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Seppuku. Alias Harakiri - Periodo post Edo
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Il Periodo post-Edo
Come detto in precedenza, con il periodo dello shogunato Tokugawa, iniziato ad opera di Tokugawa Ieyasu (1543-1616), l’epoca delle grandi guerre cessò e il Giappone fu unificato e pacificato. La pratica del seppuku non fu più ufficialmente supportata e qui esiste una contraddizione visto che fu proprio in questo periodo che il seppuku conobbe la sua regolarizzazione. Per la precisione la pratica di seguire il proprio padrone commettendo suicidio volontario non fu più supportata, ma il seppuku imposto fu ancora largamente praticato (si veda l’episodio dei 47 ronin del 1710). La pratica del seppuku non fu infatti ufficialmente bandita, la responsabilità e le consequenze furono riportate a livello dei signori che non avevano vigilato con sufficiente solerzia, colpa che ricadeva anche sui figli e successori.
Nell’editto Buke Shohatto del 1663 fu infatti sentenziato come segue:
"Che l'abitudine di seguire un maestro nella morte sia sbagliata e non redditizia è una precauzione che a volte è stata data in passato; ma, a causa del fatto che non è stato effettivamente proibito, il numero di coloro che si tagliano il ventre per seguire il loro signore nella sua morte è diventato molto grande. Per il futuro, per quei servitori che potrebbero essere animati da tale idea, i loro rispettivi signori dovrebbero intimare, costantemente e in termini molto forti, la loro disapprovazione dell'usanza. Se, nonostante questo avvertimento, si dovesse verificare qualsiasi caso della pratica, si riterrà che il defunto signore abbia avuto la colpa per la mancanza di leggerezza. D'ora in poi, suo figlio e il suo successore saranno ritenuti colpevoli di incompetenza, poiché non hanno impedito i suicidi "
(traduzione dal giapponese forse imprecisa)
Prima del 1663 si era tentato di scoraggiare tale pratica anche con i decreti dello shogunato del 1603, 1629 e 1635. Tale decreto fu sostanzialmante riproposto negli anni successivi, nel 1683 e 1710, ma cambiando solo la forma e non la sostanza e come semplice richiamo burocratico.
La pratica continuò quindi senza troppi sconvolgimenti fino alla restaurazione Meiji e fu ufficialmente abolita nel 1868 dal governo imperiale. Lo shogunato Tokugawa infatti smise di essere il regolatore della società nipponica e l’ultimo shogun, Tokugawa Yoshinobu (1837-1913), rassegnò le dimissioni nel 1867 rimettendo il potere nelle mani dell’imperatore Mutsuhito (1852 - 1912).
Le ragioni che portarono a queste dimissioni e alla successiva guerra di Boshin (1868-1869) vanno oltre questo spazio, ma l’accaduto deve essere menzionato perché nel 1877 portarono Saigo Takamori (1828-1877) a commettere seppuku.
Saigo Takamori fu in un primo momento l’intransigente difensore del potere e della restaurazione imperiale che, a seguito delle dimissioni di Tokugawa Yoshinobu, chiese con insistenza che tutti i possedimenti e lo status della famiglia Tokugawa fossero confiscati, divenendo una delle cause dello scontro.
In seguito Takamori divenne uno dei piu’ agguerriti oppositori della restaurazione quando fu chiaro che questa non andava a favore del giappone nelle mani dell’imperatore ma veniva guidata da burocrati e corrotti ammaliatori del giovane Mutsuhito.
Dopo questo periodo non si hanno notabili comparse del suicidio assistito, imposto o volontario se non quella volontaria del generale Nogi Maresuke (1849–1912) e di sua moglie Nogi Shizuko (1859–1912) che commisero seppuku alla morte dell’imperatore Mutsuhito, riproponendo la tradizione samurai di seguire il proprio padrone nella morte, junshi (殉死). Nella sua lettera d’addio il generale chiese perdono per tutti i morti dell’assedio di Port Arthur (1904-1905) durante la guerra Russo-Giappones e per espiare donò anche il suo corpo alla scienza.
Il suicidio rituale, seppur non nella forma che abbiamo visto fino a questo momento, tornò prepotente, normale, presente e quotidiano durante la seconda guerra mondiale allorquando il Giappone imperialista si riaffacciò alle cronache mondiali con le speciali unità di attacco aereo denominate kamikaze (神風) o “vento divino”. Il Giappone, il suo imperatore, il desiderio della sconfitta del nemico a tutti i costi, fecero conoscere al mondo questa follia ufficializzata dove gli uomini in armi si suicidavano non con il tantō ma con gli aerei, schiantandosi contro gli obiettivi nemici, portando nell'aldilà il numero piu’ grande di nemici possibile.
Il rituale pre-suicidio esisteva anche qui, pronunciando il funerale prima di alzarsi in volo con i loro aerei, portando la fascia del giappone imperiale sulla testa.
Con il finire della Seconda Guerra Mondiale possiamo riportare due casi di seppuku sicuramente di primo piano per il ruolo ricoperto dagli autori:
- Korechika Anami (1887–1945), generale dell’esercito imperiale giapponese. Quando l’imperatore Hirohito ordinò la fine della guerra il 14 Agosto 1945, e dopo essere stato tentato a firmare contro il decreto imperiale, egli disse: "Come soldato giapponese, devo obbedire al mio imperatore”. Firmò il documento di resa e il giorno dopo si suicidò imponendosi il seppuku. Nel suo biglietto di addio scrisse: “Con la mia morte mi scuso umilmente con l’imperatore per il grande crimine”
- Takijirō Ōnishi (1891–1945) ammiraglio della flotta imperiale giapponese che divenne noto come il padre dei kamikaze. Si suicidò anche lui dopo la firma del decreto di resa del Giappone, il 16 Agosto. Nel suo biglietto di addio chiese scusa per aver mandato al suicidio più di 4000 piloti kamikaze, a loro e alle loro famiglie. Spronò i sopravvissuti all’impegno per la ricostruzione del Giappone e della pace e come ammenda per i suoi peccati rinunciò al kaishakunin.
Nulla o quasi a riguardo alla ribalta delle cronache in un Giappone ormai modernizzato. Ma due casi, tra tutti quelli sottotono e non conosciuti, sono sicuramente da riportare: Yukio Mishima e Isao Inokuma.
- Yukio Mishima (1925–1970), pseudonimo di Kimitake Hiraoka, scrittore giapponese, fu forse l’ultimo caso di un giapponese a commettere seppuku a seguito del contrasto provato nei confronti dell’occidentalizzazione del suo paese, inneggiando ai valori patriottici, allo spirito del Giappone e alla sua cultura, raggruppati nella figura dell’imperatore non come personaggio politico ma come collante del popolo giapponese.
Il 25 Novembre 1970, Yukio Mishima e i suoi quattro fedelissimi del gruppo Tate no Kai (楯の会 o 楯の會) occupò le sale del quartier generale del Ministero delle Forze di Auto-Difesa incoraggiando le forze armate ad un colpo di stato per ripristinare gli autentici valori della tradizione giapponese.
Dopo il discorso e il fallito colpo di stato, Mishima commise suicidio tramite seppuku nell’ufficio del generale Kanetoshi Mashita. Mishima aveva scelto come secondo, kaishakunin, Masakatsu Morita, ma questi fallì per ben due/tre (?) volte nel decapitare il suo maestro, nervoso forse per la giovane età o forse per il fatto che i due erano amanti (voci non confermate). Hiroyasu Koga, un ex professionista di Kendo e componente dell’associazione, intervenne e decapitò finalmente Mishima. Morita per la vergogna decise di commettere seppuku anchegli e il ruolo di kaishakunin fu questa volta di Koga.
Un altro caso ancora più recente deve essre menzionato.
- Isao Inokuma (1938–2001) sembra sia stato l’ultimo a commettere seppuku secondo i riti tradizionali.
Fu un famoso judoka giapponese e vinse l’oro nella sua categoria alle olimpiadi di Tokyo quando il Judo fece la sua prima comparsa alle olimpiadi grazie alla indefessa opera del suo fondatore Kanō Jigorō (嘉納 治五郎, 1860 –1938).
Dopo essere stato diversi anni campione di judo e membro delle forze di polizia, Isao si dimise e si unì ad una azienda di costruzioni pur continuando ad essere un membro di rilievo delle IJF (international Judo Federation), istruttore della Tokai Univeristy e coach del futuro campione di judo Yasuhiro Yamashita (ormai ritirato imbattuto e anch’egli istruttore alla Tokai University, IJF e All Japan Judo Federation).
Forse a causa di problemi economici della sua azienda Isao si suicidò nel 2001.
Casi di interesse storico
Altri casi fino a qui non menzionati o forse di sfuggita, e non considerando i suicidi di massa avvenuti nel tempo, sono i seguenti:
- Oda Nobunaga (1534–1582), il primo dei tre grandi unificatori del giappone con Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu, commise seppuku per sottrarsi all'agguato tesogli da Akechi Mitsuhide, suo ex-fedelissimo, durante il cosidetto incidente di Honno-ji.
- Toyotomi Hidetsugu (1568–1595), nipote di Toyotomi Hideyoshi, fu accusato di atrocità e tentato colpo di stato. Gli fu imposto il seppuku pur essendo nipote del dittatore. Anche la sua famiglia intera compresi i bambini fu giustiziata. Questo fu anche un duro colpo al prestigio del clan Toyotomi, specialmene dopo la morte di Hideyoshi tre anni dopo (1598).
- 46 dei famosi 47 Ronin (1703) furono condannati a commettere seppuku dopo aver vendicato il proprio padrone Asano Naganori (1667 –1701) che commise a sua volta suicidio dopo aver ferito al volto , gravissima violazione dell'etichetta di corte, Kira Yoshinaka (1641 –1703) da cui era stato ripetutamente offeso. Anche se Asano ordinò ai suoi fedelissimi di non procedere con azioni di rappresaglia, questi, guidati da Oishi Kuranosuke (1659 –1703), aspettarono, pianificarono e misero in atto la vendetta dopo due anni dalla morte del loto padrone. Dopo essersi consegnati alle autorità, fu loro ordinato di commettere seppuku, ricevendo in tal modo l’onore che loro spettava visto che unanimamente si approvava la loro vendetta ma formalmente doveva essere condannata. Tutti ottemperarono e solo uno fu risparmiato, Kichiemon Terasaka (1747), per la sua giovanissima età, al quale fu imposto di scrivere della vicenda e tramandare il ricordo affinché nessuno dimenticasse. Alla sua morte fu anche lui sepolto presso Senkaku-ji, assieme ai suoi compagni.
(chi volesse approfondire la vicenda può leggere qui)
Il suicidio in Giappone oggi
Per quanto abolito, proibito e non più pratica di consuetudine, essendo stata abolita anche la casta dei samurai fin dal 1873 e interdetto il porto di katana, wakizashi e tantō, il seppuku è ancora visto come pratica di coraggio, onore e sacrificio.
Ma è ormai presente solo come retaggio culturale anche se il Giappone sembra sia la “nazione dei suicidi” (vedi anche qui ad esempio). Il suicidio tramite sventramento rappresenta una minima percentuale per lo più finendo in tentato suicidio, preferendosi oggigiorno altri modi più moderni per togliersi la vita (suicidio dai ponti o da palazzi, droghe, gas tossici, colpo alla tempia con pistole, ecc.) e per i piu’ svariati motivi (onore, amore, responsabilità, malattie mentali, troppo lavoro, disgrazie economiche o culturali, ecc.).
“La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre”
(dal poema di morte di Yukio Mishima)
pubblicato il 20200906