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Kirishima: Memoires d'un lutteur de sumô
Memoires d'un lutteur de sumô
Kirishima Kazuhiro
Editions Philippe Picquier, 1998
Sono pochi i sumotori che hanno deciso di scrivere le loro memorie, meno ancora quelli che hanno ricevuto il necessario consenso da parte dell'Associazione Giapponese di sumo.
Alto 187cm per un peso che non arrivava a 100kg Kirishima partiva decisamente svantaggiato in un mondo popolato di colossi pesanti mediamente 50/60kg più di lui, e arrivò a supplire con una grande dinamicità ed una tecnica sopraffina alla sua taglia relativamente ridotta, ma una serie di infortuni pose fine prematuramente alla sua carriera. Il libro venne pubblicato pochi giorni prima del suo definitivo abbandono.
Nato nel 1959 a Kagoshima, nell'isola di Kyushu all'estremo sud del Giappone, Kazumi Yoshinaga divenne nel 1975 sumotori professionista assumendo il nome di Kazuhiro Kirishima, dal nome di un celebre parco nazionale presso la sua città natale, arrivando al titolo di ozeki (grande campione) e ad un passo da quello supremo di yokozuna. Dopo il ritiro dalle competizioni, divenuto titolare di una heya (scuola) di sumo assunse come di consueto un nuovo nome: Michinoku. Venne ammesso nel 2010 nel consiglio di amministrazione della Associazione ma fu costretto a dare le dimissioni l'anno successivo, essendo rimasti coinvolti in un giro di scommesse e di incontri truccati alcuni dei sumotori appartenenti alla sua scuola. Vogliamo crederlo estraneo a questo scandalo, un suo coinvolgimento appare difficilmente compatibile con gli ideali da lui esternati in questo raro libro.
Al momento in cui decise di scriverlo Kirishima si trovava ad un punto morto della sua carriera. Avendo fallito a lungo per la sua insufficiente taglia il tentativo di arrivare in alto nel banzuke, la tabella in cui vengono riportate ed aggiornate continuamente le classifiche dei sumotori professionisti, Kirishima adottò con l'aiuto della moglie un nuovo regime alimentare che lo fece gravitare intorno ai 120 kg e potenziò la sua muscolatura, metodo allora sconosciuto nel mondo del sumo. Nel corso della sua carriera, durata 21 anni e con 127 confronti in 32 basho (tornei ufficiali tenuti ogni stagione), Kirishima disputò circa 1450 combattimenti ufficiali, oltre 3000 conteggiando anche quelli amichevoli.
In breve tempo venne riconosciuto come un grande yotsu, un sumotori che predilige le tecniche tradizionali piuttosto che affidarsi alla massa muscolare per spingere l'avversario fuori del dohyo, il cerchio di 4,55 metri in cui si svolgono i combattimenti, e come un temibile ammazza-giganti, molti dei quali vennero da lui sconfitti sollevandoli dal suolo con una presa alla cintura per depositarli oltre il limite, una tecnica (tsuri-dashi) che solo apparentemente è di pura forza.
Arrivato in età relativamente tarda al titolo di ozeki (a 31 anni, nel 1990) Kirishima subì poco tempo dopo un grave infortunio ad una gamba nel corso di un combattimento vittorioso, e praticamente non si riprese mai. Perso il titolo di ozeki in seguito a numerose sconfitte, gli venne consigliato come di consueto l'abbandono: era considerato umiliante per un grande campione tornare a combattere nei ranghi inferiori dei maegashira.
Kirishima avvertiva tuttavia il desiderio di continuare a combattere, e riteneva che il modo migliore per onorare gli ideali del sumo fosse quello di non abbandonare il dohyo finché non lo avesse abbandonato la tensione interna, che lui sentiva di avere ancora. Avvertì di conseguenza il bisogno di rendere partecipi i suoi ammiratori, ma anche i suoi detrattori, di questi suoi sentimenti, ponendo mano al libro.
Suo acerrimo rivale fu l'hawaiano Konishiki, contro cui sostenne oltre 30 combattimenti e che arrivò anchegli al titolo di ozeki senza essere mai yokozuna, vittima di una serie di infortuni. Come Kirishima, che nel libro fa rimarcare queste loro due vite parallele, decise di continuare nonostante tutto.
Purtroppo non seppe farlo con la necessaria dignità: ingrassato fino all'inverosimile, sembra che sia arrivato a pesare 285kg, Konishiki negli ultimi anni della sua carriera era conosciuto come una macchietta
Un gigante ridicolmente obeso impossibilitato dalla sua stessa mole ad avere un atteggiamento positivo nel combattimento, predestinato ad essere sconfitto ignominiosamente da chiunque.
Ci rendiamo conto delle difficoltà di Kirishima anche dalla foto di un combattimento contro Mitoizumi (entrambi erano all'epoca maegashira).
Per tre volte il gigantesco avversario spinge Kirishima sul bordo ma questi riesce a farlo cadere a sua volta, senza però che i giudici riescano a stabilire chi è uscito per primo.
Alla quarta ripresa del combattimento Kirishima solleva inequivocabilmente l'avversario in utchari e lo proietta alle proprie spalle mentre viene spinto fuori, ma i giudici ritengono che abbia toccato fuori dal bordo un attimo prima di Mitoizumi perdendo così il confronto.
Il combattimento contro Konishiki e quello contro Mitoizumi sono visibili su youtube, assieme ad altri che sono facilmente rintracciabili.
Nei due combattimenti di cui mostriamo le immagini Kirishima viene sconfitto, eppure mostra chiaramente, assieme al suo punto debole che è la difficoltà di resistere al peso preponderante della maggior parte dei suoi avversari, anche le sue grandi potenzialità. Fu l'unico sumotori mai capace di sollevare di peso Konishiki, ma in molti dei suoi combattimenti venne dichiarato sconfitto da gyoji (arbitri) e giudici incapaci di cogliere e valutare la rapidità delle sue tecniche e legati alla tradizione che nei casi dubbi dichiara perdente chi si trova in posizione difensiva. Solo il riesame dei filmati gli rende in questo caso giustizia.
Così conclude Kirishima la sua opera, circa 200 pagine di racconto ed una appendice che ne contiene grossomodo altre 50, ricca di spiegazioni e di termini tecnici:
A GUISA DI CONCLUSIONE
Lo spirito - la tecnica - il fisico
e tutta la vita di un uomo un un combattimento che dura meno di 10 secondi
Il dohyô è uno strano spazio. Questo cerchio di pressappoco quattro metri e mezzo di diametro cela in se tutte le risorse per vincere e, allo stesso tempo, altrettante trappole che portano alla disfatta. A partire dal centro, la distanza da percorrere è appena due metri e venticinque, se si viene espulsi sul lato destro. Eppure, quando si gira in cercho lungo il bordo, si può continuare all'infinito senza mai uscire. Lo spazio, per quanto sia delimitato materialmente, è allo stesso tempo infinito.
I primi fattori che condizionano l'esito del combattimento si chiamano velocità, peso, forza - in breve tutto quanto riguarda il corpo, il "fisico". E' per questo che mi sono sempre sforzato ad ogni prezzo di aumentare di peso, e ho lavorato sulla mia muscolatura per dotarmi di una riserva di potenza.
Quando due avversari si trovano alla pari per velocità e peso, è la "tecnica" che entra in gioco. Questo aspetto riposa sul movimento di base del sumo che consiste nel serrare i gomiti contro il proprio corpo, incollarsi contro l'altro in posizione bassa ed avanzare mantenendo i due piedi a contatto col suolo. Sono cose semplici che sembrano andare da sole. Ma, in realtà, non è così facile assimilare questi movimenti in maniera perfetta, fino a farne una seconda natura. Una volta passata questa fase, conviene creare il proprio stile personale di combattimento, che permette una vittoria sicura non appena si piomba nella postura che ci è propria.
Certo, è importante studiare la tecnica del proprio avversario, esaminando e riesaminando i video dei suoi combattimenti, e riflettere sulla tattica da adottare nell'assalto iniziale. Ma tutto questo non conta che fino allo shikiri, il momento di concentrazione che precede il combattimento. Dall'istante in cui l'arbitro con il suo ventaglio dà il segnale di inizio, la riflessione non è più abbastanza rapida per fronteggiare la situazione. Bisogna che il corpo reagisca spontaneamente, prima che lo spirito abbia il tempo di pensare. La durata media di un combattimento è da cinque a sette secondi. Durante questo tempo, il lottatore non respira. L'uomo che arresta il suo soffio e capace di concentrare in un lampo tutta la forza contenuta in lui.
Che succede allora quando il combattimento si prolunga e i due lottatori si imobilizzano, placcati l'uno contro l'altro? Mi domando spesso cosa guardo in quel momento. La verità è che non guardo nulla. Se i miei occhi restano aperti, il mio sguardo materialmente deve bene posarsi da qualche parte. Tuttavia, tutte le mie facoltà di percezione sono concentrate sul respiro dell'altro. Osservo il momento preciso nel ritmo della sua respirazione - quel momento decisivo quando diviene d'improvviso vulnerabile - in cui scuoterlo con la tecnica appropriata. Questo fattore temporale è difficile da rendere a parole. Anche il pensiero che vaga nello spirito è troppo lento. Non c'è spazio per pensare. Nell'istante stesso che si sente il momento venire - o piuttosto, un lampo di tempo prima di questo istante - il corpo deve reagire.
Se il "fisico" e la "tecnica" sono allo stesso livello nei due protagonisti, allora è lo "spirito" che interviene. Nella pratica, non esiste in generale disparità fisica o tecnica importante tra campioni affermati. Nella lotta tra due avversari di forza paragonabile, quello che fa la differenza tra il cielo e la terra non può provenire che dalla loro energia morale, dalla loro combattività e dalla loro sete insaziabile di oltrepassarsi. Quando l'energia è al suo parossismo, il corpo dell'avversario appare molto piccolo. La durata dello shikiri, questo rituale di preparazione al combattimento, sembra stranamente breve. Se, durante questi preparativi, si ha coscienza nel fissare l'altro di volerlo dominare o di sentirsi turbato dal suo sguardo, lo stato spirituale non può essere definito soddisfacente. Quando ci si trova al summum della propria forza spirituale, non si fa che contemplare l'avversario avvolgendo in uno sguardo di assieme il suo corpo. A colui che arriva ad assorbirlo in se globalmente, in tutto il proprio essere, come facente parte di se stesso, la vittoria è concessa in anticipo in questo istante preciso.
Una lotta che non dura nemmeno dieci secondi, che si svolge in uno spazio che non misura nemmeno cinque metri... Ma questo combattimento simbolizza la vita intera del lottatore, in questo spazio che cristallizza il lungo cammino che ha percorso per arrivare fin là. Gettando uno sguardo indietro sulla mia carriera, sento sempre più intensamente che il dohyô è uno strano spazio.
Tokyo, autunno 1996
Kirishima afferma in questo suo testo che la spinta definitiva nel prendere e mantenere la decisione di continuare i combattimenti gli venne dalle numerose lettere che gli pervenivano da ogni parte del Giappone, assieme all'apprezzamento del pubblico che divenne più convinto e sostenuto proprio quando lottava per sottrarsi alla sconfitta e non più per conquistare il titolo di campione supremo (yokozuna).
Ritiratosi a 37 anni, mentre molti sumotori abbandonavano intorno ai 25, Kirishima divenne un simbolo ed un esempio da seguire per molti giovani che faticavano a trovare validi motivi per tentare di farsi strada in un mondo ostile e per tutte le persone travolte dalle crisi economiche che si trovavano di nuovo in età matura a lottare per un dignitoso posto di lavoro.
La lettera che lo colpì maggiormente tuttavia gli venne inviata da un uomo che lottava contro un male incurabile:
«Il male si propaga nel mio corpo di giorno in giorno, e può darsi che questa lettera sia l'ultima che sono capace di scrivere. E' per questo che, finché mi è ancora possibile farlo, vorrei inviarvi queste parole per testimoniarvi la mia riconoscenza. Voi mi avete apportato una enorme quantità di coraggio per vivere. Lasciate che io vi ringrazi.»