Cronache

2010, febbraio: Hayato Osawa, Hombu Dojo shihan

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Raduno del maestro Hayato Osawa, Hombu Dojo shihan

Febbraio 2010, Roma

di Manuela Gargiulo, Seiki Dojo di Roma

 

Per tutti quelli come me, che praticano Aikido da diversi anni ma che ancora non sono riusciti ad andare in Giappone, lo stage con il Maestro Osawa è stata veramente un’opportunità di affacciarsi all’Hombu Dojo pur rimanendo qui in Italia.

 

Chi invece va spesso  in Giappone e già  conosceva il maestro Osawa, sapeva  a che tipo di allenamento sarebbe andato incontro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Io di lui sapevo ben poco ,a parte che è  figlio del leggendario maestro Kisaburo Osawa, allievo diretto del fondatore dell’Aikido, e che insegna all’ Hombu Dojo.

E' stata quindi una piacevole scoperta.

L’allenamento è cominciato venerdì sera (nel dojo Shinkokyu diel maestro Silvio Giannelli, della Associazione Aiko) per i pochi praticanti che si erano prenotati in tempo (erano accettate solo 40 prenotazioni, non essendo disponibile la sala grande dove poi si è tenuto il raduno).

Sabato e domenica il tatami si è invece riempito di praticanti giunti da Italia e Europa, probabilmente un centinaio di persone.

Mi aspettavo più affluenza tra gli italiani ma evidentemente non tutti sono stati colti dalla mia stessa curiosità.

Il maestro ci ha fatto cominciare ogni lezione con piena libertà di fare ciò che volevamo, jijuwaza, ma senza portare a termine le tecniche.

Questo probabilmente  per non creare distacco tra una esecuzione e l’altra e non bloccare il fluire dell’energia.

 


 

E’ poi cominciato un lavoro minuzioso, focalizzato sul peso del corpo, sul tai sabaki, sul modo di muovere le mani per aprire la strada al corpo.

Su tenkan ad esempio le dita debbono indicare la direzione che il corpo poi prenderà

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il maestro presentava delle tecniche senza dare spiegazioni troppo approfondite, dopodichè, probabilmente, guardando gli errori più frequenti, ci forniva una spiegazione di quello che aveva dimostrato e di quello che intendeva dire.

Faceva poi  provare le tecniche con l'ombra, da soli, insistendo sulla parte iniziale ossia quella in cui si ruba il peso dell’avversario, in cui si neutralizza un attacco e poi sui tai sabaki e te sabaki.

Se dovessi spiegare a qualcuno cosa che mi è rimasto più impresso del maestro Osawa, comincerei così:

Il maestro ha cercato di condurci nella consapevolezza delle possibilità del nostro corpo.

Uno studio minuzioso di se stessi, per essere centrati su se stessi e sentire questa centratura giocando con il peso del corpo:

 

 

 

  • avanti, indietro, piegando le ginocchia, avvicinando i piedi per sentire le gambe stabili e i piedi e le ginocchia leggeri;
  • allontanando  i piedi per sentire il contrario, i piedi pesanti, le gambe rigide.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A questo proposito ho trovato molto confortevole per il mio corpo lavorare con i piedi vicini senza indugiare in posizioni hanmi troppo divaricate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Queste hanno la loro giusta collocazione soprattutto nelle fasi finali di una tecnica.

Gli spostamenti nel pieno dell'esecuzione della tecnica devono invece privilegiare la rapidità e la precisione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una pratica fatta di piccoli passetti che conducono però alla stabilità, all’essere presenti in ogni momento, in ogni direzione.

Con lo sguardo e con il corpo.

Un controllo del corpo veramente eccezionale; mentre spiegava come dare leggerezza al corpo usandone il peso a nostro favore ci sono stati momenti in cui il maestro era talmente leggero che sembrava volasse!

Leggero ma totalmente presente!

 


 

Le tecniche del maestro sono certamente flessibili ed adattabili ad ogni circostanza e ad ogni partner.

Tendono a guidare uke senza lasciarsene condizionare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche utilizzando come uke dei praticanti di dimensioni "generose" non ha dato mai l'impressione non diciamo di avere la minima difficoltà, ma nemmeno di dover deviare dal percorso ideale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Li ha portati facilmente e con grande naturalezza ad adattarsi al suo ritmo, ai suoi movimenti, al suo baricentro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In un certo senso convincendo i suoi partner piuttosto che vincendoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il maestro è stato generoso, ci ha spiegato nel dettaglio le motivazioni dei tanti modi diversi di praticare che vedeva in noi.

Alcune volte li ha definiti come errori, in altri casi ha spiegato semplicemente il perché di quello che facevamo, di quello che il nostro corpo sentiva di dover fare.

 

 

 

 

 

 

 

A tal proposito mi è rimasta impressa la spiegazione del kokyu ho, se non ricordo male, da katatetori:

Se la mano di tori, rubando il peso del partner nei primi movimenti, si trova davanti alla fronte allora proiettando non bisogna guardare uke;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se invece la mano di tori si trova sopra la propria testa e non davanti alla fronte, allora bisogna guardare uke mentre lo si proietta.

L’utilizzo delle mani che aprono la strada al corpo: dove puntano le dita, segue il corpo.

Un insegnamento centrato sul particolare, sulla precisione.

 


 

 

E’ stato uno scambio bellissimo tra gente proveniente da varie esperienze e associazioni.

Tutti uniti nella passione comune di trovare se stessi nel cammino dell’aikido.

L’atmosfera sul tatami era gioiosa, concentrata.

E' diventata magica quando il maestro Hosokawa,verso la fine, ha fatto il suo ingresso sul lato del tatami (purtroppo solo come spettatore!) ed il maestro Osawa è corso a salutarlo.

 

Attimi di commozione che hanno avuto il massimo picco nel saluto finale quando, dopo avere salutato o sensei, Osawa si è rivolto verso il maestro Hosokawa, salutandolo con il rei tradizionale prima di inchinarsi verso di noi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giunti alla fine!

Purtroppo lo stage è finito...

Penso che tutti avremmo voluto continuare a praticare e praticare, insieme al maestro Osawa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma tutte le cose belle durano poco.

Bisogna saper afferrare la fugacità delle emozioni senza indugiare troppo sul rimpianto della fine.

Per arricchirre se stessi, la propria vita e la propria pratica.

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