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Il salice di Kyoto

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Sintesi e sincretismo nella Tradizione Giapponese

Di Lorenzo Casadei

In Giappone si ritiene che animali, piante e perfino pietre abbiano un’anima. Secondo un’antica dottrina shintō, un essere divino può emanare parti di sé, producendo i così detti waki-mi-tama, "spiriti separati". Il kami dell’albero, chiamato kino o bake, può talvolta uscire dalla pianta, che rimane immobile e immutata, e andare errando assumendo, come nel caso che dovremo studiare, la forma di una bellissima donna. In condizioni normali, se qualcuno si avvicina allo spirito dell’albero, immediatamente esso si ritrae nel tronco o nel fogliame. E così si crede che se un vecchio yanagi (un salice) o un giovane enoki (fungo) vengono estirpati, del sangue sgorghi dalle loro ferite.

La più bella leggenda sullo spirito di un albero è forse quella del salice di Kyōto. Ne esistono molteplici versioni, discordanti in alcuni punti. Di seguito riprenderemo, quasi integralmente, la sua prima e forse unica traduzione in italiano, ad opera di Mary Tibaldi, pioniera della letteratura fantastica "per l'infanzia" estremo orientale, con qualche adattamento. Solo in un secondo tempo evidenzieremo le discordanze con altre versioni.

Viveva un tempo a Kyōto un samurai chiamato Matsuidaira: nel suo giardino cresceva un salice bellissimo, dai molli rami ricadenti, folti di foglie di un soave grigio argenteo. Ora avvenne che la moglie del samurai si ammalò senza alcuna causa apparente, di un morbo misterioso, e poco dopo il suo figlioletto, correndo nel giardino, cadde, fratturandosi una gamba.

Matsuidara fu preso da inquietudine e si chiese se a volte quelle disgrazie non potessero provenire da un'ostilità del salice e del suo spirito. Così risolvette di farlo abbattere, sebbene amasse molto quell'albero. Confidò il suo proposito al suo vicino e amico, il samurai Inabata. Ma Inabata lo dissuase, dicendogli:

- Non abbattere quest'albero così bello! Piuttosto vendimelo: lo farò trapiantare nel mio giardino. Senza dubbio il salice ha uno Spirito; sarebbe crudele distruggere la sua vita.

Matsuidara accettò e Inabata con ogni cura fece trapiantare l'albero nel proprio giardino. Nel nuovo giardino il salice attecchì, prosperò e moltiplicò i suoi rami penduli dalle foglie d'argento. Inabata era un uomo chiuso e schivo, e viveva solo. Una mattina, scendendo in giardino, ebbe la sorpresa di vedere, appoggiata al tronco del salice, una giovane donna di meravigliosa bellezza, dai capelli di un nero di lacca lucente e dal volto di un pallore d'argento, di un ovale purissimo.

Senza chiedersi come mai ella avesse potuto penetrare nel giardino (il cancello era chiuso), il samurai salutò la miseriosa ignota, che rispose amabilmente al suo saluto. Egli la pregò di voler favorire del tè nella sua modesta dimora. La grazia incantevole della sconosciuta lo aveva conquistato,  e così la pregò di sposarlo. Ella acconsentì, e i due vissero insieme nella pace e nell'armonia. Qualche tempo dopo la casa dei due sposi fu allietata dalla nascita di un bel bambino, che ebbe nome Yanagi, il salice.

Trascorsero cinque anni felici. Ma ecco che nel tempio Sanjusangendo - il tempio di Kyōto che racchiude trentamilatrecentotrentatré statue di Kannon, il Buddha della compassione - un pilastro crollò. Il Signore di Kyōto consultò i sacerdoti ed essi convennero nel consigliare il legno di un salice alto e vigoroso per la riparazione, [come si vedrà la cosa appare bizzarra poiché il legno di salice è notoriamente poco adatto a simili impieghi].

Il daimyō ordinò ai sacerdoti di cercare l'albero adatto ed essi gli segnalarono il salice di Inabata. Andò quindi a vederlo e comunicò al samurai che l'albero doveva essere abbattuto per essere trasportato al tempio. Inabata si sentiva molto triste all'idea di perdere il suo albero, il più bell'ornamento del suo giardino, ma non poté che inchinarsi alla volontà del suo signore. Quando questì se ne andò, la sposa di Inabata si avvicinò al marito con gli occhi umidi di pianto e gli disse con infinita tristezza e profonda tenerezza:

- Debbo farti una confessione, o mio signore. Tu hai avuto la delicatezza di non chiedermi mai come ero giunta qui e io avrei voluto serbare il segreto per sempre... Ma ora non è più possibile. Tu devi sapere. Io sono lo Spirito del salice. Quando tu salvasti l'albero dalla minaccia di Matsudara, che voleva abbatterlo, provai per te un'immensa gratitudine. E quando tu mi accogliesti nel tuo giardino, la mia riconoscenza si accrebbe ancora. Ci siamo sposati, abbiamo avuto un bambino... Ma ora devo abbandonarvi poiché tu non devi disobbedire agli ordini del tuo signore. Ti lascio il meglio di me stessa, il piccolo Yanagi. Continua a volergli bene. [...]

Inabata, sbigottito e sgomento, tentò invano di trattenerla, serrandola tra le braccia, ma ella gli disse addio e svanì entro il salice. Allora il samurai, disperato, corse a supplicare il daimyō, di risparmiare l'albero magico. Ma il principe, temendo di dispiacere ai monaci, per quanto dolente, rifiutò. L'indomani giunsero i boscaioli con le scuri per abbattere il salice. Ai colpi pesanti il samurai credette di sentirsi spezzare il cuore. [...] Poco dopo il salice giaceva a terra, schiantato.

Ora si trattava di issarlo sul carro trainato da buoi che doveva trasportarlo al tempio. Ma ecco che l'albero resistette a ogni tentativo che i boscaioli presenti fecero per smuoverlo. Era diventato così pesante che venti, cinquanta, cento uomini non riuscivano a sollevarlo. I monaci, informati, si recarono di persona nel giardino di Inabata, seguiti da un immenso stuolo di fedeli. Una grossa fune fu attaccata saldamente al salice e trecento uomini si misero a tirarla. ma l'albero rimaneva immobile al suolo. Allora il piccolo Yanagi si avvicinò al salice, ne accarezzò il fogliame d'argento, poi, prendendo un ramo nella sua manina, mormorò all'albero:

-Vieni...

E l'albero alla dolce preghiera del bambino si mosse e, strisciando sul terreno con un fruscio di foglie che pareva un sospiro, lo seguì dolcilmente fino al cortile del tempio.

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