Randori
Il compito del discepolo
Accedeva in passato che si rivolgesse a un maestro di arti marziali chi intendeva prepararsi al meglio per il confronto, cosciente della gravità dell'impegno che si assumeva. Oggi l'addestramento non è più affrontato da chi si senta potenzialmente forte, in grado di affrontare eventualmente il mestiere delle armi e desideroso di impegno. Ma spesso al contrario da chi si sente debole, non all'altezza degli impegni della vita, e ricerca una via che lo guarisca dal suo male interno.
L'insegnante ha il dovere di curare con maggiore attenzione e sensibilità questi discepoli, consapevole che saranno forse destinati a percorrere un cammino tecnico minore lungo la strada che traccerà, ma forse anche quelli che potrebbero trarre maggiori vantaggi dall'aikido per la propria crescita interiore.
Quelli che ne ricaveranno importanti benefici nella “vita di tutti i giorni”. È difficile ipotizzare il contrario, che la ricerca di vantaggi materiali, auspicabilmente immediati o raggiungibili a breve, permetta di crescere in altri campi.
Il discepolo dovrà inoltre essere cosciente delle particolarità del metodo didattico tradizionale dell'aikido. La didattica occidentale si basa infatti frequentemente su due pilastri assenti nelle discipline marziali.
L'apprendimento per negazione: si ricerca la giusta via, fin da bambini, attraverso una serie di negazioni e proibizioni:, sul non fare questo, non fare quello. Arrivando fin troppo frequentemente a alla conclusione, incongrua, che sia giusto e possibile solo quello che è implicitamente prescritto in quanto escluso dalla lista delle proibizioni, sterminata e spesso priva di nesso logico apparente.
Lo stimolo gratificante: l'insegnante occidentale spesso esalta l'opera del discepolo oltre i suoi meriti obiettivi, sommergendolo di “Bravo! Così, ancora! Bene!, dai”. E' giusto che il praticante sia consapevole dei propri progressi, ma ancora più giusto essere consapevole di quando non ci sono. E il raggiungimento di un obiettivo non può e non deve significare appagamento: la persona appagata, contenta di sé stesso, non ha ragione né stimoli per crescere ancora.
L'insegnante di discipline marziali non usa rivolgere elogi, ma questo non significa che non apprezzi l'impegno del praticante: deve però trovare i canali per trasmettere questo suo apprezzamento, non essendo vantaggioso esprimerli formalmente. Darà stimoli positivi e non negativi.
L'insegnante ha inoltre il dovere di rendere manifesto al discepolo che il raggiungimento di una tappa, di qualunque importanza, non è in assimilabile al raggiungimento di un traguardo, concetto astratto che non trova riscontro nella realtà: non è immaginabile un limite raggiunto il quale si possa giudicare non più necessario il proprio impegno e ci si possa considerare “arrivato”.
Il passaggio di ognuna delle tappe previste dal programma didattico costituisce solamente un punto di verifica che autorizza il proseguimento verso la tappa successiva. Oppure non lo autorizza quando non vi siano le necessarie condizioni, nell'interesse stesso del praticante. Quando un viandante chiede la strada è doveroso informarlo - in scienza e coscienza - degli errori di percorso
È dovere e interesse del discepolo esserne pienamente consapevole. E' d'altra parte inscindibile dovere dell'insegnante metterlo nelle condizioni di comprendere e rendersi garante del successivo superamento dell'ostacolo, se e quando questo sarà possibile.
E' doveroso per entrambi, insegnante e discepolo, accettare serenamente i propri limiti continuando senza flessioni i rispettivi percorsi. E raggiunto il proprio limite, o iniziata la fisiologica discesa dovuta all'età o altre circostanze, il lavoro dedicato al mantenimento del livello raggiunto ha altrettanta dignità che la ricerca di un ulteriore progresso.