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Williams Adams, il pilota - I portoghesi

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I portoghesi furono grandi navigatori. Dobbiamo a Ferdinando Magellano la prima circumnavigazione completa del globo terracqueo, portata tuttavia a termine dall'italiano Antonio Pigafetta in quanto Magellano scomparve durante l'mpresa, ucciso nel tentativo di reprimere una rivolta nelle Filippine.

Per quanto Magellano fosse portoghese la sua missione, comandata da Carlo V re di Spagna, aveva il compito di infrangere il monopolio portoghese sulle rotte orientali, che dovevano necessariamente fare scalo in una serie di porti tutti controllati dal Portogallo.

Tecnicamente l'impresa riuscì: doppiando lo stretto che da lui prende il nome Magellano oltrepassò l'America e si addentrò nell'Oceano Pacifico dirigendosi verso il nord per raggiungere i centri di commercio che erano obiettivo della missione. Ma il percorso si rivelò molto più lungo ed irto di pericoli del previsto, tantevvero che una sola nave al comando di Pigafetta fece ritorno - dopo quasi tre anni - in Spagna, trasportando solamente 18 superstiti dei 234 uomini che avevano partecipato alla spedizione. Magellano era scomparso in uno scontro con "indigeni ostili".

La rotta verso le Indie era stata scoperta nel 1487 da Bartolomeo Diaz che circumnavigò l'Africa. doppiando il Capo di Buona Speranza. Buscar el levante por el poniente, il sogno di Cristoforo Colombo, seguire la rotta contraria, era possibile. Ma certamente non conveniente, lo dimostrò la straordinaria ma folle impresa di Magellano. La rotta tradizionale rimaneva molto più rapida ed affidabile di quella che circumnavigava l'America attraverso lo Stretto di Magellano.

Era però come già detto saldamente controllata dal Portogallo. Furono infatti i portoghesi, attardatisi a cavallo tra il XV ed il XVI secolo a consolidare i loro possedimenti nel continente asiatico, i primi europei a raggiungere il Giappone, anche se solamente nel 1544.

Le vicissitudini della spedizione Magellano (1521) e di quella di cui Adams era il pilota (1596) ci fanno comprendere quanto grandi fossero i rischi che comportavano. Venivano di conseguenza organizzate assembleando avventurieri di ogni provenienza. Questo spiega la presenza del soldato di ventura italiano Antonio Lombardo detto Pigafetta in una spedizione spagnola comandata da un portoghese ed anche la presenza di un pilota inglese in una spedizione olandese.

Ci lasciano anche immaginare quale possa essere stato l'impatto di ciurme di rozzi avventurieri con la raffinata civiltà giapponese. Ne troviamo eco risonanti nel genere artistico detto namban (barbari del sud) che conobbe ininterrotto successo per secoli.

Accanto alla ispirazione occidentale per oggetti artistici di vario tipo, ad esempio le armature o le guardie delle spade, molto popolare fu la produzione di stampe con rappresentazioni, grottescamente caricaturali eppure realistiche, di quegli strani individui rivestiti di sontuose vesti dall'aspetto molto poco pratico, e ricoperti d'oro ed essenze profumate ma refrattari al lavarsi.

Va quindi considerata la levatura dei primi ambasciatori dell'occidente. Il primo plenipotenziario della potenza portoghese, per la verità anche lui gettato casualmente dalla tempesta sulle coste di Bungo, nel 1544,  fu il pittoresco Fernão Mendes Pinto che venne presentato al depresso signore Otomo Yoshiaki feudatario di Bungo come divertente distrazione dai suoi tristi pensieri.

Abbiamo una idea delle fanfaronate di Pinto, soprannominato Minto (Mento) dai suoi compatrioti,  dal suo Peregrinaçam, un volume autobiografico che ne narra le imprese e i peregrinaggi. Nessuna meraviglia che i giapponesi si siano fatti una idea dell'occidente totalmente avulsa della realtà, e che abbiano accolto con estremo interesse un testimone oculare come William Adams, che per la prima volta li informava dell'esistenza di altre nazioni, altre religioni, altre usanze, altri obiettivi da raggiungere attraverso i contatti con il Giappone.

Se le informazioni sul mondo occidentale che Fernão Pinto aveva potuto o voluto fornire al signore di Bungo erano tuttaltro che esatte, non dobbiamo aspettarci che lo siano nemmeno quelle che lui riportò dal Giappone, e non per sua esclusiva colpa.

Abbiamo spiegato come fosse fortunosamente arrivato nel feudo di Bungo, senza alcun incarico esplorativo. Non ne sarebbe mai uscito prima di lasciare il Giappone. Non ebbe quindi alcun modo di comprendere che il potere imperiale della lontana capitale Kyoto era oramai ridotto ad un mero fantoccio mentre quello esecutivo, nominalmente ancora nelle mani degli shogun era anchesso decaduto al punto di essere completamente imbelle. Da circa mezzo secolo i più forti feudatari, beninteso quelli residenti in prossimità dei centri nevralgici, politici, economici e militari del paese, non certamente quelli dell'estremo sud, si dilaniavano per prenderne il posto.

I resoconti di Pinto e degli esploratori che lo seguirono parlavano solamente di una nazione ricca di bellezze e risorse naturali, abitata da uomini e donne di bell'aspetto, dai costumi sobri ma eleganti e dalla forte religiosità, per quanto dotati di improvvisa inspiegabile aggressività accompagnata da apparente disprezzo della vita umana.

Nel 1549, attirato da queste informazioni, sostanzialmente giuste per quanto vaghe, giungeva in Giappone per intraprendervi opera di evangelizzazione il gesuita Francis Xavier, discepolo di Ignacio de Loyola e tra i primi sette religiosi ad entrare nella Compagnia.

Viaggiando assieme a Pinto di ritorno da uno dei suoi viaggi ed Accompagnato come interprete da uno dei rari giapponesi espatriati, un certo Anjiro, raccomandatogli dallo stesso Pinto, prese terra a Kagoshima  nel feudo di Satsuma, nella costa meridionale dell'isola di Kyushu. Pinto era invece sbarcato sulla costa settentrionale a Bungo. 

Nel 1550 Xavier affrontò un duro viaggio verso la capitale Kyoto, ma le incomprensioni ed incomunicabilità tra due culture tanto diverse gli impedirono di progredire in quello che gli stava più a cuore: l'evangelizzazione del Giappone. Lo abbandonò nel 1551, provato nel fisico e nel morale, e scomparve prematuramente nel 1552, a 46 anni.

Se il tentativo di stabilire contatti spirituali con il Giappone non era decollato, i rapporti commerciali presero subito il volo. Il commercio con la Cina, essenziale per la sopravvivenza stessa del Giappone, era ridotto ad un esile ruscello per l'embargo decretato ai giapponesi sul continente dopo ripetuti episodi di pirateria. I portoghesi arrivarono esattamente al momento giusto per proporsi come intermediari commerciali tra il Giappone, la Cina e la Corea.

Inoltre già il fortuito arrivo in Giappone di Fernão Pinto aveva rivelato che l'Occidente aveva qualcosa di molto importante da offrire al Giappone, non manufatti e non materie prime ma tecnologia: le armi da fuoco.

In breve tempo gli armieri giapponesi furono in grado di fabbricare archibugi (teppo) in grandi quantità. Negli anni successivi la guerra per la conquista del potere si apprestava a giungere ad una fase risolutiva.

Partendo dal dominio montano del Kai il grande generale Takeda Shingen cercava di aprirsi la strada verso il Mare del Nord e il Mare del Sud, dividendo in due il Giappone in modo da poterlo controllare a suo piacimento. Il suo piano venne fieramente contrastato da Uesugi Kenshin signore di Echigo, che trovandosi sul mare del Nord era bersaglio naturale di Takeda, e da Oda Nobunaga che partendo dal feudo di Owari più ad ovest aveva mire espansionistiche incompatibili con quelle di Takeda.

Dopo la morte di Shingen il figlio Katsuyori ne proseguì la politica espansionistica, ma la invincibile cavalleria Takeda venne annientata nel 1575 dalle scariche dei fucilieri nella battaglia di Nagashino contro Nobunaga.

Il pretesto per lo scontro venne dato da un oscuro alleato di Nobunaga: Yeyasu Tokugawa del feudo di Tottori. Occupando il castello di Nagashino al confine con il Kai provocò la discesa in campo dei Takeda, fino ad allora estremamente prudenti nelle loro mosse.

Scomparso Nobunaga in un agguato, scomparso anche il suo successore Hideyoshi, fu Tokugawa che 25 anni dopo comandò 90.000 uomini contro l'armata dell'Ovest, di poco inferiore, sconfiggendola e divenendo Shogun. Parteciparono alla battaglia circa 20.000 archibugieri. I giappomesi avevano fatto un buon investimento rinunciando a tagliare la gola a quei naufraghi portoghesi del 1544.

Con l'intenzione di infrangere il monopolio portoghese nel 1598 una compagnia commerciale di Rotterdam armava una flotta di cinque navi, che vediamo in questa stampa risalente al XVI secolo: la Blijde Bootschap (Buona Novella), la Trouwe (Lealtà), la Geloof (Fede), la Liefde (Carità) e la Hoop (Speranza).

La Liefde era in origine chiamata Erasmus ed era ancora adornata a prua da una statua in legno del filosofo Erasmus da Rotterdam. Fu questa la sola nave che arrivò in Giappone, ma Clavell nel suo romanzo ha scelto di continuare a chiamarla Erasmus. Nella stampa è quella più in basso.

Lo scopo della missione era  come sappiamo di trovare una rotta alternativa che  permettesse di aprire rapporti commerciali tra l'Olanda e l'Estremo Oriente. Non tanto con il Giappone di cui all'epoca si avevano scarse notizie e quelle poche tenute accuratamente nascoste: a differenza che negli altri paesi dove si preferivano gli scambi i giapponesi pagavano in argento, di cui l'arcipelago era ricco.

Faceva parte della missione in qualità di pilota un inglese di 34 anni che aveva militato in precedenza nella flotta di sir Francis Drake: William Adams, destinato ad essere poi conosciuto in Giappone come Anjin: Pilota.

 

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