Gendai
Anni fa Hayao Miyazaki annunciò il suo ritiro dall'attività. Una notizia che ha causato molto dispiacere tra i suoi non pochi ammiratori. Ma poi... Il 21 ottbbre 2024 - finalmente perché la curiosità e l'attesa erano non poca cosa - è diventato disponibile anche in Italia il dvd dell'ultima sua opera. L'uscita era infatti scaglionata in diverse date nei differenti paesi, dopo che la versione originale giapponese era uscita a giugno 2023. Come mai il maestro ha deciso di tornare a pubblicare una sua opera? E di cosa tratta?
Shōhei Imamura: Pioggia nera (Kuroi ame)
1989
Yoshiko Tanaka. Kazuo Kitamura, Etsuko Ichiwara, Shoichi Ozawa
L'omonimo libro di Masuji Ibuse, sopravvissuto al bombardamento atomico di Hiroshima (edito in Italia da Marsilio) tratta del disperato infruttuoso tentativo di tornare a una vita quanto più possibile normale dopo la tragica esperienza, di cui si sarebbero portati per sempre i segni e il presagio di morte immatura e dolorosa. E' un genere conosciuto col nome di genbaku bungaku, "letteratura della bomba" che testimonia la gravità dell'impatto della tragedia non solo nei corpi delle vittime ma anche se non soprattutto nei loro animi. L'opera di cui tratteremo ne riprende fedelmente le linee.
Viaggio a Tokyo: la biografia dell'autore, Yasujirō Ozu (1903-1963) ci direbbe immediatamente che non gli fu facile trovare una sua collocazione nella società moderna. Rifugiatosi nell'alcol per sfuggire alle sue frustrazioni, forse anche il mondo del cinema rappresentò per lui perlomeno all'inizio una evasione. Ma venne il momento del redde rationem: "Come aiuto regista potevo bere quanto mi pareva e parlare tutto il tempo. Come regista mi sarebbe toccato lavorare di continuo e stare in piedi anche la notte". Cosa ancora lo spinse a quel passo? La risposta la troveremo nelle sue opere. Forse soprattutto in questa.
Akira Kurosawa: Anatomia di un rapimento
1963
Toshiro Mifune, Tatsuya Nakadai, Takashi Shimura
L'opera è tratta da un romanzo giallo dell'autore italo-americano Salvatore Lombino, più noto al pubblico più colto col nome di Evan Hunter. Le sue opere più note sono il Seme della violenza e Gli amanti ma firmò anche la sceneggiatura del film Gli uccelli di Alfred Hitchkock. Gli appassionati del genere poliziesco lo conoscono col nome di Ed McBain con cui firmò una serie di romanzi imperniati sulle vicende dell'87° Distretto di Polizia di una immaginaria città che ricorda New York.
Uno di questi romanzi, il cui titolo originale è King's ransom (il riscatto di King, il protagonista della vicenda) fu pubblicato nella serie dei Gialli Mondadori nel 1964 col titolo di Due colpi in uno, e poi negli Omnibus nella raccolta Quelli dell'87° distretto (4 edizioni dal 1964 al 1975). Tratta appunto di un rapimento: quello di un bambino per cui viene chiesta una forte somma come riscatto. Kurosawa sentì l'impulso di girare quest'opera dopo che la famiglia di un suo amico era rimasta vittima appunto del sequestro di un bambino.
Il nome del protagonista di Tengoku to jigoku, ossia Tra cielo ed inferno, titolo giapponese del film, ricalca quello del protagonista del romanzo di McBain: Gondo Kingo, e anche la trama non presenta sostanziali variazioni: è un industriale delle calzature, che ha accumulato una grossa somma per portare a compimento un acquisto di azioni che gli permetterà il controllo della ditta di cui detiene un pacchetto di minoranza. Sventerà così le manovre di un gruppo di affaristi che invano cerca di attirarlo dalla sua parte per passare da una produzione di qualità a quella di merce scadente ma più lucrosa, supportata da pubblicità ingannevole.
La richiesta del riscatto lo pone di fronte ad una drammatica alternativa: dopo il primo comprensibile orgasmo si accorge che per errore non è stato rapito suo figlio ma quello del suo autista. Pagare nonostante tutto ed essere rovinato per sempre, o dichiararsi estraneo a tutta la vicenda e rifiutare? McBain e Kurosawa scelgono soluzioni diverse per sviluppare questo "canovaccio", ed è quanto andremo a vedere.
Douglas (Doug) King ci viene presentato da Ed McBain come una persona tendenzialmente sana: i loschi affaristi di cui abbiamo già parlato intendono sottrarre al maggior azionista, ormai vecchio e considerato incapace, la fabbrica. King, partito dalla gavetta, possiede il 13%: una percentuale che sommata alle altre già in loro possesso consentirebbe agli speculatori il controllo della ditta.
King rifiuta sprezzantemente: aveva accumulato all'insaputa di tutti un altro consistente gruppo di azioni, ed ultimamente ha realizzato una forte somma liquida vendendo praticamente tutto quello che possiede. Intende usarla per acquistare un altro pacchetto azionario di cui solo lui conosce la disponibilità, assumendo il controllo da solo.
Quando una telefonata arriva nella sua casa, e una voce ignota gli comunica di avere rapito suo figlio Bobby, che gli sarebbe stato restituito solo dopo il pagamento di un ingente riscatto, si vede perduto, ridotto sul lastrico e alla mercé dei suoi nemici. Dopo i primi frenetici momenti, in cui non si sa se prendere una iniziativa e quale, Bobby tra la sorpresa di tutti ricompare nella stanza: stava giocando a nascondino in giardino con Jeff, il figlio dell'autista. Ma ora non lo trova più, e stancatosi di aspettare è rientrato in casa.
E' subito evidente che i banditi, traditi dalla somiglianza tra i due bambini, entrambi biondi e della stessa età, e dal maglione di Bobby che Jeff indossava per proteggersi dal freddo, si sono ingannati. La reazione di King è sofferta ma decisa ed irremovibile: non pagherà. Non solo perché il bambino non è suo figlio, ma anche perché è un combattente irriducibile che quando viene aggredito non riesce a resistere all'impulso di ribellarsi, anche quando sa che sarebbe più logico arrendersi.
La posizione di Gondo (Toshiro Mifune) è molto più sofferta, Kurosawa decise di tratteggiarlo con una personalità più complessa, meno titanica e probabilmente più umana.
Stranamente, mentre era suo costume mettere in evidenza il lavoro di squadra dei componenti dell'87° distretto, in King's ramson Ed McBain mantiene la sordina su questo aspetto, e le indagini vengono condotte soprattutte dal protagonista principale della serie dell'87°, il detective italo americano Steve Carella. Per per molti anni venne chiamato Carell nelle edizioni della Mondandori, un nome troppo italiano in un giallo americano sembrava fuori posto.
Evidentemente si giudicava il pubblico italiano non ancora pronto ad accettare un protagonista "anomalo", abituato come era a poliziotti e investigatori privati statunitensi al 101%.
In Tengoku to Jigoku la folta squadra degli investigatori è guidata dall'investigatore capo Tokura (Tatsuya Nakadai) e coordinata dal capo della sezione investigativa (Takashi Shimura).
Kurosawa descrive accuratamente la loro meticolosità, la loro tenacia ed il loro spirito di corpo, evidentemente memore delle descrizioni delle indagini sviluppate da McBain negli altri libri della sua fortunata serie.
Come in altri fiilm di ambientazione contemporanea Kurosawa propone nelle immagini di apertura delle panoramiche di una grande città (Tokyo). Non sono più le desolazioni del dopoguerra: ora mentre scorrono i titoli di testa ci appare una metropoli in chiara crescita, ove si scorgono fitte qua e là le gru delle nuove costruzioni.
Nota: purtroppo l'edizione italiana è di qualità veramente scadente, ed è una sorpresa in quanto una copia reperita in Inghilterra, visionata in precedenza, era invece molto buona. Inoltre il formato Tohoscope - estremamente largo - costringe a tagliare le immagini oppure a mantenere integre le inquadrature a discapito della resa dei particolari. Abbiamo dovuto scegliere questo secondo sistema, l'altro avrebbe evidenziato ancora di più i difetti visivi di cui abbiamo parlato.
Appaiono gli immancabili palazzoni anonimi e scadenti dell'edilizia popolare, che ha fatto i suoi danni ovunque nel mondo negli anni 50 e 60 del secolo XX. Non mancano numerosi edifici di notevole altezza, che dominano dall'alto l'aggolomerato urbano.
Sono sormontati dagli enormi cartelloni pubblicitari che paradossalmente sono inequivocabili indicatori del buono stato di salute, perlomeno mercantile, della società: ove ci sono cartelloni pubblicitari ci sono affari, si può vivere "bene".
Le prime sequenze dell'azione sono traumatiche. Le ragioni ce le spiega lo stesso Kurosawa:
I miei film cominciano bruscamente con una dissolvenza. L'inizio è "drammatico", annuncia un racconto. Ho un soggetto che arricchisco piano piano ma lo sviluppo sotto forma di racconto. Insomma, mi piace raccontare. In generale, conosco già lo sviluppo generale della trama ma il più difficile è trovare il punto di partenza.
Il brano è tratto da una intervista di Yoshio Shirai, Hayato Shibata e Koichi Yamada ad Akira Kurosawa. Pubblicata in Cahiers du Cinema 182, tradotta e pubblicata in italiano in Akira Kurosawa, opuscolo redatto dall'Istituto Giapponese di Cultura in Roma per accompagnare il ciclo di proiezioni del febbraio-maggio 1980. Dal contesto si deduce che Kurosawa intendeva riferirsi soprattutto all'incipit di Vivere (1952) in cui le prime inquadrature mostrano la radiografia di un uomo affetto da un tumore intestinale, mentre una voce fuori campo informa che a quell'uomo restano solamente pochi mesi di vita.
In questo caso abbiamo invece un bambino vestito da cow boy che imperversa nei suoi giochi, armato di un enorme fucile con cui "uccide" tutti quanti gli capitino davanti, con una ingenua violenza che colpisce e traumatizza lo spettatore.
Una immensa vetrata, dall'interno di quella casa che sembra sospesa nel cielo, permette una visione dominante delle degradate borgate sottostanti.
Facciamo poi conoscenza col padre del bambino, l'industriale Kingo Gondo (Toshiro Mifune): sta comunicando al suo braccio destro i particolari del programma di azione che lo porterà ad assumere il controllo della fabbrica.
Ha impegnato tutto quanto aveva per racimolare la cifra necessaria: 50 milioni di yen, che il suo uomo di fiducia dovrà recapitare al destinatario prendendo un aereo per Osaka in mattinata.
L'autista è stato già allertato per accompagnarlo all'aeroporto, ma mentre si prepara è un po' preoccupato per suo figlio, che sta giocando con quello di Gondo: non prenderà freddo? Reiko, la moglie di Gondo (Kyoko Kagawa) lo rassicura: gli presterà un maglione.
Gondo si preoccupa invece di dare ai piccoli, che stanno uscendo per andare a giocare in giardino, la sua lezione di vita giornaliera: anche quando si tratta di un gioco, devono uccidere, od essere uccisi: è la sua filosofia di vita.
Poco dopo arriva una telefonata, cui Gondo risponde inizialmente con la noncuranza dell'uomo d'affari che fa uso ininterrotto del telefono.
E' invece la telefonata che cambierà il corso della sua vita.
Il figlio è stato rapito: per riaverlo dovrà pagare un riscatto di 30 milioni di yen in contanti di vario taglio, che deve iniziare immediatamente a preparare.
Gondo dichiara subito, anche per tranquillizare la moglie che è in preda al panico, che darà ai rapitori tutto quello che vogliono e che non intende chiamare la polizia, per non prendere il minimo rischio. Ma la vicenda prenderà immediatamente una piega diversa.
Inaspettatamente ricompare Jun, il figlio, sorpreso dalla confusione che trova e dalla reazione emotiva dei genitori non appena lo vedono: non è stato rapito, lì per lì si pensa ad uno scherzo di pessimo gusto.
Ci vuole poco però perché si capisca cosa è successo veramente: è stato rapito per errore Shinichi, il figlio dell' autista.
L'atteggiamento di Gondo cambia di colpo: si precipita a chiamare la polizia, la sola cosa che vuole ora è di vedere i responsabili catturati ed assicurati alla giustizia.
Probabilmente non prevede che insistano nelle loro richieste, né che Shinichi possa essere in pericolo.
Inizia una lunga, nervosa, attesa dell'arrivo delle forze di polizia; tutti rimangono perplessi quando di fronte all'abitazione si arresta un camion di aspetto anonimo, che porta sulle fiancate le insegne di una ditta di traslochi.
Ne escono diversi uomini in tenuta da lavoro, che suonano alla porta ed entrano nella casa.
Qui iniziano velocemente a togliersi le trasandate tute da operai: sono una squadra specializzata della polizia, guidata dall'ispettore capo Tokura (Tatsuya Nakadai), che indossa sotto il rude travestimento abiti impeccabili, e che si presenta a Gondo.
Il travestimento era necessario: l'abtazione, in cima alla collina nel paradiso - tengoku - può essere sorvegliata dalla umanità brulicante che si trova in basso nell' inferno del degrado urbano - jigoku.
Non è escluso che il rapitore o i suoi complici siano di guardia muniti di binocolo, meglio non far loro comprendere che è stata chiamata la polizia.
Sarà Tokura che da quel momento assumerà l'iniziativa dando una caccia senza tregua ai rapitori, che si riveleranno diabolicamente abili e pronti a prevenire e sventare ogni mossa delle forze dell'ordine.
Il gruppo di investigatori si organizza immediatamente per essere in grado di ascoltare e registrare ogni conversazione telefonica, e i preparativi terminano appena in tempo.
Non appena arriva una seconda telefonata dai rapitori Tokura si mette in ascolto dalla cuffia, e allo stesso tempo aziona il registratore.
Per molto tempo ancora, dopo che la telefonata si è conclusa, il gruppo delle persone coinvolte nel rapimento e i poliziotti continuano ad ascoltare e riascoltare quanto detto dall'anonima voce al telefono.
I rapitori si sono resi conto dell'errore, ma non per questo hanno intenzione di cambiare nulla al piano originario.
Rimane la richiesta di riscatto: per riavere indietro il figlio del suo autista Gondo dovrà pagare 30 milioni di yen, riducendosi praticamente alla rovina proprio nel momento in cui pensava di avere coronato con successo gli sforzi di tutta la sua vita.
Gondo non sa più cosa dire.
Non ha nemmeno più il coraggio di fissare in volto Aoki, l'autista, che appare annientato, distrutto.
McBain, che lo chiama Reynolds, ce lo descrive come un trentacinquenne invecchiato precocemente e con un atteggiamento rinunciatario e pavido di fronte alla vita, che infierisce su di lui. Ha perso la moglie l'anno precedente, e il figlio è tutto quanto gli rimane al mondo.
Kurosawa sorvola sui particolari, ma chiede all'attore (Yutaka Sada) di rendere visivamente inequivocabile, pur apparendo in poche sequenze, quanto dettagliato per iscritto da McBain.
Il contrasto e l'inconciliabilità tra Gondo, che si riteneva al sicuro dall'alto del suo tengoku, e gli esseri pavidi che popolano il jikogu, da lui disprezzati platealmente, si ripresentano anche all'interno del suo stesso mondo ed incrinano le sue certezze.
Un messaggio inquietante gli arriva anzi proprio dall'inferno che pensava di dominare dall'alto, impermeabile alle tensioni ed alle passioni della "gente comune", invulnerabile nei loro confronti.
Un'altra telefonata del rapitore gli chiede ragione della strana chiusura delle tende nel salone. Quale ne è la ragione, è stata per caso chiamata la polizia?
Gondo non ha altra scelta che aprire le tende per mostrare che nel soggiorno vi sono solo lui, sua moglie e l'autista. La squadra di investigatori si è nel frattempo occultata sotto un tavolo per non farsi scorgere.
Le certezze di Gondo cominciano ad incrinarsi, e lo sconosciuto rapitore sembra avere il pieno controllo della situazione. In realtà ha commesso un passo falso, rivelando che si trova nei paraggi, in grado di controllare con un binocolo cosa succede nel paradiso di Gondo, permetterà alla polizia di mettersi sulle sue tracce con qualche indizio in mano.
Ma questo avverrà più tardi: al momento, la chiamata del rapitore inquieta. Trascorre una notte agitata, per tutti gli abitanti della casa.
La mattina, Gondo si risveglia già definitivamente sconfitto: accetterà di pagare il riscatto, costi quello che costi.
Il suo braccio destro lo affronta rudemente: non può permettersi né lo scandalo di lasciar morire un bimbo innocente né di veder sfumare assieme al denaro tutti i suoi piani: è in trappola.
Gondo capisce di essere stato tradito: l'uomo ha già contattato i suoi avversari, li ha messi al corrente di tutto ed è passato dalla loro parte. Gondo può solo cacciarlo di casa, ma rimane un uomo sconfitto.
Le istruzioni del rapitore sono precise, indicano un piano premeditato da tempo. Deve procurarsi due valigette, di cui indica le dimensioni, che conterranno esattamente la somma di denaro richiesta, se suddivisa nei tagli indicati.
La polizia prenderà tuttavia le sue precauzioni: sia le banconote che le valigette verranno marcate in modo indelebile ma discreto.
Per la consegna del riscatto Gondo deve salire su un treno rapido ed attendere: gli verranno date ulteriori istruzioni durante il percorso.
Lo seguono discretamente, seduti nello stesso scompartimento in modo da poter tenere d'occhio lui e chiunque gli si avvicini, l'ispettore Tokura ed un altro poliziotto.
Durante l'attesa Tokura confida al suo sottoposto di non essere capace di reprimere un moto di ammirazione verso Gondo.
A dispetto della sua fama di uomo d'affari senza scrupoli, a dispetto dei suoi modi bruschi, si sta dimostrando malgrado sé stesso un uomo sensibile, corretto e coraggioso.
Il rapitore ha fatto bene i suoi conti, e riuscirà ad eludere ogni tentativo di intercettarlo.
Durante il viaggio Gondo viene chiamato al telefono: il treno, all'avanguardia per quei tempi, è infatti uno dei primi ad essere dotato di cabina telefonica.
I poliziotti accorrono immediatamente, ma non possono fare nulla: sono bloccati dentro al treno, che non prevede fermate per molti chilomentri ancora.
Non rimane loro che mettersi ai finestrini, muniti di macchine fotografiche e cineprese, e riprendere accuratamente tutto quello che sarà possibile vedere dal treno in corsa.
Le istruzioni sono chiare: all'approssimarsi di un ponte, che apparirà a minuti, Gondo deve guardare attentamente dal finestrino: prima del ponte vedrà il bambino, incolume, ai bordi del binario.
Avrà nel frattempo socchiuso un finestrino: solo quelli delle toilette possono aprire un sottile spiraglio, dove passeranno esattamente le due valigette che contengono il denaro del riscatto.
Devono essere lasciate cadere all'uscita del ponte, dove verranno raccolte.
Gondo si separa materialmente dal sogno della sua vita: era già preparato, aveva già accettato.
Eppure esce dalla prova stravolto.
Riuscirà a superare la crisi, rendendosi conto di non essere stato sconfitto ma di avere in realtà vinto se stesso e superato la prova, quando la polizia lo scorta - appena possibile - nel luogo dove i rapitori hanno abbandonato Shinichi.
Non riesce a trattenersi dal correre verso il bambino, abbracciondolo come se non volesse più abbandonarlo.
I poliziotti si tengono a distanza ed assistono. Muti, commossi.
La trama comincia ora a discostarsi notevolmente dal romanzo di McBain, che si concludeva con un feroce corpo a corpo tra il rapitore e Douglas King.
Questi durante la consegna del riscatto decideva di risolvere la questione direttamente a tu per tu con il suo avversario, cosí come si era abituato a risolvere ogni problema che incontrasse nel corso della sua vita.
Kurosawa dedica questa parte del film al lavoro di squadra degli investigatori. Ormai liberi di agire, iniziano a setacciare la città alla ricerca di ogni indizio utile che li possa portare sulle tracce del rapitore.
Hanno già in mano qualcosa su cui lavorare: la cabina telefonica da cui chiamava il rapitore, si udiva chiaramente in una registrazione la caduta del gettone, doveva necessariamente essere nelle vicinanze della casa di Gondo, e in posizione tale da poter osservare con un binocolo quanto vi succedesse oltre le grandi vetrate.
Non tardano ad identificare le due o tre che rispondono a tutti i requisiti, e poi finalmente quella giusta.
Situata nel cuore del jigoku, l'inferno, permette di controllare quanto accade nel tengoku, il paradiso.
Il rapitore deve necessariamente appartenere a quel quartiere, abitarvi o lavorarvi.
Kurosawa finalmente ce lo mostra ora, per la prima volta.
Come già in alcune opere precedenti, L'angelo ubriaco (in cui il giovane ribelle era proprio Toshiro Mifune), e poi Cane randagio, non ha affatto l'aria di un malvivente.
Si tratta di un giovane medico di nome Ginjiro Takeuchi (interpretato da Tsutomu Yamazaki)
Anche lui è alla ricerca di qualcosa.
Consulta affannosamente tutti i giornali che trattano del caso: si aspettava di leggere feroci critiche al comportamento di Gondo, che viene invece trattato benevolmente dalla stampa.
In fin dei conti ha accettato di rovinarsi per sempre pagando il riscatto per il figlio del suo autista: la sua decisione viene considerata coraggiosa e meritevole di rispetto.
La polizia continua le sue meticolose ricerche.
Tokura, con l'avallo del Capo della Sezione Investigativa (Takashi Shimura) dichiara di voler richiedere a tutti un impegno superiore al normale.
Per onorare la difficile scelta operata da Gondo nulla deve essere tralasciato pur di assicurare il rapitore alla giustizia e recuperare il riscatto.
La folta squadra di investigazione riferisce periodicamente i risultati di ogni singolo settore di indagine.
Man mano che le informazioni affluiscono l'impeccabile Tokura, impassibile ed elegantemente inappuntabile anche quanto tutti intorno a lui boccheggiano per il gran caldo, aggiusta il tiro: il cerchio intorno al rapitore si restirnge velocemente.
Viene rintracciata, setacciando con l'aiuto della polizia stradale tutte le Toyota di caratteristiche corrispondenti, la macchina utilizzata dai rapitori per trasportare il bambino verso la ferrovia.
La polizia scientifica la prende in consegna per esaminarla attentamente, alla ricerca di ogni possibile indizio. Degli schizzi di fango sulla portiera, contenenti reisidui di pesce, fanno pensare che la macchina sia stata utilizzata nei dintorni di un mercato ittico.
E un ascolto meticoloso dei nastri permette di ricostruire la natura dei rumori di fondo: la casa da dove chiamavano i rapitori per far ascoltare la voce del bambino doveva trovarsi vicino ad una linea tranviaria.
Infine, un disegno eseguito da Shinichi indica inequivocabilmente che si deve trovare vicino al mare, in un punto caratteristico dal panorama inconfondibile, in cui l'isola di Hinoshima, seminascosta da una collina, sembra un promontorio.
Sommando tutti gli indizi, due investigatori riusciranno ad identificare la casa. Si preparano a farvi irruzione, ma non troveranno quello che immaginavano.
Anche Aoki, l'autista, è riuscito a rintracciare il posto: ha portato con sé il figlio nel tentativo - riuscito - di fargli ricostruire il percorso. I due poliziotti li raggiungono proprio quando stanno indugiando intorno alla casa, non rendendosi conto del pericolo che corrono nel caso che i rapitori li vedano.
In realtà non corrono alcun pericolo, ma la ragione è tragica: all'interno della casa ci sono solo i cadaveri di un uomo ed una donna, i guardiani della villa.
L'autopsia rivela che sono morti per una overdose di eroina quasi pura, e il ritrovamento di una parte del riscatto conferma l'ipotesi investigativa.
E' difficile pensare che abbiano commesso l'imprudenza di iniettarsi una dose sicuramente mortale, e su un taccuino ritrovato nella casa è rimasta l'impronta di quanto scritto sull'ultimo foglio strappato: una pressante richiesta di droga.
Evidentemente i due sono stati uccisi con l'iniezione fatale dal loro complice, che pensa così di cancellare ogni traccia che possa portare fino a lui.
Sono troppi ormai gli indizi che puntano verso di lui, anche se non è stato ancora identificato. Ma sarà proprio un suo errore, causato dal panico di chi si vede braccato, a metterlo in trappola.
Rendendosi conto che le valigette ove era contenuto il denaro sarebbero una prova schiacciante, decide di liberarsene. Ma non sa che la polizia le ha imrpegnate di un forte colorante.
Dalla casa di Gondo, ove Tokura sta facendo un resoconto delle indagini, arriva un altro importante indizio: Shinichi ha disegnato in pratica un ritratto del suo rapitore.
Indossava sempre una maschera e degli occhiali scuri, ma aveva un importante segno caratteristico: una fascia sul polso sinistro.
Sono ancora i due bambini - ritornati ai loro giochi - che chiamano gli adulti ad assistere ad uno strano ed affascinante spettacolo, che risolverà definitivamente il caso.
Dalla ciminiera dell'ospedale che sorge nel jigoku, esce del fumo rosso.
Per sottolineare la drammaticità del momento, Kurosawa fa virare in rosso la pellicola in bianco e nero.
In quell'ospedale qualcuno sta bruciando le valigette del riscatto.
L'addetto alla fornace ricorda bene chi gli ha portato qualcosa di insolito quella mattina.
Un giovane che lui ha immediatamente classificato come medico apprendista, hanno modi di fare diversi dagli altri, è venuto da lui con due valigette da "buttare nel mucchio".
Ne ricorda molto bene le dimensioni, ma non è in grado di identificare la persona, non ricorda di averla mai vista in precedenza.
L'appostamento nell'ospedale non tarda però a fare centro, e nel modo più semplice ed inaspettato.
Davanti agli occhi sbigottiti di un poliziotto un giovane in camice, di spalle, sale le scale.
Si arresta un attimo, forse per leggere un referto, e la sua mano sinistra si appoggia alla balaustra, permettendo di notare che ha una fascia al polso. Il rapitore è ormai nella rete.
Una rete che Tokura decide di non tirare immediatamente. Le prove che collegano Takeuchi al rapimento sono schiaccianti, ma la pena è relativamente modesta - i rapimenti erano un fenomeno relativamente sconosciuto in Giappone - e se la caverebbe con poco.
Non ci sono prove invece del duplice assassinio nei confronti dei suoi complici.
In una affollatissima conferenza stampa chiede quindi ai cronisti di non pubblicare alcuna notizia sullo svolgimento delle indagini.
Intende far credere a Takeuchi che i suoi complici sono ancora vivi, spingendolo a tornare sul luogo del delito per finirli.
Solo allora, cogliendolo sul fatto, lo si potrà inchiodare alle sue responsabilità.
A Takeuchi viene recapitato un falso biglietto dei suoi complici, che gli chiedono ancora della droga.
L'assassino non riesce a spiegarsi l'errore di calcolo, la sua professione gli permetteva di calcolare con assoluta precisione una dose letale. Decide immediatamente di fare un secondo tentativo, assicurandosi questa volta che non ci siano margini di errore.
Tokura ha istruito minuziosamente i suoi uomini: dovranno pedinare strettamente l'uomo, senza mai perderlo di vista ma senza intervenire se non in caso di emergenza.
Takeuchi hai iniziato un lungo peregrinare nei quartieri del divertimento, per assicurarsi di non essere pedinato.
Nonostante le precauzioni del rapitore i poliziotti, un autentico nugolo e nascosti sotto i travestimenti più impensati, riescono inizialmente a seguirlo.
Ne perderanno però le tracce nel quartiere della droga.
Vengono identificati ed aggrediti dalla folla in quanto ogni sconosciuto, o peggio ancora gruppo di sconosciuti, viene automaticamente associato alla polizia.
Quel quartiere è un autentico inferno nell'inferno di cui Kurosawa riesce con poche inquadrature, indugiare su certe scene sarebbe del resto insopportabile per lo spettatore, a rendere l'agghiacciante atmosfera.
La perdita di contatto causerà purtroppo un'altra vittima: una povera donna ridotta agli estremi dall'abuso della droga, viene abbordata da Takeuchi.
Il suo intento è semplice quanto raccapricciante: le inietterà una dose fatale, controllandone di persona la morte: vuole essere sicuro di non sbagliare una seconda volta.
La polizia pur avendolo perso, pur trovandosi di fronte ad un'altra inaspettata vittima, sa dove aspettarlo per porre fine alla storia: la casa dove abitavano i due complici. E' lì infatti che si sta recando Takeuchi.
Prima della scena catartica, Kurosawa preferisce smorzare la tensione, come è spesso sua abitudine.
Indugia sull'irripetibile panorama che si gode dalla veranda della villa, ed il tema musicale è un inaspettato omaggio all'Italia.
Sono le note di O sole mio, canzone ben conosciuta in Giappone, come del resto in tutto il mondo.
E' fin dall'origine un tema internazionale: sembra che la musica sia stata ispirata al compositore Di Capua da un'alba sul mar Nero, ove si trovava in quel momento, oltre che naturalmente dalla nostaglia per la sua Napoli.
Ma arriviamo al compimento del dramma.
Al suo arrivo Takeuchi, mentre si aggira intorno al perimetro dell'edificio per capire cosa vi succeda all'interno, trova Tokura ad attenderlo, arma in pugno, per dichiararlo in arresto.
Takeuchi ha la reazione di una belva ferita e disperata.
Tenta di togliersi la vita con un veleno che evidentemente teneva pronto allo scopo.
Ma le manette scattano ai suoi polsi prima che riesca ad assumerlo.
E' stato condannato a morte. Attende ora il compimento del suo destino, ma gli rimane da fare un'ultima cosa.
Il suo ultimo desiderio è infatti di avere un colloquio con Gondo, che viene accompagnato nel braccio della morte.
Takeuchi gli dichiara il suo disprezzo, motivato dalla arroganza - o presunta tale - con cui il possidente esibiva la sua ricchezza, materializzata in una dimora inaccessibile, di fronte al degrado della povera gente.
In realtà è lui che si sta dimostrando arrogante ed aggressivo, incapace ed incurante di comprendere le motivazioni e le pulsioni del suo prossimo.
Ha negli occhi la luce inganenvole ed accecante del fanatismo.
Gondo al contrario è turbato, pensieroso.
Nonostante tutto ha agito come gli dettava la sua coscienza, ma sente di dovere ancora scontare i suoi errori passati.
Takeuchi ha ancora qualcosa da rivendicare.
Dichiara, urla, la sua impassibilità di fronte alla morte, che attende senza alcun timore e senza alcun rimpianto.
Parole vane.
Sarà in realtà lui stesso a smentire queste parole, cadendo vittima di una irrefrenabile crisi di nervi.
Le guardie lo riportano via a forza.
La saracinesca di sicurezza si richiude di fronte a Gondo, che rimane muto a fissarla.
Nagisa Oshima: Furyo (Merry Christmas mr. Lawrence)
1983
David Bowie, Tom Conti, Ryuichi Sakamoto, Takeshi Kitano
Furyo (俘虜, prigioniero di guerra) è il titolo con cui è maggiormente conosciuta questa opera di Oshima(1932-2013), la prima che ebbe vasta diffusione in occidente e lo sottrasse alla fama immeritata di regista interessato solo ai temi della sessualità, che si riteneva spingesse fino ai limiti della pornografia. Anche Furyo venne interpretato dalla critica, e soprattutto pubblicizzato dai media, come un film centrato sull'attrazione sessuale. E' in realtà un'opera inquietante e necessaria, che scende molto più in profondità. E, lungi dall'emettere sentenze, accusa tuttavia spietatamente non solo le convenzioni ed i rituali giapponesi, come si è detto anche sin troppo, ma anche quelli europei.
Kon Ichikawa: Nobi
(Fires on the plain)
1959
Eiji Funakoshi, Osamu Takizawa, Mickey Curtis
Kon Ichikawa (1915-2008) è noto fuori del Giappone soprattutto se non esclusivamente per L'arpa birmana (1956). Nel 1959 diresse Nobi, tratto dall'omonimo romanzo di Shōhei Ōoka (1909-1988) pubblicato in Italia da Einaudi nel 1957 col titolo La guerra del soldato Tamura. Non è mai stato distribuito invece il film di Ichikawa.
Terminata e distribuita nel 2013 l'ultima opera di Miyazaki - ha annunciato infatti il suo ritiro da regista pur continuando a collaborare con lo Studio Ghibli da lui creato - era programmata per la distribuzione in Italia a metà settembre 2014. Questa recensione non è stata quindi concepita, inizialmente, come le altre. Non era pensabile di svelare agli spettatori, si sperava fossero molti e che escissero dalla visione del film più ricchi di pensieri di come vi erano entrati, tutti i meccanismi che rendono l'opera realistica. E' infatti basata fondamentalmente sulla biografia di esseri umani realmente esistiti, e allo stesso tempo surreale e visionaria.
Non sarebbe più necessario ora, passati alcuni anni. Ma verrà lasciata così.
Nella storia di Jirō Horikoshi (1903-1982), ingegnere aeronautico padre del leggendario caccia Zero che fu in dotazione all'aviazione giapponese durante la seconda guerra mondiale, c'è infatti molto della storia dello stesso Miyazaki.
Figlio di un industriale aeronautico, lui stesso sognava da giovane di poter diventare pilota, sogno frustrato dalla forte miopia che lo ha sempre afflitto.
Di questa sua grande passione troviamo traccia in molte delle sue opere.
Una passione tuttavia che talvolta si tramutava in incubo, perché quelle meravigliose macchine alate, capaci di trasformare in realtà il sogno di volare che ha sempre permeato l'umanità in ogni epoca, furono immediatamente adattate a diventare strumenti di morte e di distruzione.
Il film prende il titolo dall'omonimo libro di Tatsuo Hori (1904-1953).
Vi si ispira però soprattutto per inserire nella trama la delicata quanto difficile storia d'amore tra Jirō e Nahoko, che verrà da lui da lui incontrata per caso, perduta, ritrovata in circostanze drammatiche e perduta ancora.
Si alza il vento è una citazione dal poema Il cimitero marino pubblicato nel 1920 di Paul Valery (1871-1945), che parlando di quegli anni, quelli tra le due grandi tragiche guerre, li descriveva come l'epoca in cui il vento si sarebbe alzato, incitando a tentare di vivere. Vale sicuramente la pena di ricordare che l'italo-francese Valery cadde prematuramente in una crisi esistenziale che lo portò a meditare ogni mattina sulle ragioni ultime dell'esistenza umana.
Annotava ironicamente a questo proposito: avendo consacrato queste ore alla via dello spirito, mi sento in diritto di essere sciocco per il resto del giorno.
Disinteressato alla fama e agli innumerevoli riconoscimenti formali che ricevette nel corso della sua vita Valery proseguì senza alcuna deviazione nel suo cammino alla ricerca del senso della vita, lasciandone testimonianza nei suoi manoscritti quotidiani, che occupano circa 26.000 pagine ancora in gran parte inedite.
Tornando al film di cui ci occuperemo ancora per diverso tempo, è a causa di un colpo di vento che l'adolescente Jirō fa conoscenza con Nahoko.
Ed è lei, destinata a diventare il suo grande amore, a pronunciare per prima, e per la prima volta, in francese, la fatidica frase: Le vent se lève.
Cui Jirō risponde altrettanto d'istinto: il faut tenter de vivre.
Questa ultima opera del maestro Miyazaki deriva, con numerose modifiche e alcuni adattamenti, da una serie manga che lui stesso aveva iniziato a pubblicare nel 2009, ricevendo numerose richieste di portare la storia sul grande schermo.
Dopo lunga esitazione, dovute sia alle grandi dificoltà tecniche che al timore di non riuscire a far comprendere appieno il suo messaggio, Miyazaki e la sua equipe si misero all'opera.
E se qualcuno si sta chiedendo come mai su un manga contemporaneo concepito in Giappone appaia una copertina d'epoca della Domenica del Corriere, non gli rimane che leggere il seguito.
Jirō è un sognatore, come tutti i ragazzi.
I suoi sogni sono però diversi da quelli dei suoi coetanei: sogna con straordinaria intensità di volare.
Non potrà mai diventare pilota, si rende conto che la sua forte miopia glielo proibisce: diventerà progettista e costruttore di aereoplani.
Nei tratti di Jirō disegnati da Miyazaki ritroviamo naturalmente il vero Jirō, ma ritroviamo lo stesso Miyazaki da giovane.
Difficilmente riuscivamo ormai ad immaginarlo diverso da come ci appare da tanti anni, con la sua curata barba bianca e il suo sguardo mite quanto miope eppure capace di guardare lontano più degli altri.
Cedendo agli stilemi dell'arte però il Jirō che appare sullo schermo ha due grandi occhioni spalancati verso il mondo e verso il cielo, ad indicare la sua prontezza di spirito e la sua sete di sogni e di avventure.
E' proprio in sogno che Jirō incontra il suo mentore e compagno di sogni.
E' Giovanni Battista Caproni (1886-1957), conte di Taliedo, località alla periferia di Milano ove Caproni, progettista aeronautico d'avanguardia e pioniere dell'aviazione trasferì la omonima fabbrica che aveva visto la luce anni prima alla Malpensa.
Jirō scopre immediatamente di condividere con Caproni non solo i sogni, ma anche gli incubi.
Un incubo che ha perseguitato probabilmente tutti coloro che sognavano, progettavano, costruivano o pilotavano le prime machine volanti e che deve aver rattristato anche l'adolescenza e la gioventù del vero Hoshikoshi.
L'utilizzo di quelle meravigliose creazioni dell'ingegno umano allo scopo di portare morte e distruzione in guerra.
In tutti i loro incontri onirici Caproni, che della prima guerra mondiale fu partecipe e protagonista, incita tuttavia Jirō a proseguire nella sua strada.
Morte e distruzione vi saranno sempre finché l'essere umano non compirà un definitivo salto verso la civiltà, ed è questa immaturità dell'uomo che causa dolore, non le macchine.
Superando lo scoramento di ogni inevitabile anzi necessario insuccesso, gli aerei saranno un giorno strumento di conoscenza, di scambio tra esseri umani, di grande piacere mai conosciuto prima.
"Segui il vento, giovane giapponese!"
E' ormai giunto il tempo che Jirō lasci la famiglia e la quieta vita del suo villaggio di campagna.
Si tasferirà in città per proseguire gli studi presso l'Università Imperiale di Tokyo, alla facoltà di Ingegneria aeronautica.
Durante uno dei viaggi di andata e ritorno dai luoghi ove è nato alla capitale Jirō incontra la persona destinata a lasciare un segno indelebile nella sua vita: Nahoko, ancora una bambina, in viaggio anche lei accompagnata dalla sua governante.
Da due differenti vagoni sI sono rifugiati entrambi sulla piattaforma del treno, Jirō per sfuggire al sovraffollamento e leggere uno dei tanti libri che porta sempre con se, Nahoko che viaggia in uno scompartimento lussuoso ed è vestita all'occidentale per ammirare il paesaggio.
Una folata di vento fa volare il cappello di Jirō, e la bambina si sporge pericolosamente per afferrarlo al volo e restituirglielo. E' ora che lei pronuncia la magica frase: Le vent se lève... Jirō, che ha riconosciuto il verso di Paul Valery, prosegue a tono, pensieroso: il faut tenter de vivre.
Sembrerebbe che il piccolo episodio, per quanto grazioso, strano ed intrigante, non sia destinato ad avere un seguito.
La bambina rientra nel suo ovattato scompartimento, Jirō rimane in un mondo differente e non comunicante.
La porta che si chiude davanti a lui lo separerà per sempre dalla piccola sconosciuta cui si è sentito così vicino in quell'attimo irripetibile.
Il destino li unirà.
D'improvviso il treno viene scosso e sballottato come un giocattolo nelle mani di un folle. Già alle porte di Tokyo, si è trovato coinvolto nel terribile terremoto del Kantō, che il 1 settembre del 1923, in non più di 10 minuti, poco prima di mezzogiorno, causò orse 140.000 morti tra cui circa 40.000 dispersi, distruggendo oltre a Tokyo numerose altre città situate nella pianura del Kantō.
Data l'ora in quasi tutte le case erano stati accesi i fornelli per la preparazione del pasto, e i danni causati dagli incendi scoppiati ovunque, che era impossibile domare o controllare a causa della rottura delle tubazioni dell'acqua, causarono morte e distruzioni maggiori del terremoto stesso.
In uno scenario tragico ed infernale - gran parte delle vittime come detto perì non durante il terremoto per conseguenza degli incendi che dilagarono ovunque, Jirō si carica sulle spalle la governante infortunata, e faticosamente fendendo la folla, senza mai perdere di vista Nahoko che tenta di seguirlo senza essere schiacciata o portata via nella confusione generale, li accompagna alla loro abitazione.
Il terribile scenario ricorda a Jirō l'incubo ricorrente nei suoi sogni notturni, in cui sia lui che il suo mentore Caproni assistono con orrore all'uso ed abuso delle loro creazioni per portare ovunque la morte, la desolazione, l'inferno.
Riusciranno faticosamente, dopo aver attraversato assieme a città assistendo ad ogni genere di orrori, ad arrivare in salvo.
Jirō rifiuta però di trattenersi, e si allontana rapidamente senza lasciare il suo nome.
L'abitazione di Nahoko ed il numeroso personale di servizio indicano chiaramente la posizione altolocata della famiglia.
Umile studente di origine campagnola, non si ritiene all'altezza di allacciare un rapporto.
Sarà ancora un colpo di vento, alcuni anni dopo, a far incontrare di nuovo Jirō e la ragazza.
Un colpo di vento dispettoso che porta via l'ombrello al cui riparo lei sta dipingendo.
Sarà Jirō a raccoglierlo per riportarglielo, scoprendo poi che Nahoko ed il padre alloggiano nel suo stesso albergo per un breve periodo di villeggiatura.
Il cielo, che Miyazaki privilegia nelle immagini della sua opera, a volte come sfondo e a volte come protagonista è spettatore dell'idillio che sboccia tra i due ragazzi.
I loro muti ma eloquenti messaggi sono affidati ad aeroplani di carta che Jirō fabbrica con maestria per indirizzarli poi a Nahoko, che quando non dipinge passa sovente le sue giornate in balcone per approfittare dell'aria tersa della montagna.
I due sono assolutamente sicuri dei loro sentimenti, e ritengono di poter superare ogni ostacolo.
Jirō non esita a chiedere al padre la mano di Nahoko.
Apprende però che essa è malata, la ricerca di aria pura è la motivazione del suo soggiorno in montagna, e la prognosi è incerta.
Dovrà innanzitutto pensare a guarire completamente, prima di ogni altra cosa, trasferendosi in un sanatorio dove potrà ricevere le cure adeguate.
Jirō e Nahoko, appena ritrovatisi, devono separarsi ancora.
Nahoko non resisterà a lungo lontana da Jirō.
Sente che i l suo detirno è comunque in dubbio, mentre l'amore è l'unica certezza che ha.
Si allontana dal sanatorio e raggiunge in treno Jirō, che da qualche tempo lavora come progettista aeronautico in una importante fabbrica.
Superando di slancio ogni obiezione ed o gni convenzione sociale, si uniranno immediatamente in matrimonio, senza alcuna formalità.
Qualunque cosa riservi loro il destino in seguito, hanno deciso che questi momenti saranno per loro.
Sappiamo già che il Mentore o forse - per rimanere sul suolo italiano - il Virgilio della situazione è l'ingegner Caproni.
La sua presenza è costante, non solamente nei sogni di Jirō ma anche nelle sue letture; lo ritrova fin da quando da ragazzo quando sfoglia assieme alla sorella Kayo riviste ed articoli di giornale, ne studierà a lungo i testi all'università.
Lo ritroverà perfino, ennesimo segno del destino, in una cartolina postale proveniente dall'Italia che il vento - sempre il vento - ha portato fino a lui, sottraendola alle fiamme del terremoto del Kantō .
Dopo l'università Jirō viene assunto come progettista dalla Mitsubishi.
Il suo capo è un buffo ometto sempre in moto, irrimediabilmente burbero e sempre di modi sbrigativi.
Ma che si dimostrerà in seguito molto umano, proteggendo sia Jirō che la sua vicenda d'amore con Nahoko.
Le sue idee sono audaci ed innovative, ma tecnicamente ineccepibili.
Non tarda ad ottenere fiducia da Kurokawa e dal direttore della fabbrica e a diventare il coordinatore di importanti gruppi di lavoro.
La tecnologia giapponese però è ancora troppo arretrata né i motori né la struttura degli aerei, ancora in legno e tela, è in grado di dimostrarsi all'altezza della migliore produzione occidentale.
Attraverso un'altalena di momenti esaltanti e di prove fallite, con la distruzione di diversi prototipo e talvolta con gravi rischi per i piloti collaudatori, la marcia di Jirō verso il progresso continua.
Nonostante tutto.
Verrà deciso infine di inserirlo tra le persone selezionate per partecipare ad una missione in Germania, ove esamineranno e studieranno le tecniche di avanguardia dell'alleato.
In realtà i militari tedeschi non sono disposti a rivelare a nessuno i segreti della loro tecnologia e a Jirō viene impedito di esaminare da vicino gli apparecchi, nati per uso civile ma di cui stanno già studiando la trasformazione ad uso bellico.
Interverrà in suo favore una persona cui tutti sembrano prestare la massima obbedienza: è l'ingegnere Junkers, fondatore e proprietario della omonima fabbrica, quella che stanno visitando.
Hugo Junkers (1859-1935) è il padre dello J1, il primo aereo costruito in metallo, e dello G38 - conoosciuto anche come Ju38 - che aveva destato l'attenzione dei due giapponesi.
Si tratta di un quadrimotore civile costruito interamente in alluminio ondulato, come il più noto successore, il trimotore Ju52, di cui un esemplare ancora vola regolarmente in Renania, a distanza di oltre 80 anni dalla costruzione del primo esemplare
E' proprio a bordo dello Ju38 che vedremo poco dopo volare Jirō ed il collega Kiro Honjō, che lo ha accompagnato nel viaggio e che grazie a questa esperienza diventerà progettista di aerei pesanti da bombardamento.
La filosofia dell'aviazione tedesca è completamente diversa da quella di Caproni, che Jirō continua ad incontrare nei suoi sogni per partecipare ad un fantastico viaggio di inaugurazione del Ca90, di cui nella realtà venne costruito un solo prototipo provato come bombardiere, ma che qui vediamo riempito fino all'inverosimile da una festosa comitiva composta dagli operai della fabbrica che lo ha costruito e dai loro familiari.
Caproni fa partecipe Jirō della sua visione del mondo e della missione di pace e fratellanza che gli aerei sono destinati a compiere, nonostante l'uso distorto di cui ne fa uso al momento la follia umana.
La conversazione si svolge sull'ala superiore del maestoso apparecchio, che rimase a lungo il più grande aeroplano terrestre del mondo (l'idrovolante DoX era di dimensioni ancora maggiori) ed è tuttora il più grande biplano mai costruito.
Tornato in Giappone Jirō continua nella sua altalena di entusiasmanti successi e dolorosi fallimenti, necessari allo sviluppo di nuove tecnologie e nuovi aerei.
Ma ogni nuovo passo lo avvicina sempre di più alla sua meta.
Forse lo avvicinano di più le sconfitte, dopo ognuna delle quali raccoglie meticolosamente e con infinita pazienza i rottami dei prototipi per analizzare le cause degli insuccessi.
Solo.
Nei momenti di successo è invece sempre attorniato da una folla festante e da militari interessati.
Anche in patria è destinato ad avere problemi, sia con loro sia con la polizia segreta, che agisce con gli stessi metodi che aveva già visto all'opera con quella tedesca.
Lo proteggeranno Kurokawa ed il direttore della fabbrica, Hattori, sottraendolo a queste attenzioni non gradite.
Diventerà il capo carismatico di un gruppo di giovani ed entusiasti ingegnerei, pronti ad ogni sacrificio per realizzare macchine volanti sempre più perfette.
E' arrivato finalmente il giorno in cui Jirō Horikoshi può dimostrare al mondo di avere avuto sempre ragione.
Il prototipo del suo Mitsubishi A5M, un caccia destinato alla marina, supera ogni aspettativa in termini di velocità, manegevolezza, robustezza.
Jirō però non fa caso a quanto accade intorno a lui. Nemmeno guarda più il suo aereo.
Un colpo di vento improvviso gli ha ricordato Nahoko.
E' solo un ulteriore passo, ma ce ne sarà almeno un altro, ancora più importante e decisivo.
Pochi anni dopo è pronto per i primi collaudi l'A6M, che passerà alla storia con un altro nome: lo Zero, uno dei più celebri aerei da caccia di ogni epoca ed ogni teatro di guerra.
Il capolavoro di Jirō Horikoshi.
Un capolavoro che gli lascia il fiele in bocca. Vediamo ora lo sconsolato Jirō aggirarsi, solo come sempre nel momento della sconfitta e del dolore, in mezzo alle immani rovine lasciate dalla guerra, in mezzo ai rotttami soprattutto delle macchine che avrebbe voluto vedere impiegate in altro modo, non macchiate di sangue.
E' però ancora al suo fianco, un sogno più reale della realtà, l'ingegnere Giovanni Battista Caproni.
Gli ricorda che loro non sono responsabili della follia altrui, ma soprattutto che gli aerei, terminato quell'interminabile triste periodo di guerre e di lutti, torneranno finalmente a portare gioia e progresso al genere umano.
Lo invita a guardare lontano.
A guardare nel cielo.
Una squadriglia di aerei si avvicina. Si riesce a distinguere nelle carlinghe i volti dei piloti, per quanto celati in parte dalla tenuta di volo.
Sono sereni, sorridono.
Salutano.
Salutano Jirō Horikoshi e Giovani Battista Caproni, e si allontano nel cielo per unirsi ad un'altra infinita schiera .di Zero, che volano sempre più in alto fino a scomparire allo sguardo.
Ma c'è ancora altro da guardare, e Caproni vuole che Jirō se ne renda conto.
C'è qualcosa da guardare anche altrove.
Lo indica la folata di vento che si è levata.
Accompagnata da quell'ombrello che tanto ha significato per loro due, Nahoko è venuta. Assieme al vento.
Ha qualcosa da dire a Jirō:
Il faut tenter de vivre.
Se La principessa Mononoke viene considerata da molti l'opera maestra di Miyazaki nel genere jidai, altrettanto si può dire di La città incantata (Il viaggio di Chihiro nel titolo originale) per quello gendai.
Il viaggio di Chihiro, una bambina di circa 10 anni che potremmo definire del tutto normale ed inserita in una famiglia normale, la porta tuttavia in un mondo realisticamente fantastico, in cui convivono molti personaggi e molte situazioni della tradizione giapponese e molti incubi del mondo moderno.
E' imminente una nuova distribuzione in Italia dell'opera, assieme a Mononoke e Si alza il vento, ultimo lavoro - con forti tinte autobiografiche - del maestro Miyazaki, che al termine ha annunciato il suo addio alla direzione.
Gli interminabili elenchi dei collaboratori che appaiono nei titoli di coda di ogni suo film lasciano però sperare per il futuro. Miyazaki dovrebbe avere ben seminato.
In un sobborgo di Tokyo è stato creato il Ghibli Museum, ove viene esposto molto materiale relativo alla produzione del gruppo di lavoro cui Miyazaki ha voluto dare il nome di un vento del deserto e dove naturalmente si può avere una idea delle possibili evoluzioni future.
Il progetto della serie di edifici è dovuto allo stesso Miyazaki, che ha dichiarato di essersi voluto ispirare alla città rupestre di Calcata, in provincia di VIterbo.
Come detto Chihiro è una bambina del tutto normale, che incontriamo annoiata sul sedile posteriore dell'auto di famiglia.
I suoi genitori hanno cambiato casa e stanno raggiungendo la nuova destinazione, ma si perderanno lungo il percorso, entrando in una nuova dimensione fantastica ma allo stesso tempo crudamente realista, che li obbligherà a pagare il conto del condizionamento materialista e disumano loro subdolamente imposto dalla società moderna.
E Miyazaki obbligherà lo spettatore allo stesso percorso.
L'artista, che qui vediamo in un montaggio assieme a due dei suoi più famosi personaggi, Heidi e Lupin, così parlava della sua opera (da Quatre films de Hayao Miyazaki, di Hervé Joubert-Laurencin, Yellow now):
«Questo film si avvicina ad una storia d'avventura, ma senza sventolii di armi né superpoteri. E anche se si parla di avventure, il soggetto non è il confronto tra il bene ed il male ma piuttosto la storia di una bambina che, gettata in un mondo ove si mescolano brava gente e persone disoneste, si disciplina, si trae d'impaccio e torna per qualche tempo al suo quotidiano. Allo stesso tempo il mondo non viene distrutto, ma questo non è dovuto all'annientamento del male, ma al fatto che Chihiro possiede questa forza vitale.»
Viene forse attribuita a Miyazaki una ideologia che non gli appartiene, quando qualcuno sostiene che la sua opera sia in sintonia con la riforma del sistema educativo giapponese, decisa nel 1997, che intendeva privilegiare la educazione del cuore e sviluppare nei bambini la forza di vivere piuttosto che piantare i semi di una forza lavorativa.
Miyazaki appare più, in ogni sua opera, un eversore che non un esegeta delle istituzioni. Quello che è certo è che Chihiro prima ancora di riscuotere grande successo di pubblico e di critica in occidente ha colpito l'immaginario dei giapponesi. Hanno assistito a questa opera, nel solo Giappone, 23 milioni di spettatori.
Come detto la famigliola composta da Chihiro, otôsan (padre) e okasan (madre) sta cambiando casa, e si trova lungo la strada.
La bambina non è affatto contenta del cambiamento ed è di pessimo umore oltre che annoiata.
Un errore di percorso porta ad imboccare una strada secondaria, che diventa sterrata poco dopo e si addentra in un bosco.
Si tratta però di un luogo inquietante, ove a stento penetra la luce e si scorgono qua e là tra la vegetazione misteriose figure in pietra, relitti di culture dimenticate.
E' l'inizio di una terribile ma per molti versi affascinante avventura di Chihiro, mentre di nulla si accorgeranno i suoi genitori, presto resi inconsapevoli o forse indifferenti a quanto succede e a loro non rimarrà dopo alcun ricordo.
Su Chihiro rimarrà invece indelebile l'impronta di quanto accadutole: non verrà da essa trasformata, ma inizierà a prendere coscienza di se stessa.
Il sentiero, divenuto sempre più difficile da seguire, si arresta all'improvviso davanti ad un tunnel.
E' necessario scendere ed abbandonare la macchina per proseguire.
Chihiro è allarmata, ma i genitori intendono andare a vedere cosa c'è all'interno di quello che sembra un parco per divertimenti abbandonato, anche se è ormai chiaro che hanno deviato dalla strada che doveva portarli alla nuova casa, che si vede in lontananza, sopra un'altra collina.
I segni dell'abbandono sono dappertutto, ed altre inquietanti figure di pietra sono disseminate qua e là nell'erba alta.
Nemmeno altri segni allarmanti, come le improvvise folate di vento e la mancanza assoluta di vita inquietano i genitori di Chihiro, che proseguono nella loro esplorazione nonostante i crescenti timori della bambina.
Superata salendo lungo una scalinata la zona di campagna, si entra in una città anchessa apparentemente abbandonata.
Sembra che llunga la strada, addobbata per qualche festa passata, esistano solo ristoranti; da qualcuno di essi arriva l'odore di cibo appena preparato, e il padre di Chihiro, Hideo, ha un forte appetito. Identificato il locale decide di entrarvi.
Nemmeno lì si incontra alcuna anima viva, eppure il bancone è ripieno di cibi cald,i sconosciuti ma dall'aspetto invitante. I due adulti decidono di fermarsi a mangiare, pagheranno più tardi quando qualcuno finalmente si farà vivo.
L'inquietudine di Chihiro invece cresce sempre di più, e decide di uscire dal locale senza toccare nulla.
Girovagando senza meta arriva ad attraversare un ponte, gettato su un precipizio quasi senza fine.
In basso c'è una ferrovia, e un tunnel dal quale sta uscendo un treno.
Nemmeno là riesce a scorgere alcun segno di vita, ma dopo il ponte c'è un grande palazzo.
Sembra in condizioni migliori della città abbandonata, e in qualche modo la attrae e allo stesso tempo la intimorisce.
L'esplorazione di Chihiro viene interrotta dall'arrivo, alle sue spalle, di un ragazzo poco più grande di lei.
Il suo tono è allarmato, l'allarme di chi vede l'arrivo di un pericolo mortale: Chihiro deve andare subito via di là, prima che sia troppo tardi.
Si sta facendo buio, e il calare della notte potrebbe esserle fatale.
Chihiro ha appena il tempo di chiedersi, mentre fugge, chi sia qul misterioso ragazzo. Scopriremo ben presto che è forte, coraggioso e che ha dei poteri sovrannaturali. Eppure è lui stesso una creatura fragile ed in pericolo.
Chihiro ritorna in gran fretta nel locale dove ha lasciato i suoi genitori, ma l'aspetta la più imprevista e la più sconvolgente delle sorprese.
Continuando ad ingozzarsi senza mai interrompersi, i due sono stati trasformati in grassi ed osceni maiali, intontiti per il troppo mangiare e non danno alcun segno di riconoscerla, anzi nemmeno di avere un barlume, un resto, di umanità. Sono ormai a tutti gli effetti due maiali.
Il trauma è troppo grande, Chihiro terrorizzata fugge, ritorna sulla strada.
Ma col calare della notte una misteriosa allucinante popolazione di ombre è tornata a far vivere, ma sotto una luce minacciosamente sinistra, la città incantata.
Durante la notte la città incantata si animerà di una vita tumultuosa quanto rigidamente organizzata, in cui ogni elemento e ogni essere vivente, umano o meno, dovrà trovare il suo posto per non cessare gradualmente di esistere, divenendo in breve tempo evanescente fino a scomparire del tutto.
Anche la memoria si dissolve assieme alla materia, e Chihiro per sopravvivere alla incredibile avventura dovrà serbare memoria di se stessa ed accettare le regole della cità. La prima regola è l'assegnazione di un nuovo nome: sarà d'ora in poi Sen. La seconda è la ricerca di un ruolo nella società in cui si è trovata improvvisamente a vivere. Nessuno può rimanervi se non ha un propria funzione precisa, un incarico, un lavoro da svolgere.
Nella sua avventura le sarà di supporto il misterioso Haku.
Non sarebbe corretto nei confronti di chi ancora non ha preso visione di questo capolavoro del maestro Miyazaki fornire una descrizione accurata degli avvenimenti, in altre parole rivelare la trama. Miyazaki ha voluto che lo spettatore rimanesse sorpreso quasi ad ogni inquadratura.
Diremo semplicemente che Chihiro farà la conoscenza di una miriade di esseri differenti, di volta in volta affascinanti, inquientanti, aggressivi, amichevoli. Ma nemmeno in quelli che al primo apparire suscitano le maggiori apprensioni riscontreremo poi tracce di malvagità.
Sen to Chihiro no kamikakushi (La misteriosa sparizione di Sen e Chihiro) ha molteplici chiavi di lettura. Alcuni hanno ipotizzato e forse non a torto una parafrasi della Divina Commedia:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
che la diritta via era smarrita
Dall'inferno delle fornaci con le sue piccole anime dannate, al purgatorio delle terme, con i suoi bagni di purificazione che redimono lo Spirito senza Volto o lo spirito del cattivo odore (lo spirito del fiume inquinato dall'uomo...), fino alla felicità del paradiso.
Sopra le nuvole, a cavallo dello spirito drago. A contatto con le stelle.
Diceva ancora Miyazaki nella intevista già citata:
Penso di essere io Kamaji (lo spirito ragno che sovrintende nei sotterranei alle caldaie delle terme), mentre Yubaba (la maga proprietaria delle terme) è il signor Suzuki, il presidente dello Studio Ghibli. In effetti credo che le terme rappresentino bene lo studio. Chihiro potrebbe anche essere vista come un giovane animatore venuto a farci visita. …. Deve mostrarsi utile se non vuole che Yubaba (Suzuki) la faccia scomparire.
...
Non è una storia dove i personaggi diventano grandi, ma piuttosto una storia dove essi scoprono qualcosa all'interno di se stessi, rivelato da circostanze particolari. Io penso che abbiamo bisogno del fantastico. Per coloro che si trovano nell'impotenza dell'infanzia, nel momento in cui essi si sentono impotenti, il fantastico possiede qualcosa per dar loro sollievo.
Un viaggio quindi da se stesso a se stesso
Miyazaki rende poeticamente il dramma di Chihiro quando viene privata non solamente del proprio nome ma anche di una parte di se stessa quando la maga Yubaba la ribattezza Sen dando vita a parte degli ideogrammi che compongono il nome Chihiro Ogin (Ogino è il nome familiare - tipica usanza giapponese - che verrebbe letto per primo poiché il giapponese si scrive da destra a sinistra).
Gli ideogrammi, l'identità di Chihiro prendono il volo per essere stretti nel pugno della maga e poi disperdersi chissà dove.
La parte rimanente, Chi, quando isolata viene letta Sen che comunemente viene inteso come mille o migliaia.
Chihiro, divenuta Sen non attraverso un percorso di crescita ma attraverso uno di privazione, dovrà lottare per tornare ad essere Chihiro, salvando assieme a se stessa anche coloro che ama.
Il film tornerà ad essere distribuito in Italia il 25 giugno 2014, in una nuova edizione.
Queste note, scritte per incitarvi a partecipare al viaggio di Chihiro e del suo protettore/protetto Haku ryu (quel drago d'acqua bianco che ritroviamo inciso negli horimono delle migliori lame giapponesi), vengono terminate just in time.
Nella mattina del 24 giugno.
Lettere da Iwo Jima è il coraggioso tentativo di Clint Eastwood di dipingere un grande dittico a memoria di una delle più e drammatiche cruente e significative battaglie della seconda guerra mondiale: l'invasione dell'isola di Iwo Jima da parte delle truppe statunitensi, vista dalla parte nipponica in questa opera e dalla parte opposta in Bandiere dei nostri padri. Va detto immediatamente che questo tentativo non ha avuto risultati ottimali ma analizzarne le cause e tentare di darne una spiegazione potrebbe aiutare a compiere un nuovo passo verso la comprensione reciproca tra mondi diversi, che avrebbero tutto l'interesse a rimanere distinti pur continuando ad apprezzarsi e frequentarsi. Sembrano invece al contrario avere iniziato una irreversibile rincorsa verso una pesudo-cultura fusion in cui tutto si confonde e nulla si valorizza.
Akira Kurosawa: Madadayo
Il lascito spirituale di un grande maestro
Ci sono molte ragioni per raccomandare a tutti la visione di Madadayo con un Bollino blu in grande evidenza. La più importante è certamente la sua palese funzione di testamento: è l'ultima opera di Akira Kurosawa, l'ultima immagine di sé che ha voluto lasciarci.
La seconda è che si tratta di un messaggio positivo, pieno di speranza e di amore per la vita, per gli esseri umani, per l'universo tutto. Non era tanto scontato, poiché il maestro ha attraversato diverse fasi nel suo percorso artistico, e se dovessimo tentare un bilancio constateremmo che nella maggior parte delle sue indimenticabili storie ha dimostrato invece un profondo e spesso irrimediabile pessimismo.
Il bilancio ovviamente cambia quando si iniziano a "pesare" le opere una per una e a collocarle al posto che loro compete. E' evidente che l'opera conclusiva, quella che pone il suggello finale, abbia una valenza particolare ed illumini con luce diversa tutto il cammino fino ad allora percorso. E' il punto finale di arrivo.
Leggerete altrove - se vorrete - la recensione dettagliata di Madadayo. Vorremmo qui rendere conto brevemente della vera ragione per cui ne raccomandiamo la visione. Non solamente perché è interessante, non solamente perché è positivo, perché ci aiuta a comprendere il messaggio di un grande maestro (non è possibile tentare di comprendere a fondo Kurosawa finché non si è visto Madadayo).
C'è un'altra ragione quindi: dobbiamo vedere Madadayo perché è bello, e ci illumina il cuore. Torniamo a ripeterlo ora che, settembre 2011, vede finalmente la luce la prima edizione italiana in dvd, distribuita da Cecchi Gori Home Video, che ha una piccola piacevole sorpresa.
La fascetta all'interno riporta un estratto della nostra recensione e delle righe che state leggendo.
Sono molteplici i temi che si intravedono tra le righe di Madadayo, nessuno prevalente sugli altri perché la mano del maestro ha saputo fonderli armoniosamente. Nessuno gridato, nessuno sussurrato al punto di renderlo difficilmente intellegibile: tutto è raccontato con voce piana ed affascinante, come quella di un padre che racconta la "favola" al suo bambino.
Ed è quindi importante che questo messaggio, di Kurosawa raggiunga un pubblico più vasto possibile superando le naturali barriere poste dalla lingua, poiché non tutti avrebbero potuto seguire la vicenda in inglese o francese, per non parlare della versione originale in giapponese, mentre i sottotitoli richiedono una concentrazione supplementare che facilmente distoglie da quanto accade sullo schermo.
Abbiamo aderito molto volentieri all'invito di concedere l'uso dei nostri testi, considerandolo un modestissimo, gradevole e necessario contributo alla divulgazione del lascito di Kurosawa in Italia.
A quanti sceglieranno di seguire il nostro invito auguriamo una piacevole visione di Madadayo (Il compleanno) nella neonata versione italiana.
L'opera tratta dell'affascinante, fragile ma indissolubile legame tra il maestro di vita e i suoi discepoli. Hyakken Uchida, il protagonista, è un professore di tedesco che si ritira prematuramente dall'insegnamento all'Università per dedicarsi alla carriera di scrittore, ma che ha saputo avere tra i suoi allievi un impatto talmente magico da trascendere la materia insegnata ed essere considerato semplicemente il sensei, il maestro per eccellenza.
E' una persona assolutamente fuori dall'ordinario nella sua capacità di insegnare, con metodo rigoroso, la deliberata e lucida trasgressione di ogni metodo ed ogni rigore. E' delizioso nella sua totale incapacità di interessarsi del tanto superfluo che tenta di riempire la vita umana, per concentrarsi su quanto realmente vale e merita.
E' magico nella sua capacità di trovare il bello dove nessuno lo cercherebbe nemmeno, figuriamoci trovarlo. Come nella splendida luna che sorge alta sopra le rovine dei bombardamenti di Tokyo, illuminando indifferentemente grandezza e miseria dell'uomo.
E' impagabilmente esilarante nella sua capacità di estraniamento che lo porta a comprendere le ragioni del resto dell'universo confrontandole a quelle meschine e materialistiche di uomini e donne, riducendole sorridendo a poca cosa.
E' commovente nella sua capacità di dedicarsi ad esseri "umili" come il gattone Nora fino a dimenticare se stesso per pensare a loro.
I sentimenti di Uchida vengono mostrati da Kurosawa senza essere esibiti, accompagnati da un umorismo sottile e discreto quando ad esempio vengono illustrati i suoi rapporti con Nora.
O come quando, trovandosi in macelleria ad acquistare carne di cavallo, viene guardato con profonda riprovazione da un cavallo, per giunta "di sua conoscenza", che passa di là, trovandosi in un terribile imbarazzo.
O quando all'ennesimo segno di commozione, commozioni che è bello vedere e nobili per quanto ingenue - anzi forse proprio perché ingenue - deve ricorrere al provvidenziale fazzoletto che la saggia moglie ha sempre pronto con sé.
O quando i suoi allievi cantano in coro la canzone dell'addio, Aogeba totoshi, che viene tradizionalmente intonata durante la cerimonia di chiusura di un corso di studi (troverete il testo e potrete ascoltarla nella recensione dedicata a L'arpa birmana, di cui è uno dei motivi chiave).
E' necessario Madadayo, quando nelle sequenze finali ci insegna che la vita, la sua splendida vita, era forse nulla più che il proseguimento di un gioco infantile a cui tutti abbiamo giocato e cui forse dovremmo ritornare: quello del "nascondino", a cui ogni bambino ha avuto il gusto di rispondere eternamente Madadayo! (Non sono pronto!).
Un uomo che si accosta alla morte con infantile curiosità e con l'altrettanto infantile scrupolo del bambino che si prepara ad un nuovo gioco.
Salvo magari rimandare, semplicemente perché incantato a guardare le nuvole. Probabilmente l'occupazione più alta e nobile cui possa dedicarsi un essere umano.