Pionieri
La breve e intensa vita di Lafcadio Hearn
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La prima cosa che colpisce di Lafcadio Hearn è ovviamente il nome, ma ci potremmo consolare pensando che in fondo i nomi irlandesi possono essere peggiori. In realtà il nome gli venne dall'isola greca di Lefkada dove nacque nel 1850 dal maggiore medico Charles Hearn in forza all'esercito inglese che all'epoca occupava la zona e da Rosa Kassimati, originaria di un'altra isola nei pressi dell'Attica. Questa nascita "complicata" è un presagio della vita, breve ma felicemente randagia, di Hearn.
Crebbe e fu educato a Dublino, frequentando la scuola cattolica ma soprattutto gli ambienti artistici che aveva nel sangue. Si trasferì molto giovane negli Stati Uniti dove cominciò dopo un periodo di stenti e vita da boheme una carriera di giornalista che gli procurò presto fama di scrittore colorito e immaginifico e migliori condizioni di vita. Ma era suo destino e probabilmente sua aspirazione passare da un guaio all'altro: sposò una donna di colore, Mattie Foley, sfidando leggi e convenzioni: i matrimoni di sangue misto erano proibiti. Venne licenziato dal suo giornale e passò prima al maggiore concorrente poi si lanciò in numerose avventure letterarie pubblicando dai romanzi agli studi antropologici e spostandosi qua e là negli Stati Uniti.
Accettò poi di diventare corrispondente dall'India per Harper's e nel 1890 finalmente arrivò in Giappone, sempre come corrispondente. E qui la storia comincia a farsi, soprattutto per noi, ancora più interessante. Licenziatosi presto dal suo lavoro trovò impiego come insegnante di inglese presso diversi istituti scolastici nella zona di Shimano trovando una nuova compagna in Setsu Koizumi, di famiglia samurai. Col matrimonio ottenne la cittadinanza giapponese e prese il nome di Yakumo Koizumi. Dopo pochi anni ottenne una nuova cattedra a Kumamoto e poi giunse a Tokyo all'Università Imperiale e infine nel 1903 alla Waseda. Purtroppo un infarto lo portò via l'anno seguente. Ma aveva trovato il tempo, era ovvio, di scrivere molto in Giappone e sul Giappone. Questo è l'elenco dei libri di ambientazione giapponese o sul Giappone, cui andrebbero aggiunti i numerosissimi articoli
Glimpses of Unfamiliar Japan (1894)
Out of the East: Reveries and Studies in New Japan (1895)
Kokoro: Hints and Echoes of Japanese Inner Life (1896)
Gleanings in Buddha-Fields: Studies of Hand and Soul in the Far East (1897)
Exotics and Retrospectives (1898)
Japanese Fairy Tales (1898, diversi altri volumi uscirono in seguito)
In Ghostly Japan (1899)
Shadowings (1900)
Japanese Lyrics (1900)
A Japanese Miscellany (1901)
Kottō: Being Japanese Curios, with Sundry Cobwebs (1902)
Kwaidan: Stories and Studies of Strange Things (1903)
Japan: An Attempt at Interpretation (1904)
The Romance of the Milky Way and other studies and stories (postumo)
Una menzione particolare la dobbiamo a Kwaidan: il film omonimo di Masaki Kobayashi porta sullo schermo 4 delle novelle di tema fantastico e tenebroso contenute nel volume. Ma è arrivato il momento di lasciare la parola a Lafcadio Hearn:
Il ragazzo che disegnava gatti
Molto, molto tempo fa, in un piccolo villaggio di paese in Giappone, viveva un povero contadino con sua moglie, ed era veramente brava gente. Avevano molti bambini ed era assai duro dare da mangiare a tutti. Il figlio più grande a 14 anni era già abbastanza forte da aiutare il padre e le bambine avevano cominciato ad aiutare la madre non appena avevano imparato a camminare. Ma il figlio più giovane, un maschietto, non sembrava portato al lavoro duro. Era molto acuto, più acuto di fratelli e sorelle; ma era abbastanza debole e piccolino, e la gente diceva che non sarebbe mai diventato veramente grande. Così i suoi genitori pensarono che per lui sarebbe stato meglio diventare prete che non contadino. Un giorno lo portarono al villaggio del tempio e chiesero al buon vecchio prete che viveva lì se poteva prendere il loro bambino come accolito ed insegnargli tutto quelo che un prete deve sapere.
Il vecchio parlò gentilmente al ragazzo, ponendogli alcune domande difficili. Le risposte furono così acute che il prete acconsentì a prendere il ragazzo nel tempio come accolito ed educarlo per la vita clericale (lett. per il cappuccio del prete). Il ragazzo imparò velocemente quello che il vecchio prete gli insegnò, e si dimostrò molto obbediente in quasi tutto. Ma aveva un difetto. Gli piaceva disegnare gatti durante le ore di studio, e disegnare gatti anche dove gatti non erano mai stati disegnati per nulla. Ogni volta che si sentiva solo, disegnava gatti. Li disegnava sui margini dei libri del prete, e su tutti i paraventi del tempio, e sui muri, e sui pilastri. Parecchie volte il prete gli disse che non andava bene, ma lui non smise di disegnare gatti. Li disegnava perché non poteva realmente aiutarlo. Aveva quello che si chiama "genio dell'artista" e già solo per questa ragione non era adatto a essere un accolito; un buon accolito dovrebbe studiare i libri. Un giorno che aveva disegnato sopra dei paraventi di carta dei gatti veramente ben fatti il vecchio prete gli disse severamente: "Ragazzo mio, è ora che tu vada via da questo tempio. Non sarai mai un buon prete, ma può darsi che diventerai un grande artista. Adesso lascia che ti dia un ultimo consiglio, e cerca di non dimenticarlo mai: Evita i posti grandi di notte, rimani nel piccolo!"
Il ragazzo non capiva cosa volesse dire il prete con "Evita i posti grandi, rimani nel piccolo". Ci pensò e ripensò mentre preparava il suo piccolo fagotto con i panni da portare via, ma non riuscì a comprendere queste parole e gli dispiaceva parlare ancora al prete, eccetto per dirgli addio.
Lasciò il tempio con molta tristezza, e cominciò a chiedersi cosa avrebbe dovuto fare. Se fosse andato diretto a casa sentí che il padre lo avrebbe punito per aver disobbedito al prete, così gli dispiaceva tornarci. Allora si ricordò che al villaggio dopo, distante dodici miglia, c'era un tempio molto grande. Aveva sentito che c'erano diversi preti a questo tempio e questo gli fece venire in mente di andare da loro e chiedere di prenderlo come accolito.
In quel momento il tempio era chiuso ma il ragazzo ignorava questo fatto. La ragione della chiusura era che un folletto aveva spaventato i preti, che erano fuggiti mentre lui prendeva possesso del posto. Alcuni valorosi guerrieri erano poi andati al tempio di notte per uccidere il folletto, ma nessuno li aveva più visti vivi. Nessuno aveva mai detto queste cose al ragazzo, così camminò per tutta la strada fino al villaggio sperando di essere bene accolto dai preti!
Quando arrivò al villaggio era già scuro,e tutti erano a letto, ma egli vide il grande tempio su una collina dall'altro lato della strada principale, e vide anche che c'era una luce. Quelli che raccontano la storia dicono che il folletto usava questa luce per attirare i viaggiatori solitari in cerca di un rifugio. Il ragazzo andò subito al tempio e bussò. Non si sentiva nulla da dentro. Bussò e bussò ancora; ma ancora non venne nessuno. Alla fine spinse leggermente la porta, e rimase stupito vedendo che non era stata chiusa. Così entrò, e vide una lampada accesa, ma nessun prete. Pensò che di sicuro qualche prete sarebbe arrivato ben presto, così si mise seduto ed aspettò. Notò allora che ogni cosa nel tempio era grigia di polvere, e ricoperta di ragnatele. Disse a se stesso che che ai preti sarebbe certamente piaciuto avere un accolito, per tenere pulito il posto. Si stupiva che avessero lasciato che ogni cosa si impolverasse così. Quello che gli piaceva di più comunque erano dei grandi paraventi bianchi, buoni per disegnarvi dei gatti. Sebbene fosse stanco si guardò intorno per cercare un scatola da scrittura, ne trovò una, macinò un po' di inchiostro e cominciò a disegnare gatti. Disegnò sopra gli schermi molti grandi gatti, e poi cominciò a sentirsi molto, molto assonnato. Era giusto sul punto di cadere a dormire sotto uno dei paraventi, quando all'improvviso ricordò le parole: "Evita i grandi posti, rimani nel piccolo".
Il tempio era molto grande; lui era solo del tutto; e quando pensò a quelle parole, per quanto non le avesse capite bene, cominciò per la prima volta sentirsi un po' spaventato e decise di cercarsi un posto piccolo dove dormire. Trovò un piccolo armadietto con una porta scorrevole, ci entrò dentro e ci si chiuse. Poi si mise giù e subito cadde addormentato. Molto tardi durante la notte fu svegliato da un terribile frastuono, rumore di combattimento ed urla. Era così spaventoso che ebbe paura anche di guardare attraverso una fessura dell'armadietto: rimase completamente immobile, trattenendo il fiato per la paura. La luce accesa nel tempio si spense, ma gli impressionanti rumori continuavano, anzi diventavano più spaventosi, e tutto il tempio tremava. Allora con molta cautela uscì dal suo nascondiglio e si guardò attorno. La prima cosa che vide fu che tutto il pavimento del tempio era coperto di sangue. E dopo vide, morto in mezzo al pavimento, un enorme, mostruosto ratto- un ratto-folletto - più grande di una mucca! Ma chi o cosa aveva potuto ucciderlo? Non c'erano uomini o altre creature visibili. Di colpo il ragazzo notò che le bocche di tutti i gatti che aveva disegnato la notte prima erano rosse e bagnate di sangue. Allora capì che il folletto era stato ucciso dai gatti che aveva disegnato. E solo allora, per la prima volta, capì quello che il saggio vecchio prete gli aveva detto: "Evita i grandi posti, rimani nel piccolo".
In seguito il ragazzo divenne un artista molto famoso. Alcuni dei gatti disegnati da lui in Giappone vengono ancora mostrati ai viaggiatori.
Difficile non vedere riferimenti autobiografici in questo racconto: Hearn si può essere facilmente immedesimato nelle vicende di questo ragazzo, programmato per seguire una esistenza "normale" dopo una educazione convenzionale (anche Hearn aveva frequentato un istituto di istruzione religioso) ma irresistibilmente portato a seguire la sua vena artistica; chi ha la possibilità di dare del tu a Shakespeare può leggere qui sotto il testo originale in inglese. Una manciata di testi di Hearn è disponibile anche in italiano, spesso antologie tratte da varie opere. Segnaliamo Il bambino che disegnava gatti, ed. Mursia.
Alla pagina seguente l'originale della storia, o favola, del ragazzo che disegnava gatti
The boy who drew cats
A long, long time ago, in a small country-village in Japan, there lived a poor farmer and his wife, who were very good people. They had a number of children, and found it very hard to feed them all. The elder son was strong enough when only fourteen years old to help his father; and the little girls learned to help their; mother almost as soon as they could walk. But the youngest child, a little boy, did not seem to be fit for hard work. He was very clever, cleverer than all his brothers and sisters; but he was quite weak and small, and people said he could never grow very big. So his parents thought it would be better for him to become a priest than to become a farmer. They took him with them to the village-temple one day, and asked the good old priest who lived there, if he would have their little boy for his acolyte, and teach him all that a priest ought to know. The old man spoke kindly to the lad, and asked him some hard questions. So clever were the answers that the priest agreed to take the little fellow into the temple as an acolyte, and to educate him for the priest hood.
The boy learned quickly what the old priest taught him, and was very obedient in most things. But he had one fault. He liked to draw cats during study-hours, and to draw cats even where cats ought not to have been drawn at all. Whenever he found himself alone, he drew cats. He drew them on the margins of the priest's books, and on all the screens of the temple, and on the walls, and on the pillars. Several times the priest told him this was not right; but he did not stop drawing cats. He drew them because he could not really help it. He had what is called "the genius of an artist," and just for that reason he was not quite fit to be an acolyte; a good acolyte should study books.
One day after he had drawn some very clever pictures of cats upon a paper screen, the old priest said to him severely: "My boy, you must go away from this temple at once. You will never make a good priest, but per haps you will become a great artist. Now let me give you a last piece of advice, and be sure you never forget it. Avoid large places at night; keep to small!"
The boy did not know what the priest meant by saying, "Avoid large places; keep to small." He thought and thought, while he was tying up his little bundle of clothes to go away; but he could not understand those words, and he was afraid to speak to the priest any more, except to say good-by. He left the temple very sorrowfully, and began to wonder what he should do. If he went straight home he felt sure his father would punish him for having been disobedient to the priest: so he was afraid to go home. All at once he remembered that at the next village, twelve miles away, there was a very big temple. He had heard there were several priests at that temple; and he made up his mind to go to them and ask them to take him for their acolyte. Now that big temple was closed up but the boy did not know this fact. The reason it had been closed up was that a goblin had frightened the priests away, and had taken possession of the place. Some brave warriors had afterward gone to the temple at night to kill the goblin; but they had never been seen alive again. Nobody had ever told these things to the boy;-so he walked all the way to the village hoping to be kindly treated by the priests!
When he got to the village it was already dark, and all the people were in bed, but he saw the big temple on a hill at the other end of the principal street, and he saw there was a light in the temple. People who tell the story say the goblin used to make that light, in order to tempt lonely travelers to ask for shelter. The boy went at once to the temple, and knocked. There was no sound inside. He knocked and knocked again; but still nobody came. At last he pushed gently at the door, and was quite glad to find that it had not been fastened. So he went in, and saw a lamp burning, but no priest. He thought some priest would be sure to come very soon, and he sat down and waited. Then he noticed that everything in the temple was gray with dust, and thickly spun over with cobwebs. So he thought to him self that the priests would certainly like to have an acolyte, to keep the place clean. He wondered why they had allowed everything to get so dusty. What most pleased him, however, were some big white screens, good to paint cats upon. Though he was tired, he looked at once for a writing-box, and found one, and ground some ink, and began to paint cats. He painted a great many cats upon the screens; and then he began to feel very, very sleepy. He was just on the point of lying down to sleep beside one of the screens, when he suddenly remembered the words, "Avoid large places; keep to small!"
The temple was very large; he was all alone; and as he thought of these words - though he could not quite understand - them he began to feel for the first time a little afraid; and he resolved to look for a small place in which to sleep. He found a little cabinet, with a sliding door, and went into it, and shut himself up. Then he lay down and fell fast asleep. Very late in the night he was awakened by a most terrible noise, a noise of fighting and screaming. It was so dreadful that he was afraid even to look through a chink of the little cabinet: he lay very still, holding his breath for fright. The light that had been in the temple went out; but the awful sounds continued, and became more awful, and all the temple shook. After a long time silence came; but the boy was still afraid to move. He did not move until the light of the morning sun shone into the cabinet through the chinks of the little door. Then he got out of his hiding-place very cautiously, and looked about. The first thing he saw was that all the floor of the temple was covered with blood. And then he saw, lying dead in the middle of it, an enormous, monstrous rat - a goblin-rat - bigger than a cow! But who or what could have killed it? There was no man or other creature to be seen. Suddenly the boy observed that the mouths of all the cats he had drawn the night before, were red and wet with blood. Then he knew that the goblin had been killed by the cats which he had drawn. And then also, for the first time, he understood why the wise old priest had said to him, "Avoid large places at night; keep to small."
Afterward that boy became a very famous artist. Some of the cats which he drew are still shown to travelers in Japan.