Kyosaku

È ora di dirlo. E anche di ridirlo

Sono passati tantissimi anni. A quei tempi la televisione la vedevo volentieri. Adesso un pò meno (molto, molto meno). Non ricordo la trasmissione, che a parte questa scenetta non propose mai nulla di interessante, ma dovevamo essere intorno agli anni 60, quindi rigorosamente in bianco e nero, su uno schermo tremolante che si deformava agli angoli non appena riscaldate le valvole, già venerande. Scarse o nulle speranze di identificare i protagonisti, sconosciuti anche allora.

Si trattava di uno dei tanti "varietà" serali, probabilmente non quello principe del sabato sera ma qualcosa di meno impegnativo destinato alle serate di scarso ascolto. Vi si ricostruiva in chiave che avrebbe voluto essere umoristica, per la verità con scarso successo, un celebre episodio dell'antica Roma tramutato in macchietta.

Muzio Scevola, invano trattenuto dalle guardie, dopo il suo fallito attentato al generale nemico Porsenna posa con sguardo fiero la mano sul braciere, per bruciarla e punirla così dell'errore... quando dal gruppo degli astanti si leva sonora e beffarda una voce dalla cadenza tipicamente romanesca: "A fanaticoooo!!!"

Geniale. Suppongo che per quasi tutti la battuta sia apparsa estremamente scialba, ma per un romano è una beffa atroce quanto raffinata, degna di Pasquino e sufficiente a riscattare una trasmissione per tutto il resto molto banale.

Prendo in prestito da un dizionario on line:

fanatico

[fa-nà-ti-co] agg., s. (pl.m. -ci, f. -che)
  • agg.
  • 1 Mosso da fanatismo e intolleranza: una religiosità f.
  • 2 Esaltato violentemente da passioni o da sensazioni incontrollabili; invasato: un tifoso f.; che denota fanatismo: attaccamento f.
  • s.m. (f.-ca) Nel sign. dell'agg.: un pericoloso f.; con valore meno negativo, appassionato: un f. della musica classica
  • avv. fanaticamente, in modo f.
  • • sec. XIV

Sarebbe interessante conoscerne l'etimologia: deriverebbe forse da fanum, parola latina che significa tempio, ed alludere quindi all'eccesso di zelo religioso?  (1)

Ma rimuoviamo questa domanda, ininfluente per il momento, per una precisazione essenziale: fanatico a Roma ha un significato ben diverso che nel resto d'Italia. Si usava tra il popolino dare del fanatico a chi si stesse visibilmente atteggiando per fare colpo sugli astanti, spesso affrontando senza possibilità alcuna di successo argomenti troppo più grandi di lui. Potremmo approssimativamente renderne il significato con presuntuoso, ma a Roma gli si attribuiva un qualcosa di più, di diverso, che non è facile spiegare.

Per capirci, facciamo un esempio: quando ero bambino assistevo spesso al passaggio della contessa Feltrinelli (o qualche nobildonna che le voci popolari identificavano in lei) nei pressi della sua splendida dimora sull'Aventino. Questo personaggio era sempre debitamente bardato di monocolo, di sigaretta con interminabile bocchino, di erre moscia e bastone da passeggio sempre pronti ad entrare in azione contro i plebei che si frapponevano sul passo, di cappottone di pelliccia (anche a ferragosto), di due o tre levrieri al guinzaglio.

Ma gli diceva male: il popolo evidentemente la giudicava inadeguata a tanto apparato, e gli sberleffi - dietro le spalle ma udibili anche dall'altra cima dell'Aventino - non si contavano. E ad ogni "A fanaticaaa!!!" scagliatole contro s'abbassava di almeno 10 centimetri. Un bel giorno non l'ho vista più: immagino che sia passata per sbaglio in piazza all'ora del mercato, presidiato in permanenza da diverse comari dalla lingua affilata, e lì, 10 centimetri per volta, sia definitivamente sparita. Cani e guinzaglio compresi. Per molto tempo gli indigeti portarono il lutto della sua scomparsa: era finito lo spasso.

Ma questo è un caso limite: naturalmente si usava molto a quei tempi gridare fanatico in pubblico agli esibizionisti conclamati (usanza che non sarebbe sbagliato riprendere). Ma la maggior parte del divertimento consisteva proprio nello scovare con le mani nel sacco e colpire senza pietà gli insospettabili: quelli che sembrano voler mantenere un atteggiamento modesto ma sotto sotto invece ci tengono un frego a veder riconosciuta ed applaudita la loro superiorità.

Inoltre con fare il fanatico ci si riferiva al comportamento della persona uscita di casa appositamente per vantarsi in piazza o  all'osteria - oggi al bar - della propria cravatta, dell'orologio, dell'automobile o insomma di qualunque accessorio esterno che si pretendeva nobilitare la persona quanto e più di ogni attributo interiore.

Se la persona abitualmente fanatica era considerata negativamente (la figura del paìno che la incarnava ha pessima fama in letteratura ma ancora peggiore nel sentire popolare) una bonaria accettazione della dose fisiologica era la norma: non era raro che gli stessi popolani, dopo un'ultima rimirata allo specchio, uscissero di casa la domenica accusando (nel senso etimologico di dichiarare le proprie carte, mutuato dal gioco del tressette): "Vado a fa 'r fanatico.."

Era del resto un po' fanatico perfino er pittor de Roma, Bartolomo Pinelli: si è spesso ironicamente raffigurato nelle sue stampe, con l'immancabile cane corso al seguito ed in tenuta che avrebbe suscitato l'invidia della pseudofeltrinelli.

Diverso tempo dopo i fatti televisivi, remoti quanto significativi nella mia formazione, mentre faceva il suo ingresso in pompa magna sul tatami un personaggio tanto dotato quanto consapevole di esserlo, mi sentii dare di gomito e tirare per la manica, mentre m'arrivavano confusi sussurri ove colsi un "Non ti pare un pò montato?"

Pavlov insegna: certi riflessi condizionati non si possono sopprimere a comando. E la locuzione di cui stiamo trattando non si presta ai sussurri.

Ragione per cui quando mi scappò di bocca l'inevitabile "A fanatico!" il volume non fosse proprio al minimo, come dimostrato dagli sguardi esterefatti degli astanti e dai cachinni dei pochi quiriti presenti all'evento, i soli in grado di interpretare l'omen.

 

 

Detto questo, è comunque doveroso rifletterci sopra: che possibilità di riuscita può avere una persona che non ci tenga al successo? Minime ovviamente, specie se si dedica ad un'arte dove siano necessarie non solo le doti naturali ma anche quelle acquisite attraverso molti anni di studio e di lavoro. Per essere bravi insomma bisogna volerlo. Ed occorre essere consapevoli di essere bravi. Altrimenti con quale legittimità ci si potrebbe proporre come maestri ed esempi? Chi si pone in seiza dal lato kamiza deve essere una persona sicura di se stessa e di quello che sta facendo.

Da qui a riconoscere e ritenere lecita la decisione di proporre di se stessi un'immagine da maestro ci vuole poco. E io quel poco lo pago volentieri. Abbiamo bisogno di gente brava, abbiamo bisogno di gente che si accolli la responsabilità di indicare agli altri la strada. E se provano piacere a veder loro riconosciuto questo ruolo mi sembra una cosa più che legittima e sacrosanta.

Dirò di più: il fatto che alcune persone provino una sincera gioia a fare i maestri mi tranquillizza. Senza una giusta mercede infatti nessuno è in grado di continuare a fare serenamente il proprio lavoro. E quale altra mercede hanno fin troppo spesso i maestri di aikido se non il riconoscimento e la gratitudine dei loro allievi? Insomma, farei anche ammenda; però...

Narrano le cronache antiche che durante i trionfi gli imperatori romani, dall'alto della quadriga, col viso tinto di porpora, il capo cinto di quercia, il corpo dalla tunica palmata, avevano accanto una persona di assoluta fiducia.

Rammentava loro incessantemente la necessità di non lasciarsi ubriacare dal successo, sussurandogli nell'orecchio "Ricordati che sei un uomo".

Non ho naturalmente le prove, ma sono sicuro di una cosa. Il giorno che verranno recuperate in qualche papiro di Pompei le decadi perdute di Tito Livio troveremo che la formula originale - sacra, impersonale, necessaria - era un'altra: "Ad fanaticum!!!"

Sento che la userò ancora.

 

 (1) L'amico Ivo Nasso mi segnala la voce fanatico sul dizionario etimologico on line.

 

 

 


 

Questo articolo, già pubblicato su Aikido nei lontani anni 90 e opportunamente rielaborato, vuole essere un modesto omaggio alla grande figura del maestro Masamichi Noro.

Impagabile quanto sorridente fustigatore di fanatici, che amava definire costipati, è scomparso in questi giorni.

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