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Artemarzialmente - Riflessioni
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Trovatomi per un caso fortuito, addirittura divertente, a fungere da uke in un corso privato di difesa personale tenuto da Hosokawa sensei, che mi trovò non disadatto al ruolo e volle che continuassi (non che io fossi del tutto d'accordo, ma al termine della lezione non ero del tutto capace di intendere e di volere e non obiettai) so per esperienza diretta che il maestro continuò in seguito anche quando i casi della vita ci allontanarono per qualche tempo a tenere questi corsi e a coltivare queste esperienze. Sia pure spesso omettendo di precisare che facevano parte di un complesso strutturato e non erano semplici divagazioni.
Non è infatti l'aikido di tutti i giorni. E' una sezione specializzata dell'aikido, che richiede un allenamento intenso, un briciolo di predisposizione naturale, un impegno anche mentale maggiore rispetto a quanto richiesto dall'allenamento normale, ammesso che abbia senso definire cosa sia normale e cosa no. Anche Ikeda sensei amava questi approfondimenti. Fu durante un seminario a Napoli a cavallo tra gli anni 70 e 80 che anticipò che Hosokawa avrebbe mostrato “ikkyo di artemarzialmente”. Infatti concordavano spesso assieme i loro programmi, nell'abitazione di Hoso a Roma, mentre talvolta il sottoscritto che era addetto alla manutenzione dell'acquedotto del caffé, indispensabile ai fini didattici, allungava le orecchie.
Il tutto è stato mai verificato sul campo? No.
Prima di tutto per una ragione morale, parola che in aikido si spende molto. Il praticante di aikido, come il guerriero, combatte solo se e quando è necessario e sempre in assoluta serenità, senza accanimento. Non combatte per placare i suoi dubbi esistenziali o per vedere se quella tecnica funziona. E' salutare che si abitui a convivere col dubbio, e le fisiologiche tentazioni giovanili è opportuno rimangano tali.
In secondo luogo ogni verifica è sostanzialmente vana: quello che ha funzionato oggi non funzionerà necessariamente domani in altre circostanze, o per meglio dire se hai funzionato tu oggi non è detto che funzionerai domani. Non devi mai allentare la tensione: trasformandola necessariamente in tensione positiva perché una negativa ti distruggerebbe in breve.
E' naturale che affiori una obiezione: se il jutsu è solo una parte secondaria dell'aikido, e per giunta immaginabile solo con un allenamento serio e intenso, come è mai possibile arrivarci con una pratica saltuaria?
Dal punto di vista fisico, l'allenamento dell'aikido “normale” e della parte funzionale all'autodifesa non cambiano; chi è ben preparato per l'uno è in condizione di affrontare anche l'altra, eventualmente cercando maggiore intensità. Al giorno d'oggi però è raro, va detto subito. I miei ex allievi ricordano certamente che a volte (anche su loro richiesta) ho mostrato alcune tecniche particolari. Ma sempre facendo presente che vedere non significa essere in grado di rifare, non essendo il loro grado di allenamento né la loro età del tutto compatibili. Infatti, tanto per dirne un'altra, la “vittima” di queste tecniche era solo un allievo che potrebbe essermi pronipote e in ottima forma, dotato della necessaria reattività per evitare spiacevoli conseguenze; e il tutto veniva mostrato e dimostrato ma ben raramente lo facevo ripetere agli astanti.
Ma non è un discorso che valga solo per le tecniche mirate all'efficacia, è un discorso più vasto. Il semplice shihonage “alla Hosokawa” (yokomen e non shomen) io l'ho mostrato abbastanza spesso, perché ha molti motivi di interesse, ma ammonendo che non sarebbero stati in grado di subirlo facilmente come uke, non allenandosi 5 giorni alla settimana, non essendo più mediamente dei fiorellini di campo, non praticando 30 minuti di aikitaiso “alla Hoso” all'inizio di ogni lezione. Infatti a chi lo provava "non piaceva". Non particolarmente almeno.
Dal punto di vista mentale possiamo dire la stessa cosa: avere raggiunto un livello di pratica in cui siano presenti e abbiano effetti importanti la serenità d'animo, l'imperturbabilità, il distacco dai risultati materiali, aiuta in ogni circostanza della vita. Non fanno eccezioni le situazioni di conflitto, in cui il furore non porta lontano.
E qui arriviamo finalmente alla fine del discorso. E allora a che serve pensare all'autodifesa, se è in pratica inattuabile? In realtà è attuabile, ma questo non è provabile. E nemmeno è consigliabile compiacersi di essere tra i pochi che potranno. Nessuno di noi lo può sapere, ma l'avremo reso possibile se abbiamo lavorato con coscienza. Al momento opportuno saremo in grado di agire nel modo migliore a noi consentito.
Tada sensei ricorda spesso che alcune tecniche da lui illustrate le ha viste una sola volta nella sua vita, eseguite da o sensei. Come gli è possibile richiamarle in vita? Perché il suo allenamento - fisico, mentale e morale – gli permette di assimilare anche quello che è nascosto nella pratica quotidiana. E perché tutto quello che mostrava il fondatore non sfuggiva ai principi fondamentali che governano ogni atto dell'aikido, compresi i “banali” ikkyo, nikyo e sankyo.
Nella pratica quotidiana si celano anche i principi della difesa personale, e l'allenamento assiduo nel corso di tutta la vita offre la possibilità, nientaltro che la possibilità, che affiorino se e quando necessario.
E' vano “provarli” in situazioni irreali, come è per antonomasia la prova: se cerchi la rissa per verificare le tue capacità ti trovi in modalità offensiva, non difensiva...
Come già detto non si deve desiderare di vivere nel passato, e nemmeno viverlo mentalmente quando la realtà richiamerebbe a ben altro. Occorre solamente avere ben presente il cammino che ha percorso chi è venuto prima di noi, solo così ci renderemo conto di dove ci troviamo ora e perchè, solo così sapremo dove puntare per il futuro.
Il tema originale da cui sono partite, in altra sede, le riflessioni fin qui esposte per raccoglierle, se non altro a futura memoria dello scrivente, voleva però essere un altro: che risposta dare quando dall'esterno – singole persone o istituzioni – si chiede insistentemente all'aikido l'autodifesa? Senza sapere nemmeno che cosa sia, e immaginata come risoluzione miracolosa di quelli che sono gravi problemi dell'essere umano e non semplci situazioni contingenti.
Come è possibile rispondere a queste richieste senza deludere le aspettative di chi in fondo sta cercando soluzioni a problemi gravi come quello del crescente bullismo, senza tuttavia minimamente tradire l'essenza dell'arte, portando anzi gli osservatori esterni a modificare le loro percezioni e le loro richieste per scegliere quelle offerte dall'aikido? Abbiamo una risposta dalle nostre “istituzioni”? Sembra difficile affermarlo, per quanto ci siano indizi sicuri che molti insegnanti e molti dojo queste risposte le stanno cercando autonomamente e le stanno già proponendo all'esterno.