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Yoji Yamada: 2006 - Love and honour

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Yoji Yamada è un regista di lungo corso. Nato nel 1931 ha diretto la più lunga serie di film mai prodotta, la saga del vagabondo Tora-san, di ambientazione moderna, che si è articolata nella bellezza di 48 film usciti tra il 1969 e il 1995, venendo interrotta solo con la morte dell'attore che interpretava il protagonista, Kiyoshi Atsumi, inscindibile dal personaggio. In occidente ha avuto meritata per quanto tardiva notorietà con il film Tasogare seibei (Il samurai crepuscolare). Minore interesse ha riscontrato The hidden blade del 2004, è passato praticamente inosservato Love and honour uscito nel 2006. Utilizziamo i titoli originali o inglesi, per quanto ne sappiamo questi film non vengono distribuiti in Italia (sono tuttavia facilmente reperibili on line). Andiamo ora a vedere se Love and honour meriterebbe maggiore attenzione; almeno quella dedicata al suo poster, indubbiamente d'effetto quindi ripubblicato ovunque. Perlopiù a sproposito.

 

 

 

 

 

 

 

E' evidente che Yoji Yamada, come dimostra già la sua interminabile serie Tora-san, ama ritornare sugli stessi argomenti e sugli stessi temi. Le opere di ambientazione jidai da lui dirette, come anche probabilmente molte delle sue numerose sceneggiature, trattano del destino di esseri umani trattati ingiustamente dalla società e dal destino.

Non sempre serve a dar loro maggiori possibilità di successo la formazione marziale tipica del samurai, invariabilmente infatti sarà uno di loro il protagonista. La disciplina e il senso dell'onore saranno sempre però le chiavi per la salvaguardia della sua dignità.

Tratto da una novella di Shûhei Fujisawa (1927–1997) come i due precedenti il film narra la sfortunata vicenda del samurai Shinnojo Mimura (Takuya Kimura) e della moglie Kayo (Rei Dan).

Shinnojo è uno dei tanti samurai al servizio di un feudatario, che ha ricevuto un incarico formale tale da giustificare il suo stipendio non altrimenti motivabile. Era infatti proibito alla classe guerriera ogni genere di lavoro, quindi potevano mantenersi solo se assunti da un feudatario, con mansioni generiche che esulavano dalla loro formazione marziale.

Infatti essendo estremamente raro nel periodo della pax Tokugawa (1603-1866) che si dovesse ricorrere alle arti guerriere dei samurai ed essendo loro interdetto un lavoro vero e proprio il servizio presso il daimyo spesso si limitava oltre all'assegnazione dello stipendio al disbrigo di futili incombenze ordinarie, quando non impegnati nel costante allenamento marziale.

Il lavoro di Shinnojo è tuttaltro che gratificante, come infatti confida a Kayo, e vorrebbe trovare il modo di cambiare. Ha l'incarico di assaggiare il cibo che viene preparato per il suo signore, ma non ha alcun contatto con lui come si sarebbe portati a pensare.

Non è mai al suo cospetto, attende che vengano portate le vivande in un locale accanto alla cucina, esprime il suo parere ed è tutto. Il cibo viene poi portato da altri nella sala da pranzo, dove lui non ha accesso. Un compito del tutto insignificante e privo della dignità dovuta a ogni guerriero.

L'accurata ricostruzione dell'ambientazione e dei costumi dell'epoca, dovuti alla costumista Kazuko Kurosawa, figlia del grande Akira Kurosawa e la fedele esecuzione del complesso cerimoniale feudale sono sicuramente interessanti per il cultore della tradizione giapponese.

Dopo l'assaggio del cibo da parte degli incaricati del servizio essi vengono portati nell'anticamera della dimora del signore, dove vengono presi in consegna da alcuni samurai della scorta, che attendono impassibili in posizione formale, indossando la tenuta classica del samurai: i larghi pantaloni da cavallo, hakama, e la caratteristica sopravveste dalle ampie spalle, il kamishino.

 

Saranno loro a recare al feudatario, sempre seguendo un preciso cerimoniale, il cibo di cui si è appena assicurata la sicurezza.

Anche in questi momenti di relativo rilassamento egli è seguito come un'ombra dal giovane attendente che reca la sua spada, tenuta dritta in posizione verticale, e mantiene la sua compostezza.

 

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