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Miyao: gli artigiani Meiji di fronte alla rivoluzione industriale

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L'esposizione nella vetrina di un antiquario del Grand Sablon di Bruxelles di un bronzo giapponese di stile miyao fa tornare alla mente l'esistenza di questo genere artistico, relativamente poco conosciuto, e che ha avuto vita breve e tormentata quanto interessante. L'articolo originale, risalente all'inizio degli anni 2000 e concepito dopo una esposizione dedicata ai bronzi del tardo Meiji, è stato per l'occasione rivisto ed aggiornato

 

Il Meiji jidai (Era del regno illuminato) è un periodo di trapasso. Arriva dopo la lunga era Tokugawa, oltre due secoli in cui il Giappone ha goduto di un periodo relativamente tranquillo di pace turbata solo a tratti da episodi a carattere locale; ma ne ha pagato il prezzo in termini di immobilismo culturale e di isolamento dal resto del mondo, avendo interdetto l'accesso agli stranieri.

Il Meiji jidai (1868-1912) precede il breve Taishô jidai (Era della grande giustizia, 1912-1926) e poi lo Showa jidai (Era della pace illuminata): un periodo  terminato nel 1989 e caratterizzato verso l’interno dall’ascesa al potere dell’imperatore Hirohito, verso l’esterno da una politica aggressiva ed espansionistica pagata duramente con la sconfitta nella seconda guerra  mondiale da cui il Giappone si è economicamente ripreso in tempi abbastanza brevi - come del resto le altre due nazioni sconfitte, la Germania e l’Italia -  mentre politicamente e psicologicamente ne porta ancora i segni.

Abbiamo già detto nell’articolo dedicato alla fortunata avventura del commodoro Perry in Giappone come l’apertura verso il mondo “civile” sia stata non solo sofferta ma addirittura imposta con le armi e  abbia gettato la nazione in un periodo di torbidi (Bakumatsu ran), durati fortunamente poco ma intensi e drammatici.

Ma fu anche un momento di profondi mutamenti sociali e culturali di cui non tutti erano coscienti e verso cui non tutti erano consezienti, protrattisi per decenni. La diversità di cultura - e anche di approccio alla cultura – tra i due mondi era inevitabile causasse da una parte - in occidente - un irresistibile senso di attrazione verso questa nuova e sconosciuta cultura millenaria, dall’altra - in oriente - un’attrazione altrettanto forte e forse fatale verso i nuovi modelli culturali.

E’ stato studiato in modo abbastanza approfondito il primo fenomeno, diffusosi in occidente nella seconda metà dell’ottocento e conosciuto con il nome di Giapponismo. Basti citare quanto lo studioso d'arte S. Wichmann: “Il termine Giapponismo è nato nel diciannovesimo secolo, intorno agli anni sessanta, quando le grandi esposizioni mondiali, in voga a quell’epoca, avevano alimentato interesse e curiosità per il mondo e la cultura orientali. Soprattutto dal contatto con la cultura giapponese e cinese scaturirono occasioni di stimolo e di confronto, che contribuirono in modo determinante allo sviluppo dell’arte moderna. Il Giappone influenzò l’arte e gli artisti occidentali attraverso la sua produzione di lacche, ceramiche, porcellane, dipinti su seta, la minuziosa tecnica della tessitura e della decorazione su spade, la silografia e la calligrafia, ma anche attraverso soggetti che rispecchiano usi e tradizioni quotidiani: chimono, ventagli, ombrelli di carta. Una notevolissima influenza ebbe anche il Giappone sull’architettura degli edifici e dei giardini”  [1]

Sono certamente meno conosciuti e meno studiati gli impatti avuti dal contatto con la civiltà occidentale all’interno del mondo culturale ed artistico giapponese, strappato di colpo dall’atmosfera protetta in cui viveva da oltre due secoli. Abbiamo infatti parlato nell'articolo citato in precedenza dei primi contatti e delle prime esportazioni di manufatti dal Giappone, che dovevano in un tempo tutto sommato incredibilmente breve dare origine al fenomeno del giapponismo. Viene fatto risalire dagli esperti alle grandi esposizioni tenute a partire dal 1860 circa (ricordiamo che la spedizione Perry avvenne nel 1854). E’ ora il momento di parlare, attraverso un caso tipico limitato ma significativo che prenderemo ad esempio, del trauma culturale cui furono sottoposti artigiani ed artisti nipponici, sicuramente ancor più o perlomeno ancora prima del popolo giapponese nel suo complesso.

 

[1] Siegfried Wichmann: Giapponismo – Oriente Europa: Contatti nell’arte del XIX e XX secolo; Gruppo Editoriale Fabbri

 

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