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Onoda: Non mi arrendo
Hiroo Onoda: Non mi arrendo
Mondadori, 1975
Nel 1974 ebbe risonanza mondiale la notizia che un soldato giapponese, il tenente Hiroo Onoda, si era arreso dopo 30 anni di continua guerriglia nella giungla delle Filippine. Per tutti quegli anni aveva rifiutato di credere che il Giappone si fosse arreso nell'agosto del 1945 e la seconda guerra mondiale terminata. Sull'ondata d'interesse che vi fu in quegli anni verso la tragedia bellica il libro in cui raccontava a caldo, pochi mesi dopo la resa, la sua vicenda, venne tradotto e pubblicato in Italia.
Sono passati dalla resa di Onoda e dal suo rientro in Giappone più anni di quanti egli ne abbia passato nella sua guerra solitaria, e sia questa parte della sua vita che quella successiva sembrano caduti nel dimenticatoio. Eppure è bene interessarsene, e cercheremo di spiegarne il perché.
La storia
Nel dicembre 1944 il tenente Hiroo Onoda, al termine di un breve ma intensissimo addestramento come ufficiale dei servizi segreti, viene assegnato in servizio all'isola di Lubang, nelle Filippine, con l'incarico di organizzare la resistenza contro le truppe alleate, che si prevedeva avrebbero a breve tentato di occupare l'arcipelago per farne una base di partenza verso l'attacco finale al Giappone. Ha all'epoca 22 anni.
Frustrato per l'impossibilità di dare esecuzione al mandato, non aveva infatti alcun contingente ai suoi ordini diretti e gli ufficiali di reparto non avevano un ordine preciso di mettersi a sua disposizione, soltanto alcuni mesi più tardi quando avvenne effettivamente lo sbarco di ingenti forze americane poté tentare di organizzare qualcosa.
I reparti giapponesi superstiti, nascosti nella giungla, vennero a conoscere con grande ritardo della fine della guerra, e si arresero solamente nella primavera del 1946. Restato al comando di soli tre uomini Onoda continuò la sua guerra personale. Era stato condizionato a non arrendersi per nessuna ragione e a non prestare assolutamente attenzione ad alcuna informazione proveniente dal nemico. In pratica non volle e non seppe credere che la guerra fosse finita, nonostante nel corso degli anni anche numerose spedizioni giapponesi fossero andate alla sua ricerca.
Si arrese finalmente al "nemico" ma soprattutto alla realtà nel 1974. Aveva ormai 52 anni e l'impressione dell'opinione pubblica mondiale, che seguì le sue vicissitudini con enorme interesse, era che difficilmente avrebbe potuto riadattarsi ad una vita normale. Il libro non parla di questo, venne scritto di getto pochi mesi dopo la resa, ma in realtà, ed è probabilmente questo l'aspetto più sorprendente nella vita di Onoda, il suo reinserimento non solo fu veloce e riuscito ma lo portò ad una nuova vita ricca non solamente di soddisfazioni ma anche di riconoscimenti.
Il soldato Yuiichi Akatsu. si arrese nel 1949 |
Il caporale Shoichi Shimada. venne ucciso nel 1954 |
Il soldato Kinshichi Kokuza. venne ucciso nel 1972 |
Marzo 1974: il tenente Hiroo Onoda si arrende ufficialmente. Il maggiore Rancudo, dell'aeronautica filippina, sta osservando la spada di Onoda. Alla sinistra di Onoda, Akihisa Kashiwai, che dirigeva la squadra giapponese incaricata di mettersi in contatto con Onoda. I due uomini fanno visibilmente parte di un mondo completamente diverso rispetto a quello in cui ancora sta vivendo Onoda.
Il libro
Hiroo Onoda inizia il suo racconto non in media res ma addirittura dalla fine: dalla sua resa dopo 30 anni di guerriglia nella giungla. Il racconto è stato come già detto steso a caldo, pochi mesi dopo, e per quanto risenta ovviamente dello stato emotivo di chi vede la sua vita completamente sconvolta, prima per una vicenda particolare che l'ha drammaticamente condizionata per un periodo talmente lungo da sembrare eterno e poi per un epilogo altrettanto sconvolgente che annullava di colpo il valore di quanto incredibilmente fatto pagando un caro prezzo, rivela una lucidità sorprendente.
Perché sorprende? Perché viene spontaneo, conoscendo superficialmente i fatti attraverso i resoconti sommari ed imprecisi dei grandi mezzi di comunicazione, pensare che l'intera vicenda sia stata possibile solo per un clamoroso fraintendimento da parte di Onoda, attraverso processi logici evidentemente tarati da qualche falla di metodo o da insufficienti ed errate informazioni. Se la seconda parte di questa spiegazione è fondamentalmente accettabile, certamente la responsabilità non può essere attribuita allo stesso Onoda.
Onoda ha agito come ci si attendeva che agisse in circostanze analoghe qualunque soldato giapponese. E' difficile ormai rendersi conto di quanto possa influire la propaganda bellica sopra la mentalità di un popolo. Ma è opportuno non perdere la memoria di casi come quelli di Hiroo Onoda, per evitarne il ripetersi. Al di là delle vicende delle singole persone, il caso Onoda ne è un esempio tipico: rimase isolato a combattere la seconda guerra mondiale al comando di un reparto di soli 3 uomini, perdendoli poi nel corso degli anni e rimanendo infine completamente solo per altri due anni. Va esaminato attentamente per ricavarne utili indicazioni che possano essere "proiettate" su scala più vasta ed intuire quali possano essere le conseguenze sulla società intera di una informazione errata e a volte deliberatamente scorretta, che diventa pura propaganda asservita a scopi di parte.
Hiroo Onoda con fredda capacità di analisi rende conto nel libro della sua assoluta impossibilità di credere alle squadre di ricerca che tentavano di convincerlo che la guerra fosse finita: gli venivano lasciati qua e là dei giornali giapponesi, nella speranza che leggendoli si convincesse della inutilità di continuare nella sua "missione". In realtà proprio quei giornali, che gli descrivevano nel 1959 un Giappone prospero e felice, intento a celebrare il fidanzamento dell'erede al trono, lo confrontavano con situazioni non compatibili con l'addestramento ricevuto: ogni giapponese nel 1944 era sinceramente persuaso che piuttosto che accettare la resa la nazione avrebbe combattuto fino all'ultimo uomo, fino all'ultima donna.
Se la guerra fosse veramente finita con la sconfitta, del Giappone intero non avrebbe dovuto rimanere pietra su pietra. La realtà che gli veniva descritta doveva necessariamente essere un inganno del nemico, uno di quegli inganni da cui era stato messo in guardia incesssantemente.
Le squadre di ricerca che nel corso degli anni si alternarono sull'isola di Lubang, commisero un errore comprensibile ma dall'esito necessariamente infausto, che Onoda identifica immediatamente: non hanno tenuto conto della portata epocale del cambiamento che gli chiedevano. I giornali del 1959 e quelli che vennero lasciati in seguito lo ponevano di fronte ad una immagine del mondo totalmente differente da quella che era stato condizionato ad avere, ma senza fornirgli alcuna spiegazione sulle cause del cambiamento e sui passi attraverso i quali si era articolato. In sintesi, se invece di fornirgli informazioni tratte dai giornali di attualità del 1959 e seguenti gli avessero man mano lasciato una raccolta di giornali del 1945, 1946 e via dicendo, gli avrebbero dato la possibilità di comprendere gradualmente la portata del cambiamento, ed accettarlo.
Hanno concorso naturalmente alla incredibile durata della resistenza armata di Onoda anche altre circostanze, occasionali ma importanti: dopo la resa del Giappone i reparti giapponesi continuavano ad essere accolti col fuoco delle armi non appena venivano avvistati, e questo naturalmente confermava l'idea dei guerriglieri che la lotta continuasse. Inoltre l'esercito filippino è stato quasi continuamente impegnato a reprimere la guerriglia interna, che continua ancora ai giorni nostri, superando quindi di gran lunga la durata della guerra privata di Onoda che pure ha fatto tanto scalpore. Di conseguenza l'isola di Lubang veniva perlustrata in continuazione da reparti armati di tutto punto, e per giunta fu per un certo tempo utilizzata come poligono di tiro e le zone ove si aggirava il minuscolo reparto di Onoda vennero spesso cannoneggiate.
Sarebbe vano continuare nel tentativo di spiegare cosa abbia detto Onoda nel suo libro: consigliamo piuttosto di tentare di superare le immaginabili difficoltà per reperire sul mercato dell'usato una copia di un libro pubblicato nel 1975, e leggerlo di persona.
La seconda vita di Hiroo Onoda
Rientrato in Giappone Onoda fu sottoposto ad una incessante attenzione da parte dell'opinione pubblica e dei mezzi di comunicazione. Gli venne richiesto anche di presentare la sua candidatura in parlamento. Decise di sottrarsi alle pressioni raggiungendo il fratello in Brasile. Aveva già 54 anni, e la sua vita era stata bruscamente congelata quando cominciava appena ad avere un ruolo attivo nella società.
Non si creda che fosse un fanatico già predisposto ad essere condizionato dalla propaganda di guerra. Ancora molto giovane era emigrato in Cina dove lavorava alle dipendenze di una ditta commerciale - furono la sua conoscenza del cinese e le sue esperienze di viaggio che consigliarono all'esercito di destinarlo ai servizi segreti - e ricorda con un pizzico di autoironia di avere avuto una spiccata predilezione per la "bella vita". Passava le sue notti nelle sale da ballo, la sua conoscenza del cinese era in gran parte dovuta a contatti mirati con ogni ragazza che gli capitasse a tiro, e prosciugava sistematicamente le finanze del fratello maggiore, ufficiale di carriera, per vestirsi da damerino.
La sua vita, bruscamente interrotta per così tanto tempo, non poteva riprendere in mezzo a tante attenzioni, probabilmente benevole ma sicuramente troppo difficili da accettare. Soprattutto per un uomo vissuto per 30 anni accampato in mezzo alla giungla, che ha visto scomparire tragicamente i suoi compagni e che infine rimase completamente solo, con la sua spada ed il suo fucile, per oltre 2 anni. Senza mai scambiare alcuna parola con altro essere umano.
In Brasile si costruì una nuova vita inserendosi abbastanza facilmente nella società, ove raggiunse posizioni di rilievo. Divenne un punto di riferimento per la numerosa comunità giapponese e nel 2004 ha ricevuto dall'aeronautica brasiliana la medaglia al merito Santos-Dumont; ma non abbiamo alcuna informazione sulle motivazioni dell'onoreficenza.
Onoda ha avuto comunque nella sua seconda vita un forte impegno sul piano sociale, condiviso con la moglie Machie che aveva sposato nel 1976. Nel 1996 fece ritorno nelí'isola di Lubang, rinnovando le sue scuse per i tanti problemi creati e per le vite umane da lui spente. Lasciò una donazione da destinare alle scuole. Nel 1980 venne fortemente colpito da un grave fatto di sangue in Giappone: un ragazzo aveva ucciso i suoi genitori. Ritornò in patria nel 1984 e vi fondò un istituto di riabilitazione, lo Onoda Shizen Juku, che educa i ragazzi alla vita in comune all'aperto.
Continua tuttora a seguire questo suo progetto, facendo la spola tra la patria nativa e quella d'adozione.
Per quanto ne sappiamo gode di ottima salute nonostante l'età ormai avanzata, e gli auguriamo di goderne ancora a lungo.
Le illustrazioni provengono dal libro recensito
Aggiornamento in data 17 gennaio 2014:
Hiroo Onoda si è spento ieri in un ospedale di Tokyo. Aveva chiesto di rientrare dal Brasile in patria per chiudervi la propria esistenza.