Randori

Quattro chiacchiere con Paolo Bottoni

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Quando ci si propone nelle vesti di insegnante è doveroso presentare se stessi ed il proprio curriculum, senza nulla celare. Costituisce oltretutto una elementare e dovuta forma di cortesia. Piuttosto che imporre d'autorità una autopresentazione preferisco però ricorrere alla intervista che alcuni anni fa mi è stata richiesta per il sito del suo dojo Shizentai dall'amico Fiordineve Cozzi. L'ho conosciuto molto tempo fa quando era ancora un bambino - o forse poco più - che razzolava dietro al maestro Hosokawa ogni volta che questi affrontava il lungo e scomodo viaggio per portare il suo insegnamento nella lontana zona al confine tra Basilicata e Calabria. Le domande di Fiordineve coincideranno più probabilmente con le vostre curiosità, se ce ne sono. Come detto sono passati alcuni anni dall'intervista: ma non sono cambiato di molto (del resto non è cambiato granché nemmeno il resto del mondo). Ho integrato qua e là segnalandolo tra parentesi quadre.

P.B.

 

Forse non tutti i nuovi aikidoisti conoscono Paolo Bottoni, ma per i veterani come me è uno di quei rari nomi che immediatamente si associano ai primi passi dell'Aikikai di Italia. Basterà sfogliare una delle tante riviste "Aikido"per imbattersi nei suoi numerosi e preziosi articoli. Il suo contributo in tanti anni ha regalato a tutti gli associati dell' Aikikai d'Italia numerosi articoli di cultura giapponese, e brandelli di ricordi della nascita della associazione e dell'impegno di quei tenaci pionieri, "maestri ed allievi" che le diedero vita. Schivo e riservato ha lasciato parlare tutti attraverso la sua penna, ora sarà la nostra a lasciare parlare lui. Un Aikidoista amabile e meritevole a cui tutti riconosciamo stima e gratitudine.

Tempo fa gli ho chiesto di rilasciarmi una breve intervista ed egli cortesemente dopo mia insistenza ha acconsentito. Per chi non avesse inquadrato il personaggio provate a ricordare il viso di quel yudansha che ad ogni stage dei maestri [adesso va corretto in ogni tanto] gira educatamente ai margini del tatami con in mano una enorme macchina fotografica, "ma sempre e solo per richiesta esplicita degli stessi maestri"

Fiordineve Cozzi

 

Paolo, Dove sei nato?

Sono nato a Roma nel 1949, e a Roma sono rimasto praticamente i primi 40 anni della mia vita; la seconda parte è decisamente più randagia, vivo da 20 anni all'estero [dal 1988] anche se i miei legami con Roma sono indissolubili; sempre più spesso gli amici mi dicono "ma stai ancora qua?".

Quale è il tuo grado attuale dell'aikido, dove e quando lo hai conseguito.

Il grado attuale ha poco senso per comprendere il percorso di un praticante; una brevissima scheda: ho iniziato aikido il 26 ottobre del 1974. E non fate quella faccia: lo sanno tutti che ho una memoria micidiale e bisogna farci attenzione [e poi basta controllare la data nel mio libretto blu]. Ma ne riparleremo. Nel 1980 ho conseguito lo shodan con il maestro Fujimoto, seguirono nell'82 il nidan con il maestro Hosokawa e nell'86 il sandan ancora con lui. E' arrivata poi una lunga parentesi di impegni professionali e familiari che mi hanno impedito di proseguire nel cammino. Ma il richiamo della giungla era troppo forte: ricominciai. Nel 98 ricevetti lo yodan dal maestro Seichi Sugano, nel luglio 2008 il godan dal maestro Hiroshi Tada.

Quando hai sentito per la prima volta parlare di arti marziali?

Negli anni sessanta si parlava molto di arti marziali, ma la "scelta" era limitata al judo ed al karate. Mi affascinavano ma mi intimorivano, e probabilmente entrambe le sensazioni derivavano dalle notizie - poche ma in compenso molto confuse - che mi arrivavano nonché dai voli pindarici che ci ricamavo sopra nella mia immaturità.

Nel 1965 il gruppo cui partecipavo per le attività in montagna aprì una sezione arti marziali, e aumentarono di colpo sia le notizie che la confusione. Finalmente, incaricato di presidiare una volta a settimana il Ueshiba Morihei Dojo, il primo dojo [esclusivamente] di aikido aperto in Italia, feci la conoscenza non solo con l'aikido ma con una persona che lo incarnava e lo rendeva allo stesso tempo tangibile ed irraggiungibile: il maestro Hiroshi Tada, da poco arrivato in Italia.

Chi è forte in matematica si sarà già fatto i suoi conti: avevo da poco compiuto 15 anni ed il maestro, che ne aveva 35, era in un certo senso all'apice del suo percorso "materiale" nell'aikido. Ha poi continuato a crescere, ininterrottamente, ma su un cammino diverso da quello che seguiva all'epoca, ed indubbiamente più alto. Ciò non toglie che fosse assolutamente necessaria questa fase precedente, cui ho avuto il privilegio di assistere. Impressioni? Ne rimasi folgorato: sto ancora togliendomi le ceneri di dosso....

Come è stato il primo incontro con l'aikido?

Me ne parlarono, a lungo. E più andavano avanti, meno ne capivo, per non parlare dei tragicomici tentativi di dimostrazioni pratiche. Finalmente, non ricordo nemmeno in quale occasione, mi portarono a via Ascianghi, ai margini del vecchio quartiere romano di Trastevere. Lì vicino c'era l'edificio che ospitava da secoli la Manifattura Tabacchi, e lì c'erano i locali del dopolavoro dei Monopoli di Stato, che alcuni anni dopo vennero messi sul mercato. Il cinema che si trova al piano terra venne acquistato dal regista Nanni Moretti per farne un cineclub, la palestra si trovava invece al sotterraneo, con l'ingresso da un cancelletto che si trovava dal lato dell'arena all'aperto. Qualche anno dopo ci avrei anche insegnato, sia pure occasionalmente. Ora non so che uso ne venga fatto

All'epoca veniva utilizzato come club di judo dei Monopoli, e aveva ospitato i primi corsi regolari di aikido in Italia, su iniziativa di Danilo Chierchini che era dirigente e praticante di judo. Gli insegnanti erano la signora Haru Onoda, ex segretaria particolare del maestro Morihei Ueshiba e che credo avesse il grado di shodan, e più tardi Motokage Kawamukai, che aveva all'epoca circa 18 anni. Pochi mesi prima (autunno 1964) su proposta di Kawamukai e con l'avallo del maestro Hirokazu Kobayashi, di passaggio a Roma per una sorta di "ispezione", era stato invitato a trasferirsi a Roma per aprirvi un corso regolare il maestro Hiroshi Tada, dell'Hombu Dojo di Tokyo [da ricerche successive su documenti messi a disposizione dal maestro Attilio Infranzi risultò poi che già da qualche tempo l'Hombu Dojo stava valutando l'opportunità di inviare in missione in Europa Tada sensei].

"Sorprendentemente", come ricordava Chierchini, accettò. Occorre motivare i motivi di questa sorpresa: in Italia nessuno era al corrente dell'intercessione di Kobayashi sensei, quindi che la proposta venisse accettata era considerata una remota possibilità. Il maestro partì da Tokyo con una modesta somma a disposizione, se non ricordo male 250 dollari, un biglietto di sola andata e la proibizione di esercitare qualunque lavoro al di fuori dell'insegnamento dell'aikido, e senza alcuna prospettiva concreta in termini di lavoro, alloggio e quanto altro. Era allora nel pieno della maturità, ed era sicuramente l'insegnante di maggior livello della sua generazione, avrebbe potuto sia scegliere prospettive ben più attraenti, sia pretendere un minimo di garanzie. Partì invece immediatamente, senza alcuna esitazione e senza alcuna garanzia.

Rimase ininterrottamente in Italia per circa 7 anni, e gli devono essere costati: mi è sempre sembrato di cogliere un velo di rimpianto quando osservava che durante la sua permanenza in Italia scomparvero i personaggi di riferimento della sua vita, inclusi i maestri Morihei Ueshiba e Tempu Nakamura.

Adesso per far spostare un insegnante di medio livello di un centinaio di km, e per un paio di giorni, oltre che un gruzzolo non molto inferiore [qui il tempo impone una correzione: non poco superiore] ci vogliono come minimo un paio di sedute dell'Onu.

Quali sono state le tue prime impressioni?

Quattro sfaccendati in pigiama che tentavano pigramente di fare cose incomprensibili e apparentemente illogiche, su una materassina rotonda da lotta grecoromana polverosa e bitorzoluta.

Che impressione ti fece il maestro Tada al primo incontro?

Bisogna premettere che ben prima di incontrarlo mi era stato ampiamente descritto come una specie di marziano. Ci ricamai ancora sopra di mio, e quando lo vidi per la prima volta non mi sarei meravigliato se fosse stato alto 3 metri e con un paio di code.

La prima impressione diretta fu di gran lunga superiore ad ogni mia aspettativa, ma non per alcuna caratteristica fisica o comunque materiale.

Fu la sua personalità a colpirmi, e che continua a colpirmi ancora adesso, a distanza di tanti anni.

Il maestro Hosokawa quando lo hai conosciuto e dove.

Che idea ti facesti del maestro.

Chi è stato il tuo primo insegnante?

Cosa ricordi della tua prima lezione

Queste domande vanno accorpate, si capirà subito perché. Mi venne sconsigliata la pratica dell'aikido: avrebbe significato secondo i miei consiliori rinunciare ad un percorso di ricerca "nostro" nella impossibile pretesa di percorrerne uno troppo lontano dalle nostre tradizioni. Ma dopo alcuni anni mi rendevo conto con crescente insoddisfazione che non esisteva più alcun percorso di ricerca occidentale, o perlomeno nessuno che si adattasse alle mie esigenze. Decisi quindi di iniziare finalmente, con 10 anni di ritardo, la pratica dell'aikido. Avrebbe dovuto essere uno studio complementare, che mi permettesse di orientarmi meglio in quelli che erano i miei interessi primari. Ma questi svanirono: l'aikido rimane ancora.

Come ho detto, nell'ottobre del 1974 entrai ancora una volta nei locali del Dojo Centrale di Roma, che avevo contribuito a mettere in piedi nella primavera del 1967 e dove ero ritornato in seguito numerose volte, ma solo per assistere ad indimenticabili dimostrazioni del maestro Tada [coadiuvato da Masatomi Ikeda, che tornò poi in Giappone per terminarvi gli studi, prima di stabilirsi definitivamente in Svizzera]. Questa volta era per iniziare la pratica.

Nella minuscola segreteria del dojo era presente il maestro, intento a discutere con alcuni praticanti dei quali ricordo solamente Claudio Pipitone [e forse Guido Garbolino: entrambi di Torino]; Ero troppo agitato per fare molta attenzione, l'attesa decennale aveva fatto crescere le mie aspettative e mi intimidiva, nonostante il maestro mi avesse riconosciuto e mi avesse rivolto un sorriso. Lungo la strada per gli spogliatoi ebbi modo di attraversare diverse crisi di coscienza, e tentai ripetutamente di tornare indietro, impedito da Raffaele Staffa, all'epoca segretario del dojo. Si era immediatamente reso conto della situazione, e mi spinse a forza mentre io puntavo i piedi, obbligandomi ad entrare negli spogliatoi e ad infilarmi il keikogi.

Salito sul tatami, con l'inevitabile sensazione di sentirsi molto cretino, dentro ad abiti inusuali ed in un ambiente inusuale - la lezione era per giunta già iniziata - non sapevo assolutamente cosa fare. Venni raggiunto da un giapponesino sorridente con una folta zazzera che mi chiese in un italiano apparentemente inappuntabile se era il primo giorno. Sono irrimediabilmente romano, e avevo rinunciato già allora a correggermi. La mia risposta fu "Perché, se vede?...".

Il giapponesino non fece una piega: immagino che il menu del giorno fosse nikyo, perché mi afferrò il braccio senza tanti complimenti, non si usava all'epoca addolcire la pillola ai debuttanti, e mi tirò un nikyo regolamentare modello 74 (nulla a che vedere con la roba che "si porta" adesso). Non appena rialzato, immagino con un viso dai colori surreali e con l'espressione stravolta, venni afferrato dall'altro lato e la storia ricominciò.

Cosa pensavo nel frattempo. Roba tipo "Ma che questo chi è? Ma che vuole, chi l'ha cercato? Io voglio Tada!....".

Era il maestro Hideki Hosokawa, con cui stabilii in seguito un rapporto che non si spezzerà mai.

Quali sono stati i tuoi compagni di viaggio

E' un viaggio iniziato molto tempo fa, idealmente direi negli anni 50, quando iniziai ad avere i primi confusi contatti con la cultura giapponese; ne parlo altrove ma qui voglio almeno ricordare che i miei compagni di viaggio non sono, non possono essere solo quelli frequentati sul tatami. Parlando di questi, innanzitutto i praticanti del Dojo Centrale degli "anni d'oro". Della prima generazione, per ricordare solamente quelli che ancora sono in attività, Gianni Cesaratto, Silvio Giannelli, Renato Tamburelli. Sono stati per me dei sempai esemplari. La seconda generazione purtroppo ha avuto esiti più travagliati, e diversi non sono più tra noi, come Giacomo Paudice, Stefano Serpieri, Massimo Fabiani, Maristella Cerniilli.

Tra i compagni di pratica, un gruppo di svitati allo stato puro, praticamente nessuno è rimasto [ma sono ancora in contatto con alcuni di loro]. Sono probabilmente l'unico superstite, e dato che venivo considerato il più svitato di tutti e quindi il più rappresentativo probabilmente è giusto così.

Va detto però, anche se spesso capita di vederli solo da lontano, ed in certo senso "di spalle" che anche i maestri sono dei compagni di viaggio. Ho avuto la fortuna di poter intensamente lavorare con loro e talvolta di condividere con loro la vita quotidiana, e penso che questa esperienza mi abbia condizionato almeno quanto il lavoro sul tatami. Oltre ai nostri grandi maestri - Tada sensei, Fujimoto sensei, Hosokawa sensei – devo ricordare la sorridente professionalità di Ikeda sensei, Asai sensei, Kitaura sensei, Ichimura sensei. Ho avuto rapporti in un certo senso più normali, meno gerarchici, con i maestri della generazione successiva, tra cui includo [perfino!] il doshu Moriteru Ueshiba. Avendo pressappoco la stessa età, ci si ritrova a condividere naturalmente lo stesso tipo di esperienze, e si sviluppano non meglio definibili canali di trasmissione.

Dove vivi attualmente, come e quando riesci a praticare.

Vivo dividendomi tra Bruxelles, ove ho la famiglia, Roma e l'Italia dove rimane la maggior parte dei miei centri di interessi, e la Germania da dove proviene mia moglie e questo mio randagismo probabilmente è destinato ad aumentare a breve [fateci caso: sono anche un po' profeta]. Quindi il problema di praticare regolarmente è una costante che mi accompagna da molti anni. Non esistono soluzioni miracolistiche, ma non mi lamento: ovunque io vada ho sempre trovato il modo di proseguire nella via. Attualmente pratico a Bruxelles presso il Suki Dojo, e quando mi reco in Italia fatico a stare dietro a tutti gli inviti. Da questo punto di vista mi ritengo molto fortunato, con una dolorosa eccezione. Non sono mai riuscito in vita mia a visitare il dojo del maestro Asai, dato che mi reco in Germania durante i fine settimana quando lui è sempre impegnato altrove. Per andare al suo dojo mi basterebbe prendere la S-bahn, ma ogni volta che ci sono passato era chiuso. L'unica volta che ho potuto incontrare il maestro fu quando tenne un raduno ad Oberhausen, una cinquantina di chilometri.

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