Cronache

2012, febbraio, Milano: Osawa Hayato sensei. Basta un tenkan

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Movimenti rapidi, ben centrati, precisi. Pazientemente spiega e ripete numerose volte la preparazione della tecnica, diventa fulmineo nella esecuzione, mettendo in difficoltà via via crescente praticanti, uke e fotografi/commentatori.

 

 

 

 

 

 

 

Alcuni allievi di lunga data del maestro Fujimoto confessano la loro difficoltà. Hanno indelebilmente fissato nel loro dna le continue raccomandazioni ai movimenti grandi ed ambiziosi.

Eppure ammettono che oltre alle innegabili differenze vi sono anche delle analogie, anzi una analogia - per non dire stretta parentela di fondo - difficile da identificare, analizzare, quantificare ma ancora più difficile non vedere.

Inevitabile ricordar loro sorridendo che è lo stesso Fujimoto sensei ad averlo voluto far conoscere, ai suoi allievi innanzitutto e a tutti i praticanti italiani.

Fujmoto sensei, impossibilitato a partecipare, confessa che avrebbe volentieri sbirciato dal buco della serratura se gli fosse stato possibile. Sorride anche lui al sentire delle difficoltà ad accettare certe 'differenze'.

E ricorda che da molti anni, fin dagli anni 90, avrebbe desiderato organizzare seminari con Hayato Osawa sensei. Figlio d'arte, il padre Kisaburo Osawa era una delle maggiori figure dell'Hombu Dojo, nato nel 1951, si puo' praticamente dire che sia nato sul tatami.

Osawa padre nel rassegnare le sue dimissioni dagli incarichi che aveva così a lungo rivestito nell'Hombu Dojo, pronunciò una frase molto bella, di cui cerco probabilmente invano di rendere fedelmente il senso: "Ho condiviso per gran parte della mia vita l'impegno profuso, nell'insegnamento all'Hombu Dojo e nello sviluppo dell'aikido nel mondo, dal secondo doshu: Kisshomaru Ueshiba. Ora che dal doshu gran parte dei suoi compiti sta passando al figlio Moriteru, affiancato da mio figlio Hayato, è il momento che anche io faccia un passo indietro. Sarà motivo di orgoglio per entrambi sapere che i nostri figli procedono affiancati, così come lo siamo sempre stati noi."

Ho conosciuto Osawa sensei all'inizio degli anni 90. Veniva frequentemente chiamato dal compianto Seichi Sugano sensei a partecipare ai seminari estivi tenuti nel castello di Wegimont, in Belgio. Mi aveva fatto una grande impressione, come insegnante e come persona, pur essendo tanto sorridente quanto taciturno.

Ho osservato a Fujimoto sensei che lo trovavo enormemente cresciuto. Me lo ha confermato: conobbe Osawa ad inizio degli anni 60, e certamente data la comune giovanissima età (14 anni Fujimoto, di pochi anni minore Osawa di cui ha parlato a volte come del 'mio fratellino') deve correre tra di loro una corrente particolare.

Le sue apparizioni all'estero si diradarono nel decennio successivo, a causa dei crescenti impegni presso l'Hombu Dojo, al punto da dover rinunciare momentaneamente al progetto di farlo conoscere in Italia. Ma fortunatamente, anche grazie alla collaborazione con l'Associazione Aiko, che organizzerà il suo prossimo seminario in giugno a Roma, è andato infine a compimento.

Ma arriviamo al dunque: cosa c'è insommma di tanto degno di nota nell'aikido di Osawa?

Ad esempio il suo tenkan. Stupiti? "Solo" tenkan?

Ma serve altro per verificare lo spessore di un insegnante, la sua capacità di coinvolgere, avvincere, convincere? Coinvolgere con le cose semplici è molto più impegnativo che farlo con cose mai viste.

Certo non si è limitato solo al tenkan. Ma anche il resto era roba "semplice". Semplice come nikyo.

Alcuni insegnanti arrivano per stupire, altri per compiacersi. Per prendere in prestito una frase che ho trovato molto centrata, "per vedere la loro stessa immagine riflessa negli occhi degli allievi".

I grandi maestri arrivano con lo scopo di crescere assieme. Ed io, anche gelando senza muovermi, incollato al pulsante di scatto della fotocamera, sento che solo stare lì a guardarlo mi ha fatto crescere.

 


Le danze iniziano. Dopo il consueto aikitaiso, durante il quale il maestro dimostra una scioltezza articolare invidiabile in una persona non più giovane, l'esercizio di tenkan sembra essere pura routine.

Non per Osawa sensei, che preferisce scandire i tempi di esecuzione e riservare una cura meticolosa ad ogni particolare.

L'apertura delle gambe deve essere moderata, il baricentro basso e ben centrato.

Una posizione che solo la nostra pigrizia mentale richiede di descrivere accuratamente: basterebbe guardare...

Anche gli spostamenti sono brevi, per evitare di uscire fuori dal proprio baricentro, e devono essere estremamente precisi.

 

 

 

Vedendo al lavoro Osawa sensei riaffiorano nel ricordo gli antichi insegnamenti di Hosokawa sensei: chi è abituato a movimenti ampi non avrà soverchia difficoltà ad addattarsi a quelli raccolti, essenziali. Giudico con gli occhi di uno spettatore, senza avere perlomeno in questa occasione una controprova, ma ho praticato sotto la direzione di Osawa sensei. E' vero. E data l'autorità della fonte non poteva essere altrimenti.

E' spesso vero invece - diceva ancora Hosokawa sensei - che chi si limita a movimenti brevi non riesce facilmente a liberarsi di questa abitudine per passare a quelli ampi.

Osawa risolve questo potenziale problema con un estremo dinamismo durante la seconda fase delle tecniche, questo lo avevamo già detto, che possono diventare anche molto spaziose.

Alterna al classico movimento di tenkan anche quello, presente costantemente nelle tecniche ma raramente eseguito a solo come esercizio di ashisabaki, di okuri ashi kaiten.

Anche qui scatta il ricordo: Hosokawa faceva spesso notare che il tenkan è un movimento didatticamente importantissimo, forse quello più importante nella vastissima panoplia di movimenti che abbiamo a disposizione, ma che in una esecuzione maggiormente attenta alla efficacia ed alla sicurezza, spesso si dovrebbe ricorrere a questo movimento alternativo.

 

 

Osawa si rende evidentemente conto della possibilità che la sua focalizzazione su determinati punti ben precisi possa fuorviare alcuni praticanti, ed è per questo che illustra brevemente anche le possibiltà alternative.

Sta ora chiedendo movimenti raccolti, essenziali, ed un tenkan, od opportune varianti, eseguito con la parte superiore del corpo in posizione ortogonale a quella degli arti inferiori.

La posizione delle mani è quella mostrata, entrambe sulla stessa linea.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel corso del seminario di Milano ci si concentrerà su questa particolare modalità del movimento, ma non bisogna dimenticare che ne esistono altre.

Ecco la seconda modalità di base: il tronco è allineato con gli arti, così come le braccia.

Va notata, ed il maestro l'ha opportunamente sottolineata, la posizione del piede posteriore: forma un angolo decisamente superiore ai 90° rispetto a quello anteriore.

Nella esecuzione precedente l'angolo deve invece rimanere inferiore a quello retto.

 

 

 

 

 

 

Le differenze tra l'una e l'altra modalità di esecuzione diventano ancora più evidenti quando l'esercizio viene effettuato sulla presa di un uke reale.

Occorre però avere già chiara dentro di se la forma ideale, per evitare di essere influenzati dalla sua presa alterando così la propria postura al punto di non essere più nelle condizioni basilari per un buon lavoro.

Nella posizione laterale che vediamo ora anche lo sguardo, inizialmente rivolto in avanti (posizione qui non raffigurata), dovrà poi essere rivolto verso la direzione in cui continuerà la tecnica, non necessariamente quella che viene mostrata ora.

 


Abbiamo già visto che Osawa sensei sconsiglia, perlomeno nel corso di questa lezione, di assumere nelle fasi iniziali delle tecniche posizioni troppo larghe come quella che ora sta mostrando.

E' evidente che si tratta di un errore per sovraccumulo in movimenti altrimenti leciti.

Le conseguenze immediate possono essere la perdita del proprio baricentro, che si trasferisce sulla gamba avanzata o su quella arretrata, e un rallentamento dei movimenti dovuto all'eccessivo compasso delle gambe.

 

 

 

 

 

 

 

Non starò a ripetere in continuazione che in questa fase storica dell'aikido i vertici didattici si stanno chiaramente indirizzando su un ritorno alle origini, un affinamento ed un consolidamento delle basi. Solo questo permetterà di arrivare in alto in futuro.

Quanto mostrato da Osawa sensei sarà quindi riassumibile in poco più di una manciata di tecniche: ikkyo, nikyo, sankyo, kotegaeshi, shihonage, iriminage, kaitennage, tenchinage.

Impressionante invece il numero di variazioni, ma anche di punti nodali all'interno di ogni singola tecnica. La prima giornata si è lavorato partendo dalla posizione gyaku hanmi.

In questo iriminage vediamo la caratteristica postura di Osawa sensei, al termine della fase iniziale. Da quel momento in poi, che giustamente il maestro mette in luce arrestandosi un attimo prima di continuare, inizia la fase terminale.

 

Il momento tecnico può essere differente, ora stiamo vedendo sankyo omote, ma l'approccio e la metodologia di spostamento rimangono invariati.

La posizione del maestro è ovviamente speculare, in precedenza si trovava in hidari hanmi (guardia sinistra) mentre ora sta in migi hanmi (destra), e le mani lavorano ora verso una direzione jodan (alta) e non più gedan (bassa), ma queste differenze ci aiutano ora a rendere più evidente quanto invece non cambia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La veduta frontale permette di apprezzare un altro tema affrontato da Osawa: la necessità di alzare il baricentro di uke allo stesso tempo che tori abbassa il suo.

E naturalmente le varie procedure finalizzate a questo scopo.

Una delle più vistose, e quindi didatticamente utili ad affrontare il tema, è l'azione sul gomito di uke.

Alzando il suo gomito, si agisce anche sulla gamba corrispondente, che tende a sollevarsi dal suolo.

A quel punto uke, oltre a trovarsi in equilibrio precario, è anche praticamente impossibilitato a muoversi, se non nelle direzioni dove verrà portato sfruttando il suo squilibrio.

 

 

 

 

 

La modalità di spostamento alternativa, che abbiamo visto in precedenza, con il corpo in linea con le gambe, si sposa naturalmente con una esecuzione gedan, in cui il corpo di uke viene guidato verso il basso.

La posizione del torso ha in questo caso una funziona attiva nel controllo di uke.

La spalla del maestro, agendo con una pressione sulla articolazione di uke, lo obbliga a seguire la direzione più funzionale per il proseguimento di sankyo omote.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella posizione finale di sankyo omote si concretizza l'osae (immobilizzazione) di uke, attraverso una azione di kime (controllo).

La foto permette di apprezzare, oltre all'ineccepibile metsuke (focalizzazione) del maestro anche la differenza tra le fasi conclusive di sankyo e di nikyo, che è rappresentato nella seconda foto di questa fotocronaca, accompagnata da qualche nota tecnica indirizzata soprattutto a chi si trovi agli inizi del cammino.

Chi invece si trova già a buon punto troverà sicuramente nella semplice visione delle foto spunti maggiori di quelli che cerco di proporre nei miei commenti.

 

 

 

 

 

Pur concedendo brevi finestre aperte sulle impostazioni alternative Osawa sensei non devia dal percorso didattico che si è prefisso in questo seminario.

Nessuna concessione nemmeno nella preparazione di shihonage. La posizione rimane raccolta e focalizzata sulla direzione di lavoro successiva.

Chi si adatta - chi deve adattarsi - alla situazione del momento è soprattutto uke.

La didattica di Osawa è filosoficamente analoga a quella di Tada sensei, per quanto ne sembri apparentemente distante nella gestualità.

Agire positivamente, rendendosi padrone della situazione e delle controparti in gioco, senza lasciarsene condizionare.

 

 

 

 

Questo richiede un condizionamento costante e continuato nel tempo, senza cedimenti.

Il movimento opportuno deve nascere spontaneamente ed istantaneamente quando necessario.

Non può passare attraverso il filtro dei processi logici, che ne ritarderebbero nella migliore delle ipotesi l'esecuzione, e nella peggiore lo sostituirebbero con un movimento errato frutto di una analisi insufficiente e della influenza di fattori esterni non pertinenti come fretta, timore ma anche desiderio di fare bene, di mostrare la propria padronanza.

Osawa richiede sovente ai praticanti di assimilare a solo il movimento che dovranno poi richiamare nella esecuzione di una tecnica.

 

 

 

 

Mostra poi, qualunque sia la tecnica, chiunque sia il suo uke, che i principi cui lui si affida, cui consiglia di affidarsi o perlomeno di studiare seriamente, sono validi.

Nella foto precedente vediamo una delle possibili posizioni di partenza per l'esecuzione di gyaku hanmi ikkyo, che è la tecnica che vediamo illustrata a fianco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Potremmo fare esattamente le stesse considerazioni in gyaku hanmi iriminage, qui riproposto da una differente angolazione rispetto a quella vista poco fa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leggendo questa interminabile sequela di raccomandazioni, prescrizioni, obblighi, approfondimenti e diversioni, qualcuno potrebbe avere l'impressione che si sia trattato di un seminario in qualche modo 'pesante'.

Forse interessante ma insomma un po' duro da mandare giù

Nulla di tutto questo e per provarlo basterà una foto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inutile dire che nemmeno nei movimenti in suwariwaza Osawa viene meno ai suoi principi o perde un niente del suo impeccabile aplomb.

Lo dimostra in suwariwaza kokyuho, la tecnica che tradizionalmente conclude quasi tutte le lezioni di aikido.

Termina infatti qui la prima lezione dell'intenso, bello ed importante seminario tenuto da Hayato Osawa, Hombu Dojo shihan, in due fredde giornate di Milano.

 


Nella giornata seguente Osawa sensei ha naturalmente continuato ed approfondito il discorso tecnico che aveva iniziato, non tanto introducendo lo studio di nuove tecniche quanto riproponendo quelle su cui aveva già insistito, come abbiamo detto le tecniche fondamentali, in contesti differenti.

Il tutto naturalmente dopo aver richiamato alla memoria quanto fatto il giorno precedente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quanto detto fin qui può avere lasciato nel lettore l'impressione che la didattica di Osawa privilegi i momenti più statici, quelli in cui si studiano i rapporti dialettici tra tori ed uke, non curando perlomeno momentaneamente la tempistica od altri parametri dinamici.

E' doveroso correggere questa possibile impressione: il maestro Osawa è ben noto per la sua dinamicità, ed abbiamo già detto che lo è fino al punto da mettere in difficoltà anche osservatori attenti ed allenati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come passare ad esempio dalla posizione illustrata nella foto precedente, riferita ai momenti iniziali di una ipotesi di attacco, a quella visibile nella foto a fianco, in cui tori si è già portato in una posizione di sicurezza da cui continua comunque a controllare i movimenti di uke?

Nemmeno i tempi di reazione estremamente rapidi dell'obiettivo sono riusciti a fermare tutti i punti essenziali.

Scomponendo il movimento osserviamo che è stato eseguito un irimi (passo in avanti) seguito da un kaiten (rotazione del corpo).

Però molto più importante di ogni velleitaria analisi logica - il maestro avrebbe infatti potuto scegliere un movimento completamente diverso - è importante osservare la sua tempistica: si muove in assoluta sincronia con i movimenti dell'uke, senza alcun ritardo nella risposta.

Questo è reso possibile dagli automatismi ricercati attraverso il suo insegnamento di base, ma soprattutto dalla serenità del suo atteggiamento mentale che permette di osservare impersonalmente quanto accade senza lasciarsene coinvolgere, e agire di conseguenza in tempo reale.

Inutile dire che la capacità di mantenere un corretto atteggiamento mentale di fronte alle difficoltà è un insegnamento che travalica i confini pur grandi del tatami, fino a diventare potenzialmente universale.

La tranquillità interiore rende possibili spostamenti efficienti, logici, che permettono di raggiungere rapidamente posizioni che uke non è in grado di prevedere e tantomeno di impedire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'assenza di ragionamento cosciente non significa che i movimenti e le azioni siano privi di logica e senza un obiettivo preciso.

E' anzi proprio il distacco dai processi mentali che consente questa geometrica fedeltà ad un modello ideale, che rende futile ogni azione di contrasto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A scopo didattico, per confrontarsi con ogni possibile situazione, si acconsente tuttavia in determinati momenti alle iniziative di uke.

Un esempio classico è rappresentato dal gruppo delle tecniche in ushiro waza.

Tada sensei ripete spesso nei suoi seminari che in una situazione realistica non si accetterebbe di avere alle spalle una persona potenzialmente aggressiva, preferiamo tuttavia studiare queste casistiche perché ci permettono di accumulare esperienze preziose.

Nella foto constatiamo la serenità con cui Osawa sensei ammette di essere afferrato per le braccia, senza però rinunciare a mantenere l'iniziativa, condizionando con la sua azione quella di uke, cui non viene consentita una presa efficace eppure ha l'impressione di averla a portata di mano.

Ritroviamo come è facile constatare tutti gli stilemi del "metodo Osawa": posizione del corpo estremamente raccolta, movimenti contenuti in cui si mantiene sempre un ottimo equilibrio e la precisa sensazione della direzione ottimale da seguire.

Oltre che, naturalmente, la fin troppo citata tranquillità dello spirito.

Osservando l'azione da un punto di vista più materiale, più tecnico, si può osservare (il maestro l'ha espressamente fatto notare) che alzando il gomito della persona con cui si ha a che fare lo si rende incapace di esercitare la sua forza ma anche di mantenere il suo equilibrio.

In questo caso entrambi i gomiti di uke vengono portati in posizione estrema, vanificando completamente ogni sua velleità offensiva.

I piedi tendono a sollevarsi da terra, e perdendo il contatto con la madre terra l'essere umano viene privato della sua forza, come insegna la leggenda greca del gigante Anteo, che riprendeva forza ad ogni atterramento e venne vinto da Ercole solo quando fu sollevato dal suolo.

 

 

 

 

Ne vediamo un esempio ancora più vistoso nella esecuzione di questo tenchinage, in cui Osawa sensei sollevando in leva il gomito sinistro del suo uke lo porta a perdere inesorabilmente il contatto col suolo con il piede corrispondente.

Il conseguente squilibrio non è reversibile, in quanto la gamba destra, su cui grava l'intero peso del corpo, non è in condizione di compiere alcun movimento.

L'entrata di tori su quel lato, completamente indifeso ed alla mercé, lo porterà inevitabilmente alla caduta.

 

 

 

 

 

 

 

 

La visione frontale consente di comprendere ancora meglio e senza intermediazione quanto ho tentato di spiegare a parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho detto in precedenza che Hayato Osawa è molto cresciuto dalla prima volta che lo vidi insegnare sul tatami (avevo già avuto modo di osservarlo come uke del secondo doshu Kisshomaru Ueshiba).

Il maestro Yoji Fujimoto ha pensosamente acconsentito: Sì, la crescita di Osawa sensei non è stata folgorante - mi dice - ma è stata continua, ininterrotta, sicura. E non si fermerà qui.

Era possibile già molti anni fa intuire che il maestro Osawa sarebbe arrivato molto lontano.

Ora che ne abbiamo la prova, possiamo essere fiduciosi che il suo messaggio, troppo bello per essere solamente descritto a parole od anallizato fredddamente a tavolino, porterà anche noi un po' più lontano.

Dovremo naturalmente osservarlo con la medesima serenità e limpidezza di spirito con cui ce lo propone.

Quindi: arrivederci a presto, Osawa sensei. E, naturalmente: domo arigato gozaimas'ta!

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