Cronache
2011, febbraio-marzo. Asai sensei: il rigore sorridente
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Cronaca di Roma aggiornata!
Dopo molti anni, ha tenuto a sottolinearlo (noi aggiungeremmo troppi), Asai sensei ha tenuto di nuovo un seminario a Roma, organizzato dal Dojo Nozomi che ha avuto prima la splendida idea e poi il coraggio di portarla fino in fondo, ed ospitato dal Dojo Shinkokyu della Associazione Aiko. Il mese successivo il consueto raduno annuale organizzato dal dojo Aikikai Milano.
Iniziata la pratica dell'aikido nel 1955, a soli 13 anni, il maestro Katsuaki Asai ha avuto modo di praticare per numerosi anni con il fondatore dell'aikido Morihei Ueshiba e con il secondo doshu Kisshomaru Ueshiba.
Nel corso del raduno ha infatti ricordato le differenti impostazioni di alcune tecniche di base tra il fondatore ed il doshu.
Ha praticato inoltre sotto la direzione di tutti i grandi maestri storici dell'Hombu Dojo di Tokyo.
Ha dichiarato in una intervista di non poter dire di avere avuto preferenze tra i suoi insegnanti, ma di essere sempre rimasto impressionato dalla potenza dell'aikido del maestro Hiroshi Tada, nelle cui mani gli sembrava di provare la piacevole sensazione di volare.
Nel 1965 è stato inviato dall'Hombu Dojo in Germania, dove risiede tuttora. E' direttore Didattico dell'Aikikai di Germania ed il suo dojo, la Akido Schule Katsuaki Asai, si trova in Dusseldorf.
Ha iniziato a partecipare poco tempo dopo ai seminari estivi di aikido organizzati in Italia dal maestro Tada, in cui è stato una presenza costante per molti anni.
Col passare del tempo purtroppo le sue presenze si sono diradate, ma ha continuato ad avere un legame regolare con il maestro Yoji Fujimoto, tenendo ogni anno un raduno a Milano. La cronaca del raduno di marzo 2011 la troverete più avanti in questo stesso articolo.
Mancava a Roma dall'inizio degli anni 80 quando era il maestro Hideki Hosokawa ad invitarlo regolarmente, come lui stesso ha tenuto a ricordare all'inizio del raduno.
Se dovessimo definire col minore dispendio possibile di parole la figura del maestro, e l'impressione che lascia nei praticanti, diremmo semplicemente: rigore sorridente.
Tecniche ineccepibili, anche quando mostrate sotto inedite angolazioni che potrebbero farle apparire ad un esame superficiale devianti dalle norme usuali.
Sempre mostrate e dimostrate con contagioso buonumore.
All'inizio del raduno Asai sensei ha chiesto quanti fossero stati presenti anche al suo ultimo raduno in Roma presso il non dimenticato Dojo Centrale, quasi trenta anni prima.
Solo in tre hanno alzato la mano e tutti del Dojo Nozomi: il sottoscritto, Antonio Salvati ed Alberto Anzellotti, all'epoca giovanissimo e promettente allievo del Dojo Centrale. Più tardi si è aggiunto un quarto "glorioso" reduce: il maestro Nunzio Sabatino.
Al termine del raduno, che si è svolto grazie al savoir faire del maestro in una atmosfera serena e piacevole, il direttore del Dojo Nozomi, che ha fortemente voluto questo raduno, ha espresso l'augurio che questo sia solo il primo di una serie di appuntamenti regolari con il maestro.
E' una coincidenza che si tratti proprio di Alberto Anzellotti, uno dei pochi reduci, ed il più giovane, di quella bella stagione di aikido?
Lasciamo che siano i lettori a giudicarlo.
P.B.
I partecipanti al primo giorno del raduno di Roma. Sono stati circa 110 in totale, un numero che non vorremmo definire ideale ma che ha permesso di far fronte alle spese organizzative senza riempire il tatami fino all'inverosimile.
Questo non toglie, naturalmente, che gli assenti hanno avuto torto: un grande raduno, tenuto da un maestro che si eleva - e di molto - tra gli altri.
E quelli del secondo giorno
Abbiamo già detto che solamente un pugno di praticanti aveva già partecipato all'ultimo raduno a Roma di Asai sensei, cui vanno aggiunti naturalmente coloro che l'hanno seguito negli annuali appuntamenti a Milano o in occasione dei grandi raduni celebrativi dell'Aikikai d'Italia, l'ultimo nel 2004, in cui il maestro è sempre gradito ospite.
La grande maggioranza di chi è intervenuto però non aveva mai avuto modo di conoscerlo. L'attesa e le aspettative erano comunque elevate. I commenti, ancora a caldo, appena terminate le due giornate di studio, sono stati molto positivi.
Diversi hanno riferito di essersi veramente entusiasmati.
Si potrebbe credere allora che si siano viste cose nuove, se non addirittura mai viste. Nulla di tutto questo.
L'insegnamento del maestro, accompagnato da preziosi commenti e ricordi della sua lunga esperienza all'Hombu Dojo, a contatto quotidiano con il fondatore, con il doshu Kisshomaru sensei e con altri immensi personaggi è fortemente caratterizzato, diremmo quasi unico se non vi fossero visibili legami con la didattica del maestro Masamichi Noro, di cui è del resto da lunghissimo tempo stretto amico.
Asai sensei predilige una forma di insegnamento rilassata e rilassante, non curandosi di effetti spettacolari pur essendo perfettamente in grado di eseguire tecniche di assoluta bellezza e visibile efficacia.
Pone estrema cura nel lavoro di uke e mostra con una logica ineccepibile come deve naturalmente e correttamente reagire il corpo umano agli stimoli provocati dalla esecuzione di una tecnica di aikido.
Non ricorre però nelle dimostrazioni ed applicazioni a tecniche fuori dell'ordinario, è in condizione di estrapolare i principi più elevati dell'aikido - ma di questo probabilmente non ci dovremmo meravigliare - anche e soprattutto dal kihon, ossia dalle tecniche di base.
Nelle due giornate di intenso lavoro, talmente piacevole che è volato, si sono viste infatti solamente tecniche che potrebbero far parte dell'esame di 6. kyu, proposte però con sfumature capaci di mettere in discussione anche l'impostazione dei praticanti più avanzati.
Quindi aspettative alte, programma minimalista, richieste precise e verifiche puntuali.
E soprattutto, come già detto, atmosfera rilassata e sorridente anche nei momenti di maggiore impegno.
Una combinazione insolita, eppure alla prova dei fatti si è rivelata vincente.
Col senno di poi si potrebbe anche concludere che non poteva essere altrimenti.
Non si deve pensare comunque che Asai sensei abbia lasciato i praticanti alle prese con irrisolvibili indovinelli. Dopo aver proposto di lavorare su alcuni problemi ne ha sempre esposto le possibili soluzioni e dettagliato i pro ed i contro.
Non è mai mancato infine il suo supporto durante i momenti di verifica, durante i quali ha incessantemente sorvegliato il lavoro dei praticanti, a qualunque livello tecnico si trovassero, indirizzandoli verso la giusta strada ove avessero delle difficoltà.
I partecipanti al secondo giorno del raduno di Milano, a distanza di un mese. Per quanto la sovrapposizione tra i partecipanti non sia stata molto elevata, nel complesso possiamo dire che i due raduni, non troppo lontani ma non ravvicinati si sono appoggiati l'un l'altro. Nel complesso, in mancanza di dati precisi da Milano, possiamo stimare che le presenze non siano state lontane dalle 300, di cui diverse decine hanno scelto di partecipare ad entrambi i raduni.
Come detto all'inizio il raduno tenuto annualmente da Asai sensei a Milano, organizzato dal "padrone di casa" Fujimoto sensei, si ripete da molto tempo: oltre 30 anni.
Nella foto, ripresa durante la prima giornata di allenamento, il maestro Fujimoto osserva l'allenamento.
Non è però diventato un appuntamento di routine: il maestro Asai, che frequenta i tatami italiani fin dagli anni 60, trova sempre modo di stupire, coinvolgere, affascinare.
E, non possiamo tacerlo, divertire.
Anche qui come a Roma non lo ha fatto ricorrendo a tecniche innovative o a particolari varianti, ma semplicemente richiedendo uno studio attento ma sereno dei principi e delle tecniche di base
L'intera prima giornata, va detto senza alcun intento riduttivo ma semplicemente per ribadire come sia possibile richiedere al praticante uno studio intenso - e l'adeguata concentrazione - anche ritornando su temi che alcuni giudicano esauriti, si è praticamente lavorato su una sola tecnica: ikkyo, nelle esecuzioni aihanmi e gyakuhanmi.
Anche chi è alle prime armi con l'aikido dovrebbe essere in grado di rendersi conto che si tratta di una tecnica apparentemente alla portata di chiunque.
Potrebbe essere una sorpresa constatare che può anche richiedere a chiunque, dal sesto kyu al sesto dan, un impegno assoluto, per quanto piacevole.
Nota: Ove il lettore trovasse nei commenti tecnici termini giapponesi che non gli sono familiari può consultare il dizionario presente su questo stesso sito.
Dopo 30 anni di assenza da Roma, il Dojo Nozomi, per fortuna nostra, ha invitato il maestro Asai a tenere uno stage nella capitale e questi ha accettato l'invito!
Per nulla al mondo mi sarei persa questo raduno.
Già negli anni passati mi era capitato di incontrare il Maestro Asai.
Puntualmente, agli inizi della primavera, tiene infatti uno stage a Milano insieme al maestro Fujimoto.
La lezione di sabato è cominciata con un'accurata ginnastica per sciogliere ben bene il corpo.
E' stato poi il momento di ikkyo undo nel quale il Maestro ci ha corretto:
- La posizione del corpo,
che doveva rimanere in hanmi:
offrire quindi solo metà corpo, mentre le spalle dovevano rimanere bene allineate.
Il maestro passava a verificare questo allineamento con il jo.
E poi immediatamente dopo:
- le posizioni e la traiettoria delle braccia,
che dovevano muoversi come a caricare due shomenuchi:
quindi senza allargarsi
Il lavoro è proseguito a coppie, utilizzando la tecnica kotegaeshi:
Uke e tori cominciavano vicini.
Tori con la mano posizionata su quella di uke, già con la presa di kotegaeshi.
Poi un passo dietro di tori, uno avanti di uke e con la leva di kotegaeshi bisognava infine "avvitare" uke;
Avvitarlo non verso il basso ma lontano, davanti a noi.
Con questo avvitamento a spirale uke assumeva una posizione lineare, allungata, elegante, con una mano avvitata dal kotegaeshi, l’altra nel senso opposto in nikyo, la testa allungata in avanti ed allineata al corpo.
Il maestro correggeva le posizioni degli uke passando tra i praticanti.
Talvolta accostando il jo al loro corpo, assicurandosi così che questi fosse perfettamente in linea e che ognuno potesse verificarlo visibilmente.
Uno studio armonioso che piaceva molto ai nostri corpi!
A questo lavoro il maestro ha poi aggiunto la trasformazione del kotegaeshi in nikyo ura, insistendo sull’immobilizzazione fino a portare uke completamente disteso a terra per accettare la leva.
Dietro il maestro è visibile il jo, da lui spesso utilizzato, come già detto, per evidenziare le linee di lavoro di tori e le linee secondo cui reagisce il corpo di uke, che nella fase di analisi della tecnica bisogna assecondare senza contrastarle inutilmente.
E da qui abbiamo proseguito.
Sempre con nikyo ura preceduto dal doppio elegantissimo tenkan che propone Asai.
Se ho ben visto la sequenza si compone di tenkan, kaiten, ushiro, kaiten.
E poi la conclusione verso nikyo ura quasi lanciando l’uke, per poi farlo approdare sulla spalla di tori.
In questo momento il maestro ha il tanto alla cintola, che alterna al jo per rendere visibili le linee di attacco, quelle di difesa e quelle di lavoro.
Il maestro si è soffermato sulla posizione di uke durante nikyo ura.
Eccolo mentre mostra la corretta postura del corpo al momento di ricevere la tecnica .
Si deve sempre rimanere in hanmi (posizione obliqua, esponendo solo metà corpo), guardando dritto e rimanendo rivolti al tori.
Mai girare il capo dall’altra parte: girare il capo sarebbe una contrapposizione che andrebbe solo a discapito di uke.
Poi è stata la volta di nikyo omote.
La parte iniziale viene curata da Asai sensei molto attentamente.
Per poi ritornare ancora a nikyo ura.
Dopo avere eseguito la prima parte di nikyo ura si permetteva la risalita di uke.
Solo allora, completando la tecnica, si proseguiva lanciando uke lontano, in un dinamico e gioioso movimento circolare, senza provocarne tuttavia la caduta a terra.
Il lavoro proposto dal maestro Asai è poi proseguito con i kaeshi waza:
da nikyo (kote mawashi) a sankyo (kote hineri); nel momento in cui uke aveva accettato nikyo fino a distendersi per terra, da quella posizione, disteso a pancia sotto, nasceva la controtecnica in sankyo
E poi:
Da nikyo (kote mawashi) a kote gaeshi.
Da sankyo (kote hineri) a kote gaeshi …
Un lavoro veramente interessante che ci ha aperto la strada alle varie possibilità in cui una tecnica può concludersi .
Il bellissimo allenamento di sabato si è concluso con il kotegaeshi.
Proposto sempre con il bellissimo ‘doppio tenkan’ che si avvitava al terreno insieme a tori, il quale scendeva fino a portare il ginocchio a terra.
Per poi, con la leva di kotegaeshi, lanciare lontano uke.
La domenica è arrivato il momento del lavoro con la spada. Mi è piaciuto molto che il maestro ci abbia fatto lavorare in tre:
Tori al centro con il bokken, due uke alle estremità (davanti e dietro).
Questi ultimi eseguendo shomenuchi con il bokken cercavano entrambi contemporaneamente di tagliare tori.
Questi a sua volta doveva cercare - su indicazione del maestro - la tecnica di shihonage.
Prima da posizione ai hanmi e poi da gyaku hanmi, sempre in ambedue le modalità omote e ura.
Nella esecuzione della tecnica chi era al centro doveva evitare e neutralizzare entrambi gli attacchi che riceveva.
Per quanto le spiegazioni e dimostrazioni del maestro fossero chiarissime, è stato all’inizio difficile immaginare le tecniche che conoscevamo in aikido riportandole nel lavoro con la spada.
Ma, non appena il corpo è cominciato ad entrare nei movimenti...
E' stato veramente entusiasmante... interessante...
Divertente!
Al termine il maestro permette ad ognuno di verificare se le sue idee riguardo a shihonage hanno una logica.
Torna infatti a mostrare la tecnica a mani nude.
Ma sempre mettendo in evidenza i principi del movimento della spada su cui ha voluto farci riflettere.
Ha poi chiesto agli yudansha di eseguire la tecnica di iriminage, spada contro spada.
Lì abbiamo continuato a cercare... a studiare…
Ognuno ha dato la sua interpretazione e a detta del maestro... abbiamo interpretato bene!
Ci ha infine mostrato il suo iriminage...
Efficace.
Potente.
Elegante…
Mi è piaciuto molto che il maestro non si sia limitato a proporci una sequenza di tecniche.
Ha stimolato la nostra creatività, ci ha fatto studiare e ricercare l’aikido all’interno di noi stessi.
Non cercare di imitare soltanto quanto illustrerò. Vi sono cose che si scoprono direttamente dentro di noi con l'esercizio continuo e lo studio rigoroso.
(Miyamoto Musashi, 1584-1645.)
Questo metodo di lavoro mi ha riportato un po’ al tempo passato.
Quando il maestro Hosokawa ci proponeva delle lezioni in cui richiedeva la nostra partecipazioni sia a livello pratico che a livello mentale, con domande volte a identificare le similitudini tra l'arte dell’aikido e il lavoro con la spada.
Il maestro Asai ha anche voluto ricordarci le diverse attitudini mentali, ma anche fisiche perché ogni riflesso mentale si ripercuote sul nostro corpo, con cui è possibile affrontare la pratica.
Il maestro ha voluto utilizzare, ci viene in soccorso Koji Watanabe che ha impeccabilmente tradotto le sue lezioni, parole più "tecniche" e descrittive rispetto a quelle utilizzate normalmente da Tada sensei, che utilizza delle metafore indirizzate a far comprendere le attitudini mentali.
Go = allenamento intenso, un po' "fisico", quello che Tada sensei chiama tanren, ossia tempra del corpo, mentre il kinorenma è la tempra dello spirito.
Ju = allenamento morbido e cedevole sotto il profilo fisico ma ovviamente anche in quello mentale, in cui si utilizza di più l'energia di uke senza contrastarla.
Ryu = allenamento fluido, che lascia correre l'energia unendo quella di tori a quella di uke; è quello che Tada chiama ki no nagare (気の流れ), corrente dello spirito, ed in effetti ryu è la pronuncia cinese (yon'yomi) dell'ideogramma che si legge nagare alla giapponese (kun'yomi) .
Concludendo.
Posso dire di aver molto apprezzato lo stile, le conoscenze tecniche, il cuore generoso e gentile del maestro Asai, che ci ha voluto regalare un po’ della sua passione verso questa arte meravigliosa.
E il modo in cui il maestro ci guardava mentre praticavamo mi ha colpito... perché non ci guardava solo per correggerci, ma… sorridendo, ci stava studiando.
Ed è questo il messaggio che dobbiamo raccogliere: non si finisce mai di studiare. E con un sorriso!
Grazie, Maestro!
M.G.
Difficle spiegarsi e spiegare quali ne siano le ragioni, ma alcune occasioni di incontro hanno una atmosfera speciale, differente da quella "di tutti i giorni".
Il grande tatami del Centro Saini di Milano, dove si tiene il raduno, sembra per l'occasione una silenziosa cattedrale ove si stia iniziando a celebrare un rito laico, seguendo - ci si scusi la contraddizione - un cerimoniale spontaneo. Privo di tensione ma proteso verso un obiettivo.
Sicuramente la personalità ed il carisma di Asai sensei contribuiscono molto alla nascita di questa atmosfera particolare, non dichiarata e non richiesta ma in qualche modo accettata e vincolante.
Le lezioni iniziano con quello che rappresenta il marchio di fabbrica esclusivo della didattica di Asai sensei, con cui inaugura praticamente non solo ogni seminario ma anche ogni embukai.
Il largo, dinamico katatetori aihanmi ikkyo, che attira uke come in un vortice irresistibile, esigente eppure benevolo.
Anche nei momenti in cui ad uke sembra venire richiesto il massimo impegno Asai sensei non mostra segni di sforzo alcuno.
La sua tecnica rimane limpida e serena.
Le varie fasi tecniche che si succedono sono fluide ma chiaramente distinguibili l'una dall'altra, a beneficio del praticante che osserva.
Fino al momento del controllo a terra, non è visibile alcun momento di allentamento della concentrazione.
Come di consueto richiede ad uke un lavoro altrettanto impegnativo di quello affidato a tori, l'esecutore della tecnica.
L'impegno non può naturalmente esaurirsi sul piano fisico.
Uke deve essere costantemente cosciente di quanto stia succedendo al suo corpo e comprenderne le ragioni, anche quando l'azione di tori non gli risulti visibile o intuibile.
Passando a katatetori gyakuhanmi ikkyo - come si vede stiamo ancora una volta parlando di programma assolutamente di base - viene utilizzato il jo, non come arma, concetto più volte evidenziato dall'insegnante, ma come strumento di lavoro.
Il jo obbliga il praticante ad utilizzare entrambe le mani, contribuendo in questo modo a mantenere la corretta postura ed il giusto equilibrio corporeo.
La posizione del jo durante le varie fasi di esecuzione rende inoltre immediatamente evidenti le linee di energia seguendo le quali si deve sviluppare e concludere.
Il metodo del maestro Asai offre la possibilità di comparare immediatamente due versioni della medesima tecnica, quella ove viene utilizzato il jo e quella a mani nude in questo caso.
La comprensione della sequenza logica e della dinamica dei due corpi, delle due volontà, che interagiscono è più immediata.
L'affinità con la tecnica di jo viene confermata dalle modalità esecutive di questo ikkyo: vengono avanzati la gamba esterna, in questo caso la destra, e la mano interna, la sinistra.
E' una forma di fendente tipica del jo, più rara nell'utilizzo della spada.
Dopo il movimento di evasione interno (tenshin, chiamato anche ura sankaku da alcuni insegnanti) Asai sensei propone quello esterno
Viene preparato col classico ashisabaki che conosce anche chi ha iniziato aikido da un solo giorno: tenkan.
Il maestro consente l'esecuzione della tecnica vera e propria solo quando è certo che lo spostamento di base sia stato ben compreso da ognuno.
A quel punto diventa possibile anche l'analisi delle varianti, dettagliandone sia le motivazioni che le modalità di esecuzione ed il corretto modo di riceverle.
Naturalmente anche uke si adatta alle differenti proposte di evasione dalla presa.
Pur avendo in comune l'hashisabaki (tenkan) queste varianti prevedono differenti tesabaki, ossia movimenti degli arti superiori.
Tutti accompagnati come sempre da adeguati movimenti del tronco, in rotazione (kaiten) facendo perno sulle anche.
La parte finale della tecnica è ancora ikkyo, preparato da un movimento rotativo di braccia e anche, in senso contrario a quello precedente.
Questo movimento pendolare parte nell'attimo in cui uke, nel momento culminante della fase di preparazione, si trova in punta di piedi quindi virtualmente privo di peso.
In termini motoristici lo chiameremmo punto morto superiore, ossia quello in cui il pistone di un motore a scoppio raggiune l'apice di una posizione per poi da lì invertire la direzione del suo moto.
La posizione statica di uke diventa quindi improvvisamente dinamica, e viene letteralmente risucchiato dal movimento di tori.
Il movimento circolare di tori - rotazione verticale delle braccia ed orizzontale delle anche - continua.
L'energia ritorna naturalmente verso uke, inducendolo ad un nuovo cambio di direzione.
In questa fase uke nonviene più attirato verso il vuoto, ma viene esercitata nella sua direzione una pressione positiva.
Potremmo assimilarla ad un movimento di taglio esercitato con una lama.
La lezione termina secondo la tradizione con suwariwaza ryotetori kokyuho.
Il maestro Asai coglie l'occasione per chiedere un alvoro che sia la diretta continuazione di quello effettuato in precedenza.
In questo momento sta appunto facendo osservare come ci troviamo di fronte ad una doppia presa in katateori gyakuhanmi.
Si offre quindi l'opportunità di applicare simmetricamente su ambedue gli arti superiori i principi studiati in precedenza ma applicandoli su un solo braccio.
E' evidente l'effetto della tecnica sul lato sinistro, ove il maestro ne sta mostrando gli effetti.
Nella esecuzione canonica del kokyuho ovviamente entrambe le braccia eseguono all'unisono questo movimento.
Le lezioni del secondo giorno iniziano con una prolungata sessione di ashisabaki, sia in posizione tachiwaza che suwariwaza.
Il maestro osserva attentamente l'esecuzione di irimi tenkan suwariwaza.
L'impressione che si ricava osservandolo è che voglia rendersi conto non solamente del grado di comprensione intellettuale delle tecniche ma anche del modo più o meno naturale in cui vengono messe in atto attraverso il corpo.
Anche quando richiede kokyu tenkan (shihogiri per i mudansha, happogiri per gli yudansha) segue con molto interesse il lavoro dei praticanti.
Solo dopo ritorna il cavallo di battaglia di Asai sensei: katatetori aihanmi ikkyo, questa volta eseguito però con l'utilizzo del jo.
Raccomanda di non mantenere un kamae aggressivo ma anzi di facilitare la presa del jo da parte di uke, rinunciando a ogni velleità competitiva; in questo momento il jo non è un'arma ma un sussidio didattico.
La velocità non è essenziale in questo metodo di studio, vengono chiamati piuttosto sia tori che uke ad una attenta analisi.
Tori di quanto sta eseguendo e delle conseguenze della sua azione nei confronti di uke, che fa analoghe considerazioni ma dall'altra parte dello "specchio".
Nella forma ura il maestro propone una forma di irimi tenkan certamente non inedita, ma altrettanto certamente meno usuale di quella classica.
Partendo dalla posizione migi-hamni (destra) il piede sinistro scivola in avanti come di consueto. Segue il kaiten (rotazione dell'anca) ma si arresta quando il movimento ha portato ad eseguire una rotazione di solamente 90 gradi, non i consueti 180.
In questo modo tori si trova ora sulla destra di uke, fuori dalla sua portata ed in posizione ortogonale, ideale per controllarlo.
Uke dal canto suo non vede frenato il suo slancio, che viene anzi amplificato dal movimento circolare del jo.
Questo movimento, estremamente dinamico, viene utilizzato per portare uke a terra senza che possa opporre resistenza ma anche senza che provi una sensazione di disagio.
Naturalmente questo richiede tempismo e sensibilità da parte di tori ma sappiamo molto bene - o dovremmo sapere - che lo sviluppo di queste caratteristiche è uno degli scopi fondamentali delláikido ed uno tra i più alti.
Con analogo ashisabaki ma invertendo il movimento di rotazione iniziale del jo è possibile studiare la tecnica nikyo ura.
Notare coma Asai sensei richieda che uke impugni il jo non alla estremità, la tecnica sarebbe ugualmente possibile ma più difficoltosa e pericolosa per la sua stessa incolumità, ma più all'interno.
Questo tipo di presa viene comunque naturale porgendo il jo nella dovuta maniera.
Nella finalizzazione della tecnica, in cui viene eseguito un osae (immobilizzazione) destinato al kime (controllo) di uke, il maestro prescrive di non utilizzare la forza e non concentrarsi sul solo movimento delle braccia o delle mani.
Curare piuttosto la precisione degli spostamenti, le posizioni relative di tori ed uke, applicare energia utilizzando la rotazione dell'anca ed applicarla nel punto di leva avente il migliore effetto.
In questa immagine possiamo apprezzare il fulcro della leva (il punto in cui il jo incontra il piede ed il tatami), i punti di applicazione dell'energia (spalla e mano di uke), i punti di forza cui viene inviata l'energia (anca sinistra e mano sinistra del maestro).
Ancora il momento in cui, con movimento di irimi tenkan a 90 gradi, ci si porta in posizione ortogonale rispetto ad uke.
Il suo impeto non viene rallentato od ostacolato ma anzi esaltato, attirandolo nel vortice dell'energia.
La parte iniziale e quella intermedia non sono dissimili da quelle richieste in ikkyo e nikyo ura eseguiti con il jo.
La conclusione è stavolta dinamica e non statica: iriminage.
Se nelle tecniche mostrate prima erano il dinamismo di tori o quello - indotto - di uke a prevalere, in questo momento le due energie si equivalgono e si sommano, generando spontaneamente l'azione che ne consegue.
In precedenza il maestro aveva richiesto rigore e controllo, prendendosi tutto il tempo necessario per prendere coscienza dell'esecuzione di ogni tecnica.
Ora lascia spazio alla gioia di sprigionare liberamente la propria energia.
E' purtroppo il momento conclusivo di una mattinata di allenamento intenso e splendido.
Richiede molto e non regala nulla.
Una volta però saliti con animo privo di pregiudizi sul tatami ove lui sta trasmettendo la sua conoscenza, se ne rimane conquistati ed avvinti.
E' futile resistere, come lo è quando si ha l'onore di praticare con lui. Sarebbe forse tecnicamente possibile, ma sicuramente autolesionistico, facendo rinunziare ad una grande occasione di crescita interiore.
Sappiamo che le occasioni di apprendere dalle conoscenze del maestro Fujimoto si sono fatte più rare. Forse proprio per questo sono cresciute di intensità: sembra volerci mettere ancora qualcosa di più del tanto che ci aveva abituato a vedere. Anche la concentrazione e l'intensità con la quale i praticanti lo seguono sembrano essere molto aumentate.
Fujimoto sensei ha impostato gran parte della sua lezione sopra le tecniche in ushirowaza.
Anche lui ha richiesto di preparare con la massima cura la fase iniziale di ogni tecnica.
Portandola poi alla conclusione seguendo un processo allo stesso tempo logico e naturale.
Ogni tecnica inizia con una presa di contatto, in cui il compito di tori è sopratutto di sottrarsi alla situazione di potenziale pericolo o attacco reale.
lo fa mediante adeguati ashisabaki, uscendo dalla traiettora che intende seguire uke.
L'energia sprigionata da questultimo non viene arrestata - non in questo seminario - ma pilotata verso una zona neutra.
Il movimento degli arti superiori è il necessario complemento agli spostamenti sul terreno: protegge tori e condiziona i movimenti di uke.
Nella fase successiva l'energia di uke che, sia essa ostile o semplicemente incontrollata ed inutile non deve essere in condizioni di rivolgersi verso tori, viene condotta fino a trovarsi nelle condizioni di poter essere utilizzata per fini costruttivi e non distruttivi.
Nella fase conclusiva le due energie, già unite nella fase precedente, ritornano all'unisono verso uke portandolo in una condizione in cui verrà controllato e dovrà constatare l'inutilità del suo tentativo.
Tori verrà a trovarsi in posizione manifestamente dominante, mentre ad uke viene spesso preclusa anche la possibilità di vederlo.
In alternativa, ferme restando le modalità esecutive già descritte, uke viene condotto fuori dal suo baricentro, in condizioni di precario equilibrio.
Tori, sempre in una posizione dinamicamente stabile e dominante, da cui ha il controllo anche visivo del mondo che lo circonda, lo riporta mediante una proiezione non traumatica - qui un sotokaitennage - oltre la distanza di sicurezza.
Esistono situazioni maggiormente statiche, ove uke sia già riuscito a penetrare oltre la prima linea di rispetto rendendo ardui gli spostamenti.
In questi casi è comunque sempre possibile condurre l'energia di uke portandola verso una zona in cui non possa nuocere e sia anzi funzionale alla successiva azione di tori.
In altri casi ancora nemmeno questo è possibile.
La presa di uke, ormai stabile e consolidata, rende impossibile o non convienente il tentativo di muoverla verso una posizione non aggressiva.
Occorre allora agire su meccanismi diversi.
L'azione di uke non viene indirizzata altrove ma resa inefficace e futile sul posto.
In questo esempio Fujimoto sensei non conduce uke ad una maggiore distanza ma al contrario lo attrae verso di se.
In questo modo si crea un sistema unico tori-uke in cui le azioni del primo hanno un effetto immediato sul secondo.
La posizione iniziale vista dalla parte frontale.
Le mani rimangono sempre nella sfera di azione propria di tori, costringendo uke a lavorare in un territorio non suo.
Dalla stessa angolazione, l'azione delle braccia di Fujimoto sensei e l'effetto provocato in uke.
Anche Fujimoto propone talvolta degli ashisabaki che differiscono in qualche modo dalla norma.
Nel gruppo dei praticanti non tutti se ne sono resi conto, preferisce quindi interrompere per menzionarlo esplicitamente e permettere a tutti di esserne coscienti.
Si parte in questo esempio dalla posizione di hidari hanmi (guardia sinistra).
Si inizia con un movimento di irimi (avanti) ma alla propria sinistra e non diritto di fronte come di consueto.
Per quanto la composizione dell'ashisabaki nel suo complesso questo movimento possa sembrare inusuale i vai componenti fanno tutti già parte del bagaglio tecnico di ogni praticante, ad ogni livello.
Questo elemento in particolare è alla base del kokyu tenkan shihogiri, su cui sia Asai che Fujimoto hanno insistito in precedenza.
Si conclude lo spostamento con un mezzo kaiten e poi infine ushiro tenkan.
Si è eseguito in pratica un irimi tenkan.
In cui però ci si ritrova al termine spostati di lato, in questo caso alla propria sinistra, rispetto alla posizione iniziale oltre che naturalmente in posizione di 180 gradi rispetto a prima.
In questo esempio di applicazione dello hashisabaki ad una tecnica completa, vediamo dapprima la fase in cui è stato completato il primo passo.
Si tratta ancora di una ipotesi di ryotetori ushirowaza.
Lo spostamento a 90 gradi di tori ha già creato un varco, ove sarà possibile evadere dalla manovra di blocco che uke sta tentando di mantenere.
Il varco viene ampliato attraverso il movimento degli arti superiori, che contribuisce a rendere l'azione di tori più fluida, ben bilanciata e naturale.
L'effetto su uke è di renderne invece del tutto inefficace il tentativo di blocco, già compromesso nella fase precedente.
La rotazione del tronco in kaiten posiziona tori in modo che il passaggio attraverso il varco diventi una conseguenza logica e naturale.
L'ushiro tenkan completa il movimento.
Tori si ritrova ora in posizione dominante rispetto ad uke.
Sempre in una situazione di ushirowaza Fujimoto sensei utilizza anche il tanto.
Se ne serve per evidenziare anche lui attraverso l'uso di un puntatore quali siano le linee di lavoro e quali le linee di attacco cui occorre sottrarsi.
La prima cosa da fare è una immediata rotazione in kaiten.
Sarà efficace in ambedue le direzioni, ma in prima istanza si preferirà ruotare assecondando il proprio hanmi.
Ci troviamo ora in posizione migi hanmi (destra) ed è quindi consigliabile ruotare e poi muoversi alla propria destra.
Il movimento degli arti superiori condiziona quelli di uke, impedendogli di essere libero dei propri movimenti e precludendogli la via per continuare la minaccia.
A questo punto le vie che si aprono sono tutte quelle che il proprio livello di padronanza tecnica consente.
Il maestro propone la più "semplice".
Ancora una volta la madre di tutte le tecniche: ikkyo.
La presenza del tanto permette di comprendere meglio le ragioni per cui viene la tecnica viene eseguita con certe modalità.
Sia il taglio della lama che la punta del pugnale vengono indirizzati ove non possano recare danno.
O rivolti verso uke ritornandogli la sua stessa energia.
Anche quando la mano e la persona sono disarmati l'applicazione corretta di questi principi rende loro impossibile nuocere.
Come già detto l'esecuzione canonica della base apre la strada ad infinite possibilità di conclusione.
In questo caso Fujimoto sensei non ricorre ad un kime (controllo) con osae (immobilizzazione) ma termina con un nage (proiezione).
Spettacolare e potenzialmente pericolosa ove l'esecutore intendesse renderla tale.
Tuttavia sempre eseguita, nello spirito dell'aikido, con il totale rispetto della integrità dell'uke.
Questa proposta di analisi tecnica potrebbe continuare ancora a lungo.
Il materiale di studio messo a disposizione sul tatami da Asai sensei e Fujimoto sensei è molto, e del massimo livello.
E' logico e giusto però che questo discorso continui sul tatami, là dove è iniziato.
Vogliamo però menzionare anche un piccolo ricordo personale, che ha tuttavia dei risvolti tecnici.
Il maestro Fujimoto ha sorriso nel sentirsi dire dallo scrivente che una delle foto apparse sul display della fotocamera digitale ne ricordava in modo impressionante un'altra scattata, sempre da me, 29 anni prima.
Ma chi riprende immagini è in qualche modo portato a sviluppare quella che si chiama appunto in gergo "memoria fotografica".
La foto che ha fatto scattare il ricordo è quella visibile a lato.
Raffigura come è evidente a tutti il maestro Fujimoto mentre illustra durante la sua lezione uno dei momenti culminanti, forse il momento chiave, di una tecnica di ushirowaza.
Questa altra immagine fu scattata nell'agosto nel 1982, durante il seminario estivo dell'Aikikai d'Italia, che si teneva
all'epoca presso il Centro Sportivo della Figc di Coverciano,.
Anche se gli anni passati non sono pochi non è difficile riconoscere Hiroshi Tada sensei.
Alle sue spalle, coperto e non riconoscibile ma vi assicuriamo che è lui, Yoji Fujimoto sensei ricopre il ruolo di uke.
Ognuno trarrà dal confronto tra le due immagini le proprie personali conclusioni.
Personalmente rinuncio ad ogni tentativo di trarne conclusioni "tecniche", classifico immediatamente le due differenti situazioni come semplici ma meravigliosi momenti da ricordare assieme.
Nella immagine conclusiva era doveroso includere entrambi i due grandi insegnanti che hanno reso possibile questi momenti di intenso e piacevole studio e confronto.
Ma è anche, soprattutto, bello.
Al loro sorriso unisco il mio, mentre rivolgo il mio rei (ringraziamento formale) per l'insegnamento ricevuto da Asai Katsuaki sensei e Fujimoto Yoji sensei.