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Programmare l'arte

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Quanto segue non è la risposta ad alcuni articoli recentemente pubblicati che parlano del programma di esami adottato dall'Aikikai d'Italia, ma ne tiene comunque conto. Ne tiene conto perché lì sono state fornite ricostruzioni e spiegazioni che partendo da una mancata conoscenza dei fatti portano a conclusioni incongrue. Ma non vi risponde: perché la nascita di questo articolo e le sue motivazioni seguono una logica diversa: dare semplicemente testimonianza ai praticanti, da parte di testimoni diretti, di quanto avvenuto in passato.

 

 

 

L'esigenza di testimoniare è nata in tempi pressoché coincidenti nell'autore di questo scritto e in Yoji Fujimoto sensei, scomparso il 20 febbraio 2012. E non - o non solamente - perché una infausta diagnosi faceva temere quanto poi sarebbe successo di lì a non molto.

Tento di ricostruire il senso del suo pensiero, difficilmente esprimibile letteralmente poiché le discussioni si sono protratte per diverso tempo, e avremmo desiderato che si prolungassero per sempre, ma hanno seguito perlopiù modalità non facilmente trasmissibili. Furono composte essenzialmente di taciti assensi e di coincidenze ed armonie di stati d'animo, tralasciando tutto quanto potesse dare il sospetto di carta da bollo.

Era ferma convinzione di Fujimoto sensei che il compito dei maestri fosse di accompagnare i loro discepoli lungo la via, per poi farsi da parte al momento opportuno per permettere o addirittura provocare se necessario una ulteriore crescita che non fosse più dipendente da fattori esterni. Nemmeno quelli più graditi o ricercati, come la disponibilità di un maestro che indicasse passo passo la via da seguire.

Questo non significava ovviamente scomparire dalla vita dei propri discepoli, ma disegnare per se stessi un ruolo diverso, forse ancora più importante ma meno legato alla trasmissione materiale di nozioni tecniche. Additava ad esempio il sistema in uso nell'Hombu Dojo, ove gli shihan arrivati ad una determinata età abbandonano gran parte dei loro incarichi e delle loro attribuzioni, divenendo parte di quello che con parole moderne attinte dal mondo degli affari definiremmo un team di consulenti esterni, ma che nel mondo della tradizione chiameremmo Consiglio degli Anziani. Permettono così, e solo così è possibile permettere, la crescita di nuovi shihan che prendano il loro posto nel momento più opportuno per maturare, senza costringerli ad attese controproducenti per volontà di conservare il proprio potere.

Fujimoto sensei, anchegli Hombu Dojo shihan, è giunto in Italia all'età di 23 anni (Hosokawa sensei a 32), e immediatamente ha rivestito ruoli di grande responsabilità. Arrivato non lontano dalla età in cui si rende necessario trasmettere ad altri la propria missione venne dolorosamente colpito dalla vicenda di Hosokawa sensei, costretto come altri insegnanti prima e dopo di lui ad abbandonare in circostanze drammatiche l'insegnamento dell'aikido. Decise allora di programmare la sua successione, e trovandosi all'inizio di uno dei cicli umani settennali descritti dalle tradizioni ancestrali (non solo giapponesi) ne fissò la conclusione per l'inizio del ciclo successivo, non appena superata la fase critica che coincide con la fine di ogni ciclo. Questa sua intenzione di assumere un ruolo diverso, che mi permetto di definire più alto, non era stata compresa da tutti, e ci fu chi pensò trattarsi di un proposito di abbandono. Purtroppo le previsioni più pessimistiche di Fujimoto si dimostrarono pienamente fondate quando gli venne diagnosticata una malattia che lasciava scarsi margini di speranza.

Il nostro riavvicinamento fu di poco anteriore. Non c'era mai stata una separazione volontaria, diciamo che i casi della vita ci avevano portato ad agire su territori differenti, ma in occasione della mia richiesta di un approfondimento sulle modalità di ricezione dei diplomi dell'Hombu Dojo Fujimoto manifestò il piacere di poter parlare di argomenti importanti, da trasmettere ai più giovani, assieme a una persona con cui aveva condiviso gran parte del cammino. Restò tacitamente inteso che ci saremmo cercati più spesso ed avremmo trovato il modo di scambiarci opinioni sul modo migliore per comunicare quanto più possibile di quello che ci era stato insegnato, per poi poter serenamente fare un passo indietro.

Chi lo ha seguito ha sicuramente notato l'intensità con cui Fujimoto ha voluto trasmettere i suoi ultimi insegnamenti, ed alcuni hanno anzi fatto notare - scherzosamente, quasi ad esorcizzare i timori che ognuno nutriva dentro di se -  che se non fosse stato in precarie condizioni di salute nessuno sarebbe tornato vivo dai suoi seminari.

D'altra parte in questi ultimi due anni il tempo era diventato prezioso più dell'oro, sia per chi trasmetteva il sapere sia per chi voleva riceverlo, ma il maestro ha accettato il suo destino con grande serenità, senza nulla celare e continuando incessantemente ad incitare chi gli stava intorno, con la sua ben nota inflessibilità ma anche con grande buonumore e con estremo garbo. I soli momenti in cui mi ha confidato di essere dispiaciuto furono quando veniva colto dal timore che le persone da lui maggiormente spronate e talvolta rimproverate, che erano quelle a cui teneva particolarmente, non comprendessero le sue motivazioni.

Personalmente credo che il comportamento solare del maestro abbia dissipato i dubbi di ognuno, se e quando c'erano.

Ha voluto dare tutto di se stesso fino alla fine. Il suo ultimo seminario si è tenuto nel novembre 2011, e potete leggerne altrove la cronaca.

Ripropongo qui una foto: quella che ferma l'attimo in cui Fujimoto sensei ha dovuto interrompere il suo insegnamento materiale. L'ultima tecnica mostrata, sorridendo come di consueto, durante quell'ultimo seminario.

Va ricordato comunque che anche nel successivo seminario di dicembre, pur impossibiltato a dare lezione e visibilmente sofferente, il maestro ha voluto essere presente sul tatami per consegnare i diplomi di grado dan e sostenere di persona le sessioni di esame.

La mia funzione fu a volte quella di stimolo per il suo insegnamento; talvolta il maestro si riallacciava ai nostri comuni ricordi chiedendomi conferme, precisazioni o pubbliche testimonianze. Talvolta ero io a a richiedere chiarimenti sulle origini- o sulle motivazioni almeno - di questo o quello, a volte ricevetti sue richieste di suggerimenti su come affrontare questo o quell'argomento.

Senza quasi che ce ne accorgessimo, se non dagli sguardi un po' stupiti degli altri, accadde che le sempre più frequenti chiamate mi obbligassero a spostarmi spesso dal lato kamiza, accanto al maestro, per essere sempre a portata di mano. Spero che nessuno se ne sia avuto a male.

Uno degli argomenti che stavano maggiormente a cuore a Fujmoto sensei, e che sento di conseguenza di dover trasmettere anche a chi non ha assistito ai suoi seminari, è quello della nascita del Programma di Esami dell'Aikikai d'Italia.

Non è sicuro che ve ne saranno altri: ove avvertissi il rischio di travisare il pensiero del maestro preferirò piuttosto tacere.

 

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