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L'inro. Dall'utilitario al capolavoro.

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L'inrō (印籠) è un borsellino a più scompartimenti, scorrevoli e che si incastrano l'uno dentro l'altro per chiudersi, destinato ad essere appeso alla cintura.

Viene generalmente eseguito in legno di cipresso (hinoki) e artisticamente ricoperto di motivi decorativi in lacca.

I vari elementi presentano delle asole sui lati, in cui viene inserito un cordoncino di seta che passa per un bottone scorrevole chiamato ojime (緒締め), normalmente in corallo e che serve a mantenere chiuso l'inro, e termina con un secondo bottone fisso di dimensioni maggiori ed in avorio, denominato netsuke (根付), che funge da arresto e da contrappeso per appendere l'inro alla cintura.

Fu introdotto in Giappone durante l'epoca Muromachi (1338-1573), proveniente dalla Cina delle dinastie Ming.

Veniva utilizzato inizialmente, come indica anche il nome, per custodire il sigillo personale e la ceralacca, ma a partire dal periodo Sengoku (XV secolo) quando vennero introdotte le armi da fuoco da parte dei portoghesi, vi si metteva la polvere da sparo.

Nella tenuta tradizionale del samurai di epoca Edo (1600-1868), composta essenzialmente da una giacca con sopravveste (kamishino) e pantaloni da cavallo (ba-hakama) non erano previste tasche. Si usava quindi trasportare quanto necessario infilandolo semplicemente all'interno della giacca, ma anche in una borsa a a tracolla o in borsellini appesi alla cintura (sagemono) di cui l'inrō è un tipico esempio.

Terminato il lungo e sanguinoso periodo Sengoku degli stati combattenti, durante l'epoca Edo l'inrō divenne un recipiente destinato a pillole, medicine od altri piccoli oggetti.

Veniva anche lasciato vuoto e tenuto solamente come ornamento: era infatti considerato un elemento quasi indispensabile nella tenuta formale del samurai.

Veniva fabbricato da valenti artgiani, e le opere migliori firmate da grandi artisti arrivavano ed arrivano tuttora a valori elevatissimi.

Attraverso gli inrō si può avere una idea molto precisa del gusto artistico giapponese, nonché delle raffinate tecniche di lavorazione in uso, e splendidi esemplari arricchiscono in ogni parte del mondo le collezioni dei Musei di Arte Orientale.

Purtroppo stolte legislazioni proibiscono, ostacolano o meramente impediscono le fotografie in gran parte dei musei italiani - anche semplicemente collocando le opere d'arte in posizioni che non permettono non solo di riprenderle ma nemmeno di apprezzarle come meriterebbero - con buona pace della diffusione della cultura cui i musei dovrebbero essere dedicati.

La documentazione di questo articolo è stata di conseguenza scattata esclusivamente in musei esteri.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ben presto i netsuke hanno a loro volta preso vita autonoma e sono diventati oggetti di altissimo pregio.

Oltre all'avorio si utilizzano per ricavarne netsuke anche anche vari tipi di ossa e denti di animali, legni pregiati e fossili, ceramica, legno lacccato.

Tra le tipologie più diffuse vi sono i men, che riproducono maschere del teatro noh.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quelli maggiormente conosciuti in assoluto sono tuttavia i netsuke di tipo katabori, ossia scolpiti a tutto tondo.

Riproducono tridimensionalmente in miniatura animali, oggetti, personaggi, oppure ogni altro tema che abbia colto la fantasia dell'artista.

I soggetti sono rappresentati a volte con grande delicatezza, a volte con realismo, spesso con sorridente ironia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Le dimensioni con cui vi appaiono sullo schermo sono paragonabili a quelle reali di questi splendidi piccoli oggetti, che specialmente quando firmati da artisti di vaglia possono arrivare a valutazioni da capogiro.


La tecnica della lacca ha origini antichissime, sono stati rinvenuti anche manufatti preistorici e si pensa che i più antichi risalgano a 7000 anni a.C.

Il metodo utilizzato in Cina, da cui probabilmente è derivata la laccatura giapponese, utilizza la resina estratta da un albero (Rhus verniciflua), solubile in acqua e soggetta in determinate condizioni ad un processo di indurimento che la rende adatta a rivestire oggetti rendendoli allo stesso tempo più attraenti, più gradevoli al tatto e più resistenti all'usura.

Vengono aggiunti alla lacca vari elementi, di solito sotto forma di polvere, per determinarne il colore o per conferirle un aspetto particolare.

La tecnica denominata maki-e è peculiare del Giappone: consiste nella interposizione tra i vari strati di lacca di una pellicola metallica, normalmente oro, che conferisce un aspetto inconfondible all'oggetto e che si presta a formare motivi ornamentali.

Vengono ricoperte con strati di lacca trasparente le zone ove si intende lasciar apparire la foglia d'oro e mascherate con strati di lacca colorata, normalmente in nero, le altre zone.

Nella immagine a fianco, le parti ricoperte dalla lacca nera, o rossa nella cresta del gallo che spezza la monotonia del nero, formano il motivo ornamentale. mentre il maki-e fornisce lo sfondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche questo secondo inro, visibile presso il medesimo museo come anche i successivi quando non indicato diversamente, utilizza la tecnica maki-e ed è a cinque scompartimenti.

Una brughiera scossa dal vento sullo sfondo del sole al tramonto è il tema rappresentato, e la lacca è lavorata in rilievo.

In questo caso, contrariamente al precedente, il disegno è composto dallo strato metallico e lo sfondo è la parte in lacca colorata di nero.

E' accompagnato da un pregevole netsuke di tipo katabori, che rappresenta una divinità, il cui tronco raffigura inoltre inoltre una rana, con effetto trompe l'oeil

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'esemplare successivo riprenderà uno dei temi più ricorrenti nell'arte giapponese: il ventaglio.

Quella che è forse la tsuba più conosciuta ed ammirata nella storia del Giappone, opera di Matashichi Hayashi ((1613–1699), un tempo appartenuta alla famiglia Hosokawa ed ora nell'Eisei Bunko Museum, rappresenta anchessa dei ventagli.

Per l'esattezza dei ventagli spezzati e trasportati dal vento, assieme a dei fiori di sakura, riportati in oro su una base volutamente scabrosa, disadorna e rude di acciaio.

 

 

 

 

 

 

 

L'inro che esaminiamo ora  è invece un oggetto molto raffinato, ma va inquadrato nel contesto generale: la tenuta formale del samurai di epoca Edo è indubbiamente elegante, ma austera.

Viene impreziosita ed ingentilita da accessori così ben rifiniti, senza rischio di cadere nella leziosità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Già l'inro col tema dei ventagli utilizzava una tecnica mista, che ora diviene ancor più parte essenziale nella concezione artistica dell'oggetto.

Questo inro sfrutta infatti per raffigurare due farfalle in volo diverse tonalità di oro e di lacca.

Inoltre gioca molto di più sulle differenti sfumature piuttosto che sul brusco alternarsi dell'oro e del nero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In quest'ultimo esemplare della tipologia maki-e la tecnica di lavorazione è ancora più raffinata, pur senza ricercare effetti vistosi.

Le sfumature di colore sono molteplici.

I fiori e le foglie, leggermente in rilievo, restituiscono una piacevole sensazione non solo alla vista ma anche al tatto del fortunato possessore, ogni volta che deve prendervi o depositarvi qualcosa.

Lo sfondo, cosparso di pagliuzze d'oro, richiama alla mente la nebbia che si leva dai prati all'alba, non appena raggiunti dal primo calore del sole.


Quando portata ai suoi estremi la tecnica maki-e rischia di divenire sovrabbondante.

In questo esemplare possiamo notare che vengono applicate alla perfezione tecniche elaboratissime al fine di rendere al meglio una scena di piccola vita di spiaggia, ma l'effettivo complessivo che ne deriva è di saturazione.

L'iscrizione, in stile corsivo che ne rende difficile l'interpretazione, è probabilmente il nome del proprietario,

Un magnifico oggetto da museo, ma lascia l'impressione di essere fin troppo impegnativo per poter essere effettivamente indossato senza correre il rischio di essere considerati troppo "snob".

E' indubbiamente un manufatto molto lontano come filosofia dalla tsuba di Matashichi mostrata in precedenza, che corrisponde talmente al sentire ed al tradizionale gusto estetico del popolo giapponese da essere classificata come tesoro nazionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La tecnica maki-e rimane la tecnica più apprezzata da molti intenditori, ed è quella con cui gli artisti giapponesi hanno saputo portare le maggiori innovazioni dopo avere probabilmente importato l'arte della lacca da Cina e Corea.

Non fu però l'unica ad essere utilizzata nella fabbricazione degli inro.

 

Questo inro presenta una lavorazione più convenzionale.

Uno spesso strato di lacca rossa lavorata a rilievo con motivi geometrici che richiamano un cesto intrecciato funge da cornice al paesaggio montano illustrato nella parte centrale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ancora un tema di montagna, un uomo che sembra intento ad attingere dell'acqua sotto una cascata.

Viene reso con intarsi di madreperla che richiamano la trasparenza e la dinamicità dell'acqua che scorre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lavorato con la tecnica tipicamente orientale della lacca a rilievo, questo inro ha però un tema namban, ossia ispirato all'arte occidentale.

Si trattava di una conoscenza sovente superficiale assorbita attraverso gli sporadici rapporti con i mercanti stranieri autorizzati a risiedere nell'isola di Deshima.

In questo genere artistico venivano spesso raffigurati personaggi di questo pittoresco e quindi affascinante microcosmo, inserito come un corpo estraneo nella società giapponese.

Probabilmente commissionato all'inizio dell'epoca Meiji da un ufficiale o uomo d'affari statunitense, sull'inro appare un ritratto, non diremmo molto realistico, del primo presidente degli Stati Uniti d'America George Washington.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un altro esemplare è palesemente specializzato e dedicato ad un compito specifico: conteneva ovviamente del tabacco, come conferma la presenza di un solo scompartimento.

E accompagnato dal kiseru, accessorio praticamente indispensabile nella tenuta del samurai di rango.

L'elaborata decorazione della pipa non è eseguita sovrapponendo strati di lacca ma è probabilmente lavorata dal pieno utilizzando avorio od osso.

 

 

 

 

 

 

 

Ritornando al tema dei netsuke, eccone uno, ricoperto in maki-e

Dimostra come anche i temi della natura si prestino a delicate  elaborazioni geometriche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E concludiamo con un altro netsuke, questa volta del tipo katabori.

Una famigliola di tartarughe si presta ben volentieri a posare per essere il tema dell'artista.

 

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