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Musha-e: condottieri, guerrieri, eroi
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Uno dei generi pittorici più conosciuti del'arte giapponese è sicuramente quello che raffigura famosi eroi e leggendari guerrieri: il musha-e (武者絵). Si divide a sua volta in alcune tipologie ben precise, come lo haishi-e (稗史絵) che illustra racconti e novelle popolari, il rekishiga (歴史画) - più legato alla realtà in quanto illustra avvenimenti storici, o il sensô-e (戦争絵) che illustra grandi battaglie e guerre epocali.
Non intendiamo comunque con questo articolo tentare di scendere troppo nei dettagli: vuole essere solamente una introduzione, una proposta di traccia che chiunque sia interessato a questo affascinante argomento può tentare di seguire, con la certezza che ogni approfondimento gli porterà una maggiore consocenza della cultura giapponese e un grande appagamento estetico.
L'immagine di apertura è una stampa di Chikanobu Yoshu (1836?-1912), artista attivo in epoca Meij. Appartenente alla classe samurai, ebbe parte attiva nel turbolento passaggio dal dominio degli shogun Tokugawa, militando nello Shogitai, un corpo di elite delle milizie dello shogun e prendendo parte a molte famose battaglie in cui si distinse per il suo valore. Durante il breve periodo della repubblica di Ezo, fondata in Hokkaido dagli ultimi irriducibili fedelissimi dello shogun, militò agli ordini di famosi condottieri come Enomoto Takeaki e Otori Ketsuke, controverso personaggio che ebbe cattiva fama per la sua abitudine di commentare ridendo le numerose sconfitte cui erano destinati inevitabilmente, esclamando allegramente Mata maketa yo! (Abbiamo perso ancora!).
Al termine della guerra tuttavia proprio i maggiori esponenti della più irriducibile resistenza furono maggiormente ricercati per svolgere un ruolo attivo nel governo Meiji. Chikanobu però nel 1875 decise di ricostruirsi una nuova vita dedicandosi all'arte. Le specialità in cui eccelse furono molte, e sono preziose per la ricostruzione dell'evolversi attraverso i secoli del costume e della società giapponese ma gli viene riconosciuta una particolare predisposizione per le opere musha-e e per il bijinga, raffigurazione della bellezza femminile. Riteniamo evidente i motivi di questa scelta: aprire con l'opera di un samurai questa galleria di opere dedicate alla millenaria epopea samurai.
L'episodio raffigurato proviene dall'Heike monogatari, racconto delle leggende legate alla famiglia Heike, che per secoli contese ai Minamoto il dominio del Giappone, cedendo infine a Minamoto no Yorimoto nel XII secolo, ed è forse il più noto in assoluto di quella epoca mitica popolata di eroi indomabili e di donne fatali.
Il guerriero Nasu no Yoichi militava tra le schiere dei Minamoto (chiamati anche Genji). Nell'anno 1184 dopo una serie di pesanti sconfitte l'armata dei Taira (conosciuti anche come Heike) concentrò le sue forze nella fortezza di Yashima presso la costa, dove venne temerariamente attaccata dal leggendario guerriero Minamoto no Yoshitsune alla testa di uno sparuto reparto. Yoshitsune, raggiunto nel frattempo da qualche rinforzo, diede fuoco ai boschi che circondavano il castello facendo immaginare l'arrivo di una imponente armata, e l'esercito degli Heike si imbarcò frettolosamente per sfuggire all'assedio via mare.
Sopra la nave ammiraglia venne issato un ventaglio, sulla sommità dell'albero, ed un araldo proclamò che quel magico ventaglio avrebbe protetto sia la nave che l'intera flotta dalle frecce nemiche, sfidando l'intero esercito dei Genji a tentare inutilmente di violare l'incantesimo.
Nasu no Yoichi affrontò con il suo cavallo le onde del mare agitato, e appena giunto a portata di tiro incoccò il suo arco e lanciò una sola freccia, che infallibile colpì il precario e lontanissimo bersaglio, facendolo cadere in mare.
Il presagio venne confermato poco tempo dopo: la flotta degli Heike riuscì a prendere il largo sottraendosi alla battaglia, ma venne affrontata successivamente e completamente distrutta da Minamoto no Yoshitsune nella cruenta battaglia navale di Dannoura, in cui perì l'imperatore Antoku ed affondarono assieme alla nave ammiraglia anche i simboli del potere imperiale (il sacro gioiello, lo specchio e la spada). Secondo alcune fonti vennero recuperati e sono quelli ancora oggi conservati nel tesoro imperiale, secondo altre vennero persi e sostituiti da copie.
L'episodio è raffigurato non solo in innumerevoli stampe, opera dei maggiori artisti: era anche un tema ricorrente nel kodogu, ossia nei fornimenti della spada. Qui vediamo una tsuba in cui per l'ennesima volta Nase no Yoichi scocca la sua infallibile freccia.
L'artista ha deciso di non raffigurare nemmeno il ventaglio, per accentuarne il senso di irragiungibilità, mentre il volo solitario di un uccello permette di valutare approssimativamente la distanza ed il moto delle onde lascia immaginare un forte vento che rende ancora più ardua l'impresa.
Sempre di Chikanobu Utagawa (la scuola di appartenenza, che si associa sempre al nome dell'artista) esiste una serie dedicata ai grandi generali dell'epoca Sengoku (1467-1605) ossia degli Stati Combattenti: una lunga epoca di guerre ininterrotte dovute alla debolezza istituzionale dello shogunato Ashikaga.
Ebbe fine nella seconda meta del XVI secolo quando un pugno di grandi figure emerse dalla mischia, lasciando chiaramente capire che ad uno di loro sarebbe andato infine il governo del Giappone.
Sembrava inizialmente che la contesa fosse riservata a due leggendari comandanti, Takeda Shingen (武田 信玄1521-1573) e Uesugi Kenshin (上杉 謙信, 1530-1578), di cui abbiamo già parlato nella recensione del film Kagemusha, dove però Akira Kurosawa per scelta artistica elimina il personaggio di Uesugi attribuendo parte delle sue gesta ad un altro protagonista di quella epopea: Oda Nobunaga. Ma di questi due eroi, scomparsi prematuramente nella cruenta mischia, naturalmente riparleremo.
Hanno lasciato profonde tracce nella cultura giapponese, sia quella elevata che in quella popolare. Vi proponiamo infatti per dimostrarlo due manufatti moderni che non hanno però a che fare con l'ukiyo-e. Si tratta di due bentô (弁当) ossia recipienti in legno laccato destinati a contenere una porzione individuale di cibo.
Vengono utilizzati per le colazioni all'aperto, quando si va nelle campagne ad ammirare la fioritura dei ciliegi o l'esplosione delle rosse foglie di acero, o approfittando di ogni altra occasione o scusa: i giapponesi amano la vita all'aperto.
Riportano le armi di Takeda Shingen (a sinistra, con il caratteristico "diamante" romboidale che è ancora oggi simbolo del Daito ryu aikijujutsu, conosciuto anche come Takeda ryu) ed uno dei suoi kabuto (兜冑, elmo) favoriti A destra il mon (紋, simbolo araldico) di Uesugi Kenshin ed il suo kabuto.
E nulla ci vieta di immaginare che nelle inevitabili pause delle lunghe battaglie anche i due condottieri abbiano fatto uso dei loro bentô personalizzati.
E torniamo a Chikanobu Utagawa: nella prima delle tre sue stampe che vi proponiamo, ecco il già menzionato Oda Nobunaga (織田 信長, 1534-1582).
Abbiamo anche qui il suo mon, che funge da fondale ed isola il guerriero dallo sfondo, ma è più realistico di quanto appaia a prima vista.
I generali erano circondati da schermi mobili in tessuto che riportavano il loro emblema, per proteggerli dal vento che spira spesso impetuoso nei luoghi elevati dove normalmente viene situato il posto di comando e per ripararli da sguardi indiscreti.
Ma anche infine per rendere immediatamente distinguibile anche da lontano la loro postazione, in modo che i guerrieri fossero in grado di ricevere tempestivamente ogni segnalazione o comando.
I comandi venivano trasmessi utilizzando l'apposito bastone di comando (che è simile, ci si perdoni il paragone irriverente, ad una paletta di quelle utilizzate dai vigili urbani) o, come Nobunaga nella rappresentazione di Khikanobu, il tessen (鉄扇) ventaglio da guerra in acciaio, laccato per simulare un normale ventaglio di carta.
E' interessante conoscere le tacce, le impressioni che questi grandi personaggi hanno lasciato nella cultura giapponese. Le tre maggiori figure sono legate ad altrettanti haiku che intendono descriverli.
Quello di pertinenza di Oda Nobunaga è:
Nakanunara,
Koroshiteshimae,
Hototogisu
Se non canta,
Uccidiamolo
Il cuculo
La traduzione, assolutamente libera, non tiene conto come è evidente delle regole metriche dell'haiku che deve essere composto da tre versi rispettivamente di 5, 7 e 5 sillabe.
Nativo della provincia di Owari, Oda Nobunaga era destinato ad entrare inevitabilmente in conflitto con l'agguerrito clan dei Takeda. Considerato in gioventì un inetto incapace di succedere al padre Nobuhide, seppe tuttavia stroncare ogni altro pretendente e rimanere assoluto signore di Owari.
La figura che ne traccia Kurosawa in Kagemusha è idealizzata e non corrisponde al vero: certamente cercò l'alleanza dei missionari cattolici per impadronirsi delle tecnologie belliche occidentali, ma era ad esempio assolutamente astemio (lo testimoniano proprio i documenti dei missionari) mentre in una delle scene cruciali del film lo vediamo bere del vino prima di una battaglia - ed essere poi benedetto da un sacerdote cattolico - per rendere manifesto il suo intento di aprire all'occidente.
Un ritratto di Nobunaga, realistico alla maniera europea, ci è stato lasciato dal gesuita italiano Giovanni Niccolò.
Dopo la morte di Takeda Shingen sconfisse le armate del clan nemico, guidate allora dall'impetuoso Takeda Katsuyori, nella celeberiima battaglia di Nagashino: i suoi fanti, appostati dietro barricate, annientarono con le lroo scariche di fucileria la leggendaria cavalleria dei Takeda.
A quel punto nulla sembrava poter arrestare l'espansione di Oda, che arrivò a conquistare il dominio di circa un terzo dell'intero territorio giapponese. Nel 1582, mentre era in viaggio per supportare con le sue forze il vassallo Toyotomi Hideyoshi, venne attaccato a tradimento dal suo generale Akechi Mitsuhide, mentre pernottava al tempio di Honnoji con una scorta praticamente simbolica, ritenendosi al sicuro.
Oda commise seppuku quando si vide ormai perso, assieme al figlio Nobutada e ai suoi seguaci. Mitsuhide venne sconfitto ed ucciso poco dopo da Toyotomi Hideyoshi, che si affermò di conseguenza come il legittimo erede e prosecutore della politica espansionistica di Oda.
L'haiku legato a Hideyoshi dice:
Nakamunara
Nakashitemiseyô
Hototogisu
Se non canta,
Convinciamolo
Il cuculo
Toyotomi Hideyoshi (豊臣 秀吉, 1536-1598) fu infatti non solo un grande condottiero ma soprattutto un abile tessitore di trame politiche.
Originario di Owari come il suo signore Oda, era di umili origini e non sembrava destinato a grandi imprese. Oda era solito chiamarlo Kozaru (piccola scimmia) per le sue non gradevoli fattezze, ma ne riconosceva il potenziale affidandogli incarichi di prestigio.
Dopo la morte di Oda arrivò nel giro di 4 anni a conquistare il dominio dell'intero Giappone venendo nel 1586 riconosciuto kampaku (reggente) dalla corte imperiale cui aveva preferito appoggiarsi, ignorando la imbelle dinastia degli shogun Ashikaga che formalmente deteneva ancora il potere temporale.
Oda aveva debellato lo shogun Yoshiaki Ashikaga - un fantoccio che lui stesso aveva installato al potere - nel 1573. In seguito Hideyoshi aveva chiesto a Yoshiaki di essere adottato come erede legittimo, ottenendo solo un secco rifiuto. Questo ultimo gesto di orgoglio da parte degli Ashikaga ne segnò in realtà la fine.
Hideyoshi nonostante il suo immenso potere avvertì sempre la sensazione di essere male accetto per le sue umili origini, e si avventurò in ambiziosi progetti per vedere riconosciuta la sua grandezza.
La temeraria invasione della Corea si rivelò però un disastro, nonostante le vittorie sul campo le armate giapponesi subivano perdite terribili. La salute di Hideyoshi era da tempo divenuta inferma, e nel 1598 scomparve. La sua morte venne tenuta segreta per non abbattere il morale delle truppe, che vennero ritirate dalla Corea.
I più valorosi generali, come Kato Kiyomasa e Fukushima Masanori, al rimpatrio scoprirono di essere divenuti degli emarginati durante la loro assenza, mentre il potere materiale era infatti nelle mani dei burocrati che si erano tenuti lontani dal campo di battaglia. Passarono decisamente tra le file si Tokugawa Yeyasu, un abile ed ambizioso generale che aveva militato prima per Oda Nobunaga e poi per Toyotomi Hideyoshi e riteneva che fosse ora arrivato il suo momento.
Il Consiglio dei Cinque Anziani infatti non riusciva a trovare un accordo per proporre un successore legittimo: la parola ritornava alle armi. Le forze dell'Armata dell'Est comandate da Tokugawa sconfissero nel 1600 l'Armata dell'Ovest, nella tremenda battaglia di Sekigahara.
Per quanto abbia conquistato il potere con le armi, l'haiku di Tokugawa Yeyasu (徳川 家康, 1543-1616) mette in luce una caratteristica completamente diversa dall'abilità militare:
Nakanunara
Nakumadematô,
Hototogisu
Se non canta
Aspettiamolo
Il cuculo
La pazienza di Tokugawa Yeyasu, se fosse vissuto nell'antica Roma gli avrebbe di sicuro fatto attribuire il nomignolo che era stato di Quinto Fabio Massimo Verrucoso, detto il Temporeggiatore per avere messo alle corde il terribile e spietato Annibale con la sua tattica attendista. Di sicuro gli portò infine l'intera posta in palio, e fu il suo hototogisu quello che cantò alla fine.
Inizia con lui la dinastia degli shogun Tokugawa, che stabilì la propria capitale ad Edo e diede inizio proprio all'epoca Edo, considerata come un periodo d'oro in cui fiorirono le arti ed il Giappone conobbe finalmente un lungo momento di pace, chiamato spesso dagli occidentali Pax Tokugawa.
La dinastia dominò il Giappone per 268 anni, dal 1600 fino al 1868 quando l'imperatore Mutsuhito, che assunse il nome di Meiji salendo al trono, riconquistò con le armi il potere materiale che l'impero aveva dovuto abbandonare nel 1185 con la battaglia navale di Dannoura di cui abbiamo parlato all'inizio, in cui scompariva l'imperatore bambino Antoku e la dinastia degli Heike perdeva irreversibilmente la sua secolare battaglia con quella dei Genji.
Per un singolare scherzo del destino, mentre l'81. tennô Antoku aveva al momento della scomparsa nel mare di Shimonoseki solamente 7 anni - ed era ovviamente un fantoccio nelle mani dei suoi consiglieri e dell'imperatrice madre, in realtà la nonna - anche il 122. tennô Meiji era giovanissimo: successe al tennô Komei all'età di 15 anni, e sembrava dover essere una facile preda degli scaltri ed esperti Tokugawa.
In quegli anni il Giappone era destinato ad un rapido, irreversibile e cruento cambiamento.
Lo dimostra questo ritratto dell'imperatore Meiji, in abiti militari e che quindi potremmo includere nella categoria dei musha-e.
Ma la tecnica dell'artista, non identificato, che riprende sicuramente il ritratto ufficiale opera dell'italiano Chiossone ispirato ad una foto di alcuni anni prima, è occidentale. Come anche occidentali sono la divisa e l'atteggiamento della persona.
L'archetipo indiscusso del guerriero di alto lignaggio è Minamoto no Yoshitsune (源 義経, 1159 - 1189). Non utilizziamo per questo personaggio la parola samurai, che indica un guerriero al servizio di un feudatario o di un clan, in quanto stiamo parlando di un principe di sangue reale.
Lo abbiamo infatti gà incontrato in queste pagine: era lui al comando delle forze dei Genji che distrussero la flotta degli Heike nello scontro navale di Dannoura.
Figlio di Minamoto no Yoshitomo, scampò ancora bambino assieme al fratello Yoritomo all'annientamento dei Minamoto (conosciuti anche come Genji) da parte degli eterni nemici Taira (Heike). I due riimasero separati dagli eventi e Yoshitsune venne adottato dalla comunità monastica di Kurama, che tentò invano di dargli una educazione che lo mantenesse lontano dalle armi, tenendolo all'oscuro delle sue origini e della sorte della sua famiglia.
I tentativi di sottrarre i guerrieri al loro destino sono invariabilmente destinati a fallire. Ricordiamo solamente, nella mitologia greca, come Ulisse si fosse finto pazzo per sfuggire alla guerra di Troia, ma quando il figlio Telemaco venne messo davanti all'aratro con cui stava seminando del sale, dovette fermarsi non solo dimostrandosi perfettamente sano di mente ma pilotando poi abilmente l'ingaggio tra le file degli achei del giovanissimo Achille, che era stato addirittura travestito da donna per farlo sfuggire alle ricerche.
All'età di circa 14 anni Yoshitsune, conosciute le sue origini, abbandonò Kurama per affrontare il suo destino. Giunto alla capitale imperiale Kyoto, mentre attraversava il ponte di Gojôbashi, venne affrontato da un gigantesco yamabushi (monaco guerriero) che gli intimò di consegnare le armi. Si trattava di Saitô Musashibô Benkei (西塔 武蔵坊 弁慶, 1155 - 1189) che aveva fatto voto di offire al tempio 1000 spade catturate ai samurai di passaggio.
La stampa, di Tsukioka Yoshitoshi (月岡 芳年, 1839 - 1892) rappresenta questo leggendario episodio con cui Minamoto noYoshitsune iniziò a farsi conoscere dal mondo e reca il titolo di Duello sul ponte Gojôbashi (Gikeiki Gojôbashi no zu).
Lo stupefatto Benkei non riuscì nemmeno a sfiorare con la tua enorme lancia l'esile giovanetto, che con salti prodigiosi eluse ogni suo attacco fino a sfinirlo.
Fu l'inizio di una leggendaria amicizia, nella vita e nella morte, ed i nomi di Minamoto no Yoshitsune e Musashibô Benkei rimasero per sempre indissolubilmente legati. Un episodio della loro saga viene narrato da Akira Kurosawa nella sua prima opera jidai: Tora no ofumu otokotachi.
Dopo lo scontro navale di Dannoura il battello su cui si trovavano sia Benkei che Yoshitsune venne assalito dalla furia degli elementi, cui si aggiungevano gli innumerevoli spettri dei guerrieri periti nella battaglia.
La maggior parte di loro condannata a vagare per sempre senza pace, essendo affondati con le loro navi senza avere ottenuto una morte onorevole con le armi in pugno.
La stampa di Utagawa Kuniyoshi (1798-1861, che in questa opera si firma Ichiyusai Kuniyoshi) ci mostra Benkei, ritto sulla poppa della nave, affrontare impavido sia gli elementi avversi della natura che la schiera di spettri.
La vicenda viene narrata nell'opera del teatro nô chiamata Funa Benkei (Benkei sulla nave).
Ancora Tsukioka Yoshitoshi ci propone una stampa che rafffigura i due temibili guerrieri, qui in età relativamente matura.
In realtà la vita di Yoshitsune si spense a 28 anni, vittima dell'odio del potente fratello Minamoto no Yoritomo, preceduto di poco nell'aldilà da Saito Benkei che si era immolato contro i nemici per dargli tempo di sottrarsi alla cattura compiendo seppuku. Beneki aveva invece circa 34 anni.
Qui li vediamo, probabilmente in un momento di pausa nel corso di una delle tante battaglie che affrontarono assieme, fermarsi ad ammirare lo spettacolo dei ciliegi in fiore, offerto da un modesto quanto splendido alberello.
Molti dei personaggi, più o meno leggendari, che attorniavano Minamoto no Yoshitsune nelle sue imprese sono fortemente caratterizzati nelle rappresentazioni degli artisti.
Ise no Saburo Yoshimori fu un fedele seguace di Yoshitsune, che aveva scoperto per caso quando si nascondeva nel tempio di Kurama.
Ise no Saburo era infatti conosciuto come un grande cacciatore dalla forza smisurata, e la stampa di Kuniyoshi lo raffigura armato di una enorme ascia.
Partecipò a molte delle imprese di Yoshitsune, tra cui ovviamente quella di Dannoura più volte citata, e trovò morte gloriosa durante la battaglia del monte Suzuka, nella provincia di Ise di cui era originario.
Kuniyoshi lo raffigura come un giovane dallo sguardo fiero, che indossa una pelliccia come si conviene ad un cacciatore, e che oltre alla grande ascia porta alla cintura le due spade del samurai.
Taira no Tomomori, come il nome dovrebbe immediatamente far comprendere, fu invece un fiero nemico di Minamoto no Yoshitsune.
Nella stampa di Utagawa Yoshiiku (1833-1904) viene raffigurata la sua morte gloriosa nella più volte citata battaglia di Dannoura.
Valoroso generale, quando vide che la flotta degli Heike non aveva più scampo di fronte agli assalti dei Genji, decise di porre fine ai suoi giorni esclamando Miru beki hodo no koto o mitsu! (quello che dovevo vedere l'ho visto).
Il suo corpo, ancora rivestito dell'armatura, affonda assieme alla grande ancora cui si è legato, turbando la quiete delle creature marine.
Ma Tomotori tornerà anche a turbare i suoi irriducibili nemici: il suo spettro perseguiterà le schiere dei Minamoto, affondando diverse navi, e sarà proprio lui a guidare l'armata di spettri contro la nave spavaldamente guidata da Benkei, nell'episodio di cui abbiamo parlato prima, che veniva spesso recitato nel teatro noh con il titolo di Funa Benkei, e approdò in epoca Meiji ossia nel tardo 1800 al più popolare teatro kabuki.
L'album che occupa illusionisticamente la parte superiore della stampa reca il titolo di Maboroshi, che può essere reso sia con miraggio che con spettro e raffigura un volo di oche selvatiche.
Jiraya è un personaggio lettterario nato dalla penna di Santô Kyôden (1761-1816).
Figlio di un feudatario caduto in disgrazia e divenuto brigante, ha numerose avvenure nel corso delle quali incontra lo Spirito del Rospo che gli trasmette le sue virtù sovrannaturali.
Divenuto protettore dei poveri e dei diseredati Jiraya combatte contro lo Spirito del Serpente, come vediamo in questa stampa di Utagawa Kuniyoshi (1797-1861), ricevendo come compenso alle sue imprese il governo della provincia di Uzu nella quale visse per il resto dei suoi giorni, come è d'obbligo dire nelle favole, felice e contento.
Nel 1811 il sommo artista dell'ukiyo-e Hokusai compose questa opera, che non è una stampa ma un dipinto su seta, firmandola dipinto da Katsushika Hokusai Taitô.
Commemorava così la pubblicazione del romanzo Chinsetzu Yumiharizu di Kyokutei Bakin (1767-1848) che lui aveva illustrato con delle stampe.
Il dipinto rappresenta l'episodio centrale del romanzo che gli fornisce anche il titolo, La piegatura dell'arco (yumi).
L'eroe Tametomo, recatosi nella remota isola di Omoshima, sfida ad un prova di forza i selvaggi abitanti, che sono incapaci di piegare il suo arco.
La memoria torna naturalmente agli episodi analoghi riportati dalle leggende occidentali, a partire dall'arco di Ulisse che nessuno dei suoi nemici riuscì ad incoccare, e che divenne lo strumento della vendetta quando tornò nelle possenti mani del figlio di Laerte.
Sempre di Hokusai è questa stampa che rappresenta Hatakeyama Shigetada.
Eroe della guerra Genpei, militò dapprima tra le fila dei Taira, ma passò a fianco dei Minamoto prima della battaglia di Dan no ura (1185) che doveva segnare la disfatta dei primi ed il rtionfo dei secondi.
Era ricordato come un guerriero dalla forza eccezionale e qui lo vediamo infatti issarsi sulle spalle il proprio cavallo per superare un passaggio accidentato.
Va ricordato ad onor del vero, lo si apprezza anche dalla stampa, che i cavalli giapponesi erano all'epoca di stazza molto piccola.
Utagawa Hiroshige è universalmente conosciuto per la poesia che scaturisce dai suoi paesaggi e per la originalità dei punti di vista e delle situazioni che riusciva a cogliere.
E' meno noto per la sua produzione musha-e, che pure vi fu.
In questa stampa tuttavia raffigura non un guerriero ma la rappresentazione teatrale di un dramma kabuki scritto nel XIX secolo ma basato su una storia vera risalente al 1590, Hakone Reigen Izari no adauchi: la vendetta (adauchi) di Katsugoro Iinuma contro l'uomo che gli ucciso il fratello.
Katsugoro, colpito da una grave malattia, perde l'uso delle gambe e viene portato dalla moglie Hatsuhana, adagiato su un carrettino, nella regione montagnosa di Hakone alla ricerca dell 'assassino, Gozuke Satô. Questi riesce tuttavia a rapire Hatsuhana ed ucciderla.
Il suo fantasma (hinin, a questo allude la scritta hinin segyô del cartiglio, alla intercessione degli esseri non più umani a favore dei viventi) torna sulla terra per aiutare Katsugoro, che anche con l'ausilio di pratiche ascetiche torna nel pieno delle sue forze e può portare a termine la sua vendetta.
L'ambientazione tra le montagne del dramma offre ad Hiroshige l'opportunità di mostrare il suo inarrivabile talento paesaggistico, mostrando sullo sfondo un paesaggio innevato qui fanno da quinte una cascata ed un albero di pino.
Di Tsukioka Yoshitoshi (1839-1892) è questo particolare di una stampa che rappresenta uno dei più celebri generali della storia del Giappone: Katô Kiyomasa (1562-1611).
Nato nella provincia di Owari, che diede i natali anche ai comandanti in capo Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi, nelle cui file si arruolò ancora ragazzo.
Partecipoùò alla battaglia di Shizukatake nel 1583 guadagnandosi l'inserimento nel gruppo di eroi conosciuto come Le sette lance di Shizukatake, ma la sua fama di abile stratega e specialista nella guerra campale contro piazzeforti e fortificazioni l'aquistò durante l'invasione della Corea (1592-1598) durante la quale era a capo di uno dei tre corpi d'armata giapponesi.
Dopo la morte di Toyotomi Hideyoshi divenne alleato di Tokugawa Yeyasu, che avrebbe sconfitto i suoi rivali nella guerra di successione divenendo il primo shogun della sua dinastia.
Di Utagawa Yoshitora (attivo tra il 1850 ed l 1880) infine una stampa che raffigura la conquista di Shikoku, dal Taiheiki (particolare).
Shikoku è, perdonate il bisticcio, la più piccola delle grendi isole del Giappone, e la sua capitale è Tokushima.
Il Taiheiki (太平記) è una opera storica che narra del lungo periodo di guerra nel XIV secolo tra gli shogun Ashigaka e l'imperatore Go-Daigo.
La figura imperiosa dell'ignoto generale campeggia sullo sfondo delle truppe schierate alla conquista della piazzaforte, con una simmetria compositiva che ricorda quella del pittore rinascimentale Paolo Uccello nella celeberrima Battaglia di San Romano.
Potremmo continuare ancora per molto, e sarebbe un piacere. Ci auguriamo di avervi convinti che sarà un piacere ancora più grande se continuerete per contro vostro l'esplorazione e la scoperta dei tesori sommersi dell'ukiyo-e.