Gendai
Madadayo (Non ancora) - Akira Kurosawa, 1993
Tatsuo Matsumura, Kyoko Kagawa, Hisashi Higawa
La versione italiana, disponibile da settembre 2011: Madadayo (Il compleanno)
Il professore Uchida va in pensione. Ha solo 60 anni, ma per le convenzioni dell'epoca, siamo nel 1943, è una persona anziana non più adatta ad avere un ruolo attivo nella società. Eppure i suoi allievi, che sentono di avere ricevuto dalle sue lezioni di tedesco molto di più che una semplice formazione tecnica, continuano a considerarlo un punto di riferimento, e ogni anno si riuniscono per celebrare il suo compleanno, rivolgendogli in coro sempre la stessa domanda: "E' pronto (moo ii kai), sensei?". La risposta, immutabile, è "Mada dayo!". Non ancora!
Rapsodia in agosto, Akira Kurosawa, 1991
Sachiko Murase, Mitsunori Isaki, Hidetaka Yoshioka, Tomoko Otakara. Mieko Suzuki, Higashi Igawa, Richard Gere
Nell'agosto 1945 una bomba atomica veniva sganciata dall'aviazione degli Stati Uniti contro le città di Hiroshima e Nagasaki, causando immediatamente centinaia di migliaia di vittime, negli anni successivi molte altre migliaia per l'effetto delle radiazioni.
L'impatto psicologico fu altrettanto devastante, nel mondo intero.
Sono numerosi gli artisti giapponesi che hanno dedicato le loro opere alla condanna dell'olocausto nucleare.
Lo stesso Kurosawa ne fa il tema centrale in Vivere nella paura e ne tratta anche nella opera precedente la Rapsodia d'agosto: Sogni.
La sceneggiatura proviene da una novella della scrittrice Kiyoko Murata, Nabe no naka (Nella pentola) che ottenne il premio Akutagawa nel 1987. E' stata pubblicata in inglese nella antologia Japanese Women Writers: Twentieth Century Short Fiction, Armony, New York, 1991. Murata, nata nel 1945 ossia l'anno del bombardamento di Nagasaki, ama scrivere storie di vecchie donne, che associa ai concetti di acqua e terra, ed ispirarsi ad oggetti che hanno colpito la sua immaginazione, come una pentola, per costruirvi intorno la storia.
La trama è lineare, ma interrotta da numerosi diversioni che Kurosawa introduce per permettere a chiunque, anche e soprattutto alle nuove generazioni, di rendersi conto delle motivazioni profonde che si nascondono dietro atteggiamenti a volte non immediatamente decifrabili della sua generazione. Del resto, lo vedremo dopo, la trama è solo un pretesto.
La protagonista, Kane (Sachiko Murase), è una donna ormai anziana, che ha perduto 46 anni prima il marito e gran parte della famiglia sotto il fuoco nucleare di Nagasaki.
Non si può fare a a meno di osservare che Kane ha grossomodo la stessa età di Kurosawa (81 anni al momento dell'uscita del film) e che la coincidenza non può essere considerata casuale.
Kane è Kurosawa. anche se un Kurosawa più istintivo - ma tutti lo diveniamo quando veniamo toccati nel profondo, meno intellettuale, meno "costruito" e forse più vero.
Nella prima parte dell'opera gli estremi si toccano: i nipoti di Kane, da sinistra Minako, Tateo, Shinjiro e Tami, stanno passando le vacanze nella casa tradizionale di campagna ove Kane vive sola, lontana dal frastuono della città di Nagasaki.
Tadao, il padre di Shinjiro e Tami, si trova alle Hawai dove è andato per conoscere un fratello di Kane, Suzujiro, che è si è rifatto vivo dopo molti anni da quando se ne era perduta ogni traccia e perfino la memoria. Era emigrato nel 1920, quando Kane era ancora una bambina, e la famiglia era numerosa come si usava a quei tempo: 11 figli, la stessa Kane ha difficoltà a ricordarsi tutti i suoi fratelli ed in particolare di quello.
Il gruppetto è riunito intorno ad un pacco di lettere: le prime notizie daille Hawai.
Suzujiro non ha più molto da vivere, e vorrebbe rivedere la sorella. Sono i figli di Kane, Tadao (Isashi Igawa) e la figlia (Toshie Negishi) a raccontare l'incontro.
E' subito chiaro che Kane non vuole andare. Non può. Non è solo per l'età: è legata indissolubilmente a Nagasaki da ricordi terribilmente dolorosi, impossibili da spezzare.
Non solo la morte del marito, che i figli non hanno potuto conoscere, ma anche quella quella di centinaia di migliaia di altri esseri umani, bruciati in un attimo dal fuoco atomico o scomparsi negli anni successivi dopo atroci sofferenze.
O ancora vivi, come lei. Ma con i segni della tragedia nel corpo e nell'anima, in qualche modo morti anche essi.
Kurosawa in questa opera cura più la trasmissione delle emozioni che non lo sviluppo di una trama avvincente, come in diversi altri esempi dei suoi film di ambientazione gendai. La sua rapsodia alcuni preferirebberp chiamarla sonata, rendendo meglio il significato della parola kyoshikyokyu. Il regista non tenta infatti una delle sue grandi opere "sinfoniche", ora sta trattando di episodi apparentemente normali, di temi per pochi intimi e per pochi esecutori, ha voluto cimentarsi nella "musica da camera".
Non a caso il susseguirsi degli avvenimenti è scandito dalle note di una canzone di Schubert, molto popolare in Giappone, ripetutamente suonata sul decrepito harmonium di nonna Kane da Tateo, quando non cantata in coro dallo sparuto gruppetto di protagonisti.
Le parole di Schiller, che vanno tenute a mente per comprendere un episodio successivo, in italiano suonano grossomodo così:
Il ragazzo vide una rosa fullgida e solitaria, e ne restò affascinato.
la relativa importanza della trama si era già avvertita in Vivere nella paura (1955) e Sogni (1990) dove Kurosawa aveva già tentato di parlare del terrore forse irrazionale eppure comprensibile del popolo giapponese e suo personale verso un attacco nucleare, e in Dodes'ka-den (1970) dove sia pure rappresentando apparentemente un universo di diseredati avulso dalla società getta in realtà un guanto di sfida alle ipocrisie e alle miserie della società "civile", che presenta gli stessi sintomi di un male mortale inutlmente mascherandoli dietro un fittizio benessere materiale.
Ma anche - tentativo isolato nel genere jidai dove più spesso ha trattato invece temi epici od avventurosi - in I bassifondi (1957). Poiché anche in Rapsodia in agosto la trama conta fino ad un certo punto non si può parlare di questa opera descrivendo semplicemente la sequenza di avvenimenti, attraverso i quali le nuove generazioni cercano - ma alla cieca - di comprendere o perlomeno conoscere il dolore incessante provato dai loro anziani fin da quelle torride giornate dell'agosto 1945, che li ha segnati per sempre e che hanno rinunciato a comunicare.
Alcuni critici hanno osservato che Kurosawa ha rappresentato la distanza incolmabile tra chi ha vissuto gli anni della guerra prima e della dura ricostruzione poi e la generazione successiva vissuta nella pace e nel benessere, mentre solo la terza generazione, ossia i nipoti della vecchia Kane riesce a traversare l'abisso.
Sembra difficile concordare con questa tesi: anche i quattro nipoti hanno problemi di comunicabilità con Kane, ed anche problemi di adattamento alla sua mentalità, alle sue abitudini, al suo semplice modo di vivere.
Lo dimostrano confessandole con grande imbarazzo che il cibo da lei preparato non è adatto a loro e lo trovano disgustoso, essendo "roba da vecchi".
Non sembra accettabile l'ipotesi che questa scena sia stata inserita da Kurosawa senza alcun significato particolare, semplicemente per lasciar scorrere un po' di pellicola.
Del resto, quando i nipoti cercano di capire le dimensioni della immane tragedia non è da Kane che vanno, ma si aggirano nella città di Nagasaki tra i fantasmi del passato. Non solo nei luoghi maggiormente emblematici per l'intera comunità, ma anzhe quelli più personali. Si recano infatti alla scuola dove insegnava il nonno, il marito di Kane, e dove è rimasto incinerito dalla folgore atomica assieme ai suoi alunni.
Tra l'altro i problemi di comprensione con Kane, anche dei giovani e non solo della generazione di mezzo, si aggravano fino a diventare drammatici proprio quando la vecchia inizia faticosamente a frugare nei propri ricordi tentando di farne partecipi gli altri.
ll solo che riesce a manifestare a Kane una umana comprensione che si intuisce sincera e benefica, che non ha bisogno di fare domande dolorose e di riaprire ferite in quel modo non più curabili, è un estraneo: Clark, il nisen (giapponese nato e vissuto all'estero) che quando tornerà per la prima volta in quella che è teoricamente la sua patria scoprirà, con altrettanto dolore, di sentirsi parte del nemico, cittadino di quella nazione che assieme alla famiglia di Kane ne ha annientate o sconvolte tante altre.
Ma - emblematicamente - Clark è chiamato dal destino a rimanere solamente un episodio: viene richiamato alle Hawai dalla notizia della morte di Suzujiro, e la camera di Kurosawa indulge sull'aereo che lo riporta lontano, come aveva indugiato su quello che lo aveva portato in Giappone. Simbolo di una tecnologia che nel giro di pochi anni ha accorciato le distanze - fisiche ma anche culturali, psicologiche - tra gli esseri umani originando nuove opportunità di conoscenza ma anche forse aggravando i problemi della convivenza, perfino quelli della coesistenza.
Non cercheremo quindi in questa analisi di seguire pedissequamente il corso degli avvenimenti, e quando ce ne discosteremo sarà perché così ha voluto Kurosawa.
Le ragioni dell'immenso dolore che Kane continua a provare, dopo 45 anni dalla tragedia, rimangono non spiegate: non è possibile spiegarle. Ogni guerra causa le sue vittime, e uno dei più significativi sintomi del "progresso" sembra essere stato quello di coinvolgere nelle guerre un numero sempre crescente di civili innocenti.
Eppure il dolore di chi è stato colpito, direttamente o meno, dal fuoco atomico, rimane per sempre insanabile, non paragonabile a quello di chi pure ha perso i propri cari in combattimento o sotto bombardamenti convenzionali. La casa di campagna di Kane è stata protetta dalle colline, mentre Nagasaki si trova in una vallata circondata appunto dalle alture, che hanno amplificato gli effetti dell'esplosione evitando che si disperdesse.
Sembra infatti che la sventurata città sia stata cinicamente inserita tra i possibili bersagli anche per questa ragione, venendo considerata come un astratto fenomeno da analizzare.
Tre dei ragazzi hanno deciso di esplorare Nagasaki, alla ricerca di un perché. Come spesso succede a chi indaga nel passato, si renderanno conto ben presto che la condizione prima per poter conoscere le ragioni di un avvenimento è conoscere e comprendere innanzitutto l'avvenimento stesso.
Cosa è successo a Nagasaki il 9 agosto del 1945?
Esaminando la città dall'alto non è facile rendersene conto. Sembra una citttà come tante altre, che stranamente, anche quando moderne, danno l'impressione di essere sempre state lì. Che nulla possa mai essere successo nel passato a cambiarle.
I tre decidono di recarsi alla scuola dove insegnava il nonno.
Nemmeno qui sembra esserci alcun segno visibile di quanto è sucesso in quella terribile giornata di tanti anni prima.
Si guardano attorno, perplessi.
Finalmente avvistano qualcosa.
Era difficile farci caso.
E' una targa in marmo nero, appoggiata semplicemente sul terreno, seminascosta in mezzo ad una piccola aiola fiorita.
La scritta, in bianco, reca semplicemente una data: il 9 agosto del 1945 e un'ora: le 11,02 del mattino.
E' il giorno, è il momento, dell'olocausto.
Perché però quella targa sta proprio lì, isolata in mezzo al grande cortile?
Basta alzare gli occhi per avere una muta e tragica risposta.
La struttura annerita e contorta accanto alla lapide è quello che rimane di una di quelle strutture metalliche che hanno lo scopo di far giocare i bambini negli intervalli tra una lezione e l'altra.
L'esplosione nucleare ha forse colto la scolaresca proprio durante l'intervallo, mentre era riunita nel cortile.
L'effetto sulle povere vittime può essere immaginato rendendosi conto delle condizioni in cui è stata ridotta la struttura.
Esiste comunque un luogo a Nagasaki dove dimenticare è impossibile, ove non è consentito.
Artisti di ogni parte del mondo hanno donato le loro opere, per gridare la loro angoscia.
L'assordante grido delle statue è ancora più forte come effetto proprio perché muto ed attonito.
Ma c'è anche chi va oltre, chi decide di gridare la sua protesta per l'oltraggio all'umanità rifiutando provocatoriamente di esprimerla.
Il punto ove è avvenuta l'annichilente esplosione è indicato da un monolite nero.
Nonostante tutto la gente sembra volere allo stesso tempo ricordare e dimenticare.
Il memoriale è affollato, ma le numerose persone che vi si aggirano sembrano comitive venute per una scampagnata senza pensieri piuttosto che gruppi convenuti per un mesto pellegrinaggio.
Minako, Shinjiro e Tami sono turbati.
Sia da quello che hanno visto che da quello che non sono riusciti a vedere.
Rincasando sono racchiusi ognuno nel bozzolo dei suoi pensieri, senza riuscire ad esprimerli.
Arrivano già le prime ombre della sera quando i tre attraversano le risaie per tornare alla casa di Kane.
Attorno si accendono le prime luci, che sembrano altrettante lucciole.
Hanno le braccia cariche di buste.
Inaspettatamente, scorgono una sagoma in lontananza: è Kane, e non riescono a trattenersi dal correrle incontro affannosamente.
La traumatica immersione nei ricordi della tragedia ha colmato la barriera che esisteva.
Non saranno mai in grado di comprendere cosa abbia passato Kane, cosa abbiano passato tutte le persone della sua generazione, ma sono ora in grado di portare il loro affetto, la loro solidarietà.
La fragile ma indomabile figura di Kane si avvicina.
Incongruamente porta con se un ombrellino, del tutto inadeguato per proteggersi dal sole dal momento che è già sera, inutile per la pioggia di cui in giornata non si è visto alcun segno premonitore.
Da cosa tenta di proteggersi in realtà Kane?
Ancora una volta i ragazzi si radunano per mangiare assieme alla nonna.
Erano piene di cibo le buste che hanno riportato con se da Nagasaki.
L'atmosfera è completamente diversa da quella un po' tesa del primo convivio.
I volti, le menti, soprattutto lo spirito, sono rilassati e sereni.
Una nuova armonia è nata tra Kane e i nipoti, che hanno se non condiviso il suo dolore almeno compreso da dove viene e quanto possa essere stato iintenso.
La nuova atmosfera permette di ritornare ad esplorare quel passato che per tanto tempo è rimasto in un angolo della mente di Kane, quasi avesse avuto timore di ritornarvi.
Kane aveva 11 fratelli, oltre a 2 o 3 di cui proprio non riesce a ricordarsi.
Davanti ad una grande lavagna, con l'aiuto dei nipoti, tenta di ricostruire la composizione della famiglia.
E' comunque difficile collocare Suzujiro in questo schema: esendo probabilmente il secondogenito è partito, abbandonando per sempre il Giappone, quando Kane, tra gli ultimi arrivati, non era ancora in età da poter avere di lui un ricordo permanente.
E' uno degli ultimi però, Natakichi, che ha lasciato su Kane una impressione molto profonda.
Era andato a vivere a Nagasaki per imparare un mestiere, ma si era innamorato della moglie del suo padrone ed era fuggito con lei, tornando al villaggio.
Il capofamiglia si era però rifiutato di accogliere nella casa la donna, ed erano andati a vivere nel bosco.
Nel più fitto della macchia lei aveva notato due cedri affiancati, schiantati assieme dal fulmine, che le avevano dato l'mpressione di due amanti suicidi.
Lì decisero di costruire la loro capanna, per vivere assieme.
Il tema dell'amore impossibile che si conclude con la tragica morte della coppia condannata dal fato ricorre spesso nell'immaginario giapponese.
I due cedri colpiti dalla folgore ancora stanno là.
Kane l'aveva detto. il fuoco mentre le carbonizza rende le cose eterne.
Quei due scheletri calcinati rimarranno assieme per sempre, mentre attorno a loro la foresta vive, muore, rinasce.
Altri ricordi del passato affiorano nella vecchia casa di campagna.
Anche qui il fuoco atomico ha lasciato i suoi segni.
Kane si incontra a volte con una signora della stessa sua età.
Cosa fanno? Apparentemente nulla: stanno l'una di fronta all'altra, senza scambiare una sola parola.
Eppure Kane dice che in qualche modo comunicano: quando due persone si intendono non è necessarie parlare.
Anche la sconosciuta visitatrice, come Kane, ha perso il suo compagno nell'esplosione.
I ricordi di Kane man mano si fanno più netti.
Il più giovane dei fratelli si chiamava Suzukichi, e aveva fama di non essere molto intelligente.
Dopo l'esplosione nucleare divenne completamente calvo, e si chiudeva sempre più spesso nella sua stanza a disegnare.
Disegnava sempre ossessivamente, la stessa cosa: dei grandi, immensi, occhi.
Shinjiro prova a disegnarne uno, e Kane trova che assomigli in modo impressionante a quelli opera di Suzukichi.
Anzi, guardandolo meglio nota solo ora che Shinjiro assomiglia in modo impressionante a Suzuchiki.
Suzuchiki si recava spesso ad una cascata nei dintorni.
E' bella, Kane suggerisce ai nipoti di andarci.
Lo faranno.
Il pacifico picnic improvvisato sul bordo della cascata non dura a lungo.
Un serpente sta nuopando nell'acqua, dirigendosi verso di loro.
Forse una innocua biscia d'acqua, ma i suoi inquietanti occhi incutono ai ragazzi un timore che va molto al dil di quello materiale.
Al ritorno trovano Kane, assieme alle altre donne anziane, all'interno di una rustica cappella.
Intonano all'unisono il mantra dei morti.
Per quanto lontana sembri Nagasaki da quelle versi colline, la morte ha mietuto ovunque, e non solo nel momento dell'esplosione.
Tutti i sopravvissuti ne portano ancora i segni, sul corpo e nell'animo.
Kane sa che i nipoti si sbagliano. L'occhio del serpente - le hanno imediatamente raccontato dell'inquietante incontro - è in realtà l'occhio del lampo.
Si trovava proprio lì, in quel punto, assieme a Suzukichi, nel momento dell'esplosione.
Di fronte aveva la vallata ove sorgeva Nagasaki.
Il fratello non ha retto.
Non ricordava più nulla di quanto aveva visto anche se continuava ossessionatamente a dipingere quei grandi occhi
Kane ricorda.
Il cielo d'improvviso divenne brillante, poi apparvero un lampo, la nuvola atomica, ed infine degli immensi occhi malvagi, che riempivano tutto il cielo.
Una volta ripreso il filo dei suoi ricordi, Kane sembra non volerlo più abbandonare.
Contemplando la splendida luna piena, ricorda del giorno in cui Suzukichi, bagnato fradicio perché caduto nel torrente, venne riportato a casa da uno strano personaggio.
Era piccolo, magrolino... con un grande naso... e con la pelle verde.
Lo stupore dei ragazzi le sembra immotivato: si trattava semplicemente di un kappa!
Si tratta probabilmente dello yokai (mostro o demone) di cui maggiormente si parla nella cultura popolare giapponese, che ama le favole e le parabole. Troverete maggiori informazioni in un articolo della rivista Aikido - XXXVII p. 53, pubblicata dall'Aikikai d'Italia.
Vive di norma vicino all'acqua, e per quanto il suo aspetto sia bizzarro ha perso nel corso dei secoli il suo carattere maligno e viene considerata una simpaptica e servizevole creatura del mondo agricolo.
I ragazzi probabilmente non possiedono il retroterra necessario a comprenderlo, vengono semplicemente inquietati dallo strano racconto e pregano la nonna di non continuare a spaventarli.
Solo Shinjiro sembra averne intuito le intenzioni, ed è visibilmente divertito.
Kane ha nel frattempo preso la sua decisione: accettato l'invito del fratello sconosciuto, o dimenticato, recandosi alle Hawai per incontrarlo.
Gli scrive: verrà, ma solo dopo la commemorazione del 9 agosto per i 40 anni dalla morte del marito e delle altre vittime della bomba.
Ma non sarà così semplice.
Ritornano intanto i genitori dei ragazzi: prima Tadao e la moglie, che erano andati in avanscoperta alle Hawai.
Portano con loro grandi casse di ananas, provenienti dalla grande piantagione dei parenti hawaiani.
Arrivano poi gli altri due.
Ben lungi dall'esserne contenti, sono molto preoccupati dalla decisione di Kane, e soprattutto della lettera che ha scritto.
Avevano voluto nascondere sia a Suzujiro che al suo figlio ormai americanizzato, Clark, che il marito di Kane era rimasto ucciso dalle bombe americane.
Secondo la mentalità giapponese si tratterebbe di una vergogna troppo grande da sopportare.
E temono, soprattutto, che questo imprevisto turbi i loro piani: la piantagione delle Hawai è enorme.
E non solo i parenti vivono in quello che è sembrato loro un castello, ci sono anche allettanti prospettive economiche in una collaborazione con loro e la lor ditta, che produce ed esporta ovunque i famosi ananas.
A inquinare ancora di più i loro sogni di grandezza arrivano altri due imprevisti.
Kane è assolutamente scandalizzata dal materialismo ed arrivismo dei suoi stessi figli.
Se lei è interessata al fratello è solo per la gioia di poterlo rivedere e conoscere la sua famiglia, non perchè pensa di poterne o volerne ricavare alcun vantaggio materiale.
E si ritira di nuovo, con i diletti nipoti, che condividono la sua disapprovazione del materialismo della generazione di mezzo, a contemplare la luna.
La luna che splende alta su quella stessa vallata dove nell'agosto del 1945 si era innalzata la nuvola atomica, e dove campeggiava il maligno occhio del lampo.
L'ultimo imprevisto si materializza in un telegramma: Suzujiro ha ricevuto il messaggio di Kane, e annuncia che suo figlio Clark sta arrivando in Giappone.
Gli adulti sono convinti che il disastro sia ormai compiiuto, Clark verrà sicuramente per chiedere di porre fine a questo tentativo di riannodare i legami familiari, dimenticando tutto.
Kane si ribella: ha solamente detto la verità, come è sempre stata abituata a fare in vita sua.
E le sembra bizzarro che dopo aver lanciato la bomba i responsabili non amino sentirselo dire.
Quella bomba avrebbe dovuto porre fine alla guerra, ma in realtà nei 45 anni che sono passati non ha mai cessato di uccidere.
Clark è arrivato. I ragazzi non hanno resistito al disagio di dover affrontare una situazione talmente spiacevole, la rottura per ragioni troppo più grandi di loro di una relazione umana che riprendeva dopo tanto tempo.
La bomba continua ancora ad uccidere, e non solamente i corpi ma perfino le emozioni, i sentimenti, le relazioni.
Clark non ha nulla del giapponese nel fisico, ma parla ancora la lingua con sufficiente padronanza, anche se cercando le parole con una certa lentezza.
In una cosa non è più, assolutamente, giapponese. Tralascia ogni preambolo ed ogni forma di cerimonia per arrivare direttamente al nocciolo della questione.
E' dispiaciuto di non avere saputo prima della morte dello zio. Quando ne sono stati informati tutti ne hanno pianto.
Non è venuto per rifiutare la colpa ed il rimorso, ma per accettarli. E' venuto per scusarsi.
I ragazzi, vagando per la città senza meta dopo aver abbandonato l'aeroporto per non vedere Clark, hanno ritrovato la stessa sensazione che avevano avuto nella loro prima esplorazione.
Nagasaki sembra aver voluto dimenticare dimenticato la sua tragedia, sembra o vuole sembrare una città ove nulla sia successo.
Sentono il bisogno di tornare ancora una volta nella scuola dove insegnava il nonno.
La loro sorpresa è grande quando proprio lì vengono raggiunti da Clark.
Mentre veniva accompagnato dai figli di Kane, ha rifiutato di andare in albergo, chiedendo di essere ospitato dalla zia Kane.
Quando gli è stato chiesto cosa volesse vedere di Nagasaki, è stato categorico: voleva recarsi prima di ogni altra cosa nel luogo dove si era spenta la vita dello zio, assieme a quella di tanti bambini e dei loro insegnanti.
Il gruppetto riunito ha appena il tempo di scambiarsi pochi convenevoli, mentre Clark conferma la sua volontà di averli tutti alle Hawai.
Un altro gruppo, più numeroso e composto di persone anziane, mute e raccolte in quella che sembra una cappa di dolore, si sta avvicinando alla lapide e alla contorta struttura metallica.
Sono tutti segnati nel corpo e portano i segni di altre ferite ancora più profonde nell'animo.
Diversi portano grandi occhiali neri e sono verosimilmente privi della vista.
Si raccolgono silenziosi intorno alla lapide, che lucidano con cura, rinnovando amorevolmente le aiuole ed i fiori attorno al luogo.
Tadao ha il coraggio di chiedere loro chi sono: sono i bambini sopravvissuti alla tragedia, che vengono a commemorare i loro compagni scomparsi.
Kane e Clark legano imediatamente, tra la sorpresa generale.
seduti assieme ad ammirare la luna, intanto aprlano.
Lui si scusa di non avere compreso subito, pur sapendo che la famiglia era originaria di Nagasaki.
Lei riesce solo a ripetere "Va bene.. va tutto bene...".
Clark partecipa alle preghiere per i morti nella piccola rustica cappella, affollata di persone, perlopiù anziane, che ripetono incessantemente i mantra dei morti nel 45. anniversario della catastrofe.
Shinjiro, come tutti i bambini, può essere distratto dalla minima cosa anche nei momenti più solenni.
In questo caso una lunga colonna di formiche intente al loro lavoro nello spiazzo davanti alla cappella.
Ma stavolta, come avviene spesso, ha ragione il bambino: ha visto qualcosa di più importante.
l'interminabile colonna di formiche risale lungo lo stelo di una pianta, fino a mostrare una splendida rosa nel pieno di una maestosa fioritura.
Anche Clark, come la vecchia Kane, sembra trovarsi più a suo agio con i ragazzi che con le persone della sua età.
Una gita presso la cascata, dove si spruzzeranno spensieratamente d'acqua, è d'obbligo.
Ma proprio qui li raggiunge una notizia che prima o poi sarebbe comunque arrivata, e che sarebbe stata comunque dura da accettare, ma che in quel momento tronca anche, di colpo, l'inizio di una bella storia.
Suzujiro, il padre di Clark, ha ceduto alla malattia. E' scomparso.
L'aereo che riporta Clark alle Hawai, o almeno un aereo che si illudono sia quello, sorvola la vecchia casa di Kane.
Come per un ultimo saluto.
Kane non sa darsi pace: avrebbe dovuto partire prima, ora non potrà mai più rivedere suo fratello.
La sua mente è scossa, sembra che voglia rifiutare il percorso della sua vita, comincia a vedere dappertutto - o le sembra di vedere - il fratello mai conosciuto o dimenticato.
E tira fuori da dove li aveva riposti, come se volesse rifiutare il percorso della sua vita, annullarlo e ricominciare da dove era stato spezzato, i vestiti del marito.
La notte, già inquieta per tutti, un fortissimo temporale, quasi un uragano, scuote la casa e la riempie della luce dei lampi, che passa agevolmente la insufficiente protezione delle pareti di carta.
Kane arriva come una ossessa nella camera dove dormoni i ragazzi, portando delle grandi lenzuola bianche e coprendoli con essi.
I suoi figli esterefatti tentano di fermarli, ma non c'è nulla da fare.
Gridando che i tessuti bianchi sono l'unico sistema per difendersi dal fuoco nucleare, Kane continua a coprire i nipoti con le lenzuola e con il suo stesso corpo, tentando di fare da scudo.
Non si tratta di una diceria o di una leggenda senza fondamento.
Tra i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki molti erano quelli che indossavano abiti chiari, in grado di respingere anche se solo in parte il mortifero lampo.
Chi indossava abiti trapunti o stampati si è ritrovato - se ancora in vita - con un tragico ricamo sulla pelle, che replicava fedelmente la trama del tessuto: la pelle veniva risparmiata nelle zone chiare, il fuoco atomico passava attraverso quelle scure.
La mattina sembra esserci una tregua nella tempesta.
Ma ben presto riprende, forse meno violenta ma ancora piò intensa.
Ci si rende conto che Kane non è nella casa!
Dove sta?
Armata del suo inseparabile ombrellino Kane è uscita, sfidando la pioggia battente, per andare non si sa dove.
I figli ed i nipoti la rincorrono.
Inutilmente: la vecchia, fragile ma indomabile Kane sembra irragiungibile.
I suoi passettini da uccello rendono vane le corse disperate di chi la rincorre, tanto più giovani ed in forze di lei, ma annaspando ed inciampando lungo la viscida strada.
La pioggia le riduce a brandelli l'ombrello, arriva quasi a strapparglielo di mano.
Kane non si arrende.
Va ancora avanti.
E' difficile per chi non lo ha vissuto rendersi conto di quanta angoscia può causare un incubo.
Le ultime opere di Kurosawa sono tutte in fondo oniriche. Sogni lo indica esplicitamente anche nel titolo, e alterna sensazioni positive ad altre negative, cui assistono apparentemente adeguandosi alle vicende umane anche gli astri, presentandosi a volte con un aspetto maestoso e suggestivo, a volte inquietante.
Praticamente in ogni sua opera Kurosawa mostra una immagine del cielo, delle stelle, del sole o della luna.
In Rapsodia siamo decisamente di fronte ad un incubo, e lo mostreranno al culmine del dramma il cielo, le nuvole e la luna mostrosuamente deformati.
Ma in Madadayo, la sua ultima opera, il suo testamento spirituale, la luna ritorna ad essere magicamente radiosa, e l'addio di Kurosawa ci viene dato dalla scena finale.
Un bambino, che rappresenta simbolicamente la parte più cristallina di ogni essere umano, si incanta osservando la luce del cielo, che torna ad essere magicamente amico dell'uomo.
Dream (Sogni), Akira Kurosawa, 1990
Akira Terao, Mitsuko Baisho, Isashi Igawa, Martin Scorsese
Per la prima volta Kurosawa parla apertamente di se: per quanto non siano mancati isolati riferimenti autobiografici nelle altre sue opere, per quanto abbia parlato di se nel suo Qualcosa come una autobiografia, qui non attinge alla letteratura, non scrive una storia, non parla dei fatti: la sceneggiatura di questa opera è "solo" la raccolta di alcuni sogni del maestro. I più ricorrenti?.. i più importanti, i più inquietanti?
Probabilmente non ha senso porsi queste domande, cui forse nemmeno Kurosawa saprebbe dare una risposta. Sicuramente sono i sogni che riteneva necessario comunicare al mondo.
Akira Kurosawa: Dersu Uzala
Il piccolo uomo delle grandi praterie
1975
Yuri Solomon, Maksim Munzuk
Come gli antichi romani, anche gli antichi giapponesi ritenevano che la vita dell'uomo dovesse soggiacere a crisi cicliche ad intervalli di sette anni, che ne condizionavano azioni e avvenimenti lasciando segni indelebili sul corpo e sulla mente. Lo ricorda oltre 2000 anni fa Cicerone nel suo immortale Somnium Scipionis, ove le ombre degli antenati ammoniscono Scipione Emiliano a guardarsi dalla crisi dei 56 anni. Entrambe le culture identificavano nel concepimento l'inizio della vita quindi questa data corrisponde ai nostri 57 anni, età in cui sappiamo che Emiliano, in un periodo oscuro della res publica, venne trovato morto nel suo letto senza che nessuno potesse scoprirne la causa. A partire dai 56 anni circa anche la vita e l'opera di Akira Kurosawa conobbero una crisi, apparentemente irreversibile. Il fallimento di Akahige, la rottura del sodalizio con Mifune, il fallimento del progetto americano di Tora Tora Tora, l'ennesimo fallimento di Dodeskaden. Alle soglie dei 63 anni Kurosawa tentava di porre fine ai suoi giorni. Fallì anche in questo, e si ritenne che avesse comunque posto fine al suo percorso artistico. Nessuno gli diede fiducia. Ma uscì fuori dal baratro, accettando di abbandonare il Giappone ed i soli temi che sembravano a lui congeniali. All'uscita di Dersu Uzala nel 1975 la critica unanime gridò, sì gridò: "il Maestro è tornato.".
Akira Kurosawa: Dodes'ka-den
1970
Zushi Yoshitaka, Junzaburo Ban, Hisashi Igawa e altri
Si è detto che è un film difficile, e sicuramente lo è - come altre opere del maestro - e si è detto anche che non è riuscito bene, e forse è vero anche questo. Sicuramente è una testimonianza che nessuno può ignorare, perché segna una drammatica svolta nella vita e nella carriera di Akira Kurosawa.
Fino ad allora osannato da pubblico e critica, aveva già conosciuto con Barbarossa il suo primo bruciante scacco. Dodes'ka-den doveva essere l'opera del suo riscatto e fu invece quella che sembrò affossarne definitivamente le ambizioni e forse addirittura la vita.
Come sappiamo Kurosawa seppe risorgere dalle sue ceneri, e gli dobbiamo un esame attento e rispettoso di questo suo momento artistico. Non sarebbe del resto la prima volta che l'opera di un l'artista visionario ed in anticipo sui tempi viene compresa solo a distanza di molti anni, e rivalutata dai posteri dopo essere stata stroncata dai miopi contemporanei.
Rokuchan (Sestino, volendo tradurre maccheronicamente ma rispettando il senso) è il personaggio più rappresentativo di Dodes'ka-den, pur non potendolo, nel contesto di un'opera corale, identificarlo nel protagonista assoluto.
E' un giovane che vive solo con la madre, in una squallida casupola in una ancora più squallida bidonville circondata da cumuli senza fine di spazzatura.
Una ambientazione che sembrava forse troppo forte, e troppo irreale, nei tempi cronologicamente e forse ideologicamente lontani in cui Kurosawa la compose,
Era la fine degli anni 60 e la base era una serie di racconti di Shugoro Yamamoto cui collaborarono i membri del club dei "quattro moschettieri" che tentavano assieme di affrancarsi dalla schiavitù delle case di produzione: Masaki Kobayashi, Kon Ichikawa, Keisuke Kinoshita e naturalmente Akira Kurosawa. La musica è di un altro artista che seppe tornare prepotentemente alla ribalta: firmò nel 1985 la colonna sonora di Ran: Toru Takemitsu.
A distanza di 40 anni, quelle immagini che allora sembrarono fuori del loro tempo, tempo di "miracoli economici" e di compiaciuto senso di avere completato la ricostruzione post-bellica, che aveva lasciato profonde ferite sia nei vinti che nei vincitori, sembrano di raccapricciante attualità: che siano i mezzi di comunicazione o la torre di babele di internet a metterci sotto gli occhi quotidianamente le periferie e gli immondenzai, che spesso coincidono, delle megalopoli sud-americane asiatiche od africane; o che ce le ritroviamo direttamente davanti agli occhi - se veramente vogliamo aprirli - nelle nostre "civili" metropoli europee.
Rokuchan ha da tempo perduto il senno, o forse non l'ha mai avuto: le pareti della sua stamberga sono tappezzate di ingenui disegni di treni, la sua irrefrenabile passione, ed ovviamente il suo "lavoro" è legato al mondo dei treni.
Ogni mattina si prepara di tutto punto, recita le preghiere assieme alla madre e si reca al lavoro. Lavoro del tutto immaginario che consiste nella scrupolosa manutenzione di una inesistente locomotiva, su cui infine "sale" per percorrere senza sosta durante tutto il giorno i fangosi sentieri della bidonville, scandendo incessantemente dodeskaden, dodeskaden... onomatopea che ricorda il rumore di un treno sulle rotaie.
Le sue espressioni, il suo stropicciato vestito sotto misura, i suoi guanti, le sue movenze a scatti e le sue mimiche al momento di interagire con oggetti esistenti solo nella sua fantasia ricordano- e dubitiamo che sia un caso - chi aveva saputo sferzare, accompagnando con un sorriso le sue impietose denunce, le illusioni della civilità occidentale.
Il grande, immortale, Charlie Chaplin.
Verrebbe da dire che mancano solo il cappello ed il bastone, ma non sorprendetevi se li ritroveremo più avanti. Basta avere pazienza...
Il film ricorda molto nella assenza di una trama vera e propria una precedente opera di Kurosawa, I bassifondi, che era uscita nel 1957 e che non destò particolare interesse né presso il pubblico né presso la critica, pur essendo in quel momento il regista all'apice del suo successo: non si era ancora spenta l'eco mondiale suscitata da Il trono di sangue e anche la sua prova successiva, La fortezza nascosta, riscosse un lusinghiero successo. Diede poi lo spunto a George Lucas circa venti anni dopo per la saga di Guerre Stellari, uno dei più grandi successi della storia del cinema.
Questa insistenza di Kurosawa, condivisa evidentemente dagli altri artisti con cui condivideva il tentativo di affrancarsi da una logica commerciale, lascia pensare che ci fosse in lui la sensazione di non essere riuscito a trasmettere il messaggio, ed avere quindi il dovere di riproporlo.
Il tentativo fu fallimentare. Probabilmente perché il messaggio era troppo duro, diretto: un pugno allo stomaco, come si suol dire, indirizzato volutamente contro lo spettatore.
La mancanza di un filo conduttore che pure disorienta passa infatti in secondo luogo di fronte ad una seconda mancanza, sicuramente voluta e probabilmente necessaria ma che il pubblico non riuscì ad accettare: la mancanza assoluta di una morale nella vicenda, positiva o negativa che sia.
Alcuni dei protagonisti sono di una malvagità senza limiti, alcuni semplicemente sciocchi ma le loro azioni non hanno motivazioni.
Il personaggio di un bambino (Hiroyuki Kawase) che mantiene il padre chiedendo l'elemosina rappresenta evidentemente l'innocenza, ma una innocenza che non varrà a salvarlo anzi lo lega alla perdizione e lo condurrà alla morte.
Perfino l'unico personaggio decisamente positivo, il signor Tamba (Atsushi Watanabe), capace di annullare con la sua imperturbabilità gli istinti aggressivi di un uomo armato di spada in preda ad una crisi di nervi, agisce seguendo linee di condotta che non ci è dato di comprendere e pertanto nemmeno di condividere.
Il messaggio incessantemente ripetuto da Kurosawa in tutte le sue opere è comunque sempre lo stesso, che sia esplicitamente, didascalicamente, lucidamente esposto o che rimanga tra le righe: l'essere umano si deve continuamente interrogare sulle ragioni della sua esistenza e sui fini delle sue azioni, rinunciando al superfluo per badare all'essenziale. Quando dimentica di porsi queste domande, o non ha il coraggio di porsele, non è più un essere umano.
Eppure in Dodes'ka-den Kurosawa ci rappresenta persone che non hanno nulla, pertanto teroricamente libere di pensare ed agire senza alcun vincolo. Evidentemente sono stati liberati dal superfluo ma senza un preciso intervento della loro volontà, e subiscono la loro situazione come una ingiustizia ed una tragedia, incapaci di coglierla come un'opportunità.
O al massimo si limitano a crogiolarvisi, accettando l'abbandono di ogni inibizione e di ogni vincolo come merce di scambio, sufficiente a ripagare la perdita del benessere materiale o perlomeno ad anestetizzarla, e a dare la licenza di offendere il prossimo per ripagarsi delle offese subite dalla vita. Come la megera vistosamente truccata che getta deliberatamente gli avanzi della cucina nella spazzatura piuttosto che darli al bambino che li chiede in elemosina (Michiko Araki).
Certamente è necessario accettare questa denuncia di Kurosawa: è evidente che si tratta di una denuncia doverosa e cui riteneva indispensabile insistere. Rimane la sensazione che l'artista stesso sia rimasto travolto dal suo fondamentale pessimismo verso la natura umana, ed abbia infine calcato troppo la mano dando la sensazione di annunciare un destino inevitabile più che mettere in guardia da un rischio reale e grave ma a cui ci si può e ci si deve comunque sottrarre.
Accettiamo questo momento del percorso artistico di Kurosawa, ma sicuramente il lascito che dobbiamo cogliere è quello dell'opera con cui prende purtroppo congedo da noi, Madadayo. Il professore Uchida, costretto a vivere in una stamberga e privo di tutto, come i personaggi di Dodes'ka-den, riesce al contrario a trovare, nonostante i disagi materiali anzi forse proprio grazie allo stato di privazione in cui si trova, la serenità dello spirito.
In mancanza di un filo conduttore, o per meglio dire in presenza di un filo sottilissimo che rischia di spezzarsi al tentativo di raccoglierlo, non parliamo poi della inutile pretesa di "metterlo in ordine", sarà meglio presentare una sommaria galleria dei personaggi.
Rokuchan è l'unica persona felice, o perlomeno serena, nel campionario umano che ci presenta Kurosawa. Forse è naturale la sua irresistibile attrazione verso i treni, visto che abita con la madre Okuni (Kin Sugai) accanto alla ferrovia.
Di sicuro parte ogni mattina, dopo avere recitato le preghiere assieme alla madre, per la sua routine di lavoro, che prevede secondo lui otto corse la mattina ed otto il pomeriggio.
E altrettanto sicuramente le fa: dopo avere accuratamente verificato e ripulito una immaginaria locomotiva, sale "a bordo" del convoglio e si avvia.
Scandendo instancabilmente il suo ritornello "Dodes'ka-den, dodes'ka-den... sfreccia in mezzo agli immensi cumuli di immondizia, indifferente agli schiamazzi e ai lanci di pietre che accompagnano ogni suo passaggio.
L'incauto pittore che ha avuto la malaugurata idea di mettersi proprio sui "binari" per immortalare sulla tavolozza chissà quali indimenticabili scenari si becca da lui una bella ripassata, dopo essere riuscito appena in extremis a sottrarre sé stesso, tavolozza e cavalletto all'impatto del "treno", che Rokuchan sta tentando disperatamente quanto invano di arrestare in tempo.
Rokuchan non riesce a capire come mai certa gente sia così incosciente: che gli è venuto in mente di andarsi a mettere proprio in mezzo ai binari? E non l'ha sentita la sirena? La ripassata è anche poco...
Ma bene o male anche questa è passata, e alla fine della intensa giornata, a notte ormai fonda, Rokuchan rientra al "deposito".
Da qui dopo una ultima spolverata e una pacca affettuosa alla sua adorata locomotiva, può tornare a casa dalla madre, presumibilmente a sognare e pregustare il prossimo giorno di lavoro.
Il piccolo mendicante mantiene il padre nullafacente chiedendo incessantemente l'elemosina e ritirando gli immondi scarti dei ristoranti
Li porta poi al genitore nella loro "abitazione": la carcassa di una vecchia automobile, cucina, sbriga le faccende ordinarie, e intanto ascolta le fantasticherie del padre.
Sembrerebbe una situazione ignobile, eppure scopriamo sorprendentemente che il padre è forse l'unica persona fra le tante che conosceremo ad avere sentimenti nobili, sia pure assolutamente incapace di attivarsi per rendere concreti i suoi sogni o almeno dare una possibilità al figlio se a lui è mancata.
Il sogno ricorrente è quello di avere una vera casa, e si ripete ormai incessantemente, anche ad occhi aperti.
Ma questo simulacro irreale ed irrealistico lo appaga, rendendolo ancora più incapace di vivere la vita reale.
Sarà proprio lui a causare la morte del figlio, insistendo per mangiare del pesce tossico nonostante l'avvertenza di bollirlo accuratamente che era stata data al piccolo.
Il signor Tanba come abbiamo detto sembra impermeabile alla atmosfera nefasta che permea la baraccopoli. Non manca mai di essere vicino a chi soffre, fino al punto da fornire un veleno mortale ad un amico stanco della vita che intende farla finita (Kamatari Fujiwara).
Naturalmente verrà insultato e malmenato quando l'amico, dopo averci ripensato in extremis rimproverandolo di averlo mandato a morte, scopre di avere preso in realtà solo un blando purgativo.
Nemmeno quando un ladro penetra di notte nella sua abitazione Tamba si scompone più gli tanto.
Lo prega di lasciare la cassetta dei ferri che sta portando via e gli indica dove si trova il denaro, pregandolo di tornare tranquillamente quando ne ha ancora bisogno, gliene metterà da parte dell'altro.
Ma quando il ladro viene arrestato, e portato da lui, si rifiuta di ammetterlo e dichiara di non averlo mai visto in vita sua. La ragione non è chiara: il ladro vorrebbe solo la conferma che il danaro non è stato rubato ma preso con il permesso del proprietario.
Negando tutto Tamba senza ragione lo mette ancora di più nei guai, con la provenienza del denaro sospetto ancora tutta da spiegare.
Akemi Negishi interpreta il ruolo di una distinta signora che nello sfacelo generale, nel degrado materiale e morale che la circonda, cerca di conservare a tutti i costi perlomeno una certa dignità formale, e di mantenere un buon aspetto.
I coniugi Kawaguchi (Kunie Tanaka e Jitsuko Yoshimuda) e i coniugi Masuda (Hisashi Igawa e Hideko Hokiyama) formano due strane coppie.
E' chiaro che le figure predominanti sono le due donne, sfacciate e ciniche, che si scambiano e riprendono disinvoltamente i mariti, del resto assolutamente intercambiabili nella loro nullità.
Il gruppetto di donne che si riunisce intorno alla fontana, osserva tutto, commenta tutto, e fornisce una sorta di commento corale, falsamente stupito, falsamente moralistico, fondamentalmente cinico, alle commedie o tragedie umane cui assiste.
Il signor Shiwa infine (Junzaburo Ban). Si scopre essere il possessore del cappello e del bastone presi in prestito da Charlie Chaplin.
E' un distinto impiegato, per sua sfortuna tormentato da irrefrenabili tic nervosi che lo colgono nei momenti meno opportuni, ne deturpano i lineamenti e intimoriscono chiunque si trovi nei paraggi.
Ha invitato nella sua stamberga, e non sapremo mai come si è ridotto a vivere in un posto del genere, alcuni colleghi che gli dimostrano visibilmente rispetto e stima.
Vengono scortesemente strapazzati dalla signora Shiwa (Kiyoko Tange), che lo spettatore avrà già classificato in alcune scene precedenti come spregevole megera.
Eppure il signor Shiwa, pur dichiarandosi dispiaciuto che si sia dimostrata così sgarbata, sente il bisogno di renderle pubblico omaggio. Solo lui sa quanto gli sia stata preziosa l'assistenza di sua moglie, con quanto affetto gli sia sempre stata vicina e gli abbia permesso di sopravvivere ad una vita di stenti.
Abbiamo tralasciato altre storie ed altri personaggi: sarebbe comunque presuntuoso cercare di riassumere e semplificare tutte le storie, spesso complesse e non facilmente decifrabili anche quando brevi e solo accennate, che danno vita all'opera. Nulla può sostituire la visione diretta ed integrale e mai come nel caso di questo film.
Una nota finale: Kurosawa si è costantemente servito nel corso di tuttta la sua carriera di alcuni interpreti, i più noti tra i quali sono Toshiro Mifune, Tatsuya Nakadai e Takashi Shimura tra gli uomini, Kyogo Kagawa nei ruoli femminili.
Qui per la prima volta utilizza solamente attori nuovi, che non avevano mai prima lavorato con lui, o perlomeno non in ruoli tali da attirare l'attenzione sopra di essi, e di cui non si servirà più in futuro. Forse un modo per attirare l'attenzione sulla storia, evitando che il pubblico si lasciasse distogliere dalla notorietà degli interpreti e puntasse soprattutto a coglierne l'interpretazione.
Non va dimenticato del resto che Kurosawa era reduce dalla traumatica rottura con Toshiro Mifune, che durante le lunghissime riprese di Barbarossa aveva resistito alle incessanti richieste di Kurosawa, che intendeva dare al personaggio da lui interpretato connotati negativi, facendone invece malgrado le intenzioni del regista una figura carismatica quanto positiva.
Va detto che se Dodes'ka-den fu un clamoroso fiasco, nemmeno Barbarossa ottenne grande successo. Difficile dire quale dei due maestri avesse ragione, forse è più giusto dire che entrambi si ingannarono, caricando le tinte al punto da provocare il rifiuto di gran parte degli spetttatori.
Ovviamente queste considerazioni non vogliono diventare giudizi nei confronti delle due opere. Dodes'ka-den si congeda da noi con l'immagine di Rokuchan che traspare dietro il vetro della porta, al termine di una dura ma appagante giornata di "lavoro".
Rientrato nella sua casupola si accinge a godere del meritato riposo, sognando probabilmente un treno.
Akira Kurosawa: I cattivi dormono in pace (Warui yatsu hodo yoku nemuru)
1960
Toshiro Mifune, Masayuki Mori, Kyoko Kagawa, Takashi Shimura, Susumu Fujita
Nel 1960, dopo tre film d'epoca (Il trono di sangue, I bassifondi e La fortezza nascosta), era comprensibile che Kurosawa sentisse il desiderio di tornare ai temi di attualità. Del resto ha sempre affermato che dopo una pellicola gendai sentiva il bisogno di ritornare al jidai, e viceversa.
In effetti la sua carriera dopo le opere del periodo bellico era decollata con una ininterrotta serie gendai: Nessun rimpianto per la mia giovinezza (1946), Una meravigliosa domenica (1947), L'angelo ubriaco (1948), Duello silenzioso (1949), Cane randagio (1949) e infine Scandalo (1950).
A questo punto si sentì pronto per tornare ad affrontare le tematiche epiche jidai: nel 1950 esce Rashomon, che porta Kurosawa alla fama internazionale, e da allora i grandi drammi epocali si alternano periodicamente a quelli minimalisti e diremmo neo-realisti di epoca moderna.
Con I cattivi dormono in pace Kurosawa tenta per la prima volta una commistione di temi: non le piccole vicende di piccoli uomini e piccole donne, prodotto e qualche volta purtroppo dichiaratamente sottoprodotto, non voluto, della società contemporanea.
Vicissitudini immensamente tragiche perché proprio la loro dimensione umana e a volte meno che umana rendeva i protagonisti impotenti a contrastare le perverse dinamiche della società. Ci troviamo ora di fronte invece ad una denuncia dei grandi mali instrinseci nel mondo moderno, nello specifico la corruzione che coinvolge il mondo degli affari e quello della politica attraverso il sistema dei grandi appalti edilizi.
In questa opera Kurosawa per scagliarsi contro l'amoralità indissolubilmente connessa a questi intrecci tra politica e affari la impersona nel corrotto dirigente statale Iwabuchi (Masayuki Mori, irriconoscibile rispetto al samurai Takehiro di Rashomon e al Kameda protagonista l'anno seguente in L'idiota). Come abitudine quasi inveterata nelle sue opere gendai la conclusione sarà tragica, senza lasciare spazio alla speranza in una società migliore, perché popolata da esseri umani migliori.
I titoli di testa vengono accompagnati, come spesso usava Kurosawa, da una inquietante ritmo di tamburi. E' il primo segno che la vicenda intende essere forte, drammatica, coinvolgente.
Non possiamo dire che Kurosawa sia riuscito completamente nel suo proposito: si intrecciano troppi temi diversi perché la vicenda riesca a coinvolgere completamente, ed i personaggi sembrano preda di pulsioni più forti di loro che li inducono a comportamenti privi di logica, sia nel bene quanto più spesso nel male.
Kurosawa intende denunciare l'assoluta mancanza di scrupoli del capitalismo moderno e le sue connivenze a livello istituzionale, ma accettando il rischio di rendere queste tensioni più manifeste incarnandole nei personaggi tende a fare appunto della intera vicenda un affare personale, la vendetta di un uomo contro un altro uomo.
Tuttavia nessuna opera di Kurosawa può lasciare indifferente lo spettatore. Se a volte la chiarezza del messaggio può apparire offuscata, la sua intensità non viene mai meno.
Koichi Nishi (Toshiro Mifune) ha perduto in circostanze drammatiche il padre che non aveva mai conosciuto, indotto al suicidio per un assurdo senso di lealtà nei confronti del corrotto sistema affaristico in cui era inserito. Tramerà nell'ombra per ottenere la sua vendetta contro il corruttore Iwabuchi.
Quando riuscirà infine a ottenerla sarà però attraverso la distruzione di tutto, incluso se stesso e Yoshiko (Kyoko Kagawa), figlia di Iwabuchi, la donna che ha iniziato ad amare dopo averla scelta per farne lo strumento inconsapevole dei suoi piani.
La consueta ma inevitabile nota di demerito va riservata al doppiaggio della versione italiana, francamente insopportabile. Non ne conosciamo le ragioni, e forse gli artisti che prestano la loro opera non ne sono responsabili, ma l'intonazione delle loro voci racconta una storia completamente diversa da quella che è evidente nelle immagini. Consigliamo vivamente di lasciare l'audio originale in giapponese seguendo la vicenda attraverso i sottotitoli.
Le scene iniziali rappresentano un matrimonio, celebrato secondo un cerimoniale che rappresenta una singolare miscela di elementi occidentali e giapponesi.
Gli abbigliamenti e l'ambientazione (un lussuoso albergo) sono occidentali, ma spesso gli atteggiamenti sono quelli tipici della formalità giapponese di vecchio stampo, che forse volutamente Kurosawa contrappone alle innovazioni esteriori per dimostrare quanto poco sia cambiata la mentalità interiore.
L'ambiente sfarzoso, le divise formali degli inservienti e degli addetti al ricevimento, l'eleganza degll ospiti, tutto indica che si sta celebrando un importante avvenimento, probabilmente una cerimonia.
La conferma viene da un nugolo di giornalisti e fotoreporter che si aggirano nell'androne in cerca di notizie e spunti fotografici.
La loro attesa sembrerebbe vana, perché è loro proibito di entrare nei locali ove si svolgerà l'avvenimento, si dimostrerà però fortunata.
Inaspettatamente si presenta un ufficiale di polizia, interpretato da Susumu Fujita (protagonista di Sugata Sanshiro, il primo film di Kurosawa, qui in una breve apparizione). Sotto l'occhio interessato ed attento dei giornalisti, si qualifica e chiede di parlare con la persona incaricata di curare il cerimoniale.
Questi non potrebbe assentarsi, viene immediatamente richiesta la sua presenza in quanto è l'unico che conosca esattamente il programma.
Ma al nuovo arrivato, il signor Shirai, viene detto qualcosa che lo lascia estefatto, fissando muto i due poliziotti. Il cerimoniere gli consegna il programma scritto, dovranno tentare di andare avanti senza di lui.
Detto questo, torna dagli agenti di polizia e si allontana in mezzo ai due.
I giornalisti presenti non hanno ben compreso quanto sta succedendo, ma conoscono per ragioni professionali il funzionario di polizia, e immaginano che stia succedendo qualcosa di imprevisto, e completamente diverso dalla semplice cronaca mondana per cui si trovavano là.
Per prima cosa chiedono alla reception chi sia il signore che era stato a colloquio con gli agenti e poi li ha seguiti, o li ha dovuti seguire.
E' il signor Wada, della sezione contratti dell'Ente Nazionale per lo Sviluppo delle Terre Incolte. Non appena saputolo i giornalisti si affrettano a comunicare la notizia alle loro testate.
Nel frattempo, in una atmosfera ovattata che il regista rende ulteriormente evidente con la musica di Johann Strauss che accompagna la scena, una atrmosfera apparentemente impermeabile alle pulsioni ed ai problemi del mondo esterno, la cerimonia va avanti.
Si tratta di un matrimonio: Yoshiko (Kyoko Kagawa), figlia del Presidente dell'Ente, Iwabuchi, va in isposa a Koichi Nishi (Toshiro Mifune), fino ad allora diligente ma oscuro ed un po' anonimo segretario del suo futuro suocero.
Anche lì tuttavia avverrano diversi episodi inquietanti. Durante la sfilata degli sposi Yoshiko, che si muove visibilmente a fatica per una menomazione ad una gamba a malapena compensata da una vistosa protesi, inciampa salendo sullo scalone e cade rovinosamente al suolo.
La soccorre e la rialza prontamente il fratello Tatsuo, che segue costantemente e con preoccupazione ogni sua mossa.
Gli invitati sono centinaia, e tutti di alto tono.
L'amministratore delegato dell'Ente, il signor Moriyama, inizia la serie dei discorsi ufficiali.
E' interpretato da Takashi Shimura, che fornisce l'ennesima prova, se ce ne fosse stato ancora bisogno, di adattabilità ad ogni ruolo, in ogni storia, in ogni epoca.
E' invece decisamente fuori protocollo il discorso di Tatsuo Iwabuchi (Tatsuya Mihashi), il fratello della sposa.
Ricorda, ma ce ne eravamo già resi conto in precedenza, quanto sia legato a Yoshiko.
Non parla della sua menomazione fisica, ne apprenderemo la causa solo molto dopo, ma ricorda che la perdita prematura della madre ha fatto sì che lui sentisse il dovere di pensare a lei prima di ogni altra cosa.
E conclude con un invito, apparentemente scherzoso ma pronunciato con un tono tuttaltro che amichevole, rivolto al neo genero Nishi: abbia cura di rendere felice la sua sposa. Altrimenti, lui lo ucciderà. Il gelo scende nella sala, gli ospiti tentano invano di celare la spiacevole sensazione lasciata dal discorso di Tatsuo.
Sembra che la cerimonia sia nata decisamente sotto una cattiva stella, ma la parte più sconcertante deve ancora arrivare.
Mentre gli sposi si accingono a tagliare la pretenziosa e gigantesca torta nuziale, un monumento al cattivo gusto e alla volgarità di chi possiede solo ricchezza economica e nessuna ricchezza interiore, ne arriva a sorpresa una seconda, ancora più gigantesca.
Rappresenta la sede centrale dell'Ente, un grande palazzo per uffici costruito nello stile un po' anonimo degli anni 50 (ricordiamo che il film risale al 1960).
Nella grande massa bianca del dolce, ricoperto di zucchero, spicca la macchia rossa di una rosa in corrispondenza di una finestra dell'ultimo piano.
Apparentemente si tratta di una semplice decorazione, e potrebbe non avere alcun significato specifico.
La reazione di molti degli ospiti però, apertamente sconvolti, al punto di perdere completamente il controllo, dimostra che non può essere così.
Quella rosa rossa deve avere un significato ben preciso, e deve trattarsi di un segnale inquietante, minaccioso.
L'importante dirigente Shirai (Kô Nishimura), che aveva ricevuto dalle mani di Wada il programma della cerimonia, rimanendo già allora traumatizzato, ora è rimasto ammutolito.
Lo sposo dal canto suo rimane apparentemente impassibile.
Lascia l'impressione che tutto quanto succede intorno a lui non debba riguardarlo, o forse rimanga al di sopra della sua comprensione.
Anche il presidente dell'Ente, Iwabuchi, l'uomo che tirando dei fili invisibili dirige a suo piacimento come marionette gli uomini intorno a lui, accusa il colpo.
Ma solo per un attimo.
Si riprende prontamente e mostra la massima imperturbabilità, volgendo ostentatamente le spalle alla torta che ha causato tanto trambusto.
E' chiaro però che ha tutto notato e annotato, e qualcosa è scattato dentro di lui.
I giornalisti hanno assistito da lontano a tutta la scena.
Hanno compreso che davanti a loro si sta svolgendo una commedia, più probabilmente un dramma, di cui non si conoscono ancora gli sviluppi, di cui è impossibile al momento immaginare l'epilogo.
Uno di loro commenta cinicamente che non occorrerà fare granché per saperne di più: ha tutta l'aria di essere solo il primo atto di una rappresentazione che durerà ancora a lungo.
Basterà seguirla.
I primi sviluppi non si fanno attendere: l'operazione di polizia che ha turbato la cerimonia era disposta dalla magistratura nel quadro di una inchiesta sulla corruzione.
All'arresto di Wada seguono l'interrogatorio e l'arresto di Miura, capo contabile della impresa Dairyu, e una serie di perquisizioni che portano al sequestro di una mole impressionante di documenti.
Sembrano innegabili i legami tra la Dairyu e L'Ente per le Terre Incolte, coinvolti in un giro di tangenti.
Wada (Kamatari Fujiwara) è il personaggio chiave di tutta l'inchiesta.
I magistrati esercitano su di lui una forte pressione psicologica, una sua confessione porterebbe l'inchiesta a compiere un passo decisivo.
Ma per quanto provato Wada si rifiuta di collaborare con gli inquirenti, legato da un inpiegabile senso di lealtà verso le istituzioni che stanno dando una così pessima prova e che, glielo ricorda il magistrato, hanno il compito istituzionale di vigilare sul benessere dei cittadini e non di favorire le indsutrie con il denaro dei cittadini.
Sarebbe interessante sapere se Kurosawa sta semplicemente ricostruendo uno scenario credibile o non sta piuttosto alludendo a qualche scandalo realmente finito al vaglio della magistratura giapponese.
Le accuse sono chiare: un appalto per un ingente importo è stato aggiudicato in maniera sospetta: l'offerta della Dairyu è stata sorprendentemente allineata alla perfezione con la valutazione fatta dall'ente appaltatore, ma sensibilmente superiore a quelle dei concorrenti.
Per permettere alla Dairyu di vincere ugualmente l'appalto è stata chiesta ai concorrenti documentazione supplementare che non avrebbero potuto assolutamente fornire, dati i ridottissimi termini fissati per depositarla.
Alla magistratura arrivano regolarmente lettere anonime che contengono utili indicazioni sulle piste da seguire. Ma questa volta l'ostinato mutismo di Wada rende inutile ogni indagine, che accumula indizi sopra indizi ma non arriva a raccogliere prove vere e proprie.
I magistrati decidono allora di scompigliare le carte degli inquisiti con una manovra discutibile dal punto di vista legale ma che potrebbe riverlarsi efficace. Costretti a rilasciare Wada e il contabile Miura per la scadenza dei termini di carcerazione preventiva, a costui all'uscita dal carcere, mentre è a colloquio col suo avvocato, viene recapitato un nuovo mandato di arresto. Ma non per corruzione.
L'accusa è ora di peculato ai danni della Dairyu, poiché non è in grado di giustificare le numerose uscite di denaro senza alcuna documentazione. In questo modo i mandanti di Miura saranno costretti a dichiararsi parte lesa e la pressione su di lui, preso tra due fuochi, aumenterà fino ad indurlo probabilmente a qualche ammissione.
L'avvocato prende da parte un attimo Miura (interpretato da Gen Shimizu).
Lo avverte che il presidente aveva previsto questa possibilità, e nel caso si fosse verificata gli aveva affidato un messaggio orale da riferirgli: deve ricordarsi che il presidente Atano - misterioso presonaggio che non vedremo mai - ha in lui assoluta fiducia.
Gli effetti provocati su Miura dal breve messaggio sembrano tuttaltro che tranquillizzanti.
Infatti, senza che i poliziotti e l'avvocato, colti di sorpresa, riescano a fermarlo, Miura si getta in mezzo alla strada, mentre sta sopraggiungendo un camion.
Non ci sarà per lui nulla da fare, rimane ucciso sul colpo.
Nessuno saprà mai se Miura ha voluto tentare una fuga disperata o se ha lucidamente attuato il suicidio.
Certamente la sua morte sembra confermare che le indagini stanno colpendo nel segno, eppure sembrano sempre arrestarsi di fronte a impenetrabili muri di gomma.
I giornalisti incalzano i magistrati.
Dopo le parole indirizzate a Miura a nome del presidente della Dairyu, non è lecito chiedersi se la morte di questultimo non sia un vero e propriio assassinio, sia pure esercitato solo con pressioni psicologiche? Il giovane procuratore è costretto a negare: tecnicamente appare un classico caso di suicidio, se non morte accidentale.
E che ne è dall'altra figura chiave dell'inchiesta, il funzionario accusato di corruzione? Purtroppo, dal momento in cui è stato rilasciato, si perdono le tracce di Wada. Non è rientrato a casa e nessuno lo ha visto da allora.
Wada si è recato presso un luogo che per lui ha un significato particolare.
L'estensione di terreno da bonificare che era oggetto dell'appalto truccato a favore della Dairyu.
Si tratta di una località impervia, ai piedi di un vulcano in perenne eruzione.
Wada sale faticosamente lunghe le pendici.
Dopo una lunga e faticosa marcia arriva sull'orlo del cratere, in un panorama dominato dai fumi delle esalazioni, che sembra l'anticamera dell'inferno.
Ha lasciato pochi metri sotto di se una busta, probabilmente un biglietto di addio.
E' evidente che vuole togliersi la vita.
Finirà così automaticamente e definitivamente nel nulla, con la scomparsa delle due figure chiave, l'inchiesta sulla corruzione.
Wada sta cercando di trovare il coraggio di lanciarsi nel cratere.
Una figura appare improvvisamente tra i fumi e le esalazioni del vulcano, sbarrandogli il passo.
Wada retrocede, intimorito, ma l'uomo gli è addosso, e lo colpisce con un violento ceffone. Paradossalmente Wada risponde con queste parole: "Mi scusi... adesso vado".
Invano, viene ancora raggiunto e gli viene impedito con la forza di gettarsi nel vuoto.
L'uomo ci viene finalmente mostrato: è il gelido, anonimo, apparentemente insignificante Koichi Nishi.
Appare ora trasfigurato, animato da una forza materiale e interna che domina completamente il fragile Wada.
Gli rimprovera di esere nullaltro che un fantoccio nelle mani dei corruttori, che sta cercando con una morte tragica e ridicola di sottrarsi alle sue responsabilità. Perché gli dice questo? Perché lui non è quello che sembra.
La ritmata, ossessionante musica di sottofondo di questa scena ricorda in qualche modo il Bolero di Ravel che accompagnava 10 anni prima le sequenze di Rashomon.
Siamo ora nella sede dell'Ente. Il presidente Iwabuchi sta tenendo una conferenza stampa.
Alle sue spalle, come sempre inappuntabile ma insignificante, Koichi Nishi.
Le domande dei giornalisti sono incalzanti: cosa ha provocato queste due morti così comode?
Il biglietto di addio di Wada è stato infatti ritrovato sull'orlo del vulcano: si dà per certo che si sia tolto la vita.
Sprezzantemente Iwabuchi risponde che le domande andrebbero rivolte alla magistratura, che con un trattamento disumano ha indotto i due uomini a togliersi la vita.
Wada in realtà è vivo, e tenuto sotto custodia da Nishi, assistito da un misterioso uomo di nome Itakura (Takeshi Katô), che non risponde alle incessanti domande di Wada, che vuol capire chi sia veramente Nishi.
La conversazione viene interrotta dall'arrivo proprio di Nishi, che avverte Wada di prepararsi per uscire: dovrà infatti andare al suo funerale.
Fischiettando con disinvoltura Nishi completa il disfacimento di Wada, portandolo veramente ad assistere, celati all'interno di una macchina, al suo funerale.
Il poveretto è scosso alla vista della moglie e della figlia, e chiede ancora di essere lasciato morire, chiede ancora le ragioni del misterioso interessamento alle sue sorti.
Nishi non risponde. Gli fa ascoltare piuttosto, mentre i superiori di Wada, Shirai e Moriyama, arrivano per portare le loro condoglianze, un discorso registrato furtivamente al ristorante dove vanno spesso. Festeggiano e commentano cinicamente quella morte necessaria e provvidenziale.
Nishi pensa che Wada sia ormai pronto per avanzargli la sua richiesta: è disposto ad assisterlo nel compiere la sua vendetta?
Lo sapremo presto.
Shirai, un'altra delle persone chiave dell'apparato di corruzione, viene seguito dalla macchina da presa in un suo complicato itinerario.
Si reca in taxi, guardandosi continuamente alle spalle per controllare di non essere seguito, presso una società che affitta locali per magazzino e deposito. Lì ritira da una borsa una chiave ed un timbro, che sono le credenziali per entrare nel caveau di una banca, dove riceve in consegna una terza chiave.
A questo punto accede ad una camera blindata, ove è custodita una valigia.
La apre, ma rimane esterefatto: contiene soltanto una foto, la foto del palazzo che già conosciamo, quello dell'Ente, con una finestra constrassegnata da un segno a penna.
La stessa finestra dove era stata messa una rosa nella ormai famosa torta nuziale.
La valigia avrebbe dovuto contenere una ingente somma di denaro, e Shirai adesso, visibilmente scosso, sta tentando di spiegare l'accaduto a Iwabuchi e Moriyama.
Solo lui e Wada conoscevano la procedura di accesso, non sa spiegarsi cosa sia accaduto ma solo ipotizzare che sia coinvolta la stessa persona che aveva mandato quell'inquietante messaggio in precedenza, durante la cerimonia nuziale.
Iwabuchi rimarcando che solo lui e Wada erano al corrente della procedura, gli chiede per un controllo di verificare le chiavi ed il timbro del caveau. Shirai le ha lasciate in anticamera, nell'ufficio di Nishi.
La va a ritirare, non potendo immaginare che Nishi di nascosto vi ha appena infilato il denaro che mancava dalla valigia.
Shirai è apparentemente colto in fragrante mentre si sta appropriando del denaro depositato come compenso della corruzione.
Nishi assiste impassibile, apparentemente occupato ad evadere pratiche senza alcuna importanza, ma che sono per lui più importanti di qualunque altra cosa gli succeda attorno.
Da quel momento Shirai, già ridotto in uno stato psicologico estremamente fragile, viene preso di mira incessantemente.
Nei momenti più imprevisti gli viene spesso fatto apparire lo 'spettro' di Wada, in realtà Wada in carne ed ossa che ha accettato, sia pure ancora riluttante, di collaborare al piano di Nishi.
Shirai non sa più cosa credere: sapere che Wada vive ancora potrebbe spiegare l'ammanco del denaro e discolparlo, d'altra parte Nishi e il suo partner Itakura fanno sempre in modo che Wada scompaia come per magia, senza che si possa controllare se è veramente lui.
Shirai stremato si reca una sera alla casa di Iwabuchi, e lì lo trova Nishi rincasando.
Sta tentando di convincere lo scettico Iwabuchi che Wada non è veramente morto e lo perseguita, ma senza ottenere alcun risultato.
Iwabuchi ordina a Nishi di cacciarlo.
Il piano di Nishi è semplice: portare Shirai oltre al limite della sua sopportazione, per indurlo ad una confessione o ad un gesto inconsulto che scopra le carte dei corruttori. La posizione di costoro è invece ancora attendista: una terza morte sarebbe difficilmente giustificabile, prevale l'opinione di ammorbidire Shirai concedendogli altro denaro oltre quello avuto a suo tempo come compenso, che sembra non gli sia bastato.
Nishi dal canto suo è alle prese con un altro problema.
Il cognato, Tatsuo, sta maturando la convinzione che si sia lasciato corrompere anche lui e sia diventato una pedina nelle madri del suocero, suo padre, da cui lui ha preso le distanze. Sta così trascurando Yoshiko, destinandola ad una vita infelice.
Affronta quindi Nishi, scongiurandolo di non cedere alla influenza maligna della corruzione, di pensare solo a rendere felice Yoshiko.
Lei, non vista, ha ascoltato tutto, e la tensione la fa cadere sulla gamba menomata.
Nishi e Tatsuo accorrono in suo soccorso. In quel momento, forse, Nishi si accorge di amarla, dopo averla utilizzata solo come strumento della sua vendetta, per entrare nella casa stessa di Iwabuchi.
E' un tema in più in una vicenda già molto intricata, e che Kurosawa probabilmente non ha avuto il coraggio di tagliare né quello di seguire fino in fondo. La linearità della trama ne soffre.
Nishi si è spinto troppo avanti per potersi arrestare adesso, anche ammettendo che voglia cedere all'appello di Tatsuo.
L'equilibrio mentale di Shirai è già definitivamente compromesso, ma non intende dargli tregua.
Per scuoterlo se possibile ancora di più gli fa credere ad un tentativo di assassinio, con Itakura, nella parte del killer, che deve apparentemente rinunciare al suo proposito perché sorpreso dai fari di una macchina.
A questo punto ritiene che i tempi siano maturi per dargli il colpo finale.
Rapito Shirai, con l'aiuto di Wada, lo porta nottetempo nella sede dell'Ente, all'interno della stanza la cui finestra venne contrasssegnata da una rosa durante il matrimonio e da un segno di penna nella foto lasciata all'interno della valigia che avrebbe dovuto contenere denaro.
E dopo avere indicato la finestra, mostra allo sconvolto Shirai un'altra foto. E' quella del funzionario Furuya, coperto dal suo stesso sangue dopo essersi gettato da quella finestra. E lui è in realtà il figlio di Furuya.
Un figlio illegittimo, che nessuno conosceva, e che è ricorso ad uno scambio anagrafico per prendere l'identità di Koichi Nishi e attraverso Yoshiko entrare nelle grazie di Iwabuchi. Sono cinque lunghi anni che vive sotto mentite spoglie, preparando la sua vendetta.
Ora, scelga Shirai: espiare le sue colpe gettandosi da quella stessa finestra, o accettare una morte meno traumatica bevendo il veleno che gli viene offerto.
Shirai non è in grado di esprimere alcuna volontà e Nishi lo obbliga a inghiottire il liquido contenuto in quella che è in realtà una innocua fiasca di whisky.
Il crudele gioco si è spinto troppo oltre: Shirai, completamente impazzito, non gli potrà più servire a nulla.
Mentre Iwabuchi e Moriyama cominciano a sospettare che sia qualcuno legato alla morte di Furuya ad avere preso di mira loro e l'Ente, Nishi comincia ad avere i primi dubbi.
Sono per la verità dubbi non condivisibili, in quanto ritiene di avere sbagliato a non gettare Shirai dalla finestra, ritiene di peccare di debolezza lasciando prevalere in lui qualche sentimento di umanità.
Il dimesso Wada, docile strumento nelle sue mani, trova il coraggio di dissentire. Nulla di buono può nascere dall'odio, e cosa direbbe la signora Yoshiko se sapesse di quali metodi si serve suo marito per farsi giustizia da solo?
La reazione piccata di Nishi dimostra solo che l'osservazione ha colpito il bersaglio. Infine Nishi è costretto ad ammmettere che ci sono delle ragioni, sia per le sue titubanze che per le sue forzature.
Sì, effettivamente, imprevedibilmente, ha cominciato ad amare Yoshiko non appena si è reso conto che era completamente indifesa di fronte a lui, alla sua feroce determinazione. E questo sentimento ha incrinato la sua fermezza, ha allentato la sua determinazione, al punto da spingerlo per reazione a tentare di indurirsi ancora di più.
Un tema psicologico molto interessante, ed è forse male per la riuscita del'opera che Kurosawa lo lasci solamente abbozzato, senza svilupparlo più articolatamente dopo aver avuto l'audacia di introdurlo, al punto che sembra un elemento estraneo inserito a forza nella trama.
La lotta tra Nishi e la corruzione tuttavia non si arresta, è troppo tardi. Mentre lui si ripromette di utilizzare per i suoi scopi l'incondizionata fiducia che continua a dimostrargli Iwabuchi, dall'altra parte si è deciso di prendere l'iniziativa.
Moriyama si è recato a trovare la vedova Furuya, e apprende da lei l'esistenza di un figlio segreto, avuto da un'altra donna, di nome Itakura.
Noi sappiamo che è il nome dell'amico e complice di Nishi, e a questo punto cominciamo a comprendere, anche in base a conversazioni che hanno avuto i due, che hanno scambiato le loro identità. Ora il figlio di Furuya si chiama Nishi, mentre questi ha preso il nome di Itakura. Ha così usufruito del curriculum dell'amico, che gli ha permesso di essere assunto presso l'Ente.
La donna, che si sente sola e vorrebbe mettersi in contatto con l'unico figlio dell'uomo che è stato il compagno della sua vita, consegna a Moriyama anche una foto.
E' stata scattata durante i funerali di Furuya e vi appare casualmente sulllo sfondo, appoggiato ad un palo, un giovane che segue con attenzione quanto succede.
Qualcosa le dice che quel giovane è il figlio sconosciuto di Furuya.
Per quanto nell'immagine il volto non sia chiaramente riconoscibile, il cerchio comincia a stringersi intorno al falso Nishi.
Moriyama si reca immediatamente da Iwabuchi per metterlo a parte dei sui sospetti, che trovano conferme analizzando alla luce dei nuovi fatti tutto quanto accaduto in precedenza.
Non si rendono conto che Tatsuo sta ascoltando tutto quanto dicono.
In quel momento Nishi sta rincasando, con un mazzo di fiori per Yoshiko. Forse sarebbe sul punto di rivedere radicalmente tutti i suoi piani, se non abbandonarli, per pensare soprattutto a lei.
Ma è troppo tardi, non ne avrà più la possibilità. Mentre si attarda nell'ingresso per togliersi le scarpe infangate, Tatsuo lo chiama ad alta voce con il nome di Itakura, e lui non riesce a reprimere il gesto istintivo di voltarsi come chi si sente chiamato per nome.
Tatsuo ha la conferma che si è introdotto nella casa solo per vendetta, prendendosi gioco di sua sorella. Afferra un fucile e minaccia Nishi, sotto gli occhi terrorizzati di Yoshiko.
Nishi fa appena in tempo a fuggire, schivando di poco il colpo fatale.
Ora rischia di essere lui la preda di una caccia spietata.
La sua caccia personale è però destinata a continuare, e Nishi non ha più intenzione di cambiare ruolo.
Mentre Iwabuchi tiene consiglio per decidere cosa fare, arriva una telefonata che lo sconvolge.
E' da parte di Nishi: ha sequestrato Moriyama, e non solo. Wada è vivo, ed è con lui.
Ha ancora delle carte da giocare, e intende farlo, andando fino in fondo.
Per quanto ormai sappiamo che si sono scambiate le identità, continueremo a chiamare Nishi e Itakura con i nomi con cui li abbiamo conosciuti fino ad adesso.
Moriyama è stato portato da loro nei sotterranei di una fabbrica d'armi in rovina; sapremo più tardi che è uno dei luoghi dove hanno passato i durissimi anni del dopoguerra i due, che si conoscono da allora e da quel momento hanno diviso tutto nella loro vita.
Non hanno alcuna difficoltà a rivelare a Moriyama il loro piano: lo costringeranno a confessare e a fornire le prove, poi convocheranno una conferenza stampa, a cui parteciperà anche Wada, che è sempre con loro, e comunicheranno tutto all'opinione pubblica.
Come obligarlo a collaborare, soprattutto e rivelare il nascondiglio della ingente somma di denaro che ha occultato per ordine di Iwabuchi, la prova inconfutabile del giro di corruzione?
Il sistema scelto sembra semplice quanto sicuro: lasciare Moriyama chiuso nei sotterranei, senza luce, senza acqua e senza cibo, finché non cederà.
Avranno il coraggio di farlo, o si tratta di una minaccia che non porteranno fino in fondo? Per il momento, lasciano Moriyama ad inveire picchiando inutilmente i pugni sulla porta della sua cella improvvisata, ed escono all'aperto ignorando le sue grida, che nessuno potrà udire.
Solo dopo alcuni giorni Moriyama cede: rivela dove ha nascosto 150 milioni di yen, una quantità enorme di denaro che Nishi quantifica indicando con le mani quanto deve essere grande il pacco.
Ha rivelato anche tutte le malversazioni di cui era a conoscenza, e da allora lo vedremo sempre intento a mangiare compulsivamente, con una di quelle concessioni al registro comico che Kurosawa talvolta concede anche nei momenti più drammatici.
Sembrano le premesse di un meritato trionfo per Nishi, Itakura e Wada.
Ben presto però i primi due si rendono conto che Wada è scomparso.
I dubbi li assalgono: ha forse defezionato, incapace di vincere il suo senso di appartenenza alle istituzioni, pur avendo la prova di quanto siano corrotte? Dopo tutto erano alcuni giorni che continuava ad esternare le sue perplessità.
Quand'ecco che si sente qualcuno che si avvicina alla scala d'ingresso
E' Wada che è ritornato. E non è solo: ha portato con se Yoshiko. Dichiara di non averla portata là per far fallire il piano, ma per permettere a Nishi e Yoshiko di chiarirsi, e di continuare a vivere assieme nonostante tutto quello che sta succedendo.
Il chiarimento tra i due avviene.
Yoshiko dichiara di essere felice: non le importa nulla del resto, la sola cosa che conta per lei è di sapere che veramente Nishi le vuole bene, e non l'ha usata come uno strumento per raggiungere i suoi scopi.
Il lungo dialogo tra Nishi e Yoshiko non può ovviamente far scomparire la drammaticità della loro situazione.
Yoshiko e soprattutto Tatsuo sono sempre stati coscienti delle zone d'ombra nella vita del loro padre, ma non possono odiarlo.
Un margine di speranza tuttavia si intravede: Nishi sempra disponibile a mostrarsi meno intransigente e meno rancoroso. A cercare la giustizia e non la vendetta.
Kurosawa ci rivela che anche Iwabuchi, nonostante il suo contegno glaciale, risente delle continue tensioni cui è sottoposto.
E' costretto a ricorrere ai farmaci per dormire, e col dottore che interpella per telefono si mostra umile e deferente, mentre di solito mostra solo arroganza.
Si sta preparando un sonnifero.
In quel mentre sente rincasare la figlia, e ne rimane stupito. E' raro che esca, e mai da sola.
Interroga la cameriera, che non ne sa molto di più: verso mezzogiorno è arrivata una telefonata, ed un uomo ha chiesto di parlare con la signora, che poco dopo è uscita senza lasciar detto dove si recava.
Si reca a parlare con lei. Ha il sospetto che abbia avuto un incontro con Nishi.
Sembra un uomo completamente cambiato, consapevole delle proprie colpe ma incapace di ammetterle, tuttavia legato da un profondo affetto sia ai propri figli che allo stesso Nishi.
Yaoshiko è sicura di non essere stata seguita? Potrebbe essere stato lo stesso Tatsuo, che è uscito armato, ad averla seguita di nascosto per scoprire dove si nasconde Nishi ed ucciderlo finalmente, dopo aver fallito il colpo pochi giorni prima.
Insiste che bisogna fare qualcosa, che bisogna intervenire. Yoshiko gli rivela dove si è incontrata col marito, ed immediatamente Iwabuchi decide di uscire, insistendo perché la figlia, troppo provata, non lo accompagni.
Yoshiko cade in un sonno profondo: il padre le ha fatto bere del vino, assicurandole che le avrebbe fatto bene e l'avrebbe calmata, mentre lui chiamava la macchina per andare assieme.
In realtà le ha somministrato il sonnifero che aveva preparato per se stesso.
Solo molto tempo dopo Tatsuo, che era uscito sì armato, ma per una tranquilla partita di caccia, fa ritorno a casa e a fatica riesce a svegliare Yoshiko, che gli spiega tutto quanto è successo.
E' evidente che si tratta di un altro inganno di loro padre. Devono raggiungere immediatamente Nishi per tentare di metterlo in salvo, sempre se saranno ancora in tempo.
Partono immediatamente a bordo della vettura di Tatsuo.
Sono talmente presi dalla loro angoscia che nemmeno si soffermano un attimo quando, lungo il cammino, incrociano una macchina che porta i segni di un tremendo incidente, circondata da agenti di polizia che compiono rilievi.
Arrivati all'imbocco del sotteraneo Tatsuo e Yoshiko debbono scendere lentamente la ripida scala, per le condizioni della donna che si deve appoggiare costantemente al fratello per non cadere.
Hanno tutto il tempo di conseguenza per rabbrividire per le urla disperate che provengono da sotto.
Una volta entrati, scorgono Itakura: è lui che piange e grida ininterrottamente, come un animale ferito a morte.
Non appena scorge i due si scaglia loro addosso: è tutta colpa della donna, è stata lei ad avvertire il padre, che ha mandato sul posto una squadra dei suoi uomini.
Colpa di cosa? La risposta è terribile: Nishi è morto.
Nella macchina accartocciata che hanno visto arrivando, c'è il suo corpo. La macchina è stata fatta travolgere da un treno merci. Nishi era al suo interno, privo di sensi: aggredito da molti uomini, dopo averlo immobilizzato i sicari gli hanno iniettato dell'alcol con una siringa, per simulare che fosse ubriaco e giustificare quello che doveva sembrare un incidente.
Le dimensioni della tragedia sono tali da schiacciare le tre persone. Itakura conclude con amarezza che perfino la morte di Nishi, apparentemente morto per un banale incidente all'interno della sua auto, si è dimostrata inutile.
Nessuna giustizia sarà fatta.
Gli uomini che hanno ucciso Nishi hanno portato via Wada, e non sarà un problema farlo sparire visto che è dato per morto da tutti, e Moriyama. Non ci sono più testimoni.
Hanno anche recuperato e messo al sicuro la somma di denaro di cui Moriyama aveva indicato la dislocazione, ed ogni altra prova materiale. E lui stesso, che è in realtà il vero Nishi, è condannato a rimanere per sempre Itakura, e a tacere di una verità che conosce solo lui.
DObbiamo segnalare questa parte della trama non è molto verosimile.
Probabilmente Kurosawa conta che la tensione con cui avvince lo spettatore non lo farà notare.
Non è infatti comprensibile come mai assassini tanto meticolosi abbiano lasciato vivo dietro di loro un testimone pericoloso come Itakura, che ha in mano le prove materiali dell'assassinio di Nishi - i segni della sua resistenza e la siringa con cui gli è stato iniettato l'alcol - e che potrebbe sicuramente dimostrare in mille modi di essere in realtà il vero Koichi Nishi.
Ma senza questa scena Kurosawa non avrebbe avuto modo di far urlare due volte al falso Itakura quella che è in fondo la morale di questa amarissima quanto realistica favola. Dove è la giustizia?
In realtà Kurosawa ha ancora in serbo un'altra morale, e se possibile ancora più amara.
Dopo la conclusione della vicenda Iwabuchi tiene una conferenza stampa in cui ipocritamente piange la morte di un fedele segretario e di un bravo genero, dimostrandosi incredulo di fronte alla circostanza che Nishi avesse abbondantemente bevuto prima di avere l'incidente.
Quando gli viene chiesto per quale ragione Nishi avesse convocato una conferenza stampa, dichiara di averla richiesta lui stesso, ma di essere al momento troppo addolorato per darvi seguito, e si allontana simulando un intenso dolore.
Si rianima immediatamente appena nessuno lo può scorgere, all'interno del suo ufficio, e immediatamente effettua una telefonata, che viene però subito interrotta: sono entrati nel suo ufficio Tatsuo e Yoshiko.
Sono venuti solamente, parlerà Tatsuo rimpiangendo di non avere con se il suo fucile, per dirgli che non lo considerano più loro padre e non vogliono più vederlo nella loro vita.
Accenna a rinccorrerli, ma lo squillo del telefono lo richiama indietro. Considera più importante rispondere.
Dopo essersi scusato della interruzione, presenta il rapporto della situazione ad un misterioso personaggio, cui risponde sempre affermativamente e con estremo ossequio.
Propone di rassegnare le sue dimissioni dall'Ente, e gli viene anche consigliato un viaggio all'estero per far calmare le acque; prontamente dà il suo assenso.
La telefonata è finita. Iwabuchi si inchina servilmente quanto grottescamente alla cornetta del telefono, ormai muta.
Anche il burattinaio è solo un burattino.
Vivere nella paura (Ikimono no kiroku)
Akira Kurosawa, 1955
Toshiro Mifune, Takashi Shimura
L'esplosione delle due bombe atomiche sganciate dall'aviazione statunitense sopra Hiroshima (6 agosto 1945) e Nagasaki (9 agosto) pose fine alla seconda guerra mondiale ma a carissimo prezzo. Aveva già causato secondo le stime effettuate nel 1950 intorno alle 250.000 vittime, di cui una parte notevole aveva perso la vita negli anni successivi a causa degli effetti collateral.
Altri ancora dovevano scomparire, dopo lunghe sofferenze, e altri infine sarebbero rimasti marchiati dal fuoco atomico per il resto della loro vita e perfino nella tomba.
I nomi di queste persone, chiamate hibakusha (被爆者) ossia letteralmente persone colpite dall'esplosione, vennero iscritti in uno speciale registro nel monumento alle vittime dell'olocausto atomico.
Nell'agosto 2009[update] questo registro, che viene tuttora aggiornato, conteneva i nomi di circa 410.000 tra persone decedute ed hibakusha; 263.945 in Hiroshima e 149.226 in Nagasaki.
Nove anni dopo la tragedia nucleare, nel marzo del 1954, il peschereccio giapponese Fukuryu Maru con 23 uomini di equipaggio a bordo venne investito al largo delle isole Marshall dalla ricaduta radioattiva di un esperimento atomico americano effettuato nell'atollo di Bikini.
Il marconista Aichi Kuboyama morì pochi mesi dopo, tutti gli altri vissero il resto della loro vita sotto stretto controllo medico.
Il peschereccio, il cui nome significa Drago fortunato, venne tirato a secco nel 1976, ed è conservato ancora oggi in un grande sala nella città di Tokyo.
Le autorità americane che dapprima avevano tentato di negare l'evidenza, ammisero poi che circa un centinaio di navi erano rimaste contaminate dall'esplosione, assieme ai loro equipaggi e a molti abitanti delle isole Marshall.
La famiglia Kuboyama venne infine compensata con circa 2.500$ dell'epoca, il governo giapponese con 2 milioni di dollari.
L'impressione fu enorme nell'opinione pubblica giapponese, che già si doveva quotidianamente confrontare col monito posto da centinaia di migliaia di vittime ma anche di altrettante centinaia di migliaia di sopravvissuti, che portavano il peso di un vita e di un futuro incerti e gravosi, per se e per i propri figli.
Del resto negli anni 50 e 60 il terrore della catastrofe atomica era diffuso in tutto il mondo, come indica anche l'opera di Stanley Kubrik Il dottor Stranamore. Il timore, irrazionale ma reale e realistico, che le esplosioni atomiche avessero contaminato gravemente anche l'equilibrio ecologico, diede origine ad una serie di film che mostravano creature mostruose uscite dal mare: il più famoso di tutti questi mostri di cartapesta - proiezioni di mostri della mente - ancora ben conosciuto anche in occidente, fu Gojira (Godzilla). Nel 1955 inoltre un ennesimo episodio, la coraggiosa morte di Sadako Sasaki, bambina contaminata dalla radiazioni in tenera età, scosse il Giappone.
Uno dei più stretti collaboratori di Akira Kurosawa, il musicista Fumio Hayasaku (a sinistra nella foto assieme al maestro), persona costantemente vicina alla morte in quanto gravemente malato di tubercolosi, rimase estremamente impressionato dalla vicenda dei marinai del Fukuryu Maru.
Hayasaku sosteneva - e lo sperimentava quotidianamente sulla propria pelle - che non era accetttabile vivere avendo costantemente la morte al fianco. Convinse Kurosawa a scrivere una sceneggiatura, cui collaborò egli stesso, che avesse per tema la psicosi della catastrofe nucleare.
Venne portata immediatamente sullo schermo: era un momento in cui Kurosawa era al culmine del successo e nulla gli veniva negato, poteva quindi imporre le sue scelte. Entrambi si dedicarono al loro compito con assoluta dedizione.
Hayasaku non arrivò a vedere la fine dell'opera: scomparve improvvisamente a 41 anni, il 15 ottobre 1955, lasciando vuota per la prima volta quel giorno la pagina del suo diario, in cui quotidianamente segnalava il progredire dell'opera.
In una lettera a Kurosawa inviata nel periodo immediatamente precedente la morte, la sua ultima lettera, aveva scritto: "Non inquietarti per il mio stato di salute. Sii senza pietà".
Il suo allievo Masaru Sato portò a termine le musiche di scena.
La sequenza finale avrebbe dovuto essere commentata da un tema chiamato Musica delle stelle, di cui Hayasaku aveva potuto mettere sullo spartito solo le prime 4 battute. Kurosawa negò l'autorizzazione a completare questo pezzo, e nella scena finale di Ikimono no kiroku riprende invece iil tema di apertura.
Kurosawa dichiarò in seguito: «Mentre scrivevamo la sceneggiatura avevamo la sensazione di essere sul punto di fare quel genere di film che ci avrebbe permesso, una volta finito tutto e venuto il giorno dell'ultimo giudizio, di alzarci e rendere conto delle nostre vite passate dicendo: "Siamo gli uomini che hanno fatto Vivere nella paura"».
L'opera tuttavia non lasciò segni tangibili né sulla critica né sul pubblico.
E dire che Kurosawa era reduce come detto da un grande trionfo internazionale con I sette samurai, e con gli stessi protagonisti: i grandi Takashi Shimura e Toshiro Mifune, qui incredibilmente credibile nei panni di un vecchio settantacinquenne, lui che ne aveva all'epoca 35 ed era il ritratto del vigore e della salute.
Il desiderio espresso più volte da Kurosawa, e ripreso anche dalla sua stretta collaboratrice Teruyo Nogami in una intervista che accompagna l'edizione francese del film (edita da Wild Side Films, e ricca di preziosa informazioni), è che la gente di oggi possa riscoprire questa opera dimenticata del maestro e possa diventare ricettiva allo spirito espresso nelle sue opere.
Soprattutto in Giappone: se non sono mancati in ambito mondiale i riconoscimenti all'opera di Kurosawa, se ancora i suoi film vengono ricercati e proiettati nelle sale occidentali, in Giappone molti non si ricordano di lui o non lo hanno mai conosciuto.
Detto che occorre riscoprire Kurosawa, accostandoglisi con rispetto ed attenzione, va anche detto a chiare lettere che Ikimono no kiroku è una delle sue opere più importanti, ed una di quelle di più scottante attualità: se sono diminuiti i timori di una tragedia nucleare, infiniti altri timori sono sopraggiunti a turbare i pensieri e ad inquinare le opere dell'uomo moderno. Kiichi Nakajima, il protagonista incarnato dalla straordinario Toshiro Mifune, è un uomo dei nostri giorni, alle prese con le nevrosi dei nostri giorni.
O, più esattamente, un uomo alle prese con l'angoscia del vivere quotidiano che ha sempre attanagliato ogni essere umano, in ogni epoca, e quindi anche ai giorni nostri. Soprattutto quando il successo materiale nella vita sociale ricopre l'essere umano di una superficiale sicumera, rendendolo particolarmente vulnerabile al pur necessario, indispensabile, non differibile, dubbio esistenziale.
Kurosawa volle tornare ancora sul tema, e all'olocausto nucleare è dedicato anche il film Rapsodia in agosto, da lui scritto e diretto ed uscito sugli schermi nel 1991.
Le immagini di apertura ci mostrano un Giappone profondamente diverso da quelle che ci avevano mostrato le opere di Kurosawa degli anni 40. Allora regnavano lo sconforto e la desolazione, ed anche in Vivere che risale a soli tre anni prima, l'atmosfera è ancora quella cupa e talvolta disperata dell'immediato dopoguerra.
Ora invece è evidente che tira un'aria nuova, l'aria di una ricostruzione già ben avviata: le strade sono affollate di persone, biciclette, automobili e mezzi pubblici.
Ognuno sembra avere una occupazione urgente cui attendere, che richiede il suo spostamento all'interno di un ordinato quanto complicato sistema. Anche la musica di Hayasaku, per quanto non priva di drammaticità, cerca di richiamare alla mente l'idea di un fermento tutto sommato positivo.
Il coprotagonista lo conosciamo per la prima volta vedendolo affacciarsi alla finestra; è il dottor Harada, stimato dentista che è allo stesso tempo un apprezzato mediatore nelle cause civili.
Takashi Shimura, Impecccabile come sempre nel suo ruolo, aveva rifiutato quello del protagonista, ritenendosi oramai troppo "sbiadito" per affrontarlo. Eppure era ancora di parecchio più giovane del personaggio che avrebbe dovuto interpretare, immaginato come un vecchio di 75 anni.
Una convocazione di routine in tribunale segnerà per lui l'inizio di una esperienza che dovrà farlo riflettere profondamente.
Già al primo impatto si rende conto di dover mediare in un caso di disputa familiare ben più serio di quelli che ha trattato fino ad allora. Il corridoio del tribunale è affollato di persone legate in vario modo alla causa in discussione, e l'atmosfera tra di loro non è delle più serene.
Allo stesso Harada, scambiato per uno dei tanti curiosi o postulanti, viene proibito l'ingresso in aula e deve qualificarsi.
Non appena entrato capisce immediatamente perché quel caso darà a tutti molto filo da torcere.
Si sta discutendo sulla richiesta di interdizione del signor Kiichi Nakajima, presentata dai suoi familiari: la moglie ed i suoi due figli Ichiro e Jiro, e le figlie Yoshi e Sue.
Il signor Nakajima è naturalmente presente, per dare la sua versione dei fatti, e sta impegnando severamente sia il giudice conciliatore che i familiari, che pur alternandosi non riescono a tenerlo a bada.
Si tratta chiaramente di un vecchio collerico, tirannico ed indomabile, che ha costruito la sua vita con inflessibile volontà, travolgendo ogni ostacolo.
Non è mai stato disposto in vita sua nemmeno ad ascoltare alcuna minima obiezione ai suoi piani, figuriamoci accettarla.
Essere addirittura tacciato di incapacità di badare a se stesso dopo che per una vita ha badato agli altri rappresenta per lui un atto di infamia.
Kurosawa, dopo avere nello script dipinto sia pure a grandi linee la figura del protagonista, assieme ai suoi collaboratori, si rese immediatamente conto che nessun attore giapponese sembrava in grado di affrontare la parte.
Nonostante il suo rifiuto Shimura sarebbe stato sicuramente all'altezza. Ma la scelta apparentemente azzardata di Toshiro Mifune si dimostrò non perfettibile. Le lunghe e faticose sedute di trucco cui si sottoponeva prima di ogni ripresa non bastano a giustificare la sua metamorfosi.
Mifune si è incarnato alla perfezione nei panni di una persona di quaranta anni più anziana, muovendosi, gesticolando, perfino respirando come un uomo di 75 anni.
Età che - non bisogna dimenticarlo - era negli anni 50 molto più vicina di adesso ai limiti estremi della vita umana.
Kiichi Nakajima è sicuramente un personaggio inedito nella filmografia di Kurosawa, e che non ritroveremo più. Al termine della sua vita, una vita condotta con aggressività e coronata dal successo materiale, non ha perso nulla della sua carica di energia, ma stenta a trovare come indirizzarla.
E' il proprietario delle acciaierie Nakajima, il cui stesso aspetto lascia immaginare una crescita tumultuosa e inarrestabile,in tempi in cui era necessario badare al concreto più che all'apparenza.
Da alcuni anni tuttavia si è convinto che il Giappone è sull'orlo di una nuova catastrofe nucleare, e progettava di abbandonare tutto per trasferirsi nell'estremo nord, pensando di essere là al sicuro costruendovi un rifugio anti atomico.
I suoi famigliari più stretti, la moglie ed il figli, hanno per questo fatto ricorso in tribunale. Chiedono che gli venga interdetta la vendita dei suoi beni e venga messo sotto tutela. La decisione viene fissata ad una seconda udienza.
Apparentemente Nakajima si è rassegnato, tornando al suo caotico tran tran quotidiano.
Potrebbe sentirsi ormai "arrivato", continua invece a sporcarsi anche materialmente le mani.
Esamina con attenzione ogni carico di carbone che arriva ad alimentare le sue fornaci, e tratta rudemente di persona con clienti e fornitori, anche i più insignificanti, che mostrano tutti di temerlo.
Ma anche di rispettarlo.
La sua rassegnazione è solo apparente: non è certamente un uomo che si arrende alle prime difficoltà, e lo dimostra in continuazione a se stesso e a chiunque lo circonda.
Una grossa macchina guidata da un autista entra un giorno nei cancelli dello stabilimento Nakajima. Ne esce un signore attempato, di una certa età, con i modi di chi è abituato a comandare (l'interprete è Eijiro Tono).
E' venuto per una trattativa con Nakajima
Una trattativa particolare, che riaprirà la guerra privata del vecchio leone con il resto del mondo.
Senza dire nulla, pone sul tavolo una misteriosa valigia che ha portato con se, e la apre: è custodia di un proiettore, un proiettore amatoriale di pellicola 8mm, che veniva appunto utilizzata alla metà del secolo XX.
Spegne la luce.
Tra l'attonito stupore dei presenti, che si rendono conto che sta succedendo qualcosa che non potrà non avere ripercussioni sulla loro vita, inizia a proiettare un film sulla nuda parete.
Sono riprese di un paese lontano: il Brasile.
Lontano eppure vicino, in quanto diverse ondate emigratorie vi avevano impiantato la più numerosa colonia giapponese al di fuori della madre patria.
Dall'età del misterioso visitatore, e dalla sua evidente ricchezza, comprendiamo che si tratta di un cittadino giapponese emigrato in Brasile all'inizio del 1900, e che ha fatto fortuna.
Cosa è venuto a proporre? Uno scambio: una immensa fattoria nel cuore del Brasile, in cambio di una tenuta in Giappone ove potersi ritirare per il resto dei propri giorni.
Nakajima aveva infatti da qualche tempo corretto il tiro: la notizia degli esperimenti nucleari sovietici nella zona artica l'aveva allarmato, e gli aveva fatto capire che trasferendosi all'estremo nord sarebbe finito direttamente dalla padella nella brace.
Ha deciso quindi di trasferirsi addirittura in un altro continente, aggirando la decisione del tribunale con una trattattiva che non implica scambio di denaro.
La vita privata di Nakajima è assai complicata: oltre alla famiglia regolare, è attorniato da una schiera di amanti e figli illegittimi, tutti ancora molto giovani. Questo ci lascia immaginare che Nakajima abbia lavorato incessantemente per gran parte della sua vita, senza mai concedersi un attimo di respiro, per poi conoscere solo in età matura qualche momento in cui potersi rilassare, ma approfittandone appieno quando è arrivato ad una posizione agiata.
Nakajima non sembra fare alcuna differenza tra la famiglia naturale e le sue famiglie di complemento. Il primo nucleo è in realtà composto da un solo ragazzo, orfano di una delle tante sue amanti.
Il vecchio si reca da lui periodicamente, lo rifornisce di denaro, tenta di indirizzarlo nella vita. E naturalmente ora progetta di portare anche lui in Brasile.
E' evidente dalla sua espressione che il ragazzo non è entusiasta dell'idea, ma dapprima non osa obiettare, lo trattiene l'irascibilità del vecchio.
Infine si fa coraggio: è un figlio naturale, la famiglia non lo accetterà mai. Preferirebbe essere aiutato per crearsi una vita autonoma in Giappone.
Come era prevedibile, Nakajima si infuria e lo pianta in asso.
Una seconda amante ha una figlia, Taeko. Ambedue vivono dei proventi di un bar che Nakajima ha acquistato per loro.
Ma traspare dal loro comportamento una insofferenza di fondo: ritengono che Nakajima potrebbe fare molto di più per sostenerle, se solo volesse.
E, naturalmente, non hanno alcun interesse a trasferirsi in Brasile. Sarebbe, questa la giustificazione che trovano, un abusare della sua cortesia.
L'unica persona che sembra avere veramente un intenso legame di affetto con Nakajima, a parte la moglie Toyo, che è però una povera creatura in balia degli eventi, sempre in lagrime, è Asako (Akemi Negishi), che mantiene un padre fannullone ed è madre di un bimbo per cui Nakajima stravede.
E' durante la visita a quest'ultimo suo centro degli affetti che scopriamo per la prima volta una incrinatura nella impenetrabile sicumera di Nakajima.
Ha un terrore folle dei fulmini, e non riesce a trattenersi dal rifugiarsi tremando in un angoletto ogni volta che arriva un temporale.
Una caratteristica che Kurosawa riproporrà tale e quale, a distanza di circa 35 anni, nella protagonista del suo Rapsodia in agosto: un'altra opera come già detto dedicata alla tragedia dell'atomo.
Terminato il primo giro di riognizione destinato a sondare gli umori di figli, figlie, moglie, amanti, Nakajima non tarda a ricevere una prima inquietante risposta:.
Il postino arriva con due lettere ufficiali, provenienti dal Tribunale Civile: la sua famiglia certamente ha fatto di nuovo opposizione.
I plichi consegnati dal portalettere sono due, ed il secondo è a nome della moglie Toyo: a causa di un nuovo esposto indirizzato al tribunale le parti sono chiamate in anticipo ad esporre le loro ragioni.
Il terribile vecchio però non ha alcuna intenzione di attendere la data della convocazione per poter dire la sua: non appena entra dentro casa i familiari capiscono immediatamente che c'è aria di burrasca.
Nakajima non riesce nemmeno a parlare. La vita lo ha abituato, forse costretto, a manifestare immediatamente le sue emozioni e a cercare loro uno sfogo materiale ma questa volta si limita a porgere alla moglie la copia dell'esposto, e a ritirarsi disgustato dalla vista dei suoi familiari.
La macchina della giustizia aveva accelerato il suo iter procedurale in seguito ad un intervento di Ichiro Nakajima al termine del quale il presidente del tribunale aveva subito chiamato al telefono il dottor Harada.
Era richiesta la sua presenza per un nuovo tentativo di mediazione tra Nakajima, che aveva ignorato ogni raccomandazione, ed i familiari.
In udienza, tormentata come la precedente dalla calura estiva, le certezze dei magistrati e del mediatore iniziano sia pure ancora impercettibilmente a vacillare.
Al di là di quello che possono far comprendere le carte processuali, al di là di quello che prescrive la legge, avvertono che l'inflessibile volontà di Nakajima merita rispetto, anche quando non è possibile comprenderla ed assecondarla.
Ma la situazione di fatto non si muove: Nakajima è irremovibile, e la famiglia non osando opporglisi a tu per tu si rifugia dietro l'asettica e puntigliosa protezione del tribunale civile.
Ma è una rinuncia, uno scarico di responsabilità ed in fondo una dimostrazione di viltà, che Nakajima non è disposto a tollerare. Il figlio Jiro si fa portavoce e spiega che secondo la famiglia l'idea balzana di emigrare in Brasile è destinata a risolversi in uno scacco finanziario.
Qui Nakajima per la prima volta svela i suoi piani: non pagherà in denaro la fattoria in Brasile, la otterrà mediante uno scambio di beni. Gli stessi giudici devono ammettere che l'idea è brillante.
Harada fa ancora un passo avanti: dichiara che l'idea è realizzabile, e chiede ai familiari se non siano disposti a riconsiderare la loro opposizione.
No, è ancora Jiro che parla: il terrore della bomba atomica è ingiustificato, e se anche fosse, non dobbiamo tutti morire un giorno?
Nakajima si ribella: non si ribella alla morte. Ma rivendica il suo diritto di non morire assassinato. I giudici rimangono colpiti, in assoluto silenzio, da questa dichiarazione titanica.
Jiro ha ancora un altro argomento. E' arrivato il momento di parlare della complicata situazione sentimentale del padre, che ha intenzione di portare in Brasile anche le sue amanti e i loro figli.
Nakajima non ha niente da nascondere, trova giusto voler pensare alla salvezza di tutte le persone cui è legato e che dipendono da lui. Jiro lo invita allora ad andare in Brasile con chi vuole, ma lasciare loro liberi di vivere la loro vita in Giappone.
E' un affronto troppo grande per Nakajima, che come al solito sceglie il metodo più diretto per rendere noto il suo disappunto.
Si scaglia sul malcapitato Jiro, invano trattenuto dagli altri figli, dalla moglie e dai funzionari, e gli dà a sonori ceffoni il fatto suo.
Ristabilita in qualche modo la calma, bisogna attendere nel corridoio le decisioni del tribunale.
Attendere l;e decisioni di altre persone, specialmente su materie che ti riguardano da vicino, che decideranno se la vita andrà in un senso o nell'altro, è dura.
Il gruppetto siede silenzioso, a capo chino, senza trovare la forza di dire nulla.
Quando ad un tratto, minaccioso, ecco arrivare a grandi passi Kiichi Nakajima.
Cosa altro starà per combinare?
Una volta tanto, nulla di grave: è semplicemente andato a comprare delle bibite, e le distribuisce, premuroso quanto timido e scontroso, alla moglie ed ai figli.
Un modo per chiedere scusa del suo ennesimo scatto di nervi?
Certo. Ma soprattutto un espediente adottato da Kurosawa per ricordarci che a dispetto delle impressioni superficiali, con cui lui stesso si è divertito a portarci fuori strada, Nakajima è in questa vicenda l'unica persona disinteressata
L'unica che abbia premura per il destino degli altri e che li circondi di attenzioni.
E' questo il suo destino, questa sarà la sua condanna.
Nell'aula, sempre più oppressi dalla calura, sono rimasti i magistrati assieme ad Harada ed alla segretaria.
Sembra loro che non ci siano margini per respingere la richiesta dei familiari di Nakajima.
Harada chiede la parola, propone di riflettere ancora un attimo. In fondo, il timore di una catastrofe nucleare, non l'hanno tutti, comprese le persone presenti nella stanza? E perché interdire una persona che è stata dichiarata normale dai medici, che non è dedita all'alcol, che è certamente fuori dalla norma ma non fuori dai limiti?
Solo perché è l'unico che abbia il coraggio di dichiarare le sue paure, di affrontarle e di cercare dei rimedi?
Indubbiamente Nakajima esagera, i suoi timori anche se condivisi da tutti sembrano essere patologici. Ma quale è la causa scatenante della sua angoscia?
Harada prima di prendere qualunque decisione ha bisogno di conoscere le origini del suo male esistenziale. E' necessario porgli direttamente la domanda.
Nakajima tuttavia non riesce a comunicare i suoi sentimenti. Nega di essere inquieto, ritiene che sia giusto e necessario evitare il rischio di essere assassinato, e se i suoi figli preferiscono chiudere gli occhi e comportarsi da vili, lui non intende rassegnarsi prima ancora di avere tentato qualcosa.
E' chiaro che il tribunale non potrà dargli ragione. Il più anziano dei giudici commenta con amarezza che anche loro fanno parte del gruppo dei vili.
Tuttavia Nakajima sta tentando invano di risolvere un problema troppo grande per il singolo individuo, fuori della sua portata.
E' necessario, nel suo stesso interesse, impedirglielo.
Comunicata alle parti la decisione di interdire Nakajima si attende il processo di appello.
Il turbamento di Harada non si arresta qui. Si documenta, legge libri e giornali sugli esiti dell'esposizione alle radiazioni nucleari. La sua conclusione è che conoscendo quei dati perfino gli animali sentirebbero il bisogno di abbandonare il Giappone.
Nakajima intanto non si dà per vinto. Ha accompagnato l'uomo del Brasile a visitare un terreno con una magnifica veduta sul monte Fuji.
L'uomo ne è entusiasta: non avrebbe saputo che farne della acciaieria, ma in cambio di questo terreno relativamente piccolo, dove si potrebbe dedicare all'allevamento, è più che disposto a cedere la sua immensa fattoria in Brasile.
L'ostacolo della interdizione non è facilmente superabile: il terreno costa una cifra ingente, e per fermarlo occorre versare subito una importante caparra.
La guerra dei Nakajima arriva ad un importante salto di qualità. Ichiro si è affrettato a cambiare la combinazione della cassaforte, ma i clienti dell'acciaieria, sia perché ignorino gli sviluppi giudiziari sia perché abituati da sempre a trattare col vecchio considerando i figli dei buoni a nulla, continuano a versare a lui i pagamenti.
Nonostante tutto ha raggiunto una cifra molto vicina a quella che gli serve.
Ma ancora non basta.
Nakajima fa appello a tutti. Ma il figlio si rifiuta immediatamente di consegnargli il libretto di risparmio che fu di sua madre.
Non crede che Nakajima avrà ragione in appello, e non si vuole privare inutilmente della sua unica fonte di reddito. Potrebbe anche avere ragione. Ma il suo atteggiamento è egoistico e sprezzante.
Non va meglio con la proprietaria del bar. Nakajima vorrebbe accendere un'ipoteca sulla licenza, ne ricaverebbe esattamente quanto gli manca.
Ma la donna non accetta, a meno che Nakajima non si decida finalmente ad iscrivere la loro figlia (ci sono seri dubbi che lo sia veramente) sul suo stato civile. Sconfitto, Nakajima si ritira.
Solamente Asako si sente in dovere di fare qualcosa per lui. Quel giorno incautamente Nakajima ha incaricato suo padre di una riscossione. Naturalmente del denaro già non rimane più niente.
Perlomeno secondo lui: Asako fruga nei suoi vestiti e riesce a raggranellare dei resti, poi dà fondo a tutti i suoi risparmi per soccorrere Nakajima.
Questi ha una reazione brusca: è deluso, non bastano,
E' la volta di Asako ad essere delusa: Nakajima non riesce, pur essendo un uomo buono e generoso, a trattenere la sua natura ombrosa e collerica.
Infatti afferra i soldi, che dapprima aveva rifiutato, e senza dire niente se ne va.
Non sono pochi quelli che si sono resi conto che in Nakajima c'è molta limpidezza nonostante il suo caratteraccio.
L'uomo venuto dal Brasile, osservando fuori dalla finestra la pioggia battente, che nell'estate di Tokyo si alterna costantemente al caldo torrido, passeggia inquieto e riflette.
Alla fine decide: si volge verso Nakajima e con un sorriso gli stringe la mano.
Nakajima è un uomo onesto, gli piace.
Anche lui non voleva emigrare in Brasile, tanti anni prima, per seguire il padre. Solo quando la loro casa bruciò, rimasti senza nulla, si decisero al grande passo.
Aspetterà ancora, tornerà entro pochi giorni in Brasile ma sarà sufficiente che Nakajima gli faccia sapere che tutto è a posto per concludere l'affare.
Nel frattempo, Nakajima riprenda il denaro, lo restituisca ai suoi figli, e parli ancora con loro.
La riunione di famiglia non ha buon esito.
Spinti da Jiro i figli non solo rifiutano ancora di seguirlo ma nemmeno accettano indietro il denaro, in modo da avere una buona carta da giocare contro di lui in tribunale.
La più giovane delle figlie, Sue, che essendo ancora minorenne non ha avuto alcuna parte nella controversia legale, è sempre stata dalla parte del padre, ma osservando le vicende con ironico distacco, senza lasciar nulla trapelare.
Questa volta perde la pazienza e scaglia un oggetto su Jiro che reagisce.
Se perdono la pazienza gli altri cosa possiamo attenderci da Nakajima?
Eccolo piombare addosso a Jiro per dargli l'ennesima lezione.
E l'uomo del Brasile intanto è ripartito. Ha promesso di aspettare, ma non potrà essere per sempre.
Passato qualche tempo, un giorno Harada incontra Nakajima sul tram. Molte delle scene del fillm si svolgono sopra un tram che va o che viene.
Simboleggia lo spirito di ricostruzione del Giappone anni 50, di cui abbiamo già parlato.
Una vettura venne meticolosamente ricostruita negli studi, priva di un lato per premettere riprese agevoli, secondo i dettagliati disegni di Kurosawa.
L'impressione che il tram sia in movimento in mezzo al traffico è data mostrando oltre i finestrini i pantografi di altri tram che lo incrociano, montati su carrelli ed azionati periodicamente dai macchinisti, e comparse che simulano i passanti per strada.
Harada non crede ai suoi occhi: Nakajima è l'ombra di se stesso: non ha più nulla dell'uomo che aveva conosciuto, titanicamente orgoglioso delle sue molte vittorie come delle sue poche sconfitte.
Si fa riconoscere, ma Nakajima bruscamente scende dal tram senza rispondergli. Harada scende a sua volta.
Nakajima rifiuta ancora il colloquio e non rimane ad Harada che osservarlo mentre si allontana. Però, giunto alla fine del tunnel dove si era arrestato il tram, torna improvvisamente indietro.
Ha bisogno di sfogarsi, e il suo è lo sfogo di un uomo disperato: la decisione del tribunale lo ha lasciato impotente di fronte al suo incubo.
Se prima lottava senza paura, ora che è inabilitato a fare qualunque cosa il terrore della bomba non lo lascia, giorno e notte. E' condannato a vivere con il suo incubo.
Detto ciò, sempre più curvo sul suo bastone, si allontana e sparisce dietro l'angolo.
Harada, turbato dall' episodio, chiederà un colloquio al giudice per verificare se non ci sia alcuna possibilità di venire incontro a Nakajima.
Il verdetto è amaro: non è nelle loro facoltà di fare nulla, ma nessuno deve sentirsi responsabile per l'angoscia esistenziale di Nakajima, che nasce dentro di lui.
Rifugiatosi in casa di Asako, ove passa la maggior parte del suo tempo stringendo ossessivamente tra le braccia il suo ultimo figlio, nemmeno là Nakajima trova pace.
Le sue paure non lo abbandonerebbero comunque, ma a colmare la misura provvede il padre di Asako, leggendo stoltamente ad alta voce le ultime allarmistiche notizie dei giornali sulla possibilità di una catastrofe nucleare, cui aggiunge i suoi sciocchi e superficiali commenti.
Sono colpi che Nakajma non è più in grado di sopportare.
Si sente per la prima volta in vita sua assolutamente impotente, eppure vuole ancora tentare qualcosa.
Convoca immediatamente un'altra riunione di famiglia, ma questa volta allargata a tutti: figli legittimi ed illeggittimi, moglie ed amanti.
E per la prima volta in vita sua, non comanda, non impone: implora.
Implora inchinandosi di fronte alla sua famiglia di voler finalmente acconsentire a venire in Brasile con lui.
E' per loro che sta facendo tutto questo, non per se.
Non avrebbe senso che partisse da solo, non potrebbe acconsentire a salvarsi lasciando al loro destino delle creature innocenti come il piccolo appena nato.
Apparentemente l'unica persona a raccogliere il disperato appello di Nakajima è la moglie Toyo: anche lei si inchina, si umilia, chiede a tutti di acconsentire alle richieste del vecchio: non ha mai sbagliato in vita sua, è sempre stato preveggente.
Nessuno osa rispondere. Ma è chiaro che nessuno vuole acconsentire.
Nakajima si alza, sconfitto.
Solo allora la figlia Sue trova finalmente il coraggio di dichiarare il suo appoggio: partirà anche lei per il Brasile.
Troppo tardi: mentre Sue lo abbraccia e tenta di trattenerlo Nakajima viene colto da un malore, e si accascia al suolo privo di sensi.
I dottori sembrano relativamente ottimisti: Kiichi Nakajima ha bisogno soprattutto di riposo, è stato sottoposto a troppe pressioni.
Ma i familiari sono sicuri che sia l'inizio della fine, e durante la notte di veglia, già sicuri del peggio, si dividono immediatamente, spontaneamente, in due gruppi.
Nel primo ci si interessa solo di raccogliere quanto più possibile dai beni di Nakajima.
Si elaborano piani, si stringono alleanze, si identificano i nemici, li si spia.
Il secondo gruppo, e non è certamente un caso che sia formato solo da donne, superato ogni contrasto si sente ora unito.
Le unisce il comune amore per il vecchio leone.
La moglie Toyo, la figlia Sue e l'amante Asako, vegliando l'inquieto sonno del piccolo figlio di Nakajima, avvertono solamente il dolore della perdita umana.
Non si curano minimamente dei loro interessi materiali.
Nakajima ha un sonno inquieto, e si risveglia nel peno della notte.
Ascolta in silenzio i discorsi dei familiari, che si dividono le sue spoglie prima ancora che lui sia morto.
Soprattutto insistono sulla acciaieria, la loro unica risorsa, l'unica cosa che loro interessi veramente.
E' quello il colpo mortale.
La scena cambia bruscamente.
E' ora giorno, e Harada si trova per strada, cercando di farsi strada in mezzo alla folla agitata da qualche avvenimento drammatico.
L'acciaieria Nakajima è andata a fuoco, e non ne rimangono che poche macerie annerite e fumanti.
Si cercano i colpevoli tra gli operai, ma si fa avanti uno stravolto Nakajima: è stato lui ad appiccare il fuoco, per eliminare la causa delle discordie familiari.
L'unico ostacolo al trasferimento in Brasile non esiste più.
Ora non ci dovrebbe essere più nulla a trattenere i Nakajima in Giappone.
Non gli credono. Impossibile che Nakajima abbia distrutto con le sue mani quello che ha creato da solo, contro tutto e contro tutti, nell'arco di una intera vita.
E' costretto ad invocare la testimonianza di Sue, che lo ha visto dare fuoco alla fabbrica.
Inutile dire che nessuno comprende il suo gesto.
Anzi, solo adesso alcuni trovano il coraggio di rispondergli a viso aperto, di muovergli le loro obiezioni, che forse avrebbero avuto un effetto positivo se fatte al tempo debito.
Il genero gli rinfaccia la sua incoerenza: se veramente aveva ragione sui rischi atomici, accettando lo scambio con l'uomo del Brasile lo avrebbe portato alla morte al posto suo.
E gli operai della fabbrica? Ora nemmeno a loro rimane più nulla. Solo in quel momento Nakajma se ne rende conto.
Dopo aver invano pronunciato la folle promessa di portare in Brasile anche tutti loro, si getta al suolo e chiede perdono.
Non ci sarà perdono: le leggi degli uomini non lo consentono, non lo prevedono.
Alla polizia interessa solo sapere se c'è un responsabile di tutto questo.
C'è, ed è Nakajima. Alla legge tanto basta, non è necessario sapere di più.
Il vecchio viene imprigionato.
La famiglia Nakajima sta uscendo da un ospedale.
Secondo loro - sentiamo i loro discorsi - il vecchio ha trovato finalmente un posto ove stare tranquillo.
Sopraggiunge Harada, e li incontra sulle scale.
Jiro gli confessa che crede di avere sbagliato ricorrendo al tribunale.
Avrebbero invece dovuto immediatamente far ricoverare il padre in un ospedale psichiatrico.
Harada è ora a colloquio col direttore del reparto. Questi confessa di non avere mai avuto in vita sua un paziente come quello, che rischia di mandarlo in depressione.
Tutti i pazienti hanno tendenze depressive, ma Nakajima è fuori dalla norma.
Viene da chiedersi se l'anormale sia lui o non sia piuttosto il resto del mondo, che resta impassibile in questo tempo di follia, ad avere problemi di igiene mentale.
Finalmente Harada è a tu per tu con Nakajima.
Questi vive ormai in un mondo completamente suo, dove a nessun altro è lecito penetrare.
Si sente finalmente al sicuro.
Lì dentro nulla potrà toccarlo, ma continua ad essere preoccupato per il resto dell'umanità.
Riuscirà a sopravvivere?
Questo è il suo pensiero fisso. E quando il sole al tramonto illumina la stanza, Nakajima conclude che la terra sta finalmente bruciando, come aveva sempre temuto.
E pur credendosi al sicuro, non può trattenere l'orrore.
Harada, pensieroso, arrestandosi a tratti, lascia l'ospedale.
Mentre lui scende la rampa, la sta salendo Asako, col bimbo addormentato sulle spalle.
Nessuno dei due sembra accorgersi dell'altro, entrambi immersi nei loro pensieri.
Risuona solo il rumore dei loro passi.
Si sentono ancora una volta le note del tema di apertura di Fumio Hayasaku.
Sappiamo per quale ragione la scena non è accompagnata dalla Musica delle stelle.
La morte interruppe il suo sogno.
Lo segnaliamo di nuovo per festeggiare i (primi) 20.000 visitatori di questo articolo:
Vivere (Ikiru) - Akira Kurosawa, 1952
Takashi Shimura, Yunosuke Ito, Yoshie Minami, Miki Odagiri
Secondo molti Ikiru è il capolavoro di Akira Kurosawa. Indiscutibilmente è anche e soprattutto il capolavoro di Takashi Shimura, protagonista, co-protagonista o caratterista in tutte le opere del maestro.
Akira Kurosawa - 1951
L'idiota
da F. Dostoevskij
Toshiro Mifune, Takashi Shimura, Masayuki Mori, Setsuko Hara, Yoshiko Kuga
L'idiota fu probabilmente l'opera cui Kurosawa affidò le maggiori ambizioni. Era un astro già alto nel firmamento internazionale dopo il successo di Rashomon che aveva trionfato al festival di Venezia l'anno precedente. Come fin troppo spesso gli accadde nel corso della sua lunga e pur straordinaria carriera, proprio quello fu invece un clamoroso insuccesso.
E' basato sull'omonimo romanzo che Fëdor Dostoevskij aveva scritto in esilio per debiti tra la Svizzera e l'Italia (lo terminò nel 1869 a Firenze) narrando le amare vicende del principe Myskin, tradito dal suo amore per esseri destinati alla perdizione, uomini e donne, che l'autore così anticipava:
Da tempo mi tormentava un'idea, ma avevo paura di farne un romanzo, perché è un'idea troppo difficile e non ci sono preparato, anche se è estremamente seducente e la amo. Quest'idea è raffigurare un uomo assolutamente buono. Niente, secondo me, può essere più difficile di questo, al giorno d'oggi soprattutto.
L'idea evidentemente attrasse come una falena anche Kurosawa, che decise di effettuare le riprese nella gelida isola di Hokkaido per ricreare le atmosfere della Russia di Dostoevskij. Ne volle fare una opera impegnativa (era prevista una durata di 4 ore e trenta minuti, da dividere in due parti) ma i drastici tagli imposti dalla produzione limitarono la versione distribuita nelle sale a 2 ore e 45 minuti. Come già detto, le accoglienze da parte di pubblico e critica furono molto fredde.
Leggiamo che il film venne parzialmente rivalutato anni dopo grazie al successo di Rashomon, e non possiamo fare a meno di sorriderne: come già detto Rashomon era stato girato l'anno prima e dopo essere stato premiato a Venezia nel 1950 ottenne anche il premio Oscar mentre iniziavano le riprese dell'Idiota.
Kurosawa non se ne dette comunque per inteso, e le sue opere successive, Ikiru (Vivere, 1952) e Shichinin no samurai (I sette samurai, 1954) sono considerati da pubblico e critica concordi i suoi capolavori, rispettivamente nel genere gendai e in quello jidai. Lui tuttavia continuò per sempre a dichiarare che la sua opera migliore era L'idiota.
Il regista, come di consueto, è anche autore della sceneggiatura. Se le opere che portano la sua firma di direttore sono trenta, quelle da lui sceneggiate sono molte di più: oltre settanta.
Trasporta l'azione dalla Russia della seconda metà 800 al Giappone del dopoguerra, ossia in epoca praticamente contemporanea e di cui lo spettatore aveva nel 1951 conoscenza e ricordi diretti.
All'inizio della Parte Prima (Amore e sofferenza) ci troviamo a bordo di una nave che trasporta dei reduci. La scritta in sovraimpressione dice Hokkaido, Juni gatsu: Hokkaido, dicembre (dodicesimo mese).
Nelle stive di quella nave, stipate di passeggeri costretti a viaggiare ammassati, a dormire sul nudo pavimento, ad essere assordati dal rumore della sala macchine, avviene l'incontro tra i due principali protagonisti della intricata e drammatica vicenda.
Sono Kinji Kameda (Masayuki Mori) che nella trama di Dostoevskij è il principe Myskin e Denkichi Akama (Toshiro Mifune) che corrisponde al personaggio di Rogozin (nella versione recensita viene stranamente chiamato Amada nei sottotitoli).
I due erano già stati antagonisti l'anno precedente in Rashomon. Mori nei panni del samurai Takehiro e Mifune in quelli del brigante Tajomaru.
Kameda si risveglia urlando da un incubo, tremando. Dostoevskj aveva immaginato che Myskin, epilettico, tornasse in patria dopo un ricovero in Svizzera per curarsi della sua epilessia. Akama, che appare subito una persona molto diretta, ai limiti della sfrontatezza ma non priva di sensibilità (ruolo che Mifune interpreta come di consueto con inarrivabile maestria) si trova accanto a lui. Sentiamo la sua inconfondibile voce prima ancora che appaia sullo schermo, e ci chiediamo come sia riuscito ad essere sempre se stesso pur impersonando figure completamente differenti.
I due iniziano a discutere, e da lì prende il via l'intera vicenda. Kameda ha sempre lo stesso incubo: sta per essere fucilato. Era stato accusato infatti di crimini di guerra e condannato a morte, per uno scambio di persona chiarito solamente in extremis quando era già di fronte al plotone di esecuzione. Non si è più ripreso da quel trauma. Le sue crisi lo portano ogni volta ad uno stato di idiozia.
Qui Kurosawa ricorda allo spettatore con delle didascalie (che altrove coprono invece i vuoti dei tagli imposti dalla produzione) che fu Dostoevskij a voler scegliere ironicamente, per incarnare il personaggio di un uomo troppo buono per essere compreso ed apprezzato dagli altri esseri umani, un idiota. Il primo a rimanere stupito di tanta autolesionistica sincerità, e non sarà ovviamente l'ultimo, è Akama.
Immediatamente avverte un forte simpatia nei confronti di Kameda, e assume un atteggiamento protettivo nei confronti del fragile e febbricitante compagno casuale di viaggio.
Sappiamo già dal monito di Kurosawa che nonostante tutto Kameda è destinato alla rovina; presto apprenderemo che il cammino verso la fine dovrà passare proprio attraverso l'amicizia con Akama.
Il loro viaggio continua in treno. Akama, sia pure con modi rudi e sbrigativi, si preocccupa sempre di trovare un posto a sedere per Kameda e di rendergli più agevole la convivenza con la sua debolezza.
Akama ama perdutamente Taeko Nasu: avendole regalato una collana di diamanti con del denaro sottratto al padre ne è stato diseredato. Ma ora il padre è morto, e lui torna per prendere possesso dell'eredità e presumibillmente di Taeko.
Camminano per le strade sotto una fitta tormenta di neve, mentre intorno risuonano i canti del Natale. Akama ha detto semplicemente all'amico di seguirlo, penserà a tutto lui.
Nel loro peregrinare si imbattono in un ritratto in mostra nella vetrina di un fotografo: é Taeko. Akama la riconosce immediatamente, si arresta e parla ad Kameda della loro storia.
Taeko (Setsuko Hara) ancora giovanissima, praticamente bambina, è stata comprata per una cifra enorme da un uomo che ne ha fatto la sua amante. L'inizio della relazione con Akama le avrebbe forse dato la forza per uscire da quella situazione, ma la guerra ha bruscamente separato i due giovani.
Gli chiede se la trova bella. Certamente. Eppure Kameda avverte un senso di timore nel vedere il suo volto. Un presagio che verrà confermato. Akama è irritato dal commento: i due si separano.
L'azione si sposta in una grande casa che denota un tenore di vita elevato.
Una giovane donna si arresta sulle scale della casa perché ha ascoltato frammenti di una conversazione che le interessa.
E' Ayako (Yoshiko Kuga).
Suo padre, Ono (Takashi Shimura), ha appreso del ritorno di Kameda, che è loro parente. La moglie gii chiede cosa intende fare ora.
Gli troverà un alloggio ed un lavoro. Non si tratta di benevolenza da parte sua ma di una sorta di compenso per tenerlo tranquillo.
Era stato dato per morto, e lui, amministratore delle proprietà d famiglia, si era accordato per venderle attraverso il mediatore Kayama.
Costui sta per sposare Taeko, allettato dal pagamento di una forte somma versata da Tohata, il suo precedente 'padrone', per liberarsene.
Ma è una situazione che gli è stata imposta forzando il suo debole carattere. Lui si sente invece attratto da Ayako.
L'intrico delle situazioni, lo diciamo ancora una volta senza più ritornarci sopra in continuazione, troppo spesso non viene raccontato da Kurosawa ma sommariamente descritto dalle fastidose ricorrenti didascalie.
Inevitabile concludere che i produttori hanno completamente fallito l'obiettivo di rendere l'opera più attraente mediante i drastici tagli imposti al regista: hanno ottenuto solo di renderla meno comprensibile, e sono probabilmente loro i responsabili del suo fallimento.
Il primo incontro tra Kameda e Kayama (Minoru Chiaki) rivela immediatamente attraverso discreti ma evidenti ed inequivocabili segnali che Kurosawa invia allo spettatore che tra i due non ci sarà compatibilità.
I sentimenti di Ayako vengono invece immediatamente dopo riassunti nella consueta scritta che appare sullo schermo, ennesimo corpo estraneo alla narrazione - e rimangono inevitabilmente immotivati e difficilmente comprensibili.
Kameda passeggia sulla neve nella grande fattoria di cui ignora di essere il vero proprietario: gli viene lasciato credere che nulla gli sia rimasto dei beni di famiglia.
E' assieme ad Ayako, che gli chiede di raccontargli della sua vita prima della guerra.
In realtà ricorda ben poco di quanto gli era successo prima di sfuggire alla fucilazione: la sua debolezza e la sua vicinanza con la morte gli hanno fatto da allora apprezzare gli esseri viventi e si sente legato a tutti essi, uomini ed animali, destinato a cercare il bene di ognuno.
Kameda viene sistemato provvisoriamente presso Kayama, che è legato alla famiglia Ono non solo dagli affari.
Nonostante la freddezza con cui lo ha accolto al primo incontro gli chiede amicizia e collaborazione: deve consegnare una lettera ad Ayako, non vuole essere visto a consegnarla di persona.
Le esitazioni di Kayama sono legate al suo carattere indeciso e remissivo: convinto da altri a sposare a caro prezzo Taeko, preferirebbe tuttavia Ayako ma sembra non trovare il coraggio per dichiararlo e viene per questo disprezzato.
Kameda, sotto il fuoco incrociato delle passioni altrui, viene chiamato da ognuno per avere sostegno, e a nessuno lo nega.
Ayako le mostra il contenuto della lettera: Kayama afferma che se lei lo vuole ancora romperà la promessa con Taeko. Ma è tardi, la donna si sente umiliata da un amore tradito per danaro, e chiede di restituire la lettera al mittente con questa risposta:
"L'amicizia non si compra".
Pur rifiutato da Ayako, Kayama viene ancora incessantemente pressato sia dalla madre che dalla sorella a rompere un matrimonio d'interesse che lo legherebbe ad una donna dalla pessima reputazione. Kadema assiste ad animate discussioni tra i tre. Il padre, alcolizzato, non viene preso in considerazione.
E' in quel frangente che Taeko bussa alla porta, e Kadema che stava tentando di interrompere un alterco va ad aprire per permettere agli altri di ricomporsi.
Per la prima volta incontra di persona Taeko, e ne rimane immediatamente colpito, come rimane visibilmente colpita lei. Quelle due persone sono destinate a legarsi, pagando qualunque prezzo.
Lei riprende per prima la voce, dopo che a lungo sono rimasti a fissarsi in silenzio, dicendogli che ha l'aria di chi ha appena visto un fantasma.
Ed è probabilmente vero: Kadema incontra per la prima volta una persona che incarna i suoi sogni, forse i suoi incubi.
Taeko chiede di entrare per essere presentata ai familiari di Kayama.
Non le nasconderanno la loro ostilità.
L'incontro viene ulteriormente turbato dall'ingresso improvviso di un nugolo di persone.
Accompagnano Akama, che appena saputo del progetto di matrimonio è venuto a rivendicare Taeko, rimanendo estremamente sorpreso di incontrare lì anche Kameda.
Taeko si ricorda dei loro progetti, dell'anello di diamanti che lui le aveva donato in pegno. Ma non sembra interessata a riprendere i rapporti, e non veda perché debba interessarsi ai suoi programmi di matrimonio.
Denkichi Akama non è una persona che demorde facilmente.
Come se non avesse ascoltato il rifiuto della donna Akama offre denaro a Kayama per lasciarla.
Inizialmente la stessa cifra promessagli per sposarla, per poi subito proporre cifre molto più alte, che consegnerà immediatamente.
Taeko è mossa ad un riso nervoso, quasi isterico: trova buffo quanto strano che la sua quotazione sia improvvisamente lievitata, in pochi minuti.
La situazione degenera rapidamente in un nuovo litigio.
Kameda cerca di trattenere Kayama dal mettere le mani addosso alla sorella, ma è lui ad essere colpito per reazione da un violento schiaffo.
La gravità del gesto sembra far rinsavire momentanemente i litiganti, o perlomeno pentirli delle loro esagerazioni.
Kameda si affanna a spiegare che non è successo nulla e non si è offeso, rincuorando i più mortificati: è il suo destino. mentre quello dell'irruente Akama è quello di ribellarsi come una animale selvaggio ad ogni situazione sgradita.
Eppure anche Kadema ha una notevole forza interiore.
Il suo primo pensiero quando si è ristabilita la calma è di rivolgere delle parole gentili a Taeko. Egli sa che il suo vero essere non è quello che sembra, quello che gli altri hanno creduto di capire. Il volto in lagrime di Kameda fa nascere - tra le lagrime - un sorriso su quello di Taeko.
Lei non osa rispondere, bruscamente volta le spalle e si allontana, ma prima ancora di arrivare alla porta avvertirà il bisogno di tornare ed andare a scusarsi con la madre di Kayama. Tutto quello che la donna ha detto nei suoi confronti è, purtroppo, vero, ma chiede solo di essere dimenticata.
Kurosawa volta pagina. Taeko sta partecipando ad una festa elegante, la festa del suo compleanno; è molto fredda con Tohata, il suo amante e padrone che vuole allontanarla. Continua a bere nervosamente e nessuno osa rivolgerle la parola. I tre uomini che le sono accanto (Ono, Kayama e Tohata) la fissano senza riuscire a dire o fare nulla.
L'impasse viene rotta dall'arrivo di Kameda, che Taeko ha voluto invitare senza dirgli cosa lo aspettava: è vestito con la sua solita giacca militare, malridotta ed inzuppata dalla pioggia. A chi è sorpreso e contrariato del suo arrivo Taeko contesta che sia l'idiota che credono. E' anzi molto più acuto di loro nel comprendere la natura umana.
L'arrivo di Kameda è sfortunato: entrando nel salone urta un vaso prezioso e lo fa cadere a terra dove va in mille pezzi. Gelida, Taeko affronta e risolve anche questa situazione: detestava quel vaso, nonostante il suo grande valore, e avrebbe desiderato romperlo lei, cui d'altra parte era stato regalato. Per dimostrarlo getta immediatamente al suolo il vaso gemello. Nessuno osa fiatare, Ancora una volta Taeko con la sua sola presenza intimidisce ogni uomo che le si trovi di fronte.
Ben presto la tensione torna a salire: Kameda assicura di avere visto già degli occhi come quelli della donna, senza però riuscire a ricordare dove. Lentamente i ricordi iniziano a riafforare: erano gli occhi di una persona condannata a morte, come lui. Sente nella mente i passi cadenzati dei soldati pronti ad aprire il fuoco sui condannati, che attendono il loro turno schierati su due file. L'uomo i cui occhi lo hanno colpito si trova nel primo gruppo di condannati ed è molto giovane, sui venti anni. I suoi occhi mostrano tutto l'orrore della situazione, e Kameda non può sostenerne lo sguardo.
Taeko, di fronte a tutti, informa Kameda che dovrà dare quella notte una risposta a Kayama, che ha chiesto di sposarla. Le consiglia di accettare? A chi trova sconveniente questa richiesta pubblica Taeko rinfaccia che Kameda è l'unica persona che le abbia prestato fiducia senza chiedere nulla di lei, che è pertanto tenuta a ricambiare questa fiducia. Kameda le consiglia di rifiutare e lei è irremovibile: seguirà il consiglio.
Kurosawa è uno dei più grandi maestri nell'arte di montare la tensione, di costringere lo spettatore ad abbarbicarsi allo schermo con i mezzi del mestiere o con quelli che l'arte impone di creare al momento. Troppi per essere citati, e sciocca sarebbe la pretesa di 'spiegarli'. Rimane unica e peculiare la sua capacità di contaminare il dramma e la tragedia con l'ironia.
I tre uomini interessati alla risposta di Taeko inscenano un grottesco balletto. Ognuno di loro si sente beffato: Kayama perde Taeko, Tohata è costretto a tenerla, Ono perde la provvigione. Gli ultimi due trovano necessario superare il trauma bevendo compulsivamente fino a sottrarsi la bottiglia dalle mani l'uno con l'altro, mentre Kayama nel goffo tentativo di rifiutare quasi per dispetto i bicchieri che gli vengono offerti si imbratta di liquore.
Taeko non ha ancora finito di stupirli e traumatizzarli: non sposerà Kayama ma non rimarrà con Tohata. Ma costui non si preoccupi, non dovrà pagare alcuna cifra per liberarsi di lei. Andrà via con i soli vestiti che porta indosso, lasciandogli tutto.
A quel punto irrompe di nuovo, sembra ed è il suo destino, Akama. Ha con se il solito pittoresco codazzo ed un pacco: un milione di yen, il suo prezzo per avere Taeko.
Anche lui ottiene un rifiuto. Taeko chiede a Kameda come si regolerebbe lui per farle una offerta. La prenderebbe semplicemente con se e si prenderebbe cura di lei, se lei volesse.
Tutto sembra volgere al meglio, ma non sarà così: nel suo ingenuo entusiasmo Kameda tesse le lodi di Taeko, casta ai suoi occhi, suscitando le risate dei presenti. La donna, furiosa per essere stata messa in ridicolo, ha uno scatto d'ira, lo definisce anche lei idiota, e fa per mettergli le mani addosso.
Si ferma solo quando scorge in Kameda lo stesso sguardo disperato che lui ha scorto nei suoi stessi occhi.
Kameda rivendica la purezza delle sue intenzioni, anche quando sono tradite da parole inadeguate. L'aggressività di Akama, gli apprezzamenti materialisti di Kayama sulla impossibilità che uno spiantato mantenga una donna abituato al lusso, non li scuotono minimamente.
Tornando al registro umoristico che Kurosawa ama spesso provocatoriamente inserire nella scene più drammatiche, mentre i due discutono ancora, incuranti della folla che li sta ascoltando, alcuni degli astanti manifestano un ingenuo ed intrusivo sbigottimento, che ricorda quello dei bambini ad uno spettacolo di marionette.
Nemmeno i comportamenti più invasivi riescono a distoglierli i due dai loro discorsi.
Lui si è sentito chiamato, quando ha visto per la prima volta il suo ritratto. E lei ha atteso a lungo un uomo come lui.
La macchina da presa si sposta ad inquadrare il 'pubblico', che si è spontaneamente diviso in due gruppi. Gli uomini sono perplessi. Le donne piangono senza ritegno.
Non è possibile resistere alla tentazione di cogliervi una finissima ma affettuosa presa in giro di Kurosawa nei confronti di noi spettatori.
Il tutto costituisce un preludio di prammatica per il previsto lieto fine: Ono, colto dai rimorsi, avverte di dover fare un annuncio, anzi una confessione.
Kameda non è povero come hanno creduto tutti: come suo parente più prossimo lui ne ha amministrato al meglio le fortune.
Si è trovato in grande imbarazzo quando, dopo averlo creduto morto, lo ha visto ritornare inaspettatamente. Si era già impegnato a vendere i suoi beni, e ha tentato di nascondergli la verità facendogli credere che la guerra si era portato via tutto.
Ma ora è pentito: Kameda è ancora il ricco proprietario della grande fattoria che abbiamo visto, che gli verrà restituita immediatamente.
E' solo una beffa giocataci dal maestro.
Il rude e battagliero Akama non può accettare così facilmente la sconfitta, e chiede a Taeko se veramente vuole unirsi a Kameda.
Viste le premesse sembra una domanda retorica, con una risposta scontata.
Invece, dopo una lunga esitazione, lei dichiara di no: andrà piuttosto via con lui, con lo stupefatto Akama.
Non vuole andarsene però senza dare una spiegazione a Kameda: sente che lo renderà infelice, non saprà mai adeguarsi ad un uomo così buono e puro. Ecco perché deve lasciarlo.
Rimane un particolare: cosa fare del milione di yen? L'amico che accompagna fedelmente Akama tenta di restituirglieli.
E' impersonato da Bokuzen Hidari che rivedremo nei panni di Johei 2 anni dopo (I sette Samurai), e che in questo film già avevamo scorto nella parte iniziale sul treno che riporta indietro i due protagonisti. Incomprensibilmente riappare solo adesso per poi sparire di nuovo. La sua parte evidentemente cadde, vittima della censura dei produttori.
Taeko furente afferra il denaro e lo getta nel fuoco del caminetto, invitando Kayama, cui era destinato, ad andarlo a riprendere se veramente lo vuole. Kayama vorrebbe, è chiaro. Ma non ha il coraggio di perdere la faccia ed è questa volta lui ad avere bisogno di bere qualcosa di forte, finendo di imbrattarsi di liquore nel bere affannosamente, come si era imbrattato prima nel tentativo affannoso di rifiutare l'alcol.
Dopo di che, dignitosamente, sviene.
Accanto al suo corpo, in attesa che rinvenga, Taeko deposita la somma, salvata in extremis con la perdita di poche banconote. Taeko e Akama si allontanano nella notte, mentre Kameda corre loro dietro.
Sembra il canovaccio di una commedia dell'arte, che come sappiamo trae le sue origini dal teatro greco e da quello romano. Lo sciocco avaro viene sbeffeggiato, e la bella rifiuta il ricco spasimante che sembrava averla vinta, per unirsi con colui al quale è stata sempre legata. E non ci sentiamo di escludere che Kurosawa sensei a quel genere di arte si sia voluto ispirare nel dettare i toni di questo non-finale.
Crediamo lecito supporre che qui Kurosawa avrebbe voluto concludere la prima parte dell'opera. Dopo aver lasciato credere - perlomeno tra chi non conosce la trama di Dostoevskij - al lieto fine convenzionale, alla catarsi in cui tutto viene spiegato e viene risolto, rovescia bruscamente la logica del racconto e incatena lo spettatore con una serie di domande insolute che potranno trovare risposta solamente in una seconda parte.
Non concordiamo con la sovraimpressione che sposta più avanti l'inizio della seconda parte. Ammettendo che quello fosse il punto in cui Kurosawa intendeva concludere la prima, lo squilbrio dell'opera dovuta ai pesanti tagli della produzione suggerisce di farla iniziare qui, quando appare sullo schermo la scritta Nigatsu (Febbraio), in quanto conclude una fase della vicenda e se ne aprirà poi una nuova di segno differente
Va detto però che la storia di Kameda e delle persone che gravitano intorno a lui conosce una cesura temporale legata ad un lungo viaggio del protagonista a Tokyo che lo allontana dalla vicenda, e questo giustificherebbe l'identificazione della seconda parte nel punto indicato dalle scritte. Ma i tagli hanno fatto sì che non risulti affatto significativo nello svolgimento delle vicende.
Come già detto il film fu un fallimento e probabilmente fu decisiva nel giudizio negativo questa seconda parte che è estremamente dura, e non facile.
Pur concedendo quanto appena detto, dobbiamo quindi pensare che la rappresentazione della tragedia umana abbia così pochi estimatori, ed ogni tentativo di Kurosawa sia stato destinato a fallire miseramente fin dall'inizio? Sarebbe probabilmente un errore di valutazione: Rashomon, Il trono di sangue, ed anche le grandi opere tarde Kagemusha e Ran: cosa rappresentano se non immani tragedie causate dai sentimenti umani? Eppure riscossero successo su scala mondiale e vengono ancora oggi incessantemente proiettate ed ammirate, ogni giorno.
Sembrerebbe che l'essere umano sia capace di accettare la rappresentazione dei propri vizi solo quando viene ambientata in una epoca lontana, attribuendo ambizione, falsità e ogni altra qualità negativa ad esseri quasi mitologici con i quali non è possibile identificarsi, e si rifiuti invece non solo di approvare l'opera ma perfino di prenderne visione quando l'ambiente e le situazioni sono troppo vicine a lui e corre il sospetto che quei vizi e quelle miserie possano albergare anche dentro chi guarda.
Questa parte del film non si presta ad essere raccontata e nemmeno riassunta, va semplicemente vista. E' un grande affresco sul problema della incomunicabilità umana, un tema che ha attirato le attenzioni di altri grandi artisti e che Kurosawa affronta senza concessioni alla retorica e con minime concessioni allo spettacolo.
Cercheremo di ridurre al minimo la nostra esposizione, al solo scopo di consentire di conoscere l'opera per sommi capi anche a chi non l'ha visto e forse non ha modo di vederla: in italiano esiste una versione del 2006 pubblicata da Minerva Video in cofanetto assieme a Scandalo, ma è difficile reperirla. Ogni tentativo di far conoscere o addirittura comprendere qualcosa di più con la nostra povera prosa sarebbe presuntuoso.
La prima sequenza mostra la famiglia Ono che discute dei difficili rapporti con Kameda, criticato pesantemente dalla signora Satoko che si chiede - anche lei - se non sia veramente idiota.
Ayako, offesa, rivela che ha ricevuto da lui una lettera e inizia a leggerla, ma l'ingenua prosa di Kameda suscita solo ilarità. Non però in Ayako: quella che per altri sembra bizzarria è per lei semplicemente onestà e trasparenza.
Taeko infine non ha scelto Kameda né Akama, ed entrambi la cercano ancora. Si incontrano un giorno: Akama conduce l'amico e rivale per un interminabile ed inquietante percorso all'interno di un grande edificio semidiroccato ed invaso da ghiaccio e neve. Vive là, in un singolare miscuglio di lusso e trascuratezza.
Dopo un lungo silenzio i due finalmente si parlano: Kadema chiede all'altro se ha ancora intenzione di sposare Taeko. Sente che sarebbe la rovina per entrambi, e non lo dice per il proprio interesse: l'ha sempre detto.
Akama lo trattiene quando fa per andarsene. Sente che appena sarà andato via ricomincerà a detestarlo. Eppure gli è legato come prima, per quanto siano diversi ed anzi agli opposti.
Il loro amore per Taeko è differente: Kameda la ama perché la vede sofferente, lui la ama semplicemente, ma la odia allo stesso tempo. E il fato vuole che Taeko, innamorata di Kameda, non possa accettare l'idea di stargli vicino portandolo alla rovina. Preferisce rovinare assieme ad Akama.
Kameda è turbato, e senza rendersene conto rigira per le mani un coltello poggiato sul tavolo: Akama ne è turbato a sua volta. E' un presagio infausto, ma Kameda continua ad essere sinistramente attratto dalla lama. Tenta ancora di prendere congedo, quando sulla soglia si ode un campanello: è la madre di Akama che prega per gli antenati.
Crede Kameda nella religione? Non particolarmente, ma ha un suo o-mamori (portafortuna che si porta appeso al collo dentro un sacchetto, abitudine che hanno molti giapponesi). E' una pietra raccolta convulsamente da terra quando gli venne risparmiata la condanna a morte. I due si scambiano i rispettivi portafortuna e Akama propone di prendere un te assieme a sua madre.
La donna è affetta da una forma benigna di follia: è rinchiusa in un suo mondo impermeabile dall'esterno, e tuttavia sorride incessantemente. I suoi gesti sono esatti e meticolosi, nonostamte la sua mente sia assente. I due escono infine rinfrancati da quel momento sereno ma le loro inquietudini riprendono subito il sopravvento. Akama non accetta la mano tesa di Kameda, scusandosi col dire che non ce n'è bisogno dopo lo scambio di portafortuna. E' nervoso per quello che sta per dire e lo dice quasi con violenza: Taeko appartiene a Kameda, lui deve farsi da parte. Serbino solamente il suo ricordo.
Da quel momento in molte scene si acolta il suono di campanelli - sonagliere dei cavalli od altro - che ricordano con i loro incessanti rintocchi quelli dell'altare degli antenati in casa Akama. Risuonano in continuazione nelle orecchie di Kameda, turbandone il già fragile equilibrio e portandolo ad aggirarsi inquieto e solitario per la città affollata, brulicante di persone chiuse come lui nei propri problemi.
Si sente spiato e guarda tutti come potenziali nemici, ogni incontro casuale gli fa temere un agguato. Viene affascinato, e allo stesso tempo terrorizzato, dai coltelli da cucina visti in una vetrina. Fugge, senza sapere da cosa, senza sapere dove. Alla fine di una corsa disperata e all'impazzata, si ritrova davanti ad Akama, armato di quel coltello da cui tutto è partito, che gli si avventa contro.
L'urlo inarestabie di bestia ferita che esce dalla gola di Kameda annienta la volontà di Akama prima che riesca a vibrare il colpo: dapprima esita, poi arretra, infine fugge all'impazzata.
E' a questo punto che compare a schermo la scritta FINE DELLA PRIMA PARTE. Ma non sembra coerente con la trama e siamo già a due terzi del film. La scritta successiva è PARTE DUE: AMORE E REPULSIONE.
Veniamo a sapere nella scena seguente che Kameda, appena uscito dall'ospedale, è ospite dei Kayama. E' infatti in pigiama e ha appena mandato Karube, il buffo accompagnatore di Akama, a chiedere alla famiglia Ono un anticipo sulle rendite della fattoria per pagare le cure.
Questo ha scatenato l'ira della signora Ono che è venuta per protestare.
In realtà, ma ne parlerà solo a tu per tu con Kameda, vuole conoscere le sue intenzioni nei riguardi di Ayako. Probabilmente nemmeno lui le conosce realmente, il suo imbarazzo è evidente.
Kurosawa rende evidente allo spettatore che la donna fingendo di essere contrariata sta in realtà astutamente incoraggiando Kameda tantevvero che lo rassicura: se Ayako gli ha vietato di visitarla sicuramente vuole invece vederlo...
Siamo nel pieno del Carnevale, e i protagonisti si incontrano ad una sfilata in costume sulla pista di pattinaggio. Costumi fantasmagorici ed inquietanti appaiono e scompaiono alla luce delle fiaccole, accompagnati dalla musica della Notte sul monte Calvo. Kurosawa ricorrerà spesso ad accompagnamenti musicali di origine russa, più avanti sentiremo Ayako accennare al pianoforte I quadri di una esposizione. Anche la costante presenza della neve, ricercata da Kurosawa fin in Hokkaido contribuisce a ricostruire l'atmosfera immaginata da Dostoevskij, e le frequenti scene notturne ne accentuano la cupezza.
Ayako si lascia accompagnare da Kayama, Kameda pur contrariato non riesce a dire nulla. Chi parla è invece una dama mascherata (Taeko) che con poche battute getta lo scompiglio nel gruppo. Tutti incontrano tutti, ma nessuno si muove dalle sue posizioni. Tuttavia Ayako, che chiaramente voleva solo ingelosire Kameda, gli chiede un appuntamento per il giorno dopo nello stesso posto.
Kameda vi arriva stanco, ha dormito poco e nulla durante la notte: Kayama ha tentato il suicidio, o forse l'ha solamente inscenato. I discorsi di Ayako sono incoerenti: inizia dichiarando grande stima per le qualità di Kameda, ma subito dopo di detestarlo e di amare il povero Kayama.
Invano Kameda le fa notare le sue incongruenze, è lei piuttosto a chiedere a lui di dire la verità: ama ancora Taeko? Per la verità Kameda non lo ha mai negato. Quello che non sa fare è spiegarne le ragioni, e anche se potesse dubita che Ayako potrebbe capirle. I suoi sentimenti sono quelli di chi vede una persona chiusa in gabbia e maltrattata e vorrebbe accettare su di se quella sofferenza per liberarla, pur cosciente che è un gesto non apprezzabile da una persona ormai turbata.
Ayako rivela di avere ricevuto da Taeko alcune lettere in cui le consigliava di sposarsi con Kameda: le ritene una offensiva intromissione, che ha lo scopo di dividerli e non unirli.
Autorizzato dalla madre a frequentare Ayako in vista di un matrimonio, Kameda si renderà conto ben presto che la ragazza gli darà filo da torcere. Esige la sua presenza per poi rinfacciargli che è troppo invadente, dichiara di detestarlo per poi immediatamente proporgli di fuggire assieme, e così via.
Kurosawa commenta a suo modo chiedendo all'autore delle musiche (Fumyo Hayasaku, che scomparve pochi anni dopo durante le riprese di Vivere nella paura) di accompagnare queste scene, su cui si compiace di indugiare, con un beffardo sottofondo musicale.
Nonostante tutto, proprio durante una delle peggiori scenate di Ayako, Kameda prende il coraggio a due mani e le chiede davanti ai genitori di sposarlo.
La madre oppone subito il suo rifiuto, mentre il padre temporeggia, ma ben presto entrambi i genitori si rendono conto che devono lasciare la decisione ad Ayako.
Lei incontra di nuovo Kameda, rimanendo alle sue spalle poiché non vuole essere osservata in volto.
Il cuore le dice nonostante tutto di accettare ma entrambi si rendono conto che tra loro due incombe l'ombra di un'altra persona e che non riescono a lberarsene.
Non è solo un'ombra, è una presenza reale. Una sera, mentre vaga solitario in luoghi deserti, Kameda vede in lontananza due persone, che si rivelano poi essere Akama e Taeko. Lei lo raggiunge, Akama si tiene a distanza, in silenzio. E' un addio: Taeko vuole sapere se è felice o pensa di poterlo essere con Ayako. Ma non riesce nemmeno ad ascoltare la risposta, si allontana di corsa sparendo nelle tenebre. E' Akama a spiegare: il giorno seguente i due partiranno, e probabilmente non torneranno mai più.
Prima della partenza sono però destinati ad incontrarsi ancora. Ayako confessa di comprendere la sua rivale e di avere il desiderio anzi la necessità di conoscerla. Dal canto suo Taeko ammette che Ayako ha tutto quello che lei avvrebbe voluto essere senza averne mai avuto la possibilità, e costituisce per lei un punto di riferimento: vuole che i suoi sogni si avverino attraverso di lei. Mentre fa queste confidenze ad Akama l'altra coppia sta attendendo di fuori, sferzata da un vento gelido mentre raccoglie il coraggio per entrare.
All'interno della enorme e inquietante dimora le due donne continuano a lungo a fissarsi, senza dir nulla. I due uomini si tengono in disparte, in attesa ed anchessi in silenzio. E' Ayako infine a parlare. E' venuta per portare una risposta alla lettera di Taeko, ma non prima di averle fatto una domanda: ha idea del tipo di persona che è Kameda? Taeko afferma orgogliosamente di saperlo meglio di lei. Ma è possibile che una persona egocentrica possa esplorare il cuore del suo prossimo? E perché ha esposto al pericolo Kameda se ne comprende ed apprezza la purezza d'animo? In quanto alla risposta alla lettera: Taeko si tenga solamente lontana da loro due, senza interferire con la loro vita.
La reazione di Taeko è risentita e aggressiva: Ayako è venuta solamente per gelosia, per vedere con i suoi occhi la persona che Kameda ama più di lei. Ma questo importa poco: non sentendosi degna di questo amore preferisce che sia lei a prendersi Kameda, per quanto incapace di rendersi conto che è proprio lei a farlo soffrire costringendolo a vivere queste situazioni. Andrà via.
Come Ayako però anche lei facilmente cede all'ira cambiando idea senza preavviso: Kameda decida subito, immediatamente, chi vuole delle due. Una volta per tutte. Ma lei non rinuncerà spontaneamente
Kameda è irresistibilmente attratto dalla sofferenza. Scegliendo Ayako soffre per Taeko e sente il bisogno di scegliere lei, a questo punto ha pena di Ayako e non sa più che fare. In un momento in cui Taeko sembra la scelta definitiva Ayako non resiste alla tensione e fugge.
Kameda vorrebbe allora rincorrerla, ma in quel momento Taeko sviene. Si arresta per soccorrerla, sempre più impietosito. E' Akama a rompere l'incantesimo: vada dietro Ayako senza perdere tempo. A Taeko penserà lui.
Le emozioni hanno sfibrato Ayako, che tornata a casa da sola in mezzo alla tormenta è ora preda ad una forte febbre. Esasperato il padre dichiara a Kameda di averne abbastanza di lui. Quella storia è finita.
Quando esce abbattuto dalla casa trova Akama ad attenderlo nel buio. Bruscamente gli dice di seguirlo: hanno bisogno di camminare. Mentre camminano si rifiuta di rispondere ad ogni domanda.
Dopo un lungo percorso ritornano alla dimora di Akama. Solo la luce di una candela illumina la stanza, buia e fredda perché Akama dichiara di non poter accendere la stufa. Makeda trema, e non solamente per il freddo.
Vede una sagoma oltre la cortina del letto. Chiede se Taeko sta dormendo. Sì. Vuole vederla? Akama lo accompagna verso il letto, ma lasciando la candela sul tavolo. Ci si vedrà lo stesso.
Kameda scosta le cortine. Ne esce sconvolto e tremante, Akama lo deve sorreggere.
Akama vuole che passino la notte assieme, parlando. Non è il caso di ripetere i loro discorsi, non avrebbero alcun senso trasportati fuori dalla rappresentazione.
La mente di Akama lentamente cede alla follia ed i suoi discorsi diventano sempre più allucinati. Kameda lo convince a riposare e si coricano abbracciati. L'ultima candela si spegne, assieme alle loro vite.
La mattina il freddo - Akama non ha voluto accendere la stufa per preservare intatto il corpo di Taeko - li ha uccisi entrambi.
La morte di Kameda non sarà inutile: il suo amore indiscriminato per ogni essere umano verrà ricordato e rimpianto da quanti lo hanno conosciuto pur senza riuscire ad apprezzarlo al momento.
A a tutti presta la sua voce Ayako augurandosi tra le lagrime che sia possibile anche per altri amare gli esseri umani come li ha amati Kinji Kameda, l'idiota.
Con queste parole inizia L'idiota di Fedor Dostoevskij, descrivendo il primo incontro tra i due protagonisti.
Sulla fine di novembre, verso le nove del mattino, il treno di Varsavia arrivava a tutto vapore a Pietroburgo e trovava un tempo umido e freddo.La nebbia era così fitta che il sole dell'alba faceva luce a stento: a destra e sinistra, guardando fuori dai finestrini del vagone, era difficile distinguere qualcosa,
Fra i passeggeri, alcuni stavano rimpatriando; ma erano soprattutto piene le carrozze di terza classe, e la povera gente che le occupava non veniva da molto lontano. Tutti, come sempre accade, erano stanchi, gli occhi pesanti, le membra intirizzite, le facce ingiallite dalla fatica e dalla nebbia.
In una di queste carrozze di terza classe, alle prime ore del mattino, due viaggiatori si trovarono vicino allo stesso finestrino: giovani entrambi, non eleganti, dalla fisionomia abbastanza espressiva, desiderosi di trovare un motivo per attaccare discorso. Se avessero saputo per quale motivo, in quel momento, tutti e due erano interessanti l'uno per l'altro, si sarebbero senzaltro stupiti dello strano caso che li aveva fatti sedere di fronte in uno scompartimento di terza classe del treno Pietroburgo-Varsavia.
Uno dei due, piccolo, sui ventisette anni, capelli ricci e quasi neri, occhietti grigi pieni di fuoco - aveva il naso largo, gli zigomi sporgenti e le labbra sottili, piegate in una smorfia, gli trasformavano in un ghigno cattivo quello che voleva essere un sorriso. Un tipo che avrebbe fatto una cattiva impressione a chiunque, se non fosse stato per la fronte spaziosa e ben modellata che temperava la volgarità della sua bocca. Eccezionale, poi, era il suo pallore cadaverico; un colorito che lo faceva appaire debole malgrado la robusta costituzione e che gli dava un aspetto appassionato fino alla sofferenza, un'aria tormentata che stonava col suo ghigno beffardo e la vivacità quasi impertinente degli occhi. Avvolto in una calda pelliccia d'agnello, non aveva preso il freddo della notte, mentre il suo compagno stava sentendo nella schiena tutto il rigore dell'autunno russo, al quale, evidentemente, non era preparato.
Questo indossava solo un largo mantello col cappuccio e senza maniche, come si usa in Svizzera o nell'Italia settentrionale, dove il clima è meno rigido e dove nessuno si sogna di viaggiare da Eydtkuhnen a Pietroburgo durante la notte. Anche lui era giovane, tra i ventisei e i ventisette anni, alto poco più della media, capelli folti e biondissimi, guance infossate, pizzo quasi bianco. Aveva gli occhi grandi, celesti, fissi: uno sguardo dolce ma appesantito da quella strana espressione dalla quale alcuni sanno riconoscere gli individui soggetti ad attacchi epilettici. Il suo viso era delicato, quasi livido tanto era pallido, ma, malgrado tutto, sprigionava simpatia. Tra le mani stringeva un fagotto leggero: tutto il suo bagaglio, molto probabilmente. E, ai piedi, portava scarpe con la suola spessa e ghette coi bottoni. Il giovane dai capelli neri, stretto nel suo cappotto di pelliccia, osservò tutto questo, tanto per ammazzare il tempo, e, con quel sorriso indelicato che rivela, a volte, una maligna compiacenza dei guai del prossimo, finalmente domandò al suo vicino:
«Avete freddo?»
«Un freddo terribile», rispose pronto il compagno. «E per fortuna che siamo ancora in autunno... non credevo davvero di trovare tanto freddo. Non ci sono abituato.»
«Venite dall'estero?»
«Sì, dalla Svizzera.»
«Eh, eh!»
Il giovane dai capelli neri fischiò e si mise a ridere. S'intavolò la conversazione. Meravigliosa la prontezza del giovane biondo, che, senz'ombra di diffidenza, soddisfava le domande, più o meno vacue e indiscrete, del compagno.
Mancava dalla Russia da più di quattro anni; l'avevano spedito all'estero perché afflitto da una strana malattia nervosa, epilessia o ballo di san Vito, accompagnata da tremiti e convulsioni. L'altro ascoltandolo, più di una volta si mise a ridere; soprattutto quando alla domanda:
«Ebbene, vi hanno guarito?»,
il biondo rispose semplicemente
«Guarito? No, non mi hanno guarito.»
Fedor Dostoevskij, L'idiota
Newton Compton, 2011, p. 21-22
Traduzione di Federigo Verdinois
Scandalo (Shubun)
Akira Kurosawa - 1950
Toshiro Mifune, Yoshiko Yamaguchi, Takashi Shimura
Mifune ha fino al 1949 interpretato 3 film sotto la regia di Kurosawa, in relativamente poco tempo: L'angelo ubriaco Cane randagio, Il duello silenzioso. Ha sostenuto solamente ruoli moderni, ora nella parte del malfattore ora in quella del poliziotto o del medico sfortunato.
Lavorerà l'anno seguente - sempre con Kurosawa - nel suo primo ruolo jidai, il bandito Tajomaru di Rashomon, che darà fama mondiale sia a lui che al regista.
Stranamente però le sue interpretazioni moderne tardano ad essere riscoperte sia dal pubblico che dalla critica, come del resto quasi tutte le opere gendai di Kurosawa, di cui ingiustamente si cita soprattutto Vivere, considerando le altre opere minori.
Ma soprattutto sono opere meno facili, meno spettacolari, e sorge il dubbio che sia soprattutto questo genere di motivazioni che ha impedito finora che venissero apprezzate come meritano.
Il pittore Ichiro Aoye (Toshiro Mifune) si presenta fin dall'inizio come un personaggio stravagante, se non altro per la sua abitudine, rara per l'epoca, come gli fanno notare perfino dei montanari del tutto ignari di mode ed abitudini della gente di città, di spostarsi sempre in motocicletta.
Kurosawa ci mette in guardia fin dalla prima inquadratura: è la ruota di una motocicletta in marcia, e chiaramente una moto di grossa cilindrata: chi la guida ne ha fatto una scelta di vita, non utilitaria.
Il personaggio ha sicuramente una componente autobiografica: sappiamo infatti che la carriera artistica di Kurosawa iniziò con lo studio della pittura, e che continuò per tutta la vita a trasmettere le sue direttive artistiche attraverso sceneggiature piene di disegni impressionistici ma efficaci.
Diceva infatti che riusciva a comunicare il suo messaggio soprattutto quando dimenticava la tecnica e si lasciava portare dalla frenesia dell'arte.
Ichiro Aoye si è recato nelle montagne in cerca di ispirazione, e là comincia una avventura che cambierà la sua vita.
Sopporta con buonumore di essere circondato da un gruppetto di montanari curiosi che dietro le sue spalle commentano e a volte criticano spensieratamente (le montagne non sono di quel colore, le montagne non si muovono!...) le sue libere interpretazioni artistiche.
Una giovane donna, elegante ed attraente (Yoshiko Yamaguchi), arriva a sua volta nel piazzale dove Ichiro ha postato la sua attrezzatura e sta dipingendo le montagne che si affacciano alla vista.
Si sta dirigendo verso un albergo, ma non conosce la direzione ed ha perduto l'autobus, il prossimo passerà tra diverse ore.
Dopo averle dato burbere e sbrigative indicazioni, Ichiro offre altrettanto rudemente di darle un passaggio con la sua moto, se avrà la pazienza di attendere il termine del suo lavoro.
I due, che alloggiano nello stesso albergo, approfondiscono la conoscenza con una breve chiacchierata amichevole, e Ichiro indica alla ragazza ove recarsi per delle piacevoli passeggiate nella natura.
Quello che Ichiro ignora, e non sa nemmeno lei, ë che ci sono due reporter appostati in basso, che pedinando costantemente la donna l'hanno seguita fin là.
i tratta infatti di una famosa cantante lirica, Miyako Saijo, e i due non attendono altro che di poterla fotografare in atteggiamento compromettente.
La situazione è in realtà totalmente innocente, ma una foto può trarre in inganno, ed il resto lo faranno la fantasia e soprattutto la malafede dei giornalisti.
Il servizio viene venduto ad un periodico scandalistico, dal significativo titolo di Amour.
Lo sviluppo della foto aveva infatti mantenuto le promesse: proprio il materiale che ci voleva per farne un articolo di grande richiamo sul pubblico.
Amour ha deciso di fare le cose in grande: i manifesti che annunciano l'uscita dell'articolo riempiranno letteralmente la città.
Vi appaiono, in atteggiamento reso maliziosamente allusivo dal montaggio, Ichiro Aoye e Miyako Saijo.
Se la copertina è allusiva, Kurosawa lascia solo immaginare su che tono si mantenga il testo.
Ma non per niente questo tipo di periodici si è guadagnato da tempo la ben meritata definizione di junk press: stampa spazzatura.
Ichiro verrà a conoscenza dello scandalo nel modo più banale: con la sua inseparabile motociletta si ferma ad un semaforo rosso.
Il muro alla sua sinistra è completamente tappezzato dei famosi manifesti.
Una ossessiva pressione pubblicitaria chei i grandi del cinema, come Kurosawa ma anche il nostro Fellini, accusarono con grande tempestività, quando era ancora tendenza e non realtà di tutti i giorni.
Senza purtroppo che il loro grido di allarme venisse in alcun modo ascoltato.
Quando per caso il pittore, sempre in attesa del via libera, getta uno sguardo sul muro, trasecola..
Non crede ai suoi occhi.
Solo dopo lungo tempo, alle sonore proteste delle macchine in coda cui sta bloccando la strada, si riprende e continua il suo cammino.
Non andrà molto lontano.
Si ferma al primo chiosco di giornali per acquistare subito la rivista e rendersi conto di persona di quanto c'è scritto e quali foto "scandalose" vi appaiano.
Sfortunatamente per lui anche nel chiosco sono affisse per ogni dove le locandine di Amour.
La giornalaia lo riconosce immediatamente, chiamando le amiche per mostrar loro la "celebrità".
Ichiro preferisce allontanarsi prima che arrivi altra gente, rinunciando a prendere una copia della rivista.
Nel frattempo nella redazione di Amour sono molto soddisfatti di come stanno andando le cose.
Qualcuno solleva dubbi sulla correttezza dell'articolo, che attribuisce ai due la colpa e lo scandalo di essere amanti, senza avere in realtà nessuna vera prova del fatto.
Ma la sola cosa che sembra contare è l'effimero successo in edicola.
Per i numero successivo si penserà a qualche altra cosa.
Purtroppo per loro Ichiro non è una persona che ami perdersi in riflessioni.
E'arrivato direttamente in redazione, chiaramente irritato, e chiede di avere in visione una copia della rivista.
Non hanno il coraggio di dire nulla, e gliela porgono.
Ichiro si concentra nella lettura.
Il suo viso non promette nulla di buono.
Quello di Hori (Eitaro Ozawa), il giornalista che ha firmato l'articolo, è chiaramente il volto di un uomo in difficoltà.
La sua malafede è evidente dall'espressione, ma non mostra segni di pentimento.
Solamente timore per le possibili conseguenze.
La prima delle quali non si fa attendere: un micidiale pugno di Ichiro lo scaraventa addosso ad una pila di numeri arretrati di Amour, che gli frana addosso.
E' evidente a tutti, compreso lo spettatore, che la faccenda non potrà finire lì.
Il pugno di Ichiro era indubbiamente ben dato, e abbondantemente meritato dall'altra parte ma getta ulteriore benzina sul fuoco, se ve ne fosse stato bisogno.
I mezzi di comunicazione si gettano famelici sul caso.
La conferenza stampa in cui Ichiro annuncia la sua intenzione di citare in tribunale il giornalista e la testata è affollata di giornalisti e fotografi.
Non è da certamente da meno quella in cui Hori annuncia indignato l'attentato contro la libertà di stampa perpetrato dal pittore.
Ribadisce naturalmente l'assoluta rispondenza al vero di quanto pubblicato da Amour e ricorda la schiacciante evidenza delle "prove".
Adesso non è più solamente il giornaletto scandalistico a gettarsi sul caso.
Il mondo della carta stampata è in subbuglio, le prime pagine non parlano di altro.
Ichiro dal canto suo è alla prese con un problema non facilmente risolvibile.
Miyako odia la pubblicità e gli scandali e ritiene che una citazione in tribunale non farebbe altro che attirare maggiore attenzione su di loro.
Per quanto siano perfettamente innocenti, ammesso che amare sia una colpa, sono entrati in un ingranaggio che alla lunga non potrà che stritolarli.
Sarebbe forse meglio attendere che il frastuono mediatico si plachi, e forse ha realisticamente ragione: il pubblico ha fame di notizie fresche, non tarderà ad arrivarne un'altra che farà dimenticare la loro "tresca".
Di conseguenza non intende associarsi alla querela che Ichiro vuole presentare, rendendo di fatto più debole la sostenibilità della sua tesi.
Ichiro tuttavia, ad onta della fama di persone sregolate che hanno gli artisti, ha dentro di se dei principi ben saldi a cui non intende rinunciare.
La sua modella Sumie (Noriko Sengoku) si presta volentieri a servirgli un po' da confidente, anche se non è una semplice spalla su cui piangere.
Il carattere positivo e senza remore di Ichiro renderebbe superfluo un tale ruolo.
D'altra parte è proprio il suo carattere leale che gli impedisce di esercitare pressioni su Miyako, di cui è divenuto un sincero amico.
La pacata discussione dei due viene interrotta bruscamente: Sumie si accorge che qualcuno, da fuori, sta spiando dentro la finestra.
E' così che farà irruzione nel film Takashi Shimura, e da questo momento non ce n'è più per nessuno.
Questo camaleontico attore si impossessa della scena e non la lascia più: tutti diventano di colpo comprimari, nulla succede più che non dipenda da lui, spettatori ed attori tutti pendono dalle sue labbra.
Farà risuonare contemporaneamente - in armonia - tutte le corde del sentimento.
Se si è imposto per il carisma in altre opere disegnando indimenticabili figure vincenti (I sette samurai), o perdenti (L'angelo ubriaco, Vivere) ma comunque ben definite, qui gioca contemporaneamente e con impareggiabile maestria su tutti i fronti.
Otokichi Hiruta, il suo personaggio, si presenta come un buffo ometto dal comportamento decisamente comico. Diventerà poi tragico, commovente, ripugnante, degno di ammirazione.
E tutto senza che si riesca a cogliere in lui alcuna contraddizione: è il personaggio in definitiva più credibile di tutta la vicenda, Ichiro e Miyako sembrano troppo buoni e nobili per essere veri ed Hori troppo disgustosamente ignobile e privo di umanità, anche se la mano di Kurosawa è talmente delicata da non far notare queste forzature.
Solamente un grande maestro come Takashi Shimura, di lui Kurosawa disse che aveva la stoffa del leader senza averne l'aria, poteva dar vita a questa memorabile interpretazione.
Lo stesso Kurosawa sembra avere subito - inavvertitamente visto che se ne assume la responsabilità - la personalità discreta ma pervadente di Shimura: Mentre scrivevo la sceneggiatura mi lasciai prendere la mano da un personaggio del tutto imprevisto che finì per rubare troppo posto nella storia. Questo personaggio che mi prese per il naso è il corrotto avvocato Hiruta.
Non appena passata la furia del ciclone Hiruta, omino dalla loquela torrenziale e dai ragionamenti strampalati ma non privi di una certa loro logica, Sumie commenterà: ci sarà da fidarsi di uno con quel nome?.
Probabilmente si riferisce al sostantivo otoko, che intende dire bello, virile, od anche amante, e non sembra accordarsi granché con l'aspetto fisico ed i modi chiassosi e poco ortodossi di Otokichi Hiruta.
Che ha visibilmente molti difetti, ma ha almeno il pregio di saper parlare chiaro quando vuole: Ichiro ha sicuramente bisogno di un avvocato per andare avanti, in America, patria del progresso, nessuno pensa di poter fare a meno di un avvocato.
E chi potrebbe essere un candidato ideale? Modestamente lui. Otokichi Hiruta: avvocato.
Ichiro è un artista, ama giudicare in base alle proprie sensazioni.
Non si può dire che Hiruta abbia un'aria molto professionale, ma nel complesso non gli dispiace.
E soprattutto, giudicando dalla fisionomia, ha gli occhi di una persona onesta.
Non conosciamo la percentuale di successo dei giudizi di Ichiro, ma questo è sicuramente fuori bersaglio, eppure in qualche modo azzeccato.
Solamente andando avanti nella vicenda potremo sciogliere questa apparentemente insanabile contraddizione.
Ha deciso infine: Hiruta sarà il suo avvocato.
L'indirizzo indicato sul biglietto da visita si trova però in una bidonville,chiara indicazione che le fortune professionali di Hiruta non sono adeguate alla sua irruenza.
Un vecchio cartello scritto alla buona indica di fare attenzione al cane, ma la cuccia è vuota.
Ichiro apprenderà poi che il cane è morto da anni, ma la scritta viene mantenuta per mantenere lontani i malintenzionati, che non si capisce però che dovrebbero cercare nel tugurio di Hiruta.
Dove Ichiro dopo aver bussato scopre solamente una bambina, che giace a letto malata. Il padre non c'è, si trova in ufficio.
Lei non ha una semplice infreddatura, è costretta a letto dalla tubercolosi.
Si chiama Masako (è interpretata da Yoko Katsuragi), e nonostante tutto non ha perso la sua infantile ma poetica fiducia nella vita.
E' sola per il momento e ha cheisto di lasciare aperto lo scorrevole per poter osservare la piccola vita del modesto giardinetto.
Ha anche chiesto alla madre, che lavora come sarta, di appendere nella sua stanza finché non dovrà essere consegnato uno splendido kimono tradizionale.
E' un abito da sposa, e la bambina alla sua visione già si sente partecipe della gioia della cerimonia, che non vedrà nemmeno da lontano.
Ichiro per il momento la deve lasciare. Deve ancora rintracciare l' avvocato Hiiruta.
Il suo ufficio è situato in uno squallido palazzo nelle vicinanze, se possibile ancora più inquietante della bidonville dove vive e abitato o frequentato da strani personaggi.
Uno di essi fa presente ad Ichiro che il sesto piano, dove sarebbe diislocato l'ufficio, non esiste: il palazzo ha solo cinque piani.
Lo studio legale Hiruta infatti si trova sul terrazzo, probabilmente è un ex lavatoio.
Al'interno una confusione indescrivibile, ed un cumulo di riviste di cavalli, che indicano una pericolosa passione dell'avvocato per le scommesse.
Ce ne sarebbe più che a sufficienza per concludere che Hiruta non può essere l'uomo giusto per lui.
L'artista, con la sensibilità che è propria degli artisti, sente che non è così.
Rintracciato un gessetto scrive sulle nude assi della parete con mano sicura, diremmo imperiosa, il suo messaggio: nomina Hiruta suo consulente legale. I dettagli, a dopo.
Avrà incredibilmente ragione: Hiruta è il suo uomo, ma prima di dimostrarlo e riscattarsi cadrà più volte - miseramente - vittima delle sue debolezze.
Nel frattempo il frastuono mediatico non dà il minimo cenno di volersi calmare, anzi la situazione sembra diventare peggiore di giorno in giorno.
Sotto lo studio di Ichiro si aggira un uomo sandwich, che fa allegramente pubblicità per gli articoli di Amour.
Ovviamente gli editori hanno deciso di lavorare il ferro finché è caldo e la rivista continua a denunciare lo ' scandalo" che si vanta di avere scoperto, aggiungendo ogni volta nuovi fantasiosi ed insinuanti particolari.
Non è più possibile sfuggire alle morbose attenzioni del pubblico.
Mentre i due discutono, invano Ichiro prega l'uomo di spostarsi da qualche altra parte, si aprono le finestre.
Grappoli di persone curiose, comprese quelle dall'aria apparentemente più aliena dalla caccia ai pettegolezzi, assistono alla scena, tentando di afferrarne ogni dettaglio.
Sumie tenta di sollevare il morale di Ichiro, che in questo momento è veramente ai minimi livelli.
La sua natura lo porta a combattere senza soffermarsi a valutare le possibilità di vvittoria, senza lunghi e complicati calcoli sulle strategie più opportune.
Ma non era assolutamente preparato a combattere un nemico così insidioso e così pervasivo.
Nel frattempo Hiruta è partito con entusiasmo per assolvere al suo incarico.
Si è recato nella redaizone di Amour per verificare se ci siano le condizioni per un accordo extragiudiziali.
La sua ingenua parlantina però non scalfisce l'imperturbabilità di Hori.
Ha già inquadrato il personaggio che gli si trova davanti, sa come trattarlo.
In un attimo, senza che il malcapitato riesca a renderse conto di come sia successo, le parti si invertono.
E' Hori a prendere in mano la situazione, a pressarlo, a piegrlo alla sua volontà.
Ha immediatamente compreso, con l'astuzia di chi è abituato a barcamenarsi in un mondo arido e crudele, di avere di fronte a se una persona irrimimediabilmente debole e perdente.
Naturalmente Hiruta sa di essere quello che è, ma la sua natura non gli permette di vedere lontano.
E' destinato a rimanere facilmente quanto effimeramente incantato da ogni suo irrealistico proposito di rivalsa o redenzione.
Ogni, volta, implacabile, la cruda realtà lo lascia solo di fronte alle sue debolezze: sempre le stesse.
Ed ogni volta, inevitabilmente, Hiruta cede.
La sconfitta è innegabile. Bruciante.
Corrotto da Hori, l'uomo si affretta col denaro ricevuto ad acquistare dei doni per la figlia.
Ma non riesce a convincere se stesso di essere nel giusto: sa di avere perduto l'ennesima battaglia, prima ancora di avere incrociato le armi.
La sua espressione, lo stesso atteggiamento del corpo, ripiegato su se stesso come per ripararsi dall'ennesimo colpo di una sorte maligna, sono eloquenti
Sarebbe difficile ingannarsi su questo, ma l'affetto può coprire ogni cosa.
Non per questo Masako si lascia trare in inganno.
Ha sviluppato l'elevata sensibilità di chi non sa quanto tempo gli rimane da vivere, e di chi privato di un senso compensa sviluppando gli altri.
Ha compreso da diverso tempo la natura infleice del padre, e sa con certezza che ogni suo improvviso colpo di fortuna coincide con un cedimento morale.
Non può quindi essere felice dei doni del padre, sa che non provengono - non possono provenire - da una azione lecita.
Hiruta è solo, nello squallido ufficetto sul terrazzo.
Sta tentando di lottare con se stesso, per l'ennesima volta, pur sapendo che per l'ennesima volta non sarà la parte migliore di lui a vincere.
La sua decisione finale è già palese.
La porta, da sempre, dentro di se.
Al momento di uscire non ha il coraggio di guardare ancora la foto della adorata figlia, è costretto a girarla.
Si sta recando alle corse oer scommettere.
Il vizio del gioco che lo divora e gli fa balenare davanti agli occhi la possibilità di miracolose ed istantanee soluzioni a tutti i problemi, suoii e dei suoi cari.
Naturalmente perderà ancora, ma il maligno Hori è là, per "soccorrerlo".
Altro denaro corre tra i due.
Hiruta è ormai definitivamente preso nella rete.
Non ha più nemmeno la forza per dibattesi.
Ma in realtà, l'ha mai avuta?
Il processo sta per iniziare, ma lui non è più nullaltro che un fantoccio inerte nella mani di Hori.
Le precauzioni comunque non sono mai troppe.
Per difendere la causa del giornalista e della testata viene designato un principe del foro: il dottor Kataoka (Sugisaku Aoyama), che si suppone farà un sol boccone dello sprovveduto Hiruta.
Ammesso e non concesso che questi osi tentare di assolvere al suo mandato.
Hiruta in realtà ha già rinunciato, e vede come unica via di scampo quella di convincere anche Ichiro a rinunciare alla querela.
Si reca da lui con una scusa pronta: non ci sono speranze di successo se la seconda parte lesa, la signora Miyako Saijo, si dissocia dalla causa.
E' destino che al povero Hiruta non gliene debba andare bene una: Ichiro le presenta Miyako in persona, che si trova lì: ha appena acconsentito a costituirsi in tribunale.
Lo spavento di Hiruta è tale che stringe spasmodicamente il manubrio della motocicletta, azionando il clackson senza accorgersene, finché non interviene il peroplesso Ichiro a staccargli la mano dal pulsante
Ichiro ormai è ridotto a travestirsi per poter girare tranquillamente per strada, si cela sotto un cappello a larghe tese e un paio di occhiali finti.
Miiyako dal canto suo porta sempre una mascherina di protezione sul viso, in Giappone sono molti a portarla per evitare l'inquinamento urbano o i contagi dalle malattie più comuni.
Ancora una volta un cartellone pubblicitario semovente lo ferma per proporgli qualcosa.
Nonostante i suoi timori non si tratta di un'ennesima puntata del "suo" scandalo.
E' semplicemente arrivato il Natale, e l'uomo sta probabilmente reclamizzando qualche miracolosa vendita natalizia.
Già... è Natale! Il Natale dell' anno 1950.
Ichiro l' aveva forse dimenticato, preso come era dai suoi problemi, ma adesso corre lestamente ai ripari.
I bambini della bidonville rimangono a bocca aperta: cosa sta arrivando mai?
Ha l'aria di essere qualcosa di fantastico ed irripetibile.
E' Ichiro, a cavallo della sua inseparabile motocicletta dove ha issato in periglioso equilibrio un gigantesco albero di Natale, addobbato nel migliore dei modi.
L'abilità, ma anche la malizia, di Kurosawa non cessa mai di destare ammirato stupore.
Quando la tensione diventa eccessiva ed eccessivamente negativa, quando il degrado morale delle situazioni descritte rischia di angosciare lo spettatore, spesso un capovolgimento degli eventi verso qualcosa di bello e positivo dà la forza di continuare a seguire la vicenda.
Miyako ed ishiro hanno organizzato una indimenticabile festa di Natale per Masako.
Gli addobbi riescono a rendere bella perfino la misera capanna.
Ichiro suona al pianoforte; chissà quanti problemi organizzativi avrà superato o travolto con il suo positivo interventismo, chissà dove avrà trovato quel pianoforte.
Lo suona con grande disinvoltura, accompagnando Miyako che canta le tradizionali melodie di fine anno e anche le più diffuse canzoni natalizie occidentali.
Il rapporto tra i due supposti amanti continua ad essere limpido, trasparente, disinteressato, puro.
Masako è fuori di se dalla gioia.
Sta probabilmente pensando che solo una cosa manca alla sua felicità, ma non può tardare molto.
Quando Otokichi ritornerà a casa e si riunirà a loro la festa potrà dirsi completa.
Otokichi in realtà è già rincasato.
Ma si è fermato, vergognoso, sulla porta di casa.
Sente crescere dentro di se l'onta per avere tradito per del miserabile denaro non solo la fiducia dell'unico uomo che gli abbia dato credito nonostante ogni apparenza contraria, ma anche quelle dell' unico raggio di luce della sua vita, Masako.
Non riesce a reggere il peso della sua colpa, decide di andare via.
Si è tradito però facendo rumore, assieme ad Ichiro lo rincorre e lo trattiene anche la moglie ((Tanie Kitabayashi che tritroveremo alcuni anni dopo in L'arpa birmana di Kon Ichikawa).
Non potranno nulla di fronte alla sua irriversibile crisi: Otokichi Hiruta si divincola e fugge nella notte.
Ichiro lo ha seguito.
Il poveruomo si è rifugiato in un locale di terzo ordine, dove si sta deliberatamente ubriacando per dimenticare i suoi rimorsi.
Non è il solo ad avere fatto quella scelta, nella fredda notte di Natale del 1950.
Assieme a lui un inveterato ubriacone è salito sul palco dove si alternano improvvisati cantanti.
L'attore è Bokuzen Hidari, che il pubblico occidentale ricorda soprattutto nei panni del pavido contadino Joei (I sette samurai), ruolo che interpretò pochi anni dopo.
Otokichi Hiruta ha una richiesta da fare.
Perchè l'orchestrina del locale non può, per una volta, suonare per lui? Dedicargli, donargli, qualcosa?
Il desiderio di Hiruta ha qualcosa di magico.
E magicamente, si avvera. Non solo perché gli orchestrali decidono di farlo contento, ma soprattutto perché tutti i presenti sentono in qualche modo di essere partecipi di quel dono.
Nessuno riesce ad esimersi dal cantare assieme ai due infelici, e Hiruta si stringe - con affetto? - al braccio di Ichiro, che canta assieme a lui ed al coro dei derelitti.
La mano di Kurosawa è particolarmente felice nella scelta dei comprimari chiamati a prestare i loro volti .
Debbono esprimere la speranza di un mondo migliore da parte di chi la speranza credeva oramai di averla perduta per sempre.
Allo spettatore il giudizio
La magica notte non è finita.
Al di fuori splendono magnifiche le costellazioni.
Il cielo è di una limpidezza assoluta, senza l'ombra di una nuvola.
Ichiro ed Otokichi sono usciti tenendosi ancora sottobraccio, del resto hanno tutti e due bevuto più che abbondantemente ed è meglio sorreggersi a a vicenda, appoggiarsi l'uno all'altro.
Grande è la loro sorpresa nel vedere, nel solito lurido acquitrinio che Kurosawa non manca mai di mettere nell'ambientazione dei suoi film gendai, l'intero firmamento.
Ichiro osserva, con la saggezza e la capacità di vedere oltre le paarenze che hanno talvolta gli ubriachi, che non sono semplicemente un riflesso.
In quella notte delle autentiche stelle sono nate dal fango.
E' finalmente, dopo tanti preparativi da una parte e dall'altra, il giorno della prima udienza.
L'attesa è ancora cresciuta, oltre a spettatori interessati e semplici curiosi ci sono anche tutti i mezzi di comunicazione, che non hanno voluto " bucare" l'evento.
Per ogni dove giornalisti, cronisti, fotografi, cineoperatori
E' evidente che non sarà un processo come tutti gli altri
Otokichi Hiruta probabilmente non ha mai avuto prima di allora l'occasione di andare veramente in tribunale come avvocato, e le sue informazioni non devono essere recentissime.
Ha rispolverato per l'occasione una tenuta formale che deve risalire al secolo precedente, che se scatena l'eccitazione dei già sovreccitati fotografi ha se non altro un pregio.
Quello di suscitare un momento di grande ilarità nel pubblico, quello virtuale del film e quello reale che sta davanti allo schermo.
Per quanto inveterato gaffeur, per una volta si rende conto che qualcosa non va, e durante le udienze successive indosserà abiti normali.
Il processo sarà per lui un supplizio.
Di fronte al banco dei querelanti è situato quello della controparte, ove siede Hori.
Il suo sguardo, rivolto pressoché costantemente in direzione di Hiruta, ha l'effetto di paralizzarlo e privarlo di ogni energia.
Sembra quello di un serpente che fissa la sua preda inerme.
Lo sguardo di Otokichi Hiruta non ha bisogno di alcun commento.
I testimoni sono chiaramente condizionati.
Vivono con superficialità l'insperato ed inaspettato momento in cui si trvoano sotto la luce dei riflettori.
Ripetono scioccamente i pettegolezzi che hanno sentito in giro, se non li hanno addirittura ripresi tali e quali dalle colonne di Amour.
Un avvocato scrupolos potrebbe metterli facilmente in difficoltà, ma Hiruta ammesso di averne avute le capacità, è in questo momento inutile a se stesso e al suo cliente
Il verdetto sembra già scontato in partenza: assoluzione piena per il periodico Amour e per il giornalsita.
Tra una udienza e l'altra Ichiro trova il tempo di visitare Masako, che è inquieta.
Da una parte le sue visite la riempiono di gioia.
Dall'altra avverte il rimorso per il cattivo comportamento del padre, che non trova alcuna giustificazione
Ichiro non cede al risentimento.
Per lui Otokichi Hiruta continua ad essere una persona degna di rispetto e di stima, nonostante tutto.
Non è cieco di fronte ai suoi errori, ma li deve considerare frutto della sua debolezza, non di una sua non ammissibile malvagità.
Masako accetta una sua carezza.
Non solo: stringe spasmodicamente la sua mano e non vuole lasciarla.
La madre di Masako sente che la forza vitale della figlia sta inesorabilmente esaurendosi.
Il processo continua.
Finalmente Hiruta ha avuto un colpo d'ala, si è riscosso dal suo torpore.
Perfino il giudice (Masao Shimizu) ha l'aria molto divertita quando ammette a deporre tre testimoni convocati da Hiruta.
Sono i tre montanari che attorniavano petulanti Ichiro mentre tentava di trovare l'ispirazione nei maestosi picchi di fronte.
Hanno rivestito i loro abiti migliori, ma hanno portato con se le loro maniere: i loro tempi di reazione, il loro modo di fare, la loro mentalità.
Nessuna forza al mondo sarà capace di cambiarli.
La prima grana scoppia immediatamente quando - secondo la procedura - dovrebbero sottoporsi al giuramento di rito.
Si vuole forse insinuare che non sono uomini di parola?
Va reso merito alla loro splendida recitazione, 110 e lode per tutti e tre.
Ed abbraccio accademico per Kokuden Kodo, che si fa portavoce anche per gli altri.
Per quanto la testimonianza diventi ben presto collettiva, riuscendo inutile ogni tentativo di tenere a freno gli altri due quando intervengono, a proposito e - soprattutto - a sproposito.
Pittoresca quanto si vuole ma la testimonianza dei tre è concorde e inattacabile: Miyako giunse da sola al piazzale, dopo aver perso l'autobus, e non dimostrava in alcun modo di avere mai conosciuto prima Ichiro.
Solamente dopo qualche tempo questi, che si era prima offerto di tenerle i bagagli mentre lei proseguiva da sola, si lasciò commuovere e le offrì quel passaggio in motocicletta da cui sono nati poi tanti guai.
Il pubblico si rende conto che qualcosa potrebbe cambiare nel corso del processo.
Per la prima volta Hiruta è riuscito a piazzare un colpo, ed un colpo che non sembra concedere possibilità di replica.
La replica c'è.
L'elegante, impassibile, gelido avvocato Kataoka chiede la parola.
Se questa testimonianza era così importante, come mai solamente ora, praticamente alla fine del processo, viene presentata?
C' è qualche cosa che non quadra, e il rappresentante dei querelanti dovrebbe darne conto.
Hiruta tace, impotente.
Hori sogghigna malignamente.
Il giudice ed il pubblico si chiedono - invano - cosa stia succedendo.
Si attende ora l'ultima udienza, in cui è prevista l'emissione del verdetto.
Ichiro, Miyamo e Sumie sono nello studio di Ichiro, muti.
Pensano che non ci sia più nulla che possano fare o dire: la battaglia è persa.
Sumie al colmo della fustrazione non riesce a trattenersi dal rimproverare Ichiro: lei l'aveva messo in guardia, ma ha voluto andare avanti testardamente, facendone pagare le conseguenze anche alla povera Miyako.
Ichiro si alza, mette in moto la sua motocicletta, testimone inanimato di tutta la videnda, come sempre parcheggiata nel suo studio sopra al cavalletto.
Accelera ripetutamente il motore fino al massimo dei giri.
In un ambiente chiuso il frastuono è assordante, e Sumie non resiste.
Ichiro spegne il motore e si scusa: aveva bisogno assoluto di uno sfogo.
Adesso si sente di nuovo in grado di nuovo di affrontare quello che sarà.
Sicuramente però non è preparato a quanto segue.
Un rumore fa allarmare i tre, ancora una volta sembra che qualcuno stia entrando, quasi furtivamente, nello studio.
Ancora una volta è Otokichi Hiruta.
O perlomeno la sua apparenza fisica.
Ha l'aria di una persona dentro cui non ci sia più nulla, di un simulacro vuoto.
Ed è così.
A stento riesce a tirare fuori quello che ha dentro, a dare la notizia che è venuto a portare.
Masako è morta.
Il giorno in cui si attende l' emissione del verdetto, gli atteggiamenti fisici dei vari protagonisti anticipano già la probabile conclusione.
Ichiro e - al suo fianco - Miyako - sembrano l'immagine della rassegnazione, di chi non si aspetta più nulla di buono dalla giustizia degli uomini.
Hori è se possibile ancora più tronfio del solito, disgustoso nel suo autocompiacimento frutto di menzogna e corruzione.
L'avvocato Kataoka non batte ciglio come suo solito.
Ma sembra attendere la conclusione come un qualcosa di scontato, una mera formalità per sanzionare quanto già deciso prima.
Hiruta sembra non volersi più interessare di nulla e di nessuno e per una volta meriterebbe di essere compreso.
Dichiara di non avere nulla da aggiungere.
A sorpresa, è Ichiro che vuole rilasciare una dichiarazione.
Ammette di essere arrivato impreparato davanti alla corte e alle complesse procedure giudiziarie.
Ma se la sua è stata una colpa, è stata la colpa di chi ha creduto che la macchina della giustizia fosse in grado di stabilire da sola dove fossero i torti e le ragion.
E' stata la colpa di chi ha creduto che fosse sufficiente essere innocenti per presentarsi a testa alta in tirbunale e attendere fiducioso l'accertamento della verità.
Nemmeno ora ha una sola parola di rimprovero verso Hiruta.
Vogliamo ora rendere un modesto omaggio a quella che è stata con ogni verosimiglianza la fonte cui si è ispirato Akira Kurosawa con questa opera.
Non ne abbiamo parlato in precedenza per permetterci anche noi un pizzico di suspence: ci perdoni l'incauto lettore che ha avuto la pazienza di seguirci fino a qui.
Nella immagine vediamo il famoso attore americano James Stewart. E' impegnato nella parte di Jefferson Smith, nel film Mister Smith va a Washignton, del regista Frank Capra. Uscì sugli schermi nel 1939, circa 10 anni prima che Kurosawa iniziasse le riprese di Shubun.
E' la vicenda di un giovane idealista che si ritrova per circostanze casuali ad essere senatore degli Stati Uniti d'America, ma non essendo piegabile a logiche di parte - e di partito - viene coinvolto in uno scandalo montato ad arte per costringerlo a dare le dimissioni.
Nel corso di una appassionata ed interminabile autodifesa, che ha all'inizio solo lo scopo di ritardare parlando finché lo reggono le forse l'approvazione di una legge nefanda, riesce a convincere con la sua ingenuità - che giustifica con gli stessi argomenti di Ichiro Aoye, della falsità delle accuse contro di lui.
Il discorso muove qualcosa anche nell'animo di Otokichi Hiruta, dentro al quale probabilmente si sta svolgengo una lotta titanica tra il bene ed il male.
Chiede anche lui la parola,
Ma non come avvocato.
Chiede, tra la sorpresa generale, di essere citato ed ascoltato in qualità di testimone.
Il giudice, per quanto meravigliato anche lui, acconsente.
E' vero: Otokichi Hiruta deve ammettere di avere tenuto nel corso del processo un atteggiamento rinunciatario, senza veramente tutelare gli interessi del suo cliente.
E' ora però il momento di rivelare, sotto il vincolo del giuramento, in qualità di testimone, quali ne siano state le ragioni.
Hiruta confessa di essere stato corrotto da Hori per venire meno al suo mandato di avvocato.
Ne ha la prova inconfutabile: un assegno a suo nome da parte di Hori.
E lo esibisce mettendolo a disposizione della Corte.
L'assegno passa tra le mani dei giudici e delle parti in causa.
E' una prova schiacciante, che nessun appiglio legale potrebbe mettere in dubbio
Il gelido inappuntabile - ma corretto - Kataoka chiede a sua volta la parola.
Rinuncia ad ogni tentativo di confutare l'accusa di Hiruta, e lanciata una rapida occhiata di intesa ad Hori, che suo malgrado capisce che deve acconsentire, dichiara di rimettersi alla decisione della Corte.
La Corte, accettando la testimonianca di Hiruta,dà ragione ad Ichiro Ayoe e Miyako Saijo nella causa.
La gioia esplode irrefrenabile fra i tanti simpatizzanti di Ichiro che gremivano l'aula.
Nulla sembra invece poter risollevare Hiruta dall'abisso della sua disperazione.
Il suo riscatto sembra scaturito sfruttnado l'ultima stilla di energia che ancora rimaneva nel suo corpo e nel suo animo..
I giornalisti si affollano intorno alla coppia dei trionfatori.
Chissà, sono forse almeno in parte gli stessi che prima li additavano al disprezzo dei lettori.
Ichiro ha qualcosa da dire a proposito della conclusione del processo: in questa occasione è nata una stella.
Chi gli sta intorno non capisce: non sembra verosimile che Otokichi Hiruta possa avere una seconda vita come stella dell'avvocatura.
Ma non è questo che vuol dire Ichiro: nonostante tutto, dal fango, nel fango è nata una stella.
E' passato diverso tempo.
A quello stesso muro dove qualche mese prima si era esterefatto fermato Ichiro al vedere la sua immagine riporodotta all'infinito, assieme a quella di Miyako, pendono i resti dei manifesti che tanto interesse destavano al momento dello scandalo.
Ora nessuno li degna più di un'occhiata.
Nemmeno quell'omino intabarrato in un logoro cappotto, che sta attraversando la strada.
Certamente, è Otokichi Hiruta.
Ma Kurosawa non ci lascia capire se qualcosa sia veramente nato dentro di lui nonostante la morte dell'essere che pi⌂ amava al mondo.
Non ci lascia capire se veramente in lui sia nata una stella.