Aikikai, il Tenpukai faceva poco per farsi conoscere: si veniva ammessi solo attraverso la presentazio­ne da parte di altri membri. Incontrato quindi il maestro Tenpu, dopo aver ascoltato quanto aveva da dire, entrò immediatamente a far parte della sua organizzazione.

I maestri Ueshiba e Tenpu si conoscevano già prima che il maestro Tada si iscrivesse al dōjō: sembra che fossero stati presentati dal padre di Tadashi Abe (N.d.R: Tadashi Abe, 1926-1984, insegnò aikido in Francia dal 1952 al 1959) che era sia membro del Tenpukai che allievo del maestro Ueshiba. All’inizio il Tenpukai era conosciuto come la Toitsu Tetsuigakkai (Società per lo studio dell’unificazione della medici­na e della filosofia), e centrava la sua attenzione sull’unificazione della mente e del corpo. Il maestro Tada prese parte a molti esperi­menti del maestro Tenpu, venendo a conoscenza di molte cose su di lui, e praticò nel Tempukai fino a quando non si trasferì in Italia (ottobre 1964). Durante gli anni trascorsi qui scomparvero il maestro Tenpu (dcembre 1968), il maestro Morihei Ueshiba (aprile 1969) e il nonno del maestro Tada, Tsunetaro: le tre figure di riferimento della sua vita.

Il maestro Tenpu, esperto di spada dello stile Zuihen ryū battojutsu aveva preso il suo nome, Tenpu appunto, dai caratteri cinesi ten e pu usati per scrivere il nome della forma di spada amatsukaze nella quale si distingueva particolarmen­te. Era un discendente del nobile Tachibana, il signore (damyo) di Yanagawa: le arti marziali erano tal­mente popolari in Yanagawa che questo feudo era stimato di livello paragonabile a quello di Saga - nel Kyūshū settentrionale - feudo quest’ultimo reso famoso dal libro intitolato Hagakure (testo classico della "via del guerriero" - bushidō -, dettato da Tsunemoto Yamamoto nel 1716). Il contenuto dei discorsi del maestro Tenpu era molto particolare, in quanto la maggior parte di ciò che diceva prendeva origine più dalla sua esperienza vissuta che da un qualsiasi processo intellettuale. Il metodo del maestro Ueshiba era simile, le idee generate solo a livello intellettuale non hanno il medesimo potere di atti­rare le persone.

L’Ichikukai Dōjō fu fondato nel 1922 dai membri del club “Tokyo Canottaggio”di cui faceva parte Ogura Tetsuju, uno degli ultimi uchi-deshi (allievi interni) del famoso maestro di spada e di calligrafia Tesshu Yamaoka. Durante il periodo Taishō (1912-1926) gli studenti ed i seguaci di Ogura, insieme ai membri dell’asso­ciazione di  canottaggio dell’Università Imperiale di Tokyo (oggi Università di Tokyo) fon­darono una società per la pratica del misogi ossia forme varie di austerità e puri­ficazione rituale. La dirigeva Masatatsu Inoue. All’inizio l’Ichikukai si riu­niva il 19 di ogni mese per commemora­re la morte di Tesshu Yamaoka avvenuta un 19 Luglio, data da cui l’Ichikukai aveva preso il nome in quanto ichiku in giapponese significa 19.

Quando il maestro Tada si aggregò, le riunioni erano tenute in un vecchio dōjō del periodo Taishō a Nogata-machi nel Nakano. Dal giovedì alla domenica ci si sedeva nella posizione della folgore (seiza) per circa dieci ore al giorno, cantando un versetto di un norito (preghiera shintō) e partecipando per quanto possibile con tutto l' essere. Era qualcosa di molto simile al canto di un mantra. Dopo esse­re passati attraverso questa iniziazione si diventava membro della società e solo allora si poteva prender parte agli incon­tri, che si tenevano una volta al mese di domenica. Ci si esercitava in una specie di salmodia, detta ichimanbarai, che consisteva nel suonare una campanella agitandone il manico diecimila volte. Il suono della campanella non diventava chiaro e netto fino a che il movimento della mano non fosse diven­tato automatico. A molti dei suoi miglio­ri studenti di aikidō il maestro Tada insegna tutt’oggi questa pratica.

Per quanto riguarda gli insegnamenti del maestro Ueshiba bisogna dire che inizialmente si adirava se gli studenti prova­vano ad allenarsi nel Dojō con la spada o il bastone, e proibiva loro di farlo, più tardi tuttavia cominciò ad insegnare queste tecniche. Come detto, da bambino il maestro Tada aveva fatto pratica del tiro con l’arco giapponese tradizionale , come era stato tra­mandato nella sua famiglia, ed era solito anche esercitarsi nell’arte nel kendō durante gli anni della scuola secondaria. Ma ciò accadeva durante la guerra, quindi non si tratta­va affatto di un’attività di tipo sportivo. Dopo aver iniziato gli allenamenti di aikidō iniziò ad esercitarsi a colpire con la spada un albero vicino casa. È sua opinione che l’allenamento personale rivesta grande importanza, indipendentemente dall’arte marziale che si pratica. Ognuno dovrebbe creare un suo proprio programma di allenamen­to, a cominciare dalla corsa.

Da quando aveva venti anni fino ai trenta passati era solito alzarsi ogni mattina alle cinque e mezza e correre per circa quindici chilo­metri. Una volta tornato a casa si allenava colpendo col bokken una fascina. In quel tempo le case di Jiyugaoka - il quartiere di Tokyo dove abitava - erano molto distanti l’una dall’altra cosicché poteva fare tutto il rumore che voleva. Si allenava col metodo del Jigen ryu, che aveva imparato a Iwama dal maestro Ueshiba. Si narra che nel passato i guer­rieri del feudo di Satsuma nel Kyushu colpissero diecimila volte al giorno una grande fascina di arbusti; ma il maestro Tada era in grado inizialmente di dare cinquecento colpi al mas­simo e dapprima le sue mani si intorpidi­vano, ma in breve fu capace di colpire un grande albero senza alcun problema.

N.D.R. Nella foto a fianco il maestro impugna infatti un bokken della scuola Jigen ryu, che ha utilizzato per molti anni. La foto è stata scattata nel 1978 nel cortile del Dojo Centrale. Sullo sfondo si vedono le mura di sostegno dell'acquedotto romano; di fronte al maestro, sulla destra, era sistemato su due cavalletti un tronco d'albero di circa 40 cm di diametro, utilizzato per il suburi. A volte durante i raduni gli yudansha dovevano alternarsi nel vibrare colpi sul tronco, con bokken di fortuna ricavati dai rami del grande platano che sorgeva davanti al dojo.

All’università Waseda e all’università Gokushuin gli studenti del maestro Tada si allenano in questo modo, poiché egli trova che sia uno dei migliori metodi di allenamento per l’aikidō. Naturalmente precisa che non è corretto usare una forza fisica eccessiva. Bisogna infatti tenere il bokken o più semplice­mente un bastone di legno verde con leggerezza e stringerlo con l’anulare ed il mignolo al momento dell’impatto. La velocità nel portare il colpo e l’abilità nello stringere correttamente le dita si svilup­pano in maniera naturale.

Questo modo di praticare con gentilezza è importante, in quanto con l'uso continuo della forza si può finire col proiettare o immo­bilizzare le articolazioni di chi attacca con troppa energia e questo può essere pericoloso. Purtroppo lo spazio limi­tato dei moderni luoghi di pratica non permette più questo tipo di allena­mento maera intenzione del mestro intende riorganizzare gradualmen­te le cose in modo da renderlo sempre più accessibi­le. Per lui quello appena descritto è uno dei modi fondamentali di portare i colpi; i movimenti dei piedi e delle mani e lo sviluppo del­l’energia vitale ki mediante la medita­zione col respiro kokyū-hō, sono elementi altrettanto importanti dell’alle­namento personale.

Egli inoltre sottolinea che bisogna osservare con molta attenzione il metodo personale di allena­mento del proprio maestro ed assimilarlo; altrimenti si possono trarre con­clusioni affrettate e sbagliate, rischiando di fare un allenamento senza alcun significato o addirittura errato. Ad ogni modo si deve sempre riesaminare quanto il maestro ha insegnato, nel ten­tativo di discernere quanto ne costitui­sce il fondamento; a questo punto lo si deve praticare ripetutamente finché non si è in grado di farlo bene. In tal modo si crea il proprio metodo personale di allena­mento. Chiunque voglia diventare un esperto di ciò che fa e farà - un’arte marziale, uno sport, una qualsiasi attività artistica o qualsivoglia altra cosa - si deve allenare ogni anno per almeno duemila ore, quando è tra i venti e i quaranta anni: ciò significa da cinque a sei ore al giorno.

È scontato che ognuno si comporterà in modo diver­so tuttavia, per tutti, la maggior parte di questo tempo dovrebbe essere speso per l’allena­mento personale. Dopo essersi allenati per proprio conto si può andare al dōjō per avere conferma, per mettere alla prova, per esaminare con attenzione tutto quanto si è acquisito. Usare un albero come proprio compagno di aikidō è un buon modo di far pratica con tutta l’energia possibile, perché si può colpire con molta più forza. Se invece il compagno è un essere umano non ci si può allenare con spen­sierata durezza. Il tempo è meglio speso se ci si applica a sviluppare linee di azione, cioè di attacco e di dife­sa corrette, precise, nette come lame di rasoio.

Il maestro Ueshiba parlò sempre con molto rispetto dei propri insegnanti, compresi il maestro Sokaku Takeda ed il reverendo Onisaburo Deguchi. Ciò che il maestro Tada ricorda con più lucidità delle sue chiacchierate, dopo la normale pratica quotidiana - infatti il maestro Ueshiba spesso tornava nel dōjō a parlare di argomenti vari - è che il daitō-ryū aveva svilup­pato un metodo di allenamento veramen­te eccellente. Il maestro Tada tiene comunque a sottolineare che mentre alcune volte capiva chiaramente ciò di cui parlava il maestro Ueshiba, altre volte era completamente disorientato, anche perché egli aggiungeva a quanto diceva: “Questo è il mio modo di parlare! Ma voglio che ciascuno di voi comprenda ciò che sto dicendo con le sue proprie paro­le, che lo esplori profondamente e che poi lo trasmetta con il linguaggio d’oggigiorno”.

 

Per il maestro Tada l’aikidō è un beneficio per l’umanità inte­ra; più di quanto ci si renda generalmen­te conto, anche se lo si osserva da un punto di vista particolare come può esse­re il suo, cioè quello di un esperto. Nel 1952, quando si laureò, tutti i suoi amici furono piuttosto sorpresi dalla sua decisione di specializzarsi in aikidō, probabilmente perché era trascorso trop­po poco tempo dalla fine della guerra quando le arti marziali erano state messe al bando. Per lui, tuttavia, l’aikidō del maestro Ueshiba incarnava l’essenza della cultu­ra giapponese e lo vedeva in prospettiva molto importante nel futuro del Giappone.

In realtà l’aikidō sembra aver tro­vato una sua solida base in Europa prima ancora che in Giappone. Ma quando tutto inizia come su un foglio bianco, in un contesto culturale completamente diffe­rente, come nel caso dell’Europa, l’alle­namento dell’aikidō è impossibile senza una chiara comprensione di ciò che è l’aikidō e quale sia il fine dell’alle­namento. Chi è privo di queste cono­scenze è paragonabile ad una persona che salti su un treno in corsa senza sape­re quale è la destinazione o almeno in che direzione procede. In altre parole, è importan­te avere ben chiara fin dall’inizio la “direzione” dell’allenamento dell’aikidō. Per quanto riguarda il meto­do di allenamento, non è realistico chiedere le stesse cose a chi vuole allenarsi parecchie ore ogni giorno e a chi non può impegnarsi a questi livelli. È sufficiente che ognuno si alleni in un modo che per lui abbia senso nel contesto del suo stile di vita.

Però coloro che vogliono diventare esperti o che vogliono esplorare vera­mente ed in profondità l’aikidō devono avere ben chiaro in mente dove stanno andando e come possono raggiungere la meta. Il maestro sottolinea che non può essere lui ad affermare se un meto­do è sbagliato o corretto.  La maggior parte degli esperti di un’ar­te marziale non si trova nella posizio­ne di poter criticare le tecniche altrui, giacché sono troppi i casi in cui qualcu­no che all’apparenza si presentava debole, al momento cruciale si rivela invece straordina­riamente forte.

In Italia il nome ufficiale dell’Aikikai d’Italia è Associazione di Cultura Tra­dizionale Giapponese, organizzazione riconosciuta su proposta del Ministero dei Beni Culturali. Come implica il nome stesso, la pratica dell’aikidō è dunque considerata una forma di cultura tradizionale. Ciò che vi si fa è perciò del tutto differente da qual­siasi genere di sport; per dirla in altro modo, la pratica dell’Aikidō è una forma di “meditazione in movimento'. Il maestro ritiene sia difficile per un giapponese che vive in Giappone comprendere questa situazione, ma in paesi come l’Italia, la Svizzera e la Germania, il termine kinorenma (coltivazione dell’energia vitale, del ki) è inteso con lo stesso significato che in lingua giappo­nese.

Naturalmente non tutti coloro che fre­quentano un dōjō hanno questo approccio mentale. Alcuni sono maggiormente interessati a diventare più forti in vista di eventuali scontri fisici, altri sono moti­vati dal desiderio di migliorare la loro salute fisica e mentale, altri ancora possono voler semplicemente dilettarsi con qualcosa che proviene da una cultu­ra differente. Tuttavia i giovani praticanti di aikidō che intendono diventare istruttori devono avere in mente fini chiari e coerenti per l’allenamento dell’aikidō, che comprendano anche quelli di cui si è parlato fino ad ora.

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