Randori
Esami, esami, esami.... Ma non finiscono mai?
E' vero e lo dovremmo sapere almeno da quando il genio di Eduardo de Filippo ce lo ha ricordato: Gli esami non finiscono mai. Ma c'è anche un altro problema, anzi ce ne sarebbero diversi ma puntiamo l'indice su questo: a parte come finiscono... come iniziano questi benedetti esami?
Nell'Aikikai d'Italia da alcuni anni le sessioni di esami dan, prima programmate solamente durante i maggiori raduni nazionali, possono anche essere tenute autonomamente, da giugno ad agosto e in concomitanza con un loro raduno, dagli esaminatori in possesso della qualifica di jo-kyu shidoin. E' in seguito fisiologicamente diminuito il numero dei candidati nei raduni nazionali: non è possibile paragonare l'impegno anche economico necessario per partecipare ad esempio al raduno internazionale estivo di La Spezia - che dura una settimana - con quello più abbordabile di un raduno di fine settimana che si tiene nella propria città o comunque meno lontano.
Ma giugno è nella maggior parte dei casi la conclusione dei corsi in molti dojo, anche gli esami kyu tendono ad affollarsi di conseguenza in questo mese aggiungendosi a quelli dan.
Ed eccoci al fattaccio: domenica 17 giugno di questo 2017 avevo una sessione di esami abbastanza variegata: dal 6. kyu al 1. dan, con programma di esami estremamente diversi e livelli di preparazione altrettanto differenti. E il tempo non era molto, avevo preferito sottrarre qualcosa alle ore previste per l'esame assegnando questo tempo alle lezioni. Durante l'allenamento, viene detto esplicitamente nel programma di esami, i candidati vengono accuratamente vagliati: si tratta di un pre-esame a tutti gli effetti, anzi sarebbe normalmente già sufficiente nella maggior parte dei casi a valutare ogni candidato.
Ma anche il candidato ha bisogno di conoscere il suo livello di preparazione, anzi soprattutto lui. Non si può quindi prescindere dall'esame, e richiede il suo tempo. Col tempo limitato e molti differenti e variegati esami da fare, per quanto i candidati non fossero poi tanti, occorreva inventarsi qualcosa di altrettanto variegato.
Quindi, ho preliminarmente avvertito il colto pubblico ed l'inclita guarnigione che anche negli esami - come nella lezione - i praticanti devono lavorare in spirito di collaborazione e non di contrapposizione. Ma evitando eccessi di "collaborazione", che tanto si vedono fin da lontano e figuriamoci se non li vede l'esaminatore, che oltre ad essere lì davanti l'ha fatto sicuramente prima di loro, sperando di non farsi cogliere in castagna come e più di loro. Chi ha il compito di "attaccare" deve semplicemente fare quello, permettendo alll'esecutore della tecnica di difesa di turno, quello che sbrigativamente chiamiamo tori, di esprimersi al meglio delle proprie possibilità. Poche o tante che siano.
Il machiavello: gli esaminandi per i gradi iniziali kyu, non c'erano candidati per i gradi dal 3. al 1., avrebbero avuto a disposizione come uke quelli che si presentavano per i gradi dan. E viceversa.
Qui occorre fare un passo indietro e probabilmente più d'uno. Una volta non era così: si iniziava dal primo esame, di solito il 6. kyu e si procedeva a portare a termine quello; i candidati si alternavano nei ruoli di tori e uke mentre i candidati al 5.kyu e gradi successivi attendevano il loro turno in seiza. Qualche esaminatore misericordioso permetteva di mettersi un po' più comodi ma comunque non ci si poteva muovere da là. Terminato il primo esame iniziava il secondo, permettendo a chi aveva concluso di andare perlomeno a farsi una doccia e cambiarsi, ma risalendo poi sul tatami, e così via. Nelle sessioni affollate succedeva quindi che i candidati a 2. o 3. dan attendessero in seiza per svariate ore prima che arrivasse il loro turno. Il pubblico era ammesso, ma ad una condizione: anche gli spettatori dovevano salire sul tatami, in seiza. Una volta iniziata la sessione non era più possibile per nessuno entrare o uscire dal dojo.
Tant'è. Anzi: tant'era.
Ora c'è meno rigore, ma l'esaminatore continua a dirigere l'esame in keikogi e hakama, sul tatami, in seiza; a meno che non abbia problemi alle articolazioni che glielo impediscano. Non esistono ancora nell'Aikikai d'Italia commissioni sedute al tavolino, con o senza divise "federali". Non dico con questo che sia meglio o peggio: spiego semplicemente come si fa da noi.
Torniamo a quanto successo il 17 giugno. E' ovvio che i debuttanti fossero soddisfatti di avere come uke dei praticanti avanzati, non avendo ancora realizzato forse che dopo sarebbe toccato a loro fare da vittime espiatorie, e su un programma molto più intenso e impegnativo. Altrettanto ovvio che i candidati yudansha non si aspettassero granché di doversi esibire in katatetori aihanmi ikkyo, omote e ura, e altre cosette "da principiante". Presumibilmente nessuno di loro si era preparato per quello.
Tutti comunque si sono sorbiti l'esame di 6. kyu, quello da 5. kyu e così via. Ma sono ingeneroso nell'uso di un termine che implica connotazioni negative: hanno tutti nessuno escluso lavorato con impegno e serietà. Oserei anzi oso dire professionalmente.
Sempre più ovvio che le cose potessero cambiare quando sono stati i candidati per i gradi dan a ritrovarsi inopinatamente come uke dei principianti, non esclusi degli absolute beginners, presentatisi come mukyu e non ancora ufficialmente promossi perché i risultati vengono comunicati solamente alla fine. Era comunque presente una rappresentanza di yudansha tenuti di riserva, e ben nutrita (si erano infatti prudentemente squagliati all'intervallo ed erano tornati masticando qualcosa; senza nutrimento spirituale l'aikido perde molto...).
Notati i primi - e anche i secondi - sintomi di stanchezza nei primi uke ho fatto loro cenno di tenersi pronti. Ma i debuttanti, attraverso una improvvisata portavoce che forse non a caso era l'ultima arrivata, mukyu (e quindi provvidenzialmente un po' naïf, meno intimorita dalla figura del Maestro e disponibile a dire la sua) si sono dichiarati disposti a continuare e hanno anzi cortesemente ma fermamente richiesto di continuare. Gli altri assentivano più o meno vigorosamente. E così è stato. Fino alla fine.
E' ovvio (è la giornata dell'ovvietà) che sostenere un esame impegnativo con uke improvvisati e alle prime armi è un problema. Ma ad un esame non necessariamente si chiede quello che si presume il candidato sappia, quello che il candidato si aspetta. A volte si preferisce metterlo di fronte a un problema imprevisto, a condizione naturalmente che gli siano stati forniti nel periodo precedente gli strumenti e le abilità - ma anche quelle sono un mero strumento - .per risolverlo. Si preferisce anzi si cerca che il il candidato scopra e da solo quanto non sa. Quanto non sa non sapendo di saperlo. E quanto sa... non sapendo di saperlo... L'esame è una lezione, così come tutte le lezioni dovrebbero essere degli esami.
Ma veniamo alla morale della favola: siete stati tutti bravi. Grazie della lezione. Perché se l'esame è sempre una lezione, lo è - sempre - anche per l'esaminatore.